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Gay & Bisex

La pineta magrebina 1 - La specialità


di Membro VIP di Annunci69.it chupar
28.08.2023    |    15.740    |    18 9.3
"Attratto da quell’obelisco mi misi a cavalcioni sul suo ventre, puntando la cappella all’entrata della figa anale..."
Uscii dal lido, andando verso l’auto. Non sopportavo il frastuono delle comitive, dei ragazzini e delle radio, così come il chiacchiericcio continuo di Francesca e della sua amica che ci aveva invitati a trascorrere qualche giorno di vacanza da lei in camper. Eravamo stati qualche giorno in un comodo residence ma era giunta l’ora di proseguire il giro di ricognizione in quel campeggio. Ero lì da sei giorni e con Francesca non avevo ancora battuto chiodo.
In slip e t-shirt bianca, salutai il parcheggiatore, esprimendogli il mio timore per le condizioni dell'auto. Stavo a parlare con quel fusto muscoloso e abbronzato nel suo costume attillato e, intanto, gli guardavo il pacco. Quel tipaccio cominciò a fissarmi a sua volta, scostando gli occhiali da sole. Non era male. Sui quarantacinque, con tanto di pesante collana sui peli irsuti, canotta e tatuaggio. Era piuttosto alto, con un bel fisico da manovale. Se ne stava in bella mostra con l'uccello a destra che premeva sul bacino peloso. Mi disse che era napoletano, che conosceva tutti e mi rassicurò, consigliandomi, comunque, di aprire un po' i finestrini.
Feci un po’ di metri, indirizzandomi verso la pineta che ombreggiava le auto. Tre magrebini, per ripararsi dalla calura, avevano poggiato la loro mercanzia all’ombra. Erano a torso nudo con addosso solo dei larghi pantaloni estivi. La cosa mi intrigò, ma li vidi parlottare tra loro, incuranti. Conclusi che erano attratti solo da ragazze e che di signore disponibili chissà quante ce n’erano lì.
Dopo aver controllato l'auto, presi dal cofano uno zainetto. Per cospargermi al meglio, cominciai a togliermi la maglietta. Non convinto, mi tirai un po' giù il costume, donando la visuale di parte delle mie chiappe nude.
I ragazzi rimasero per un attimo sbalorditi, mentre i loro occhi si muovevano lungo il mio corpo lucido di crema solare. Anche se non proprio spudoratamente, ricambiai i loro sguardi. Uno dei tre mi si accostò con una borsa sportiva a tracollo: “Buongiorno, sono Hicham... Tu vuoi qualcosa da me?”
Fui inebriato dall’odore della sua pelle e ipnotizzato dai larghi pantaloni chiari che, nonostante fosse a riposo, erano sospinti da un bel cazzo penzolante: “Buongiorno. No, grazie."
- "Non vuoi vedere cosa offro?" – mi chiese con insistenza, dilatando le gambe e lasciando l'uccello penzolare nel largo pantalone.
Mi sentii congelare - "Grazie, ma non mi serve nulla!" - non riuscendo però a distogliere lo sguardo dalla leggerezza del tessuto che, in controluce, metteva in risalto l’uccellone.
Un altro dei venditori si avvicinò e mi mostrò la mercanzia che custodiva nella borsa. Intanto, disse qualcosa agli altri nella sua lingua. Preso da ben altri pensieri, chiesi: "Avete delle cose veramente tipiche?”
Rispose; "Tutto quello che tu vuoi, sharmoota".
Chiesi cosa volesse dire la parola che mi aveva destinato e mi disse che si trattava di una forma di saluto, di rispetto. Finsi di crederci. Quindi sparse per terra un telo etnico. Credevo volesse invitarmi a valutare qualità dei prodotti, invece si guardò attorno per verificare che non ci fosse il parcheggiatore. Disinvolto, si mise a posto il pacco: “Ti piace?”
Aggiunse che mi avrebbe fottuto volentieri.
Con fare malizioso gli dissi che mi chiedevo solo come ce l'avesse, se era grosso e duro come si raccontava dei cazzi afro. Lui mi rassicurò: "Ventisette anni, 23 centimetri!"
Da finto ingenuo lo stuzzicai, dicendogli che non sembrava che ce l'avesse così grosso come asseriva.
Mi si avvicinarono anche gli altri, mettendosi a semicerchio.
- "Tre, va bene?"
Mi piegai sulle ginocchia. Alzai lo sguardo, poggiai la testa sulla portella infuocata della mia auto. Sospirai e girai gli occhi, scrutando quell'abbondanza.
Si guardarono tra loro e tirarono fuori i cazzoni scuri e pesanti. Lo spettacolo mi lasciò senza fiato. Tre magrebini dall'odore selvatico, che aspettavano solo i miei servizietti.
