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Il Diavolo Dentro


di Membro VIP di Annunci69.it Nepenthes
26.01.2024    |    3.535    |    13 9.3
"Bello come Adone e audace come Casanova..."
Fu tutto così facile. Il convegno della Nutrirama, Marco a casa con gli amici, io a respirare aria pulita, libera dopo troppi bellissimi anni di solerti legami famigliari, finalmente fuori dalla mia luccicante gabbia dorata.
Osservavo i piccioni maltrattarsi per una briciola di croissant, seduta ai tavolini del Florian, volevo trattarmi bene, sentivo di meritarmelo. Il cameriere nella sua impeccabile livrea mi degnò della sua attenzione schivando elegantemente tavolini con tovaglie porpora, materializzandosi davanti a me tra le soavi note del Prete rosso magistralmente disegnate sull’aria marina da un ineccepibile quartetto d’archi in panciotto e papillon di seta.

“Benvenuta a Venezia”, mi accolse con inconfondibile cantilena locale il giovane servitore dalla mascella squadrata orlata dalla barba incipiente e la basetta lunga. “Come posso servirla?”.
Avevo voglia di uno spritz, ma alla fine mi lasciai dirottare verso la specialità della casa e presi dei brutti ma buoni che accompagnai con una cioccolata calda. Poi dirottai lo sguardo dalle natiche del cameriere al campanile di San Marco, constatando che l’omonima piazza veneziana aveva tutto un altro aspetto se guardata dalla privilegiata prospettiva del Florian.

Fu così facile osservare il giovane ragazzo seduto un paio di tavolini dopo di me assorto nei suoi appunti mescolare senza guardare cosa. Fu facile accorgermi del signore con sciarpa e cappotto di lana marrone che mi osservava con aria di paternalistica ammirazione, una tazza fumante in una mano e il bastone con pomolo argentato a testa di leone nell’altra. Fu facile percepire le mie mutandine umide di femminile desiderio dopo anni di latitante spontanea eccitazione, fantasticando sotto il vassoio di quel cameriere e il suo cortese sorriso.

Fu tutto così facile, troppo facile, quando il servente e le sue natiche sode, pose il conto a quel ragazzo assorto riportandolo al mondo e lui nella sua distratta essenza si accorse di non avere con sé il portafoglio. Così, poco prima che lo stupore si trasformasse in tragedia, intervenni io dicendo al conturbante cameriere di lasciare a me l'imbarazzante incombenza. Il signore dal cappotto faceva di sì con la testa senza cambiare il suo sorriso. Il ragazzo arrossì d’imbarazzo, si alzò con i suoi occhi verdi e si diresse verso di me.

- “Non ho parole, sono mortificato. Cosa posso fare per sdebitarmi con lei?”

Chiese timidamente.

- “Smettere di leggere quella roba e gustarsi di più l’ambiente circostante, magari.”

Risposi a braccio.

- “Sì, certo, ha ragione. – concordò il ragazzo – Il problema è che ho un esame domani e non mi sento granché preparato.”
- “Ah… sì rassegni, tanto non ci si sente mai preparati per un esame.”

La sua richiesta di sedersi fu così scontata che non seppi negargliela. Un veneziano autentico, raro come un’anemone nel deserto. Studente all’università di Padova. Bello come Adone e audace come Casanova. Spontanea fu la sua richiesta di farmi da cicerone a Venezia come spontaneo fu accettare quel suo invito, insistette che doveva in qualche modo sdebitarsi con me, fui felice di assecondarlo. Il cameriere arrivò con il conto e un sorriso solo per me. Pagai e ci alzammo, il signore dietro me era scomparso.

- “Ma non dovevi studiare?” Obbiettai al ragazzo.

