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Servitù a domicilio - seconda parte


di eborgo
18.01.2023    |    1.372    |    0 9.5
"Appoggio le labbra sul suo missile foderato di seta e le faccio scorrere semiaperte lungo l’asta resa lucidissima dal tessuto..."
Mi appoggio alla porta perché sono esausto per la tensione di questi ultimi giorni, sono agitato e nervoso. Dovrei essere da un’altra parte, dovrei essere a casa mia, dovrei essere con una ragazza della mia età, dovrei essere a lavorare, dovrei godermi la vita. E invece sono qui, con Marisa che viene verso di me avvolto in una morbida vestaglia da donna di seta bordeaux con le maniche a paggio. Chiudo gli occhi e lo aspetto. Sento solo il rumore attutito delle sue infradito che schioccano contro il tallone ad ogni suo passo. La sua mano si posa sulla mia guancia. É una carezza? Le somiglia. Riapro gli occhi e lui è lì, davanti a me, grande, imponente, setoso.
«Mi fa piacere rivederti» dice carezzandomi la guancia e il collo. «Ho voglia di te.»
Si china e mi da un lieve bacio sulla bocca. Allora mi spingo avanti e prendo il suo labbro inferiore tra le mie labbra e lo pungo con la lingua. La sua mano che era sul mio collo mi afferra lievemente per i capelli e mi tira indietro. Il suo labbro esce dalla mia bocca con un piccolo schiocco.
Poi mi dice: «Stai fermo, non mi irritare.»
Prende il bordo inferiore della mia Lacoste blu e me la sfila. Siccome ho addosso solo quella rimango a torso nudo, i miei bei muscoli di venticinquenne in bella mostra, gonfi e tesi dalla mia ansia, dal mio desiderio, dalla mia pusillanimità.
Mi abbraccia e mi stringe a se. La seta mi avvolge, il suo contatto sulla pelle nuda mi droga, mi mozza il respiro. Lo abbraccio a mia volta, timidamente lascio scorrere le mie mani sui suoi fianchi coperti dal tessuto lucido. Il suo profumo mi riempie le narici e la sua bocca mi copre il collo, le spalle e il viso di baci. Lo fa piano, leccandomi la pelle, carezzandomi i fianchi e la schiena, premendo il suo grande corpo contro il mio.
Ogni mio tentativo di incontrare la sua bocca viene sviato, eluso, annullato e svilito e il mio desiderio aumenta, aumenta a dismisura. Sono teso dentro i pantaloni, come se avessi in tasca una bottiglietta di chinotto. Fa quasi male, vorrebbe sollevarsi, emergere, alzare la testa con fierezza, ma il tessuto dei pantaloni e il corpo di lui glie lo impediscono. É maltrattato, bistrattato, soggiogato, offeso come un palestinese in un campo profughi, quei posti la, quelli dove si accalcano, quelli dove ti schiacciano in terra dalla mattina alla sera, quelli.
Si stacca da me. Il suo uccello gonfio e duro, grande e arcuato sporge dai lembi della vestaglia e si muove davanti a me come un serpente incantato. Vorrei allungare una mano e prenderlo fra le dita, sentirlo pulsare contro il palmo delle mani ma lui mi prende per un braccio e mi spinge verso il salotto. Nonostante siano le nove di mattina, le tende chiuse tengono la stanza nella penombra. Due lampade a piantana illuminano l’ambiente con una luce calda, morbida e equivoca. Lanterne rosse, si direbbe; la puttanella cinese del signore è arrivata. Adesso la mettiamo a pancia sotto e ce la scopiamo.
Mi lascia in piedi e si accomoda in poltrona. Accavalla le gambe accarezzandosi l’uccello, piano, distrattamente. Tanto c’è tutto il tempo, un intero weekend per sollazzarsi a mie spese, che fretta c’è?
«Forza, finisci di spogliarti» dice infine. «Mettiti nudo.»
