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LA MANO DI DIO - parte prima


di maxxx13
26.10.2022    |    10.066    |    11 9.3
"Sapevo che quello era l’organo da cui sgorgava il seme, ma non sapevo come si sarebbe svolto..."
Attraversai il chiostro con passi rapidi sotto gli occhi curiosi degli altri novizi. Non capitava spesso che l’abate chiamasse uno di noi per un colloquio privato.
Il priore Valerio mi scortò lungo i corridoi e su per le scale del monastero fino allo studio dell’abate.

“Entra. Ti sta aspettando,” disse dopo aver bussato contro la spessa porta in legno.
“È permesso?” chiesi, facendo sbucare la testa oltre la soglia.
“Oh, Marco,” esclamò l’abate, quando mi vide. “Vieni, vieni. Vorrei presentarti una persona.”

Entrai e il priore svanì nell’oscurità del corridoio, chiudendo la porta alle mie spalle.

“Marco ti presento padre Romolo,” disse l’abate, indicando il prete in piedi voltato verso la finestra. “Onorato fratello, questo è il novizio di cui ti avevo accennato. Marco è con noi da neppure un anno, ma si sta dimostrando una delle nostre migliore promesse.”
Padre Romolo si girò lentamente, posando due freddi occhi su di me. Avrà avuto 40 o forse 50 anni. Con i sacerdoti era sempre complicato capirlo. Il prete mi squadrò per un lungo instante con uno sguardo inespressivo.
I
“Padre Romolo è appena giunto da Roma in visita nel nostro umile monastero,” spiegò a un certo punto l’abate visibilmente a disagio per quel silenzio.
“Umile, ma non per questo sconosciuto,” commentò all’improvviso il sacerdote. “La vostra lunga tradizione di eremitaggio è tenuta in grande considerazione nella Città Eterna.”

“Il nostro venerabile ospite è, infatti, qui per svolgere un ritiro spirituale nel nostro piccolo eremo fra i boschi,” precisò l’abate. “Padre Romolo prevedeva di trascorrere in solitudine i prossimi mesi, ma gli ho spiegato che la vita tra i monti può essere impegnativa e gli ho suggerito di farsi almeno accompagnare da un novizio che si prenda a carico delle incombenze quotidiane.”

“A Roma non mi tiro indietro di fronte a nessuna fatica, ma il fratello abate è particolarmente insistente,” si giustificò padre Romolo con un raro sorriso.

“Ho pensato che potrebbe essere un’occasione per te,” proseguì l’abate, rivolgendosi a me, “di apprendere direttamente da uno dei più grandi maestri spirituali del nostro tempo. Naturalmente, se sei d’accordo.”

“Certo, vi sono davvero grato per questa opportunità. Sarà un onore poter assistere il nostro ospite,” esclamai.

Era difficile non nascondere l’entusiasmo di scoprire che l’abate ponesse così tanta fiducia in me. Ero entrato in monastero solo lo scorso anno, poco più che ventenne.

La mia famiglia nutriva già grandi speranze di vedermi abate e adesso potevo raccontargli dei miei progressi con orgoglio.
“Sono felice della tua disponibilità e apprezzo la tua passione,” aggiunse padre Romolo, “ma ci tengo a precisare che desidero passare il mio ritiro, nel limite del possibile, in silenzio e in meditazione.”

“Sarete un modello per me. Vi assicuro che non vi sobillerò di domande.”

“Perfetto. Grazie mille, Marco. Ti chiedo di andare già a prepararti. Padre Romolo desidera partire il prima possibile. Il priore ti darà tutte le necessarie istruzioni.”

Il priore mi attendeva ancora nel corridoio e mi condusse agli alloggi dei novizi a organizzare il mio bagaglio.

“Padre Romolo passa la maggior parte del tempo in silenzio. Questo significa che devi anticipare e intuire i suoi bisogno senza che lui te lo chieda. Il tuo compito è occuparti di tutto quello che può distrarlo dalla sua attività spirituale.”
“Sì, priore,” mormorai.
“Devi sentirti onorato del privilegio che l’abate ha deciso di concederti. Padre Romolo non è un semplice prete. A Roma è già ritenuto un santo.”

