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Pinone il fratellone


di dare_devil
31.05.2017    |    20.588    |    20 9.0
"Erano stanchi, delusi, e preoccupati, perché quei soldi avrebbero probabilmente portato ad altre scommesse..."
“Guardate, lo so. Non mi credete più, e vi capisco. Ma vi assicuro che stavolta è diverso. Si tratta di un affare sicuro e...”

“Ora basta! Hai una moglie, un figlio e tra poco ne arriva un altro. La devi smettere. Non ti daremo più manco mezzo centesimo. Basta!” La solita scena, le stesse voci, le medesime imprecazioni. A cambiare era solo l'importo del prestito che mio fratello cercava di estorcere ai nostri genitori anziani. Pinone, così chiamato sin dall'adolescenza per la sua stazza fuori misura, non era malvagio. Anzi, a modo suo, era anche un altruista. Se poteva darti una mano, lo faceva, salvo poi fregarti in un secondo momento, ma non per cattiveria o avidità. Semplicemente per via dell'ennesimo debito contratto chissà come. Era sempre stato incapace di gestire se stesso, come un eterno ragazzino costantemente a caccia di guai. Le amicizie sbagliate, le bravate, qualche furtarello, il tentativo fallito di mettere su una coltivazione di erba, poi anche qualche mese in gabbia. I miei erano disperati. Uscito di galera, ventiduenne, sembrava avesse finalmente messo la testa a posto, un piccolo impiego in un'officina e la voglia di rimettersi in riga, di costruirsi una vita. Ma le teste calde sono fatte così. C'è sempre una via più avventurosa e facile per ottenere qualcosa. E da lì la scoperta delle scommesse...Qualche vincita, seguita puntualmente da altrettante perdite, che diventavano debiti, per ripagare i quali venivano richiesti dei prestiti, camuffati dietro finanziamenti per improbabili affari...Insomma, questo era mio fratello, Pinone, ormai quasi quarantenne, spiantato e sprovveduto come se non peggio di quel ragazzotto bello e sbandato con cui avevo diviso una cameretta negli anni dell'infanzia e della adolescenza.

Era bello, sì. Non fraintendetemi, non mi riferisco a quel bello che trovate in qualche rivista di moda, tutto scolpito, tutto depilato e col visetto pulito e perfetto. Lui era bello come può essere bello un pugile: un cristone robusto, non grasso ma grosso, con manone e piedoni, collo taurino, una folta peluria nera che non lasciava quasi vedere la sua carnagione naturalmente scura, ereditata da nostro padre e soprattutto dai nonni siciliani. E poi un viso dai lineamenti marcati, che lo rendevano molto simile ad un giocatore di rubgy della nazionale francese, Yoann Maestri che, se non conoscete, vi invito a cercare subito in rete per colmare questa imperdonabile lacuna. Ai miei occhi, sin da ragazzino, mio fratello maggiore era una sorta di totem della virilità, oggetto di ammirazione e soggezione al tempo stesso. Otto anni più grande di me (lui il primogenito, due sorelle e poi io, il più piccolo), Pinone non era mai stato portato per lo studio, ma in compenso era il più forte di tutti in ogni sport, era il capobanda, quello che sapeva smontare e rimontare i motori, che cambiava ragazza ogni mese, che beveva, fumava, esagerava in ogni cosa, un po' smargiasso e un po' ingenuo al tempo stesso. Io era il suo opposto, avendo preso da mia madre: castano chiaro, magro, piccolino, forse anche attraente, ma in virtù di una bellezza decisamente più ambigua, meno virile. Credo di aver capito a che sponda appartenessi proprio grazie a lui. Dividevamo una cameretta che a mala pena conteneva i nostri due letti e una grande scrivania che doveva bastare per tutti e due. Ricordo tante notti d'estate, io in piena pubertà e lui già uomo fatto, passate a spiarlo mentre si fumava la sua brava canna e beveva la sua birretta, toccandosi il pacco, imprigionato in uno degli slip sempre troppo stretti per contenerlo: c'era sempre un po' di pelo pubico o un testicolo peloso che strabordavano fuori da una parte o l'altra. Un occhio chiuso e l'altro mezzo aperto, fingevo di dormire, sperando di vederlo prima o poi sfilarsi quei maledetti slip. Ma non c'era verso. Dovevo accontentarmi, si fa per dire, di quelle coscione grosse e pelose, di quel petto massiccio e villoso, di quel viso maschio eppure quasi vulnerabile, gli occhi chiusi e la bocca socchiusa, perso in chissà quali sogni erotici amplificati dall'erba. Non riuscii mai, in quegli anni, pur dividendo la stessa cameretta, ad andare oltre quella visione. Poi accadde il fattaccio della galera. E quando uscì non tornò più a vivere in famiglia, stabilendosi, quasi come un randagio, in sistemazioni provvisorie, da amici, conoscenti, donne...