E io lo accontento, mi levo i mocassini, slaccio la cintura e la patta dei pantaloni e me li sfilo, mettendoci il tempo che ci vuole, senza fretta anch’io, come lui. Siamo in democrazia, stessi diritti per tutti Poi le mutande, me le levo e le butto sul mucchietto dei pantaloni giù sulla moquette, quella moquette scura e morbida sulla quale poggiano i miei piedi. Rimango lì dritto, nudo come un verme con lui che mi squadra, le labbra schiuse, i capelli arruffati, senza trucco, avvolto nella sua larga e morbida vestaglia di seta e con il pisello in mano. Anche il mio si difende, il mio pisello, si difende per bene, si difende così bene che lui si alza e mi viene vicino e lo prende in mano, lo carezza, lo cincischia, come quando sai che una cosa e tua e la guardi distrattamente, tanto è lì, non va da nessuna parte, non scappa mica. Mi sfiora la bocca con la sua, poi dalla tasca della vestaglia tira fuori un lungo pezzo di corda.
«Voltati, ho voglia di legarti» ordina.
Lo faccio. Gli do le spalle tenendo le braccia lungo i fianchi. Sono eccitato ma continuo a essere teso. Vorrei che lui mi toccasse, mi carezzasse, mi baciasse anche solo un poco, ma pare che non ci sia trippa per i gatti. Tant’è, mi sta legando e questo è già qualche cosa. Mentre mi giro la punta del suo uccello duro mi sfiora le chiappe. É un’attimo ma sufficiente a darmi un lungo brivido di piacere. Mi fa sollevare le braccia e mi passa un paio di giri di corda attorno ai fianchi poi si avvicina e prende a strusciarmi il suo uccello duro tra le chiappe. Con una mossa da concubina le allargo e mi ci premo contro.
La cosa gli piace perché le sue mani mollano la corda e mi abbracciano carezzandomi in modo osceno, cosa che mi strappa un gemito di piacere. Mi bacia sul collo piano, mentre le sue dita giocano con il mio uccello. Sento il suo fiato sulla pelle e, nelle narici, il suo profumo misto a quello di sigaretta.
«Dammi la bocca» mi sussurra in un orecchio.
Lo faccio quasi trattenendo il fiato, volto il capo verso di lui e schiudo le labbra. Gli occhi chiusi e il cuore che batte all’impazzata. Ci baciamo senza fretta, lasciando scivolare le bocche l’una contro l’altra, poi le lingue prendono a stuzzicarsi, a insinuarsi, ce le succhiamo piano e finalmente lo posso baciare come volevo dal primo momento. Il suo modo di farlo, invece è possessivo, maschile, mi fa sentire suo. E per un momento mi fa sentire felice.
Infine la sua bocca abbandona la mia e lui si allontana di un passo. mi prende la mano sinistra, me la torce dietro la schiena e comincia a legarla. La destra segue a ruota. Io lo lascio fare, docile e remissivo come piace tanto a lui.
«Mi fai tirare l’uccello come nessun altro» mi dice.
È un tipo romantico, ma sa legare e tira per bene le corde sui polsi e, di conseguenza, anche quella che attraversa il mio addome si tende saldandoli all’incavo della mia schiena. Sento le sue dita che lavorano, il suo respiro che cambia d’intensità. Si eccita un casino, Marisa, a legare la gente, gli da un piacere fisico genuino, roba di prima qualità. Altri due giri attorno al mio addome, un paio di nodi ben stretti e tanti saluti ai suonatori, le mani son servite, stessa cosa che non averle per quel che servono, legate in quel modo. A differenza della volta prima ora non posso nemmeno staccare i polsi dalla schiena e sono costretto a tenere i gomiti un po sollevati. Si vede che la mia condizione gli sembrava troppo comoda, troppo blanda. Non vuole che mi monti la testa, che pensi chissà cosa. Qui il capo è lui, dev’essere chiaro.
Si assicura che sia un lavoro ben fatto poi mi fa voltare verso di sé. La vestaglia si è aperta e il suo uccello è bello teso in avanti, duro e turgido come una grossa maniglia. Si avvicina e mi mette la mani sui fianchi. Il suo sesso spinge contro il mio ventre, mi si struscia contro. Ho il fiato mozzo e il cuore che batte forte. Si china su di me e mi bacia sulla bocca. E questa volta è un signor bacio quello che mi concede, uno di quei baci umidi, profondi, con tutta la lingua che gira, uno di quei lì, uno di quelli che potrebbero far svenire un fanciullo come me.