Mi disse di una mostra di Tiepolo su cui doveva relazionare per l’università, nel caso mi fosse piaciuto vederla con lui, dicendomi che, in tal caso, avrebbe unito l’utile con il dilettevole, facendomi chiaramente intuire che non ero la parte utile. Bello e ruffiano. Giovane e spavaldo. Serenissima, come quella città, mi lasciai guidare e per la stessa ragione per cui non avrei dovuto farlo ovviamente lo feci.

La lunga coda alla biglietteria, secondo il galateo locale, il giovane accademico decise di farsela da solo e mi lasciò lì, seduta sul basamento di marmo del campanile ad aspettare. Un pomolo d’argento si presentò davanti al mio sguardo assorto e parole rauche mi pervasero dall’alto:

- “Per quale motivo il posto di Byron? Se posso chiederglielo…”

Ovviamente non capii la domanda, quell’uomo mi colse totalmente impreparata.

- “Non era forse lei sotto i portici delle Procuratie Nuove? Non mi dica di no, difficilmente mi sbaglio quando si tratta di opere d’arte… come lei, signorina.”
- “Procuratie? Non capisco… penso proprio di no… temo si stia sbagliando.”
- “Il Caffè… Florian. Ha preso una cioccolata e i brutti ma buoni.”
- “A cosa devo la sua attenzione?”
- “Lei era seduta al tavolo preferito da George Gordon Noel Byron, VI Barone di Byron, meglio noto come Lord Byron.”
- “Davvero? Uhau! Che onore!”
- “Credevo ci fosse un motivo preciso per la sua scelta. Probabilmente mi sbagliavo.”
- “Ho paura di sì, mi spiace deluderla. Certo che se avessi conosciuto quel dandy britannico - figlio di John Byron, nato nel 1756, soprannominato Mad Jack per la sua licenziosità, il quale dopo aver piantato di sana pianta la, piuttosto frigida, moglie Amelia Conyers, si sposò in seconde nozze la ventunenne Catherine Gordon of Gight con la quale avrebbe poi generato il suo amato poeta - forse avrei destato la sua ammirazione. Ma non lo conosco, mi dispiace.”

L’uomo, sulla sessantina, alzò lo sguardo sulla laguna e respirò profondamente la stessa aria che gli scompigliava i capelli brizzolati, tirando fuori il collo dalla sciarpa marrone come fa una tartaruga fuori dallo stagno. Tornò con lo sguardo su di me e disse.

- “Complimenti per la sua nuova compagnia. Penso sia un bellissimo ragazzo.”
- “Lei dice? Sì, lo penso anch’io, a volte è un peccato essere così ineluttabilmente… sposata. Nulla di serio, ovviamente.”
- “Sì, penso di capire vagamente quello che intende, ne ho lontane reminiscenze. Io abito alla Giudecca, se volete, dopo la mostra, siete miei ospiti entrambi, per un drink, ho anch’io qualche pezzo pregiato in casa. Se è l’arte che le interessa.”
- “Della Giudecca, quindi è Ebreo?”
- “Lo è la mia stirpe, anche se Giudecca come derivazione etimologica dall’antico ghetto ebraico sembra essere un falso storico.”
- “Sì. Comunque l’arte m’interessa.”

Gli guardai le Holls da duemila euro e pensai che fosse stato sicuramente circonciso.

Quando il mio giovane Cicerone tornò con i biglietti in mano m’indicò la seconda fila alla quale non avremmo potuto sottrarci, quella dell’entrata. Il signore brizzolato si offrì di farci compagnia mentre il giovane studente mi chiese confidenzialmente chi fosse quel manichino e se volessi che mi sbarazzasse di quella petulante presenza.

C’impiegai un paio di secondi a decidere che non ci sarebbe stato nulla di male se anche quell’elegante e gentile signore si fosse aggregato a noi. Sapevo cosa stavo provocando e provai un sadico piacere nel pregustarmi quel sottile clima di competizione che scaturì tra quei due maschi dopo quella mia decisione, erano così diversi eppure, a loro modo, così affascinanti seppur per aspetti completamente opposti. Mi sentivo al centro dell’attenzione, una sensazione che non provavo da tantissimo tempo e mi lusingava e mi eccitava parecchio.