Ecco, vi dicevo, Pinone era fatto così. E da quando s'era sposato ed era diventato padre, il vizio delle scommesse era, se possibile, anche peggiorato, alimentato dalle necessità di una famiglia in crescita, necessità che il suo impiego come meccanico in un'officina in periferia non riusciva a soddisfare. Dalla sua aveva il vantaggio di essere in effetti diventato esperto in fatto di scommesse: . E a volte, in verità, riusciva, a raccimolare delle cifre che io, come impiegato al ministero, avrei potuto raggiungere soltanto con tre mesi di stipendio messi assieme. Ma poi, come sempre accade, bastava poco per riperdere tutto. E quel sabato pomeriggio, mentre ero in visita dai miei per comunicare loro di una mia recente promozione in ufficio, Pinone era piombato all'improvviso, inatteso, su di giri come spesso ultimamente, per chiedere l'ennesimo prestito.

“Non potete rifiutarvi di aiutarmi. Roberta partorisce tra poche settimane. Abbiamo tante spese. Se riesco ad imbroccare quest'affare giuro che non vi chiederò più nulla. Ma anche perché non ce ne sarà bisogno. Sarò io ad aiutare voi, con tutti i soldi che mi entreranno”. “Eh come no...” Mio padre era irremovibile. E stavolta anche mia madre, solitamente più accondiscendente, scelse di non intervenire, andandosene in cucina e lasciando a mio padre l'onere di chiudere le porte al primogenito. Non li biasimavo. Erano stanchi, delusi, e preoccupati, perché quei soldi avrebbero probabilmente portato ad altre scommesse. Ero dispiaciuto nel vederli così. Ma ero triste anche per il mio fratellone, così grande e grosso, eppure visibilmente incapace di diventare un adulto responsabile, nonostante i suoi quasi quarant'anni.

Lo vidi così abbattuto che lasciai cadere l'annuncio ai miei della mia promozione e gli proposi di riaccompagnarlo a casa. Una volta nella mia macchina, cercai di tirarlo su. “Dai, Pinone, devi pure capirli. Darebbero la vita per te, lo sai.” “E infatti mi stanno lasciando col culo per terra. Se non ridò diecimila euro entro una settimana, non so neppure che fine faccio. Lascio una moglie vedova e due figli orfani”. Questa era una delle sue tattiche. Spesso cercava di manipolare familiari, amici o conoscenti esagerando la gravità della sua situazione. Certo, era bravo. E anche stavolta, stavo per caderci. Ma mi imposi una linea dura, per il suo bene. “Pinone, ti conosco abbastanza per sapere che non è così. Te lo stai inventando. Lo so. Se mi dici le cose per come stanno per davvero, forse una mano posso dartela. Ma le cazzate non voglio sentirle. Basta con queste stronzate degli affari o con le minacce di morte dei tuoi creditori. Di la verità. Quanto ti serve veramente e che sta succedendo.” Mio fratello tira fuori una bustina di fumo e una cartina e inizia a rollarsi una canna, e ad un tratto mi dice “Non portarmi a casa, prendi la prima a destra.” E mi guida fuori dal quartiere, oltre la tangenziale, fino a farci ritrovare in una terra di nessuno, tra torri in costruzione, strade sterrate e campi incolti. Lo guardo, mentre si fuma tranquillo la sua canna. Mi offre un tiro, ne faccio due. “Perché mi hai portato fin qui ?” Con aria pigra, sicura, spavalda, come quella che gli avevo sempre riconosciuto sin dagli anni della sua adolescenza, lo vedo manovrare la manopola del suo sedile, per reclinarlo di qualche centimetro. Butta la testa indietro, fa un bel tiro, respira a fondo, allarga leggermente le gambe e si sistema il pacco, come faceva ai tempi della nostra cameretta in comune. Tiene gli occhi chiusi, fuma, e poi mi dice “E' vero. Non sto rischiando la vita. Ma mi servono per davvero quei soldi. Ho un debito di cinquemila euro.” Lo guardo perplesso. Non so se concentrarmi sulle sue parole o su quel pacco, che sembra visibilmente più gonfio. “Non capisco, Pinone. E gli altri cinquemila a che ti servono ?” Vedo che con la mano destra – con la sinistra porta alla bocca lo spinello – incomincia a manovrare la cintura, fino a slacciarla “Gli altri cinquemila mi servono per una scommessa ai cavalli che so già che andrà alla grande. Lo sai che queste cose le riesco a prevedere. I nostri genitori non capiscono una mazza. Ma tu sì, tu mi conosci. Tu ti fidi di me. Vero fratellino ?”. E vedo che apre il primo bottone dei jeans. “Ma che cazzo ti prende, Pinone ? Che stai facendo ?” Tiene gli occhi chiusi, con una mano continua a portare la canna alle labbra e a tirare il fumo, e con l'altra, lentamente, apre uno ad uno tutti i bottoni.

