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Premio di licenziamento


di Wilhem
01.04.2024    |    9.339    |    8 9.7
"Prima i fumi dell’alcool, poi il profumo intenso di quell’uomo che saturava l’intero abitacolo, come un gas inebriante..."


“Vattene via immediatamente!!!”
Era ridicolo essere licenziato così su due piedi solo per aver commesso un errore di calcolo e aver caricato nel furgone più merce di quanta il cliente ne avesse pagata.
In effetti Nico non era mai stato bravo in matematica. E non lo era mai stato in nessun’altra materia. A scuola, quando ci andava, veniva bullizzato e insultato con epiteti tipo checca, frocio, finocchio. Così aveva deciso di non andarci più.
E adesso si ritrovava disperato con la testa contro il muro del negozio.
“Hey, tutto bene?”
Chi cazzo era? Come faceva ad andare bene senza il becco di un quattrino e senza lavoro?
Alzò lo sguardo. Era un omone peloso. Un cliente.
“Insomma” riuscì a dire.
“Non è giusto quello che ti hanno fatto” e se ne andò.
Quattro settimane dopo, una notte, Nico si ritrovava con la testa nella stessa posizione, ma stavolta contro il muro di una birreria.
“Hey, tutto bene?”
E che cazzo! Senza soldi, senza lavoro e l’affitto che scadeva tra una settimana. Chie era ancora?
Ah, l’omone del negozio, ma stentò a riconoscerlo: non indossava la tuta da operaio, bensì una camicia bianca che metteva in bella mostra la peluria e i muscoli del torace e un paio di jeans aderenti.
“Insomma” riuscì a dire prima di perdere l’equilibrio. Forse aveva bevuto qualche birra in più.
Si ritrovò tra le braccia dell’omone che prontamente lo sorresse.
“Hey!”
“Sto bene… un capogiro…”
“Non mi pare.”
Gli aggiustò il bavero della giacca e con la manona gli sfiorò il collo. Nico fu colto da un brivido. Forse aveva bevuto veramente troppo. O forse… No, non poteva essere. Non era mai stato attratto dai daddy. Neanche nelle sue più stravaganti fantasie. Eppure adesso… Quel brivido… Quella confusione…
“Adesso va meglio.”
“Non mi pari in grado di guidare.”
“Sono a piedi.”
“Non mi pari in grado di camminare, allora.”
“No, no, vedi?”
Nico tentò di fare un passo, ma un altro brivido lo bloccò.
“Hey! Ti do uno strappo io.”
“No, no, grazie.”
“Sì invece.”
Lo aiutò con le sue braccia possenti e lo condusse fino alla sua macchina.
Nico si lasciò guidare, sempre più confuso. O era la birra, o qualcos’altro a provocargli tutto quel giramento di testa.
“Non ci siamo ancora presentati. Sono Rocco.”
“Nico.”
“Dove abiti, Nico?”
“Non distante da qui. Ti dico che strada fare.”
Rocco avviò l’auto sportiva e seguì le indicazioni di Nico.
C’era una strana atmosfera. Nico si sentiva in imbarazzo. Non sapeva che dire. Era stordito. Prima i fumi dell’alcool, poi il profumo intenso di quell’uomo che saturava l’intero abitacolo, come un gas inebriante. Odore di chi ha fatto sesso in quei sedili, oppure di chi si è appena masturbato e non ha fatto il bidè.
“Il lavoro?”
“Ancora niente.”
“Abiti con i tuoi?”
“No. Solo. Sono in affitto.”
“Bel guaio” commentò Rocco destreggiandosi tra le strade deserte della notte. “Quanti anni hai?”
“Venti… due.”
Stava per dire ventitre, ma ancora mancavano due mesi al suo compleanno.
Nico si chiese quanti anni potesse avere quell’uomo che adesso aveva un nome, Rocco, e che lo stava accompagnando a casa. L’unica persona che nell’ultimo anno si stava prendendo cura di lui.
Quaranta, forse quarantacinque, pensò Nico, ma gli sembrò scortese chiedergli l’età, anche se Rocco l’aveva fatto con lui.
Quando la macchina giunse a destinazione, Nico provò un profondo senso di tristezza. Anche se il tragitto era stato breve, Nico aveva provato una piacevole sensazione di protezione, di sicurezza, di pace. E poi quell’odore. Era profumo di maschio. Di maschio virile, forte, possente. Gli dispiaceva doversene separare.
“Allora… grazie.”
“Ce la fai a salire?”
Nico ebbe un attimo di esitazione.
“Credo.”
Ma non era più confuso. Adesso era lucido. Sapeva cosa voleva. Anche se quella fede che Rocco portava al dito anulare non gli dava molte speranze.
Comunque non volveva separarsi da Rocco o, quantomeno, voleva prolungare il più possibile quella piacevole sensazione e quel brivido che lo elettrizzava e inebetiva.
Scesero dalla macchina.
“Allora ciao.”
Nico fece per andare, ma inciampò sul marciapiede nella strada buia.
“Hey” disse Rocco, “ti porto su.”
Lo sollevò di peso e questa volta Nico si abbandonò tra le braccia di Rocco e si aggrappò alle sue spalle enormi.
Salirono le scale. Giunsero al pianerottolo.
“Hey, tutto bene?”
Ma che cazzo lo ripeteva a fare? Certo che adesso andava bene. Anzi, benissimo! Nico non si era mai sentito così attratto da nessun uomo, soprattutto di quaranta, quarantacinque o cinquant’anni che fossero!
“Grazie ancora” disse Nico appena Rocco lo depositò davanti alla porta dell’appartamento.
“Hey, hey!” esclamò Rocco afferrandolo al volo.
Stavolta Nico non aveva avuto nessun capogiro. Era perfettamente lucido e stava recitando alla perfezione la parte dell’ubriaco.
Si ritrovarono abbracciati. Nico che si reggeva forte al collo di Rocco. Le sue mani che sfioravano quella nuca ruvida, quella testa dai capelli radi, quella barba brizzolata d’argento. Il corpo massiccio di Rocco spingeva contro la porta chiusa quello esile di Nico.
Un silenzio che sembrò infinito, rotto solo dai sospiri, dal respiro di Rocco che si faceva sempre più affannoso.
Attimi interminabili in cui Nico fissò gli occhi cerulei di Rocco. Non lo aveva mai notato prima in negozio. Quell’uomo poteva non essere più giovane, ma era maledettamente bello e attraente.
Era Rocco adesso a essere confuso. Era immobile, attaccato a quel ragazzino di vent’anni che poteva essere suo figlio, e non sapeva cosa pensare. Non sapeva staccarsi. Ma non aveva l’idea sul da farsi. Un uomo sposato come lui, in quel pianerottolo semibuio, con quel giovane ubriaco che aveva riaccompagnato a casa.
Ma qualcosa si stava muovendo. Nico sentì la protuberanza di Rocco premergli sulla gamba. Un evidente segno di vittoria. Era una follia, ma era l’unica cosa che potesse accadere adesso.
Sapeva che non sarebbe stato Rocco a fare il passo avanti. Toccava a lui. O la va, o la spacca, si disse.
Si avvicinò lentamente al volto del suo salvatore. I loro respiri adesso erano un unico sospiro. Un desiderio inespresso che stava prendendo l’avvento. Gli sfiorò la punta del naso.
Poi, con gli occhi chiusi, gli poggiò le labbra sulle sue.
“Grazie” disse Nico.
“Hey” rispose Rocco sorridendo.
“Posso offrirti qualcosa?”
Rocco annuì soddisfatto.
Si staccarono da quell’interminabile abbraccio.
Quando il ragazzo si girò per inserire la chiave nella serratura, sentì la manona di Rocco stringergli le chiappe.
In quel momento Nico capì che era arrivato il momento di riscuotere il premio del suo licenziamento.



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