Chiudo gli occhi e lascio che la sua lingua frughi in profondità nella mia bocca. Le sue labbra succhiano avidamente le mie e il suo uccello in erezione preme con forza contro il mio addome mentre la seta della vestaglia accarezza delicatamente la mia pelle. Mi dà la lingua da succhiare e io lo faccio, lo faccio per bene, carezzandola con la mia e lasciando che quel momento duri il più a lungo possibile. Rispondo con entusiasmo al suo bacio, senza respirare, emozionato, commosso, sorpreso. La sola colonna sonora che accompagna quell’evento memorabile è il suono liscio e acquoso degli esercizi labiali, assieme a quello dei nostri respiri affannati.
Il tempo si dilata, si espande, si allunga, diventa un chewingum rosa e profumato, fa le bolle, si stira e si avvolge su se stesso. Mi sto lentamente abbandonando contro di lui, contro quel suo corpo grande, avvolgente, setoso, quel suo corpo così poco familiare. Mi lascio andare al suo abbraccio eccitante. Mi ci sto proprio lasciando andare quando quel cazzo di telefono si mete a strillare come una iena.
Lui muove ancora un poco la lingua tra le mie labbra poi si stacca da me, poi smette di baciarmi, poi mi prende per le spalle, poi mi fa sedere sul divano. Poi si riallaccia la vestaglia.
«Stai lì fermo e non aprire bocca» dice con quel suo tono gentile. «Non costringermi ad essere cattivo.»
Cattivo. Com’è Marisa quand’è cattivo se fino adesso è stato buono?
Si allontana e torna in ingresso. Lo sento alzare la cornetta. La conversazione sembra tesa. Lui parla sottovoce ma l’intonazione è alterata. Parla sottovoce ma dall’altra parte della cornetta qualcuno lo sta irritando. Siccome continua a parlare sottovoce, io non riesco a capire un cazzo di quello che sta dicendo. Poi tace. Il suo interlocutore parla, parla mentre lui ascolta e non favella. Non favella per un bel pezzo e quando riapre bocca è per dire due o tre frasi secche, asciutte.
Poi mette giù. Silenzio. Nulla si muove, potrei sentirlo pensare. Rientra in salotto e si ferma davanti a me. Il suo uccello non è più duro, pende molle tra le falde della vestaglia. Lo fisso finche la sua voce non mi distrae.
«C’è un contrattempo, tesoro» mi fa. «Devo uscire un’oretta.»
Mi alzo dal divano e rimango in piedi davanti a lui, goffo con le mie mani legate dietro alla schiena in quella scomoda posizione. Mi prende per un braccio, mi fa fare mezzo giro e controlla le corde che mi legano.
Poi dice: «Potrei anche lasciarti andare, ma preferisco che tu stia qui ad aspettarmi. Adesso lascia che finisca di legarti senza fare storie.»
Dire che ho il cuore in gola è un eufemismo. Non riesco a capire cosa succede, non riesco a capire cosa vuole da me. Non riesco a capire perché non mi lascia andare se deve farsi gli affari suoi dei quali, per inciso, a me non frega un cazzo. Contemporaneamente comincio a divincolare i polsi cercando di liberarmi e faccio un mezzo passo di fianco. Ma quelle corde sono maledettamente strette e riesco solo a provocarmi del dolore. Lui fa un passo verso di me e io con una finta cerco di sfuggirgli dalla parte opposta. Mi agguanta senza il minimo sforzo. Mi agguanta per un braccio e mi tira verso di sé. Lottiamo brevemente ma è un confronto impari, lui è forte e io sono legato. Mi afferra per la vita e mi costringe a camminare davanti a lui.
«Lasciami andare» sibilo cercando di puntare i piedi. «Me ne voglio andare, non mi puoi trattenere.»
«Chiudi il becco e piantala» impone dandomi una spinta, una spinta bella forte.
Ci ritroviamo in camera da letto. Sempre tenendomi per un braccio apre un cassetto del comodino tira fuori della corda e la getta sul talamo sfatto. Le lenzuola di raso nero stropicciate hanno l’aria di averne viste di cotte e di crude quella notte, sono piene di macchie sospette. Mi divincolo e riesco a sfuggire alla sua stretta ma lui mi fa un cazzo di sgambetto, uno sgambetto proditorio e vigliacco e io cado in ginocchio, così mi riprende, mi solleva di peso e mi butta sul letto di schiena. Cerco ancora di strisciare via ma mi afferra per le caviglie e mi ritira indietro. Si sta divertendo da pazzi, Marisa, la piacciono i sequestri di persona, si vede dall’uccello di nuovo a novanta gradi.
