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Il nero vince in due mosse (cap. 4)


di eborgo
08.06.2023    |    507    |    0 9.2
"Mi viene davanti e controlla che tutte le corde siano ben tese..."
Capitolo Quarto. La regina di corde

Sono sul letto, la mente affollata di pensieri, di sensazioni nuove che in parte mi eccitano in parte mi spaventano. Odori e sapori ancora mi ricordano di quello che c’è stato tra me e Romilda una mezz’ora fa. Segnata da sottili righe rossastre, anche la mia coscia destra se ne ricorda, è una sensazione scottante. Mi sento nuovamente avvolto dalla seta della vestaglia, sento la sua mano che mi serra la bocca e quelle scosse elettriche improvvise. Rivivo quella sensazione di impotenza che ho provato, la consapevolezza di essermi dovuto piegare alle sue voglie, di aver fatto quello che voleva lui... Tutto nuovo per me. Altro che bacetti e palpate di seno sotto un albero al tramonto. L’animaletto ha un guizzo sotto al raso giallo oro dei pantaloni del pigiama.
Romilda gira per la stanza con l’aria inquieta. Indossa solamente la vestaglia di seta nera sul corpo nudo e ai piedi ha nuovamente le infradito di plastica trasparente. Il suo lungo uccello dondola e si muove ad ognuno dei suoi passi. Ne distolgo gli occhi e mi fisso sui riflessi lucidi della seta sul suo corpo. Si è di nuovo tirato i capelli sulla testa fino a farli sembrare dipinti e li ha fermati in una coda di cavallo ribelle.
Quel che si dice un superbo animale.
La porta dell’ingresso si apre e si chiude con un rumore sordo. Ticchettio di passi e Nives Anyanwu si ferma sulla porta della camera da letto. Ha l’aria soddisfatta di un gatto che s’è appena pappato un topo. Romilda si alza, la vestaglia di seta aperta sul suo corpo longilineo. Nives lo scorre con lo sguardo per qualche attimo come incantata poi entra nella stanza. Nella loro lingua, povera di vocali, quello che dice a Romilda ha comunque un tono eccitato. Anche lui si rianima. Parlano per qualche minuto poi passano in soggiorno continuando a chiacchierare. Li vedo che armeggiano al computer con aria esperta e concentrata. Ogni tanto Romilda scoppia in una risatina allegra.
Alla fine Nives lo lascia alla tastiera e rientra in camera da letto slacciandosi la blusa di seta azzurra che indossa. Si sfila sandali e gonna e, in mutandine e reggiseno di seta color pesca, viene accanto a me vicino al letto. Mi slega le caviglie, mi leva il pigiamino di raso e mi prende per un braccio tirandomi in piedi.
«Vieni» mi dice trascinandomi letteralmente verso il bagno. «Penso che tu ha bisogno di doccia e ho voglia di fare questo insieme a te.»
Entriamo in bagno. Apre l’acqua e si sfila mutandine e reggiseno.
«Slegami le mani.» le dico facendo per voltarmi. Ignora la mia richiesta, mi prende per le braccia e mi spinge sotto al getto entrando nella doccia dietro di me. Lo scroscio d’acqua calda non ci ha ancora bagnati completamente che la sua bocca è già incollata alla mia e la sua lingua mi penetra tra le labbra come una vipera incazzata. Ci baciamo a lungo, succhiandoci e mordendoci reciprocamente la bocca, le lingue che si incrociano e si cercano, gemendo e mugolando di desiderio. Le sue mani mi carezzano freneticamente i fianchi e la schiena mentre la sua pelle sfrega lentamente contro la mia. Struscia selvaggiamente il suo pube contro il mio coso che, manco a dirlo sembra già un missile Polaris al decollo. Non so che cosa le sia successo in mattinata ma se riesco a saperlo lo farò fare a tutte le mie amanti future.