Il primo si reggeva il cazzo, impaziente di godersi quell’esperienza. Lo presi in mano ma ne rimaneva fuori metà, tanto era lungo. Lo scappellai, sentendo le vene sporgenti al tatto. Immaginai fossero un'ulteriore garanzia di godimento una volta dentro di me.
Il ragazzo mi si avvicinò al volto e lo puntò verso la mia bocca, per farmelo ingoiare. La spalancai e glielo strinsi tra le mani. Iniziai a muovere il mio capo avanti e indietro, mentre con la lingua giocavo a solleticare il buchino il cima alla cappella.
Il più giovane venne a masturbarsi vicino alla mia faccia. Anche il suo cazzo cominciò a prendere consistenza e, in breve, mi ritrovai alle prese con tre minchioni in erezione. Non solo erano lunghi più della media, ma avevano una circonferenza importante. Il più dotato era il più giovane il cui cazzo, a mano a mano che si masturbava, guadagnava uno spessore incredibile. Gli sfiorai i testicoli e passai il palmo sull’asta nodosa, percorrendola fino alla capocchia gonfia.
Una mano mi afferrò per i capelli, strattonandoli forte, avvicinandomi al pene circonciso del giovane: "Sakkir. Masa qadibih."
Faceva caldo ed era sudato, in più facevo fatica a tenerlo fra le labbra, date le dimensioni.
Un altro gli diede il cambio, poi un altro, poi di nuovo il primo. Con le mani masturbavo quelli che non aveva in bocca.
Gli uomini mi guardavano sbocchinare il cazzo di turno e si scambiavano commenti nella loro lingua, mentre le mie mani erano incollate alle chiappe del fortunato. Le stringevo forte, forzando il bacino a muoversi avanti e indietro per rendere ancora più avido il mio pompino, dimostrando che ero davvero una troia affamata. Sentivo la loro pelle di seta scorrermi fra le labbra e sulla lingua, che li accarezzava ogni volta che affondavano nella mia gola. Ritmicamente succhiavo, accompagnando il movimento a stantuffo. Ogni tanto interrompevo l’andirivieni nella mia gola, afferrandolo con una mano e strofinandomelo voluttuosamente sulle guance, baciandolo e slinguandolo con foga, strofinandomi il viso sull'uccello per poi riprenderlo ancora in bocca, ricominciando un accanito su e giù con la testa.
Tutti, a turno, mi sputarono in bocca o salivarono sul cazzo del complice per farlo scivolare meglio, per far diventare le mie labbra una figa aperta e bagnata.
Improvvisamente sentimmo rumori.
Ci spostammo in pineta, ma con cautela.
Una forte sculacciata mi fece piegare su un tronco. Qualcuno mi sputò sul buchetto. Mi voltai chiedendo di finire tutto di bocca, che non era il caso di andare oltre. Il più maturo dei tre intanto mi stava dilatando le chiappe dicendomi: "Kawal".
Sicuramente non era un complimento, ma non ci pensai più quando mi penetrò con due dita. Lasciai fare, fingendo di lamentarmi quando in realtà stavo impazzendo di piacere. Dieci secondi dopo lo supplicai di mettermelo in culo.
Il tipo fece cadere un po’ di saliva sulla cappella. Cercai di afferrarlo per indirizzarlo. "Fai piano!", chiesi anche se non aveva senso protestare. Sentii che mi sputava ancora sul buco e poi che spingeva con forza.
Mi strappò un gridolino di dolore, ma non si fermò. Iniziò a muoversi, ma ogni spinta era dolorosa. Non lo fermai.
Sentii la pressione della cappella sulle crespe della mia passera anale. Fu una sensazione paradisiaca quando mi entrò completamente in corpo. Assestatosi, iniziò a stantuffarmi e in poco tempo la mia vagina maschile si abituò alle dimensioni.
Mi sentivo fuori di testa da come ero su di giri. A malapena riuscivo a reggere al ritmo delle pompate cadenzate di quella cavalcata. I miei gemiti uscivano smorzati, perché la giostra di peni nella mia bocca non si era fermata.
Il ragazzino, intanto, continuava a masturbarsi l'uccellone e a guardarsi attorno, temendo l'arrivo di qualcuno.
Il ventisettenne si sfilò e nel mio culo subentrò il secondo, il più maturo dei tre.
Le spinte divennero poderose. Sobbalzavo in avanti ogni volta, e ogni volta era migliore. Mi sentivo violentato, ma a mio completo agio. Mi piaceva quel trattamento selvaggio e maschio. Quel nuovo cazzo mi stava riempiendo di calore, mentre si incuneava profondamente dentro di me, per poi essere estratto quasi del tutto.