“Te lo ricordi quanto ti piaceva guardarmi in cameretta ? Eh fratellino ? Le sere d'estate ? Quel caldo, io che sudavo come un maiale, mezzo nudo...” A quel punto stavo sudando anch'io, totalmente confuso dall'erba, dalla calura, dalla situazione “Ma che cazzo fai ? Siamo in mezzo alla strada” “Siamo in culonia, fratellino. Non c'è nessuno qui, come non c'era nessuno nella nostra cameretta. Ma perchè cazzo non hai mai allungato la mano in tutti quegli anni ? Mica ti avrei fermato, sai ?” Non potevo credere a ciò che vedevo e sentivo. Pinone si stava lentamente abbassando i jeans, rivelando le sue coscione pelose, due tronchi sodi e possenti, minimamente infiacchiti dall'età. Anzi, se possibile, ancora più sodi. Che cristone che era mio fratello. Portava dei boxer, adesso, non più, come un tempo, quegli slip troppo stretti per il suo pacco fuori misura. E il tessuto dei boxer si stava lentamente deformando, quasi a formare una sorta di tenda indiana. Era una visione ipnotica. Quei boxer rigonfi che faticavano a contenere un cazzone in evidente stato di crescente erezione, circodati da una folta massa di peli scuri e ricci, sulle cosce, sulla zona pubica appena sopra l'elastico del boxer, su fino all'ombelico e poi oltre, fino ai capezzoli e al collo taurino.

“A me l'erba ha sempre fatto quest'effetto, sai fratellino ? Allora come oggi. E quando sto così, ho bisogno di qualcuno che mi dia una mano. Non me l'hai data in tanti anni. Potresti darmela oggi, finalmente”. Mi sorpresi a sussurrare, quasi come un ragazzino “Ma che dici, Pinone. Sono tuo fratello”. Al che apre gli occhi e, mentre con la destra si porta la canna alle labbra per l'ennesima tirata, con la sinistra prende la mia mano e la porta fino a sopra il boxer, ormai completamente deformato dal suo cazzo totalmente in tiro. Lo sentivo vibrare sotto la stoffa, emanando un calore e una consistenza che mi trasmisero una sorta di scossa elettrica, che dalla mano raggiunse tutto il resto del mio corpo. “Cazzo, Pinone, che stai facendo ? Che stiamo facendo ?” In un istante, lo vidi sollevare leggermente il bacino e afferrare i boxer da due lembi opposti ai suoi fianchi, per sfilarli in basso, assieme ai jeans. Un odore di maschio invase l'abitacolo della mia vecchia ford fiesta. Un cazzone enorme, scuro, venoso, largo come una lattina di birra, sovrastato da una cappella rigonfia e imperlata da qualche goccia, svettava da una matassa lanosa di peli nerissimi. Ero spaventato, desideravo toccarlo, ma ero impietrito. Fu lui allora a decidere per me, afferrando la mia mano e costringendomi a stringere quel manganello caldo e duro come il marmo. “Tra fratelli ci si da una mano, vero ? Ci si aiuta ? O sbaglio “. Io non capivo più nulla, avevo dimenticato ogni grado di parentela. Stavo toccando l'uomo che avevo sempre considerato il più desiderabile e il più maschio di tutti, la mia fantasia erotica più intima e segreta, il mio desiderio più inconfessabile. Era lì, lo toccavo, lo odoravo, lo vedevo, lo ascoltavo, lo divoravo con tutti e cinque e sensi. “Assaggialo, avanti. Lo so che lo vuoi fare da anni”. E come dargli torto. Avevo avuto le mie prime esperienze con dei mei coetanei molti anni prima, appena diciottenne, per poi cercare sempre ragazzi un po' più grandi di me, più grossi e possenti di me, forse cercando inconsapevolmente quel primo maschio alfa che aveva svegliato, fin dalla pubertà, il mio appetito sessuale. E almeno due decenni dopo, eccomi appena trentenne a chinarmi verso il primo vero cazzo che avevo desiderato in tutta la mia vita, quello di mio fratello Pinone. Mai quel soprannone mi sembrò più appropriato.