Appena dopo pranzo ci inerpicammo lungo il sentiero tra i boschi.

“Il piccolo eremo non è lontano,” spiegai, mentre camminavo davanti a padre Romolo, “ma la strada è piuttosto impegnativa.”

Il sacerdote si limitò ad annuire, anche se dal sudore sulla fronte si capiva che non era abituato a certe salite.

Dopo un’oretta di cammino fummo in vista del piccolo eremo, un modesto rustico in sasso composto da un’unica stanza.

“Come si fa a lavarsi?” chiese padre Romolo, lasciando vagare lo sguardo lungo le pareti disadorne del rustico.

“Qui vicino c’è un ruscello. Qualche minuto di cammino più in basso si raccoglie in una pozza, dove si può immergersi,” spiegai, “io e gli altri novizi ci andiamo qualche volta a fare il bagno.”
“Il bagno?” ripeté il prete, lanciandomi un’occhiata di disapprovazione. Non osai dire più nulla fino a cena.

I giorni seguenti li trascorremmo in quasi completo silenzio. Padre Romolo pregava e meditava, mentre io pulivo, raccoglievo la legge per il fuoco, cucinavo e prendevo l’acqua al ruscello.

“Vado a lavarmi alla pozza, maestro,” dissi un pomeriggio.
“Vengo anch’io,” mi sorprese lui. Fino a quel momento si era, infatti, sempre sciacquato con l’acqua del secchio che gli portavo.

Percorremmo qualche centinaio di metri, finché non si iniziò a sentire il gorgogliare di una piccola cascata.

Mi sfilai la tunica leggermente in imbarazzo e mi gettai subito in acqua con le mutande come a voler nascondere il mio corpo.
Padre Romolo si spogliò lentamente, svelando un corpo più tonico di quello che mi sarei aspettato da un prete di città. Aveva le spalle larghe e il torso solido di chi di solito fatica ogni giorno.
Si immerse cauto nell’acqua fresca, ma alla fine sembrò lasciarsi andare.
Proprio in quel momento sentimmo delle risate fra gli alberi.

“Sembra che oggi non siamo sole, ragazze,” esclamò una giovane donna dai corti capelli neri, sbucando da dietro una piccola altura sopra la pozza.

“Oh, ma che bei maschioni,” commentò una biondina, apparendo alle sue spalle.

“Vi da fastidio, se ci aggreghiamo voi?” chiese una terza dai lunghi capelli ondulati, mentre raggiungevano la sponda.

“Prego, l’acqua è di tutte e tutti,” dissi, sorridendo cortese, ma il sorriso mi si spense fra le labbra, quando vidi le ragazze spogliarsi molto di più di quello che la decenza consentirebbe.

Le ragazze si tuffarono a seno scoperto nella pozza e ci vennero incontro.
“Ehi, ciao, carino,” mi salutò una, emergendo di fronte a me.
“Cavolo, che muscoli che hai,” sentii esclamare alla mora. Quando mi voltai, inorridii vedendola tastare i bicipiti di padre Romolo con enfasi.

“S-signorine, vi prego. S-siamo uomini di chiesa,” balbettai.

“Ahaha, cosa vi danno da mangiare in convento per farvi venire questi muscoli?”

“Non ci credo. Sei troppo giovane e, soprattutto, troppo carino,” aggiunse la biondina.

“Sono un novizio e vivo in un monastero. Non in un convento.”

All’improvviso padre Romolo si scrollò gentilmente di dosso la ragazza che imperterrita aveva continuato a palpargli i pettorali. Si voltò e in silenzio uscì dall’acqua. Io gli fui dietro con un paio di rapide bracciate.
“Ehi, ma che fate? Già ve ne andate?”
“Dai, restate a divertirvi ancora un po’.”
“Oh, guardate. Sono davvero dei monaci,” esclamò la ragazza con i capelli mossi, quando iniziammo a vestirci.

