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Calore Partenopeo - I


di Doctor_S
02.09.2021    |    6.400    |    3 9.6
"< Può darsi… Magari ne riparliamo più tardi > risposi ricambiando il sorriso e sorseggiai il mio espresso..."
Nelle sere d’agosto, dopo il lavoro, ho sempre apprezzato il centro storico di Napoli. È differente. Si percepisce il sapore autentico della città, frutto della storia che ne impregna le fondamenta. Non brulica di universitari come accade nel resto dell’anno ed anche i piedi di molti degli stessi partenopei, in gran parte in vacanza, non toccano il basolato di piazza San Domenico Maggiore. Si vive in un clima di sospensione temporale, nel quale i turisti seduti ai tavolini dei bar assumono il ruolo di marginali comparse. E lì, a quel tavolino del bar a San Domenico, anche io e Melisa ci confondevamo tra loro.
Lei è turca. Studia biologia in erasmus e ci siamo conosciuti in qualche serata universitaria. Simpatica, alla mano, carina ma non avvenente, era da subito risultata la classica ragazza acqua e sapone che si trova a suo agio in un gruppo di soli uomini. Una bella frequentazione, devo ammettere, che però a poco alla volta mi aveva trasformato nella sua guida turistica personale.
< Tomorrow vorrei vedere la “capela San Severo”, si dice così? > mi chiese sorridente.
< Esatto. È qui vicino, magari prima di riaccompagnarti a casa ci passiamo e ti faccio vedere dov’è. Che ne dici? > risposi ricambiando il sorriso.
< Great! Poi I have “Chiostro Santa Chiara” on my list > continuò seguendo col dito i punti della lista che aveva preparato sul cellulare.
< Anche quello è qui vicino > feci, indicandole il punto sulla mappa di Google < magari potremmo andarci domani pomeriggio dopo averti fatto vedere la cappeLLa… >. Lei alzò lo sguardo e mi sorrise con fare ironico.
< …San Severo, che hai capito?! > continuai io, trattenendo a stento la risata.
Il cameriere poggiò il nostro aperitivo sul tavolo e nel ringraziarlo notai, oltre la sua spalla, la coppia che occupava il tavolino a fianco che lanciava occhiate nella nostra direzione, parlottando. Il mio sguardo incrociò quello del ragazzo e lui mi sorrise. Aspettò che il cameriere andasse via ed esordì con un italiano abbastanza buono:
< Scusaci se ti abbiamo spiato! Io sono Martin, piacere di conoscere te > e mi tese la mano.
< My name is Andrea, and she’s Melisa. Nice to meet you > gli risposi stringendogli la mano.
< Non ti preoccupare, usiamo italiano. Ci piace. Lei è la mia ragazza, Adele – la quale prontamente mi tese la mano sorridendomi – e siamo di Slovakia>.
< Siete in vacanza immagino >.
< Sì > risposero entrambi annuendo. < Siete fidanzati? > chiese Martin.
< No, we don’t. Io vengo dalla Turchia, studio qui e siamo diventati amici > gli rispose Melisa.
< Non volevamo interrompere la vostra serata, ma noi vi abbiamo sentito parlare di posti che volevamo visitare. Tu sei di Naples? >.
< Io si. Ma venite, sedetevi al nostro tavolo, così stiamo più comodi > gli dissi, spostando una sedia libera per farli accomodare.
Si sedettero e ci raccontarono di loro, di come si erano conosciuti su un forum per cinefili poco prima che i social network prendessero il sopravvento e di come avessero stretto subito un buon rapporto. Venivano da due paesini non molto distanti da Bratislava e avevano frequentato lì l’università, convivendo. Lui poi aveva trovato lavoro come storico all’università, mentre lei si stava dedicando al mondo della programmazione informatica. Nel tempo libero avevano scelto di frequentare un corso d’italiano per via delle emozioni che l’Italia suscitava in loro.
Mentre parlavano li osservavo con attenzione. Il modo di porsi era alla mano. Ogni tanto Martin aveva qualche incertezza sull’italiano e volgeva lo sguardo ad Adele alla ricerca di aiuto. Lei sembrava molto intelligente e davvero affascinata dalla cultura italiana. In Martin i tratti est-europei erano più accentuati per via dei capelli corti biondi e gli occhi azzurri dietro agli occhiali tondi. Il volto un po’ paffutello gli conferiva un’aria simpatica ed estroversa, ma non da stupido soprattutto per la spiccata fame di cultura che affiorava ogni qualvolta accennavo a fatti storici che avevano segnato Napoli.
Adele invece era decisamente più timida. Dai tratti mediterranei e dalla corporatura esile, era molto aggraziata nei movimenti. La camicetta un po’ larga non mi permetteva di scorgere le sue forme, ma dal modo con cui sorseggiava il drink mi dava l’idea di essere molto delicata. Il volto chiaro incorniciato dal biondo scuro dei capelli che le arrivavano alle spalle, metteva in risalto la tonalità di blu profonda degli occhi che, alla luce fioca della tealight sul tavolo, all’inizio avevo creduto castani. Nel complesso era davvero carina e quando ascoltava le mie parole, forse complice l’argomento, mi guardava con le pupille dilatate come se pendesse dalle mie labbra. Attirava la mia attenzione, ma non sapevo ben dire per quale motivo esattamente.