Dopo pochi minuti di stazionamenti alternati a brevi avanzamenti, ci trovammo alla strettoia di un primo portone in cui le persone in fila si addensarono fino a cancellare ogni spazio tra esse. Ci fermammo a strettissimo contatto gli uni agli altri. Il giovane studente, da dietro approfittò della situazione per appoggiarmi le mani sui fianchi, sentivo il suo bacino premere sui miei glutei e qualcosa che conoscevo bene ingrossarsi dietro la patta dei suoi pantaloni.

Un sommovimento della folla stipata mi spinse mezzo passo in avanti, dove stazionava, impossibilitato a muoversi, l’elegante signore e il bastone che mi trovai, inevitabilmente per entrambi, a contatto con il cavallo dei miei pantaloni di lana cotta, spessi, ma non abbastanza per non avvertire il calore del dorso della sua mano che stringeva il pomolo d’argento.

L’imbarazzo colse tutti e tre all’istante, al giovane perché non riusciva a nascondere la sua eccitazione, sempre più sensibile dietro di me, a me perché non potevo fare finta di non accorgermene di entrambi le situazioni, al brizzolato elegante che, con la mano premuta sul mio pube, volse la testa di lato e guardandomi in tralice non sapeva se chiedermi scusa per la situazione, optando per un elegante silenzio che evitò di peggiorare le cose.

Ad aggravare la situazione furono la mia maledetta fantasia e quei piccoli sommovimenti della folla che avanza, passo dopo passo, procurandomi quegli sfregamenti che, in quelle parti del corpo, non possono lasciare indifferenti, almeno non una donna che non faceva sesso da mesi, non certo una passionale come me. Ad un certo punto mi preoccupai se, una certa sensazione dell’umido che avvertivo intridere il tessuto delle mie mutandine, potesse avvertirsi anche sul dorso di quella mano che mi sfregava davanti.

- “Tutto bene?” Chiese l’uomo che mi precedeva, con una certa malizia.
- “Tutto ok. Lei?”
- “Tutto bene. Siamo quasi arrivati. Resista.”

Quel “resista” mi sembrò quasi un’allusione sessuale.

Il ragazzo dietro, ormai, in preda ad un’erezione fuori controllo, osava accennare leggeri movimenti, anche quando la folla era completamente immobile. Sentivo dal suo respiro che, da lì a poco, qualcosa di irrimediabile avrebbe potuto compromettere la disidratazione della sua biancheria intima. Un po’ per paura degli effetti di quella sua zuppa esternazione, ma molto di più per la mia spudoratezza, misi una mano dietro di me, tra i miei pantaloni e i suoi. E feci un errore di cui mi resi conto, quanto avvertii le sue mani stringersi forte ai miei fianchi e la sua voce sussurrare un flebilissimo “No”.
Sentii pulsare sul palmo della mia mano tutta la mia ascendenza su di lui.

A quel punto, in preda di me stessa e i miei più bassi istinti, fui io a muovermi sul dorso della mano del facoltoso signore della Giudecca che, a quel punto, neanche troppo sorpreso, passò di mano il bastone girando la mano che tanto mi confortava verso la mia intimità. Le sue tozze dita sembravano conoscere quell’ambiente come Lucifero l’Inferno e - mentre il giovane universitario, da dietro, mi ringraziava di nulla con piccoli morsi sul collo – all’inferno mi trascinò.
Una volta all’interno del museo, il ragazzo chiese di andare in bagno, probabilmente a liberarsi della biancheria intima, così ne approfittai per fare altrettanto.
Il Signore della Giudecca aspettava entrambi nella hall telefonando al suo inserviente di preparare un aperitivo per tre persone che, fino a pochi minuti prima, non avrei mai neanche osato pensare di accettare.




















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