Monta anche lui sul letto e mi si siede sull’addome con tutti i suoi quattrocento chili, tutti quanti, seta compresa. Questo mi mozza il fiato. Lui ne approfitta al volo e mi caccia una delle sue grandi mani sulla bocca. Con l’altra apre un cassetto del comodino e prende una pallina di gomma nera che con un sotterfugio riesce a infilarmi a fondo tra le labbra. Dallo stesso cassetto salta fuori un grosso cerotto di un materiale bianco cangiante al quale leva la pellicola protettiva. Siccome stavo cercando di sputarla preme di nuovo la pallina al suo posto, poi mi copre metà della faccia con il cerotto.
Fine della discussione. Il bavaglio ha una consistenza liscia e gommosa e impedisce alla pallina di venire via costringendomi a tenere la bocca spalancata. Mi crea una grossa impasse, perché oltre a togliermi ogni possibilità di banfare o di dire la mia o di criticare con parole taglienti questo suo intollerabile comportamento, mi costringe anche a respirare con il naso, dal quale notoriamente entra molta meno aria che dall’altro orifizio preposto.
Devo quindi darmi una calmata e mi rilasso ansante sotto il suo peso, la seta della vestaglia che mi carezza le cosce, il raso nero del lenzuolo che indugia morbido sulla pelle della mia schiena e le sue mani che mi massaggiano lentamente le spalle.
Sono anche un po spaventato, voglio dire, non perfettamente a mio agio, una via di mezzo tra uno che è finito nelle sabbie mobili e uno che gli hanno trovato due chili di erba in valigia alla dogana turca, una cosa così.
Lui si prende il suo tempo e sollevandosi appena mi gira a pancia sotto. Prende altra corda corda si volta, dandomi la schiena, per sedersi a cavalcioni delle mie cosce. Sento che afferra le mie caviglie, le avvicina e le lega insieme, strette, e non è per fare la lagna, ma le lega così strette che mi sembra di avere una gamba sola. Poi si alza dal letto.
Mi tira su e mi mette in piedi. Poi mi carica in spalla come un tappeto e usciamo dalla camera da letto. Per qualche secondo il mio panorama è quello delle sue chiappe che si muovono ad ogni passo sotto la seta della vestaglia. Torniamo in Salotto e mi deposita sul divano. Ha ancora della corda in mano, così, siccome non si butta via niente, la usa per legarmi le braccia all’altezza dei gomiti. Per finire, mi fa piegare le gambe dietro alla schiena e con l’ultimo pezzo di spago che gli è rimasto collega assieme mani e piedi. Mi sento male, l’agitazione e tutto il resto mi hanno spossato, mi lascio andare sul morbido cuscino di alcantara e chiudo gli occhi. Dopo avermi incaprettato se n’è tornato in camera da letto. Muovo mani e piedi ma, tirando le somme, capisco che conciato così non andrò proprio da nessuna parte.
Nel giro di una decina di minuti lui mi ricompare davanti. Ha indossato una di quelle tute da ginnastica ampie e lucide, blu scura con due righe più chiare lungo le gambe. Ha in mano le chiavi di un’auto. Si sporge su di me e controlla che le corde siano ben strette.
«Cerca di non fare lo scemo» dice prima di andare. «Sarò di ritorno entro un’ora e voglio ritrovarti su questo divano. Se vuoi provare a liberarti è meglio se ci riesci e te ne vai, perché se dovessi coglierti sul fatto dovrò punirti e questo ti farà molto male.»
Mi farà molto male, punto. Se muovo un dito lui me la fa pagare. Quindi secondo lui io non lo muovo, un dito. Probabilmente ha ragione. Ho solo voglia che torni qui, che si vesta come l’altro giorno e che si occupi un po di me. Solo questo voglio. Che si occupi di me, che mi tocchi che mi baci, che mi avvolga nella sua seta. E quindi non muoverò un dito e lui non dovrà farmela pagare.