Le ragazze scoppiarono a ridere e stavano ancora ridendo, mentre ci allontanavamo.
“Sono davvero desolato per quello che è successo,” mormorai. Ero particolarmente ammirato dell’imperturbabilità che aveva dimostrato padre Romolo.
“Il diavolo ci ha inviato delle tentazioni per distrarci dalla nostra vita spirituale. Dobbiamo pregare.”

Pregammo a lungo e quella sera ci coricammo senza cenare e,nonostante il digiuno padre Romolo sembrò riuscire ad addormentarsi rapidamente nell’unico letto della stanza. Al suolo, sdraiato al suo fianco, il brontolare del mio stomaco mi teneva sveglio.

A un certo punto padre Romolo prese a borbottare nel sonno e ad agitarsi. Si girava e rigirava nel letto. Con una serie di calci, gettò il lenzuolo per terra, restando solo in mutande.
Rimasi sconvolto da quello che vidi.

La virilità di padre Romolo era in completa erezione e sbucava dalle sue mutande.
Non era certamente il primo membro maschile che vedevo, ma era il primo, oltre al mio, che vedevo in tiro.

Era così duro che non riusciva neppure a sfiorare la sua stessa pancia. La cappella era così grossa che temevo sarebbe esplosa.

Il demonio stava tentando padre Romolo nei suoi sogni. Il priore mi aveva esortato a fare tutto il possibile per evitare che il prete si distrasse dal suo percorso spirituale. Ma che cosa potevo fare?

Se avessi svegliato padre Romolo, si sarebbe sentito umiliato. Non potei far altro che incrociare le mani e iniziai a recitare il Paternostro.

Pregavo. Pregavo, ma il diavolo non sembrava voler abbandonare padre Romolo.

Non potevo permettere che un tale sant’uomo si macchiasse di un infimo peccato. Sentii Dio guidare la mia mano.

Le mie dita si avvolsero attorno all’asta di padre Romolo. La sua virilità si agitò come se avesse una vita propria.

Era calda come una torcia. Fui percorso da una vampata di calore. Era come se il demonio lottasse contro di me.

Iniziai a muovere la mano lungo quel bastone poderoso che non aveva nulla di umano. La cappella appariva e spariva sotto la sua pelle. Nel sonno padre Romolo sembrava, infine, calmarsi lentamente.

Non sapevo esattamente cosa stessi facendo. Anche se ero entrato in monastero poco più che maggiorenne, non avevo fatto esperienze.

Toccarsi da soli era peccato.

Ma in quel momento non mi stavo toccando. In quel momento stavo facendo il mio dovere di novizio per liberare un futuro santo dalle tentazioni del demonio.

Percepii il mio braccio divenire pesante. La mia spalla stava per cedere. Il mio polso doleva, ma non potevo fermarmi.

Sentii le vene lungo la virilità di padre Romolo gonfiarsi. Sapevo che quello era l’organo da cui sgorgava il seme, ma non sapevo come si sarebbe svolto.

La sua asta parve diventare persino più dura e più grossa. Stavo forse sbagliando qualcosa? Avevo forse destinato il mio maestro a dover convivere con questa enorme protuberanza per sempre?

Padre Romolo gemette. Tutto il suo corpo si tese e fremette. La sua mascolinità vibrò nella mia mano. Qualcosa stava uscendo.

Non deve sporcare il maestro, pensai in preda al panico. Mi allungai su di lui e le mie labbra avvolsero la cima della sua asta. Padre Romolo esplose il suo seme nella mia bocca con un grido liberatorio.

Uno. Due. Tre schizzi colpirono il mio palato e un liquido caldo e denso si accumulò sulla mia lingua.

Un gusto sconosciuto mi riempì la bocca. Ebbi un conato di vomito. Mi alzai e corsi fuori. Un altro conato.

Sputai il seme del maestro per terra, evitando di vomitare per un soffio. Presi a tossire freneticamente.

Quando ripresi a respirare regolarmente, mi accorsi che stavo tremando e tra le mie gambe svettava la mia virilità eretta. Il demonio si era forse insinuato in me?

Appena mi fui calmato, rientrai nel rustico. Il maestro aveva raccolto il suo lenzuolo e adesso dormiva serenamente.

Non potei fare a meno di chiedermi con vergogna, se si era accorto di quello che era successo.
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