É eccitata come non mai, la Nives, mi divora, la sua lingua mi arriva fino alla gola e le sue grandi, meravigliose labbra scure succhiano le mie fin quasi a staccarle dalla faccia.
Poi, di colpo, si scioglie dall’abbraccio e mi preme le mani sulle spalle.
«Abbassati....»
Non me lo ha detto, lo ha ansimato, un suono roco appena compressibile. Lentamente, facendo scorrere le labbra sul suo collo bagnato, sui seni ancora duri e dritti, sul ventre non più piatto ma erotico, L’acqua della doccia scroscia su di noi quando mi accoscio fino a trovarmi il suo pube riccio e nero davanti al viso. Ne bacio la pelle scura intorno, picchiettandola con la punta della lingua. Lei geme e sospira. Con un movimento convulso apre le gambe e offre il suo sesso alla mia bocca. Lo bacio e lo scorro con la lingua, lentamente, profondamente, mordicchiandone le grandi labbra, cosa che le scatena gorgoglii di piacere alla Nives. Sento la sua mano sui capelli, che in parte mi carezza in parte mi spinge verso la sua fica eccitata. Su di noi scorrono fiumi di acqua tiepida, è uno sballo. Apro la bocca e la schiaccio sul sesso di lei come su una conchiglia, lo succhio come fosse un’ostrica e poi lo mordicchio, ne sento la clitoride sotto la lingua, la accarezzo con la punta e la mordicchio leggermente mandandola in visibilio.
Spingo a fondo la lingua all’interno, aiutato dalla sua mano che preme sulla mia nuca. Le divoro il sesso, lo esploro, lo scorro e lo sondo per lunghi minuti, ci passeggio con la lingua, la percorro, la perquisisco, la trivello e la ispeziono, la bocca piena del suo sapore acre, le narici immerse in una miriade di profumi eccitanti. Lentamente, sempre succhiando e dando piccoli colpi con la lingua mi insinuo sotto di lei. Con le mani legate dietro alla schiena è durissima ma riesco ad arrivare con la punta della lingua oltre il suo sesso e le solletico il lembo di pelle prima dello sfintere. Lei da di matto, ansima e geme di piacere muovendo lentamente il suo pube contro la mia faccia. Infine, tirandomi per i capelli mi rimette in piedi e si infila sul mio uccello con un movimento di raro erotismo.
Ci diamo dentro come pazzi, lei mi aiuta spingendo con le mani sulle mie chiappe, ho il fiato corto, i suoi occhi nei miei. Lei mi sorride poi abbassa le palpebre e con un lungo mugolio si prende il mio orgasmo assieme al suo. Vengo dentro di lei sussultando di piacere, godendomi come un matto le nostre ultime contrazioni. Fa un lungo sospiro soddisfatto e facendo scorrere le mani sui miei fianchi le porta fin sulla mia faccia. Ha mani bellissime, dalle dita lunghe e curate, scure sopra e chiare sotto. Me le passa sul viso, ne scosta le ciocche di capelli bagnati e mi bacia sulla bocca, coprendola con la sua e carezzandomi le labbra con la punta della lingua. Poi si stacca da me e si appoggia sulla parete opposta della doccia.
Ansimiamo nel calore umido della cabina, ascoltando lo scroscio dell’acqua sulla nostra pelle. Ci guardiamo tra le volute di vapore nella penombra, guardiamo i nostri corpi, l’acqua che scorre su di essi. Lei allunga le braccia e me lo prende delicatamente in mano, lo pulisce con la punta delle dita, piano, quasi un gesto d’ancella. Poi prende una spugna, la imbeve di bagno schiuma e ci lava entrambi. Io sono ad un livello di sbalordimento erotico indescrivibile. Mentre la spugna insaponata scorre sul mio corpo mi chiedo se riuscirò mai ad avere un’altra esperienza come questa. Del resto, qualcosa ho imparato.
Infine, come tutte le cose belle, anche quel paradiso finisce.