La porta d’ingresso che si chiude mi avvisa che il padrone di casa ha levato le tende. Riapro gli occhi. La stanza è in penombra, quasi piacevole, quasi rilassante, quasi erotica. Sento un motore che si accende, giù in strada, e poi una macchina si allontana. E poi ne passa un’altra e poi un’altra ancora. Rumori ovattati, lontani, estranei. Richiudo gli occhi e aspetto.

Capitolo quinto. Una fava per due piccioni.

Le corde tirano. Dovrebbe tirare qualcos’altro, in tutta questa storia, invece per ora sono le corde che tirano, quelle che mi legano. E tirano le mie ginocchia e i muscoli delle gambe e le mie braccia. Non pensavo che rimanere legato nella stessa posizione per tutto questo tempo fosse così faticoso. Pensavo che non dovendo far altro che stare lì da bravo, potesse quasi essere rilassante. Invece no. Invece sono teso, un po spaventato e tutt’altro che rilassato. La sensazione principale è che così legato sono alla mercé di quel tipo e che se gli salta in mente di farmi a fettine nessuno glie lo può impedire. E io non lo so se non abbia già deciso di farmi a fettine, lo sapete voi? E quindi sono vagamente spaventato. Vagamente, dico, perché magari non intende affatto farmi a fettine.
Dovrei essere più cauto quando mi metto in testa di fare certe cose. Io non credo in dio o in una vasta pletora di dei o in quelle cose lì, non sono religioso, proprio non è roba per me. È per questo che dovrei sempre pensare due volte a quello che faccio. Quelli lì, i cristiani o come si chiamano, i cattolici, insomma, quelli che credono in dio, che vanno alla messa tutte le domeniche, quelli che ne fanno di cotte e di crude tutta la settimana e poi la domenica si confessano e viene tutto lavato via con un bel colpo di spugna, be’, loro hanno la divina provvidenza che li tira fuori dai guai. Io no, io non ce l’ho la divina provvidenza, non è compresa nel pacchetto e quindi dovrei stare più attento, perché poi quando mi ficco in questi casini non c’è proprio nessuno a darmi una mano.
E quando sei legato come un salame non è proprio una cosa semplice darsi una mano da solo.
Intanto il tempo passa lento, lì sul divano, si trascina pigramente, minuto dopo minuto, senza fretta. Da fuori non provengono suoni di sorta, tutto tranquillo, sul fronte occidentale. Solo il rumore di qualche macchina che passa in strada ogni tanto. Per giunta, mi scappa la pipì.
Poi lo schianto della serratura. In effetti non è uno schianto ma siccome io sono teso come una corda di violino mi sembra tale e mi fa fare un balzo dell’accidente. Di là in entrata la porta di casa si apre e si richiude. Passi, voci. Sono in due, si parlano ma non riesco a capire cosa si dicono.
Entrano in salotto. Marisa è vestito come quando è uscito di casa, il suo compagno è en travestì. Porta un impermeabile leggero di nylon scuro, setoso, stretto in vita da una cintura. Ha le gambe magre, fasciate da calze fumé e i piedi calzati in un paio di sandali a fascetta di pelle nera con un tacco di quattro chilometri. Indossa una parrucca biondo cenere, ha gli occhi bistrati e truccati di ombretto argentato, fondotinta e rossetto. Lo riconosco, é l’amico passatello che ho incontrato l’altro giorno sotto l’androne, quello che veniva a prendersi la ripassata che sarebbe spettata a me. Alla luce del primo pomeriggio che filtra attraverso le tende pare ancora più passatello di quello che mi ero immaginato. É ben oltre le cinquanta primavere l’amico, ha già un piede nella fossa questo qui.
Hanno in mano due grosse scatole di cartone chiuse per bene da nastro adesivo. Le Posano in un angolo del salotto e vengono verso di me.
Marisa mi guarda con un sorriso. Il suo amico mi sembra molto interessato. Si avvicina con le mani nelle tasche dell’impermeabile.
«Guarda, guarda…» dice. «Ma cos’abbiamo qui?»
Marisa si siede accanto a me e mi carezza un fianco. «È il mio nuovo schiavetto» dice. «Gli piace ciucciare e essere legato, e ha un sedere che sembra di burro.»
Io arrossisco come un’educanda.
«Era qui quando hai telefonato» continua Marisa carezzandomi piano il fianco, «così non potevo lasciarlo andare e gli ho chiesto per cortesia di aspettarci.»