< Perché avete scelto Napoli? > chiesi.
< Perché nel futuro forse potremmo vivere qui, trovare un lavoro e una piccola casa > mi rispose Adele.
< It’s chaotic ma la gente è bella. Tutti ti aiutano and non ti annoi > le disse Melisa.
< Ve ne accorgerete visitandola… Quanto tempo contate di restare? > chiesi.
< Ci restano tre giorni. Cosa ci consigli vedere? Noi abbiamo già visto questo > fece Martin porgendomi una cartina su cui erano cerchiati alcuni punti.
< Ci sarebbe San Severo, Capodimonte, Castel Sant’Elmo… > e vedendoli perplessi aggiunsi < Ma non è detto che vadano visti tutti lo stesso giorno. Magari potremmo organizzarci in questi giorni e andiamo tutti assieme, che ne dite? >. Martin annuì e ad Adele si illuminò il volto. Anche Melisa ne era contenta, così ci demmo appuntamento allo stesso bar per il pomeriggio successivo.
Salutati i ragazzi, accompagnai Melisa a casa ed anche io tornai alla mia. Non diedi molto peso alle circostanze, impegnato com’ero a riflettere su come organizzare il “tour guidato”. Anche per questo adoravo la mia città: in un attimo dei perfetti sconosciuti avevano intavolato una conversazione interessante, come amici di lunga data.
L’indomani, fortunatamente, una piacevole brezza fresca mi accompagnava tra i vicoli del centro mentre raggiungevo il bar. Una notifica al cellulare mi avvisava di un messaggio di Melisa: era a letto con i crampi del ciclo e avrebbe preferito posticipare di qualche giorno l’appuntamento. Che scocciatura, pensai.
Avrei dovuto passare tutto il pomeriggio con una coppia di estranei. Per carità, sembravano simpatici, ma cosa avrei avuto mai da dirgli? Ci saremo capiti o avrei dovuto impegnarmi con l’inglese? Avrei fatto semplicemente da accompagnatore… o peggio, da candela? Probabilmente la seconda. Oppure sarei stato relegato addirittura a fotografo? Quasi quasi gli avrei proposto di rimandare, però sarebbe stato poco serio da parte mia. Alla fine avevo preso un impegno e di certo non sono mai stato il tipo da tirarsi indietro all’ultimo. Vabbè, avrebbero deciso loro. Speriamo bene. Ecco il bar, ma loro? Nessuna traccia. Mi avevano dato buca? Tanto di guadagnato. Ah no, eccoli finalmente!
Li salutai con un sorridente < Ciao ragazzi! >.
< Ciao! Come va? Vuoi caffè? > fece Martin. Era quasi euforico.
< Per me va bene. Dormito bene? >.
< Non molto. Il nostro B&B è proprio su Corso Umberto e la finestra non è molto buona. Si sente il traffico tutta la notte > Rispose Adele. Indossava un vestitino di cotone bianco molto leggero che le scendeva morbido sui fianchi, con una larga cintura intrecciata in vita, ed un paio di sandali sottili di cuoio chiaro. Carina, pensai.
Entrammo nel bar e ordinammo tre caffè.
< Qual è il problema? Non si chiude bene? >.
< Non sappiamo dire. Sono molto vecchie. Tu sai aggiustare? > Chiese Martin ridendo.
< Può darsi… Magari ne riparliamo più tardi > risposi ricambiando il sorriso e sorseggiai il mio espresso. < Da dove vogliamo cominciare il nostro tour? >.
< La tua ragazza? Non la aspettiamo? > Chiese Adele volgendo lo sguardo a Martin.
< Non si sente molto in forma stamattina, quindi preferisce riposarsi. Oggi saremo soltanto noi. Comunque non è la mia ragazza, sono single > dissi, cogliendo nuovamente un altro scambio di sguardi. Che avranno da pensare? Avrò detto qualcosa di strano? Bah...
Finimmo il caffè e Martin insistette per offrirmelo. Usciti dal bar, decidemmo di iniziare proprio dalla cappella San Severo e così ci incamminammo. Io procedevo un passo davanti a loro, in modo da dargli comunque modo di godersi la passeggiata da coppia ma senza allontanarmi troppo.
Da quanto potevo vedere, erano particolarmente interessati a tutti quei piccoli aneddoti storici che i libri non riportano e su cui Napoli è letteralmente costruita sopra: le fontanelle, Napoli sotterranea, l’uovo nascosto sotto Castel dell’Ovo… e cappella San Severo era forse la punta di diamante di tali aneddoti, con le sue sculture così finemente ricavate dal marmo al punto da dare adito a voci di stregoneria ed alchimia. I corpi così ben riprodotti da sembrare esseri umani in qualche modo pietrificati. Per non parlare delle macchine anatomiche della cripta. Ma mentre ero immerso in questi discorsi mi resi conto che Adele, mentre Martin volgeva lo sguardo alle opere d’arte, continuava a fissarmi, spostando di tanto in tanto l’attenzione alla patta dei mei pantaloni. Pensai di averla lasciata aperta, così portai istintivamente la mano alla cerniera, trovandola chiusa. Il gesto era stato sicuramente notato da lei poiché si morse il labbro inferiore, osservandolo.