Arrivò il turno del ragazzo che si sistemò, stringendomi con le sue manone. Mi mancò il fiato quando me lo mise. Si fermò, per cominciare subito a pompare, senza dire una parola. Affondò la testa nell’incavo della mia spalla. Lo sentivo ansimare al ritmo della scopata. Spingeva come se volesse entrarmi tutto dentro, sentivo il suo osso pelvico sbattere prepotente contro il mio sfintere. Mi stringeva le tette che non avevo, standomi sopra con tutto il peso. Inarcai la schiena e mi aprii il più possibile per permettergli di spingere profondamente. Le bordate che mi infliggeva erano così energiche che iniziai ad oscillare paurosamente. Il ragazzino dimostrava un’inusuale resistenza all’orgasmo, nonostante glielo stringessi con tutta la forza dei miei muscoli anali. Appoggiai gli avambracci e mi aggrappai al tronco, per contrastare gli affondi incessanti.
Lui mi disse - "Ibin Sharmootah" - e inasprì ancora di più il ritmo.
Il cazzone del giovane aveva raggiunto il massimo turgore. Si sedette sul terreno ordinandomi di sedermi sul suo palo nodoso. Attratto da quell’obelisco mi misi a cavalcioni sul suo ventre, puntando la cappella all’entrata della figa anale. Continuai costantemente ad abbassarmi su di lui, facendolo entrare quasi tutto. Mi sentivo aperto in due. Mi alzai ed abbassai un paio di volte, facendolo uscire quasi del tutto fino a che l’iniziale fastidio si tramutò in un mare di piacere. Il ragazzo cominciò a mugolare ed io non ero da meno.
Capii che la cosa si faceva difficile quando sentii che un altro con la sua cappella si stava appoggiando al bordo fra il cazzo di ragazzo e il mio culo, cercando di farsi strada. Era rimasto li un po’, credevo che si sarebbe accontentato dello sfregamento e che avrebbe finito per menarselo e farmi una sborrata sulla schiena. Invece, esoerto, era entrato un po’ da di fianco, tra il cazzo del complice e una delle mie chiappe. Mentre il ragazzo entrava, aveva spinto.
Stavo per urlare, ma il terzo mi tappó la bocca. Liberatomi gli chiesi di smettere e di fare a turno, ma ne uno e ne l’altro sembravano d’accordo.
Mi scoparono così per qualche minuto, poi l'ultimo arrivato mi scoppiò dentro, mordendomi il collo. Il suo cazzo si ammosció e venne sputato fuori, ma non cambiammo posizione.
Il terzo mi si accostó. Si mise lateralmente a me: "Masun qudaybi alkabira!"
Mi faceva male la mandibola, ma non se ne curava, facendomi arrivare l'uccello scuro fino in gola. Si scostó. Cominciò a masturbarsi forsennatamente a pochi centimetri dal mio volto. Mi arrivò un primo fiotto abbondante sul viso. un secondo e non so quanti altri potevano contenere le sue grosse palle. Avevo gli occhi chiusi, ma feci uscire la lingua per assaggiare il suo seme. Ne avevo le labbra ricoperte e immaginai che tutto il mio viso fosse in quelle condizioni.
Intanto, il ragazzino rimasto sotto di me mi pastrugnava le tette succhiandomi i capezzoli come se fossi stata una donna. Ad un tratto mi attirò a sé, stringendomi il petto contro il suo e lasciando scivolare fuori il suo cazzone. Mi divaricò le natiche per far ammirare agli altri la mia voragine anale. Quello che aveva già goduto, si mise in ginocchio dietro di me e vide la sua sborrata colare tra le mie chiappe, tra sghignazzi e parolacce.
Il tipo raccolse la sua sborra fuoriuscita con la capocchia del ragazzo e la infilò in me.
La sensazione per me fu eccessiva da reggere, tanto che sborrai sul torace del giovane magrebino.
Lo stronzetto, fingendosi incazzato, lo infilò fino ai coglioni una, due, tre volte. L'ultima mi disse - "'Ant eahiratan liltalqih..." - mentre mi allagava di sborra bollente l'intestino.
Ci staccammo, stavolti, ma l’uomo che per primo mi aveva sedotto mi chiese dei soldi per il servizio. Non cedetti. Replicò, dandomi del rottoinculo sugasborra.
Un po' incazzati, mi lasciarono nudo, coperto di sperma, sudato e con i vestiti gettati nella polvere.
Mi ripulii con alcuni fazzolettini di carta, mi sistemai un po’ ed infine, rientrai in spiaggia quando ormai il sole si era abbassato leggermente. Avevo le labbra livide e mi faceva male il buco, camminavo tutto storto. Prima di raggiungere la mia ragazza mi tuffai in mare. Pensai che l’acqua avrebbe inumidito e confuso le possibili tracce di eiaculazioni.
Tornai all'ombrellone, spiegando che avevo fatto tardi per cercare gli spiccioli da inserire nel parchimetro e che poi mi ero preso un gelato al caffè con un'abbondante dose di panna.
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