Usciamo dalla doccia e siccome ho le mani legate Nives mi deve asciugare. Lo fa continuando a stuzzicarmi e baciando la mia pelle umida. Romilda compare sulla porta del bagno e ci guarda con aria divertita.
Si parlano nel loro dialetto e Romilda tira fuori la pistola dalla tasca della vestaglia di seta.
Nives mi slega finalmente le mani e mi passa la salvietta di spugna con la quale finisco di asciugarmi le gambe e i piedi. Mi viene anche concesso di lavarmi i denti, e con un rasoio da depilazione mi faccio la barba, cosa che mi da grandissimo piacere.
Usciamo dal bagno e Romilda mi dice di sedermi sul letto. Lo faccio volentieri perché la quantità di sesso e questa tensione continua, alle quali non sono abituato, mi hanno veramente provato.
Nives ci raggiunge. É nuda e bella e qualche gocciolina ancora brilla sulla sua pelle scura nella luce calda della stanza. Se non ci fosse quel cazzo di pistola nella mano di Romilda sembreremmo tre amici che si riprendono da un’intensa mattinata di sesso.
«Dobbiamo lasciarti solo per intero pomeriggio» mi dice Nives passandosi un piccolo asciugamano sui capelli umidi. «Per questo Romilda ti lega a una seggiola così tu non puoi muoverti.» Si siede sul letto accanto a me. «Se cerchi di liberarti, puoi farti molto male» aggiunge con tono più istruttivo che minaccioso «sai già che se vuoi fare questo ti conviene di riuscire perché se ti colgo, dopo dovrò fare male.»
Questo sembra più minaccioso, anche se già conosco la solfa. Distolgo lo sguardo dal suo. Lei si da ancora qualche colpo di salvietta sui capelli poi si alza.
«Nessuno che lego riesce a liberarsi» sogghigna Romilda incrociando il mio sguardo e strizzandomi l’occhio. «Come ti metto, così ti ritrovo.»
É molto rassicurante il tutto. Nives apre un cassetto e ne tira fuori un paio di rotoli di corda bianca. Mi chiedo se passino le giornate a legare la gente, questi due, con tutto questo spago che hanno per casa.
Passa le corde al suo amico e lascia la camera da letto. «Si tratta di stare legato da bravo qualche ora» Mi dice Romilda. «Nel frattempo puoi pensare a me.» Con gesto eloquente si passa lentamente la canna della pistola lungo il pene. Mi sorride e io reggo il suo sguardo con aria di sfida. Be’... circa.
Dal salotto arriva la voce di Nives nella loro ermetica lingua. «Andiamo di là.» Mi dice Romilda facendomi segno di precederlo.
Passiamo in salotto. Nives ci aspetta vicino a una di quelle care vecchie sedie da cucina di legno pesante, verniciata di bianco. Romilda le passa la pistola e tenendomi per un braccio mi fa sedere sulla sedia. La sento sciogliere la matassa dietro di me, poi mi passa due o tre giri di corda attraverso la vita che, una volta tirate, mi costringono ad aderire allo schienale. Tenendo il capo della corda in una mano, con quella libera mi prende l’avambraccio destro e lo torce dietro la sedia, un pelo verso l’alto, più o meno a metà del dorso. Lo appoggia allo schienale e mi passa due o tre stretti giri di corda attorno al polso. Poi mi afferra l’altro braccio e fa la stessa cosa. Con diversi altri giri di corda lega saldamente i polsi fra loro. Sa il fatto suo, Romilda, ci tiene proprio a ritrovarmi lì quando ritorna. Non riesco nemmeno a staccare le mani dallo schienale della sedia. Qualche nodo supplementare e con i polsi ha finito. Nives si alza dal divano, posa la pistola sul tavolo e torna in camera da letto.
Romilda, con perizia e pazienza mi lega le braccia alla seggiola stringendole alle stanghe dello schienale con diversi giri di corda ben tirati e strozzati all’altezza delle mie ascelle. Ora anche la parte alta della schiena è come saldata alla spalliera. Mi viene davanti e controlla che tutte le corde siano ben tese. Come sempre quando mi lega, prova una certa eccitazione che il suo uccello semi eretto non può mascherare. Vede che lo stò osservando e tenendomi per i capelli mi solleva la faccia verso la sua. Mi copre la bocca con le sue labbra e la sua lingua si fa strada spingendo attraverso le mie. Lo lascio fare succhiandogliela piano, cosa che gli dà un gusto matto. Di nuovo il cuore mi batte e sentimenti contrastanti percorrono le mie membra impastoiate. La seta della vestaglia viene a tratti in contatto con la mia pelle dandomi lunghi brividi di piacere.
Si stacca da me «Ho voglia di te» mi sussurra, «sono gelosa.» La sua bocca è vicino alla mia e gli occhi fissi nei miei. Deglutisco, le labbra umide della sua saliva.
Mi lascia per prendere altra corda da terra. Si accoscia davanti a me, mette i miei piedi a contatto l’uno con l’altro e li lega assieme con diversi giri di corda strozzati al centro. Due tenaglie attorno alle mie caviglie.
Fa scorrere un lungo pezzo di corda piegato in due attorno alla legatura e lo fissa con un doppino. Poi lo fa passare sotto alla seggiola. Torna alle mie spalle, lo afferra e lo tira forzando i miei piedi a sollevarsi sotto il sedile della sedia dove rimangono appesi a una ventina di centimetri da terra. Un gemito di sconforto mi sfugge dalle labbra mentre lui lega solidamente il capo della corda alla traversa più bassa dello schienale. «Mi spiace» mormora stringendo bene il nodo. Mi scompiglia i capelli con una mano. «Purtroppo non è un gioco.»
Si china di fianco a me e controlla che sia tutto comme il faut. Saggia le corde, controlla i nodi, un vero professionista, non c’è che dire. Sembra soddisfatto perché si alza e raggiunge Nives in camera da letto. Li sento parlottore tra un rumore di oggetti che vengono spostati e fruscii di vestiti indossati. Mi guardo intorno sconsolato. La sensazione è quella di essere incollato a una sedia con il super attak. Muovo a malapena i polsi e le caviglie son saldamente ancorate sotto il mio sedere.
Tornano in salotto una mezz’ora più tardi, preceduti da una nube di profumo. Rimango a bocca aperta. Romilda indossa un paio di calzoni di sintetico lucido color argento opaco, sorta di jeans plasticosi, senza tasca, a vita bassa, chiusi davanti da una stringa dello stesso tessuto, che passa in una serie di asole come nelle calzature.
Le fasciano fianchi e cosce come un guanto da sera e si allargano alla caviglia appoggiandosi mollemente sui piedi nudi calzati dalle infradito di plastica nera. Sopra porta un toppino minuscolo, dello stesso tessuto, tenuto su da un laccetto legato dietro al collo e allacciato dietro la schiena in qualche maniera che non riesco a vedere. Termina con una punta verso il basso che arriva appena sotto l’ombellico e lascia scoperte le spalle, le braccia e buona parte del ventre. E, immagino, quasi tutta la schiena. Ad ogni suo passo mille pieghe si muovono con altrettanti riflessi cangianti, esaltando il colore bruno della sua pelle. Mi viene vicino ancheggiando e mi chiude letteralmente la bocca spingendo sul mento con due dita. «Cos’è, adesso ti piaccio?» mi domanda strascicando la voce con un sorriso.
Nives ha indosso il vestito nero di nylon lucido che portava quando l’ho conosciuta. È truccata per bene e calza un paio di eleganti sandali di vernice nera a fascetta con il tacco alto. Posa una capiente borsa da viaggio sul divano e viene verso di me tenendo in mano un foulard di seta nera e una pallina di gomma rossa di circa 5-6 centimetri di diametro.
«Non fare stupidaggini» dice stendendo il foulard sul tavolo accanto a noi. «Siamo quasi verso la fine di questa storia e se stai tranquillo nessuno si fa male.»
Mette la pallina al centro del foulard, lo piega in due a triangolo e lo arrotola fino a formare una sorta di fascia al centro della quale è trattenuta la sferetta di gomma.
Solleva questa fascia di seta tenendola con le dita da entrambi i lati del rigonfiamento della pallina e viene alle mie spalle. Mi mette il bavaglio davanti alle labbra «apri bene la bocca» mi dice.
Mi volto appena verso di lei «potreste almeno mettermi davanti alla televisione» le dico, poi apro la bocca. Lei inserisce il rigonfiamento della pallina tra le mie labbra e la spinge bene in fondo. «Apri di più» ingiunge. Spalanco al limite dello slogamento. La preme ancora prima di legare strettamente le estremità del foulard dietro alla mia nuca. Controlla che non possa togliermi il bavaglio in nessuna maniera e che sia legato adeguatamente. Sembra soddisfatta, prende la sedia per lo schienale e mi gira verso la tv «C’è un canale che preferisci?» mi domanda.
Siccome mi manca la favella chiudo tre volte le palpebre. Lei ride e accende la televisione. Regola il volume molto basso e la sintonizza su Rai Tre.
Oltre a dover stare scomodamente legato tutto il pomeriggio non vorrei dovermi beccare Porro senza nemmeno poter cambiare canale.
Romilda rientra in salotto dall’ingresso. Ha indossato un lungo e morbido impermeabile nero, di tessuto inconsistente, lucido e setoso, non molto più maschile di Catherine Zeta-Jones, ma che copre quell’incredibile completino d’argento che indossa. Del resto, in America i neri si vestono in maniera anche più stravagante.
Nives prende la borsa da viaggio dal divano e va verso l’ingresso.
Romilda mi si avvicina. Si china su di me «in realtà l’ho messo per te» mi sussurra in un orecchio, mordicchiandomi il lobo con le labbra. «A più tardi, tesoro.»
Raggiunge la sua amica e dopo un breve parlottio, escono e si chiudono la porta alle spalle.
Sono solo. Alla tv danno un documentario sul Kilimangiaro, tanto per gradire.
Sospiro per quanto il bavaglio me lo permetta.
Potrei anche provare a liberarmi, ma me la vedo dura; le corde sono solide e tese e se la sedia dovesse girarmisi di sotto mi romperei un braccio o il femore o magari la testa. Penso ormai di essere travolto dagli eventi. Non sono più io che decido cosa fare. Altri decidono per me.
Provo a divincolare i polsi e le caviglie ma le corde non cedono di un millimetro. Riesco a guardarmi da fuori, come fossi un’altra persona. Sono legato a una sedia, legato sul serio, con perizia, per non farmi scappare. Prigioniero di una donna nera e del suo amico travestito. Due persone che stanno sicuramente commettendo un crimine. Non posso liberarmi, non posso urlare. Improvvisamente mi prende l'angoscia. Per quello che ne so, potrebbero anche decidere di farmi sparire.
Chiudo gli occhi e ascolto i rumori ovattati della città provenire dall’esterno.
La gente si muove, va e viene, libera come l’aria. Nessuno pensa a me.
«Sono quiiiii....» urlo nella mia testa. Ma nessuno mi sente.


C’è stata la Melevisione, un vero sballo, poi un telefilm con due cretini come protagonisti, Geo Magazine, un TG e un TG Regione, nel quale nessuno ha parlato della mia scomparsa, poi un Meteo che annunciava due giorni di pioggia, Tg3, Rai Sport, Blob, Un posto al sole, e lì ho tenuto gli occhi chiusi. Adesso mi stò beccando Il Circo di Budapest, volente o nolente. Spero che mi sia risparmiato Fuori orario. In questa situazione, Ghezzi sarebbe il colpo di grazia.