Dovetti spalancare la bocca ai limite delle mie possibilità, per ospitare prima la cappella, e poi pian piano quel tronco venoso e massiccio. Pinone non mi lasciò il tempo di abituarmi alle sue dimensioni anatomiche. La sua manona destra mi spinse violentemente la testa verso il basso, costringendomi ad ingoiare quella mazza fino a sfondarmi la gola. In men che non si dica, mi ritrovai il naso sepolto nei suoi peli pubici. “Mangia, mangia, fratellino”. La sua manona mi guidava su e giù lungo la sua mazza, di fatto scopandomi la bocca come se fosse una fica. Faticavo a respirare, la saliva stava bagnando tutti i suoi peli pubici, colando lungo le sue coscie, l'inguine, fino a inzuppare la pelle del sedile. Emettevo suoni gutturali. La sensazione era quella di saziare una fame antica, un desiderio inespresso per troppi anni.

Stavo soffocando. Pinone, resosi conto dei rumori gutturali sempre più scomposti, mi lasciò respirare per un attimo. Ma poi riprese l'assalto della mia gola. Penso di essere rimasto lì, a farmi stantuffare, incastrato tra la sua mano e la sua mazza come tra incudine e martello, per almeno una ventina di minuti. Poi mio fratello mi staccò, quasi fossi una sorta di bambolina gonfiabile, per togliersi completamente i jeans e sfilarsi la camicia. Completamente nudo, peloso come un gorilla, massiccio come un pugile, si risdraiò sul sedile. “Ora leccami, dai piedi, su fino alle ascelle. Ovunque”. Io ero un automa. Avrebbe potuto chiedermi qualunque cosa. L'avrei fatta. Era il mio re, il mio padrone assoluto. Mentre leccavo i suoi piedoni, per poi risalire su dalle caviglie fino all'inguine, lo sentii parlare “Tu mi aiuterai, vero fratellino ? Ci aiuteremo a vicenda. Io rendo felice te e tu rendi felice me. I veri fratelli si vedono nel momento del bisogno....Ah bravo, così, leccami le palle, da bravo....E tu hai bisogno di me. Mi sembra evidente. Come io ho bisogno di un piccolo aiuto, un prestito...Bravo, leccami là sotto, da bravo, tra le cosce e il culo.... Manco mia moglie arriva lì sotto...Bravo....E se mi dai quei soldi, ti giuro che ti scopo come non ti ha mai scopato nessuno...Diventerai la mia troia...Eh fratellino ? Che dici ? Affare fatto ? Bravo, le ascelle, leccamele tutte...” Io ero letteralmente impazzito, fuori di testa. Ero pronto a soddisfare qualunque sua richiesta...Compresa quella “Ora spogliati”. Mi liberai della mia polo, delle scarpe da ginnastica e dei jeans in tempi record, sfilandomi gli slip per offrirgli ciò che si attendeva. “Monta sopra di me” . Con fatica, date le dimensioni, soprattutto la larghezza, riuscii a far entrare la proboscide di Pinone nel mio culo stretto. All'inizio fu cauto, comprensivo, lasciando fare a me, facendomi abituare a quel bestione duro e venoso. Ma la sua pazienza lasciò presto il posto ad una foga che mi spaventò. Sembrava indemoniato. Sarà pure stata una delle sue bieche manipolazioni per ottenere soldi, un espediente perverso e morboso. Ma restava il fatto che se la stava godendo pure lui, quel bastardo. Dava colpi di bacino da campione, quasi a sfidare la gravità, facendomi sussultare e facendomi sbattere ripetutamente la testa contro il tettuccio della mia auto. Se qualcuno fosse stato lì fuori in quel momento, sicuramente avrebbe visto una vecchia ford fiesta ballare come indemoniata. E ci avrebbe sentito mugolare, grugnire, emettere suoni quasi disumani...

Dopo altri venti minuti, Pinone ha ululato come un lupo in calore. Un ultima botta di reni ben assestata, che quasi mi sventra, e la sua sborra calda che mi riempie nel corpo e nella mente.

Restammo sdraiati nei nostri rispettivi sedili, nudi, sporchi, sudati, per un'altra mezz'ora ancora, fumando, in silenzio. Sempre senza dire una parola, ci rivestimmo, poi rimisi in moto e ripartimmo in direzione di casa sua, dove lo attendevano mia cognata e mio nipote.

Prima di scendere dalla macchina, Pinone mi disse, come se nulla fosse “Mi fai un assegno in settimana ?”. Io annuii, arrossendo, consapevole di essermi arreso al suo dominio sui miei sensi e la mia volontà. “Che gran figlio di puttana che sei” Gli dissi, con una voce apparentemente dura ma accompagnata da una smorfia divertita, quasi compiaciuta “Beh, calcolando che la mamma è la stessa...Grazie fratellino, anche tu”.
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