L’amico ridacchia, poi mi guarda, si mordicchia il labbro inferiore. I segni dell’età sono evidenti, soprattutto sul collo e lungo la scollatura dell’impermeabile. La faccia è quella di uno che negli ultimi duecento anni ne ha combinate di cotte e di crude. Ha l’aria di aver fatto sesso con qualsiasi genere di bipede, pensante o meno, esistente sulla faccia della terra.
«Mmmhhh…» apprezza la Cariatide. «È giovane, mica male, bel fisico asciutto, come piacciono a me.»
Mentre la voce di Marisa ha qualcosa di strascicato, di vagamente femminile, questo non fa mistero della sua condizione di travestito. Usa la stessa voce di quando si trova alla partita di pallone. Un brivido mi corre lungo la schiena.
Si avvicina a Marisa e le posa le mani sulle spalle.
«Mi piace come li leghi» continua senza levare gli occhi dai miei, «sono sempre di un sexy…»
Marisa mi da una leggera pacca sulla chiappa nuda e si alza dal divano. Vado a farmi una doccia e a cambiarmi, dice, nel frattempo voi potreste fare conoscenza.
Si allontana mentre la bionda, di cui ancora ignoro il nome, si slaccia la cintura e sbottona l’impermeabile. Se lo sfila e lo butta sul bracciolo del divano. Sotto è tutto un programma. Indossa una blusa di raso color crema a maniche lunghe, ampia e morbida, completamente slacciata e annodata in vita. L’abbondante scollatura lascia intravvedere un reggiseno di pizzo bianco che non si capisce bene cosa debba tenere su. Una gonna plissettata di qualche tessuto argentato e lucido copre a malapena la metà delle cosce.
Prende un pacchetto di sigarette e un accendino d’oro dalla tasca dell’impermeabile, un portacenere dal tavolino basso e si siede sul divano accanto a me, le cosce accavallate a meno di un metro dalla mia faccia. Ci crediate o no, sono eccitato da morire. Anche perché nessuno mi aveva mai guardato come mi sta guardando questo qui. Se non fossi già nudo, a spogliarmi ci penserebbe il suo sguardo. Tira fuori dal pacchetto una lunga sigaretta bianca dal bocchino satinato e la infila tra le labbra.
Fa scattare l’accendino d’oro e dà fuoco alla miccia, senza fretta. Inspira a fondo e con soddisfazione esala una nuvola di fumo verso il soffitto. Va già bene, pensavo me l’avrebbe sparata dritta in faccia come si vede in certi film.
Fuma lentamente, godendosela, guardandomi avidamente. Ad un certo punto si mette più comoda e sfilatosi un sandalo prende a carezzarmi il viso con il piede fasciato di nylon nero. Lo lascio fare, anche perché non saprei come tirami indietro e perché non voglio dargli la soddisfazione di irritarmi. Sotto di me, il mio uccello ha raggiunto dimensioni tali che potrebbe sollevarmi come un martinetto idraulico. Lo si vedrebbe anche dallo spazio.
«Se ti faccio allungare le gambe poi mi dai un bel bacio?» mi domanda rompendo il silenzio. «Un bel bacio con tutta la lingua che gira» specifica, «come piacciono a me.»
Per allungare un poco le gambe farei ben altro che baciarlo con la lingua, di conseguenza, non potendo dare una risposta a causa del bavaglio, faccio di si con il capino. Lui spegne la sigaretta nel portacenere e si sistema di fianco alle mie spalle. Armeggia con le corde che mi legano e finalmente sento le mie gambe che si allungano sul divano. Chiudo gli occhi e assaporo questo momento, le giunture che ringraziano, i tendini che esultano, i muscoli che fanno festa. Mi aiuta a sistemarmi e mi fa appoggiare al bracciolo in posizione assai più comoda di prima.
«Hai un fisico che fa spavento, tesoro» si complimenta accomodandosi di faccia a me. «Avrai la fila davanti alla porta.»
Ha la voce roca, eccitata. Mai avuta la fila davanti alla porta e adesso, per giunta, mi tocca sottostare alle voglie di un tipo che ha quasi il triplo dei miei anni e che può mangiarmi in un boccone.
«Vieni qui» dice attirando la mia testa verso di sé. «Adesso ti levo il bavaglio, ma se urli le prendi.»
Appoggio la nuca sul