Sono sfinito. Le corde non mi hanno permesso di cambiare minimamente posizione. Ho le formiche alle mani, sento a malapena i piedi e sono tutto anchilosato. E pensare che c’è qualcuno che pagherebbe fior di dobloni per trovarsi al mio posto. Dovrebbe provare quello che stò passando. La mia bocca è secca e asciutta perché tutta la saliva se l’è assorbita il foulard che mi imbavaglia. Non ho la più pallida idea di che ore siano ma direi attorno alle undici e mezzo di sera. Che dalle tre del pomeriggio fanno la bellezza di otto ore e mezza nelle quali sono rimasto legato a questo cazzo di sedia. Ho voglia di fare pipì, ma per ora riesco a tenerla.
Sullo schermo due cinesi fanno roteare centoventidue piatti di porcellana in cima a altrettante bacchette di bambù. Mi si chiudono gli occhi.
Sento scattare la serratura dell’ingresso e Nives e Romilda fanno il loro ingresso in salotto discorrendo animatamente nella loro lingua. Hanno l’aria terribilmente eccitata e soddisfatta. Mentre Romilda si leva l’impermeabile, Nives getta il borsone da viaggio sul divano e viene verso di me.
«Mi spiace, tesoro» mi dice con tono di scusa, slegando il nodo del foulard e togliendomi finalmente il bavaglio di bocca «è stata più lunga di previsto. Adesso penso un po a te.»
Entra in cucina e ritorna da me con un bel bicchiere di acqua fresca. Lo bevo lentamente, avidamente, ad occhi chiusi, fino all’ultima goccia. Tutto il mio corpo ne viene gratificato, lo sento rinascere.
«Slegami, ti prego...» riesco a mormorare. Lei mi da un leggero bacio sulle labbra poi dice due parole senza vocali al suo amico e si allontana verso la camera da letto.
Romilda Fruga nella tasca dell’impermeabile e ne tira fuori la pistola. Poi viene alle mie spalle e comincia a slegarmi. In dieci minuti sono libero. Mi aiuta ad alzarmi dalla sedia. Anchilosato come sono è costretto ad accompagnarmi al divano per farmi sedere. Lui si accomoda sul bracciolo opposto e mi guarda tenendo in mano la pistola come se fosse un accendino, mentre io mi massaggio vigorosamente polsi e caviglie per riattivare un minimo di circolazione.
«Immagino sia stata dura» mi dice con un sorriso che parrebbe comprensivo. «Ma per questa sera non è ancora finita, mi spiace.»
La guardo senza espressione. Ha ancora indosso quell’incredibile completo pantaloni e top di tessuto plasticoso d’argento, pieno di lucide piegoline e le infradito di plastica nera trasparente ai piedi. Ha l’aria allegra e eccitata. Se fosse una donna sarebbe quel che comunemente si definisce un grandissimo pezzo di figa. In effetti lo è più di quanto non sia un bel maschietto. Solo una morale marcia e una montagna di pregiudizi potrebbero impedirmi di ammettere che mi attrae.
«Dobbiamo spostarti» mi dice anticipando la domanda implicita nel mio sguardo interrogativo «dobbiamo portarti in altra casa, questa la lasciamo. Devi avere ancora un po di pazienza.»
«Dove mi portate?»
«In altra casa, dove vivo io.» Ci guardiamo negli occhi e qualcosa come una corrente elettrica attraversa lo stramaledetto divano. Sul davanti dei suoi aderenti pantaloni compare uno sfacciato rilievo allungato, una forma che prima non c’era e che adesso è nettamente disegnata dal lucido tessuto.
Lui nota la direzione del mio sguardo. «É l’effetto che mi fai» mormora.
Sogghigno appena, senza volerlo.
Chiedo di andare in bagno e vengo accontentato. La più bella pisciata della mia vita, me la godo fino all’ultima goccia.
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