Me l’ero immaginato? Cercai di scacciare il pensiero e proseguii nei miei discorsi. Dalla storia della velatura scolpita da Sanmartino e della rete del Disinganno, troppo realistiche per esser di freddo marmo, ai misteri dei modelli vascolari e delle mummie che, scendendo le scale fino alla cripta, si ci trovava ad apprezzare in tutto il loro esoterico fascino. Dopo aver accuratamente ammirato ogni dettaglio, decidemmo di ripercorrere le scale per uscire dalla cappella. Adele, che mi precedeva, affrettò il passo. Questo movimento le fece ondeggiare il vestitino, permettendomi di scorgere il suo fondoschiena ben tornito che tendeva il tessuto dello slip da teenager. Distolsi lo sguardo per evitare che Martin potesse cogliere l’accaduto. Non male, pensai.
All’esterno la luce del sole del tardo pomeriggio tingeva con toni d’arancio il cielo, investendoci con un caleidoscopio di luce in netto contrasto rispetto alla semioscurità della cappella. Visto l’orario proposi di prendere un aperitivo e così ci dirigemmo verso San Gregorio Armeno. Scegliemmo un piccolo bar lungo Spaccanapoli con dei piccoli tavolini quadrati all’esterno e ci sedemmo. Adele prese posto di fronte a me e alla mia sinistra Martin. Dopo che il cameriere ci ebbe servito lui si concentrò sul cellulare, probabilmente per valutare la prossima tappa, mentre Adele sorseggiava la sua Coca ghiacciata chiacchierando con me.
< Quindi vivi qui? > mi chiese.
< Non proprio qui, a qualche chilometro, ma adoro il clima del centro. A te piace? >.
< Sì! Lo adoro anche io! Ti dico che non ce lo aspettavamo, ma ce ne siamo innamorati. Penso che se torniamo veniamo a vivere qui > fece lei < Ma soprattutto amiamo le persone: sempre con il sorriso e… caldi > aggiunse con un sorriso ammiccante.
C’era qualcosa che mi sfuggiva? Avevo interpretato in maniera errata i tanti segnali, oppure ci avevo visto giusto? Ero abbastanza convinto che lei provasse una certa attrazione, ma lui? Possibile che non si accorgesse di nulla? Decisi di stare al gioco.
< Sicuramente i partenopei hanno un cuore grande… e spesso non solo quello > dissi sorridendo.
Lei parve cogliere il mio affondo e sorseggiò di nuovo la sua Coca senza staccare i suoi occhi dai miei.
Martin interruppe la nostra connessione poggiando il cellulare sul tavolo: la cosa sbilanciò il tavolino traballante sul basolato e fece rovesciare il mio drink sui miei pantaloni di lino chiaro.
Martin stesso eruppe in un’esclamazione probabilmente slovacca e, porgendomi un fazzoletto, disse: < Sorry! No, scusa! Io non mi ero accorto! >.
< Non preoccuparti! > gli risposi di getto, mentre morivo dentro asciugandomi alla bene e meglio.
< Devi lavare presto, il lino è delicato > aggiunse Adele.
< Si, ma ora non posso. Magari chiedo ai ragazzi del bar se hanno qualcosa di utile e un asciugacapelli > dissi mentre mi alzavo facendo attenzione a non peggiorare le cose.
< Se vuoi lo abbiamo noi, tanto siamo vicini alla nostra casa > fece Martin.
A quelle parole mi bloccai un attimo a fissarli. Lei sembrava contenta dell’idea, mentre lui non ero in grado di decifrarlo adeguatamente. Sembrava seriamente dispiaciuto, ma al contempo aveva l’espressione di quel bambino che sperava di trovare il regalo tanto desiderato sotto l’albero a Natale. Perché dire no alla vita?
Conclusi il mio flusso di pensieri con < Va bene, se non è un problema per voi >. Giurarono che non lo fosse, così ci alzammo e, dopo aver pagato il conto, ci dirigemmo verso Corso Umberto. Il sole aveva quasi del tutto lasciato spazio alla luna, le insegne dei negozi cominciavano ad accendersi e la mia testa vagava quasi senza inibizioni. Durante il tragitto cercai di dare un freno alle mie pulsioni, ma l’idea che come un tarlo si stava facendo spazio nella mia mente non voleva in nessun modo assopirsi: cosa stava succedendo? Ormai ero sicuro che Adele avesse in mente qualcosa, ma Martin? Esattamente cosa avrebbe voluto da me?
Arrivati al B&B, Adele salì in camera e Martin mi disse di aspettare giù all’ingresso mentre verificava che non ci fosse nessuno. La motivazione era che il titolare non avrebbe permesso l’accesso ad estranei, così aspettai ripetendomi come un mantra di non essere impulsivo anche se, a giudicare dal loro comportamento, le mie ipotesi assumevano sempre più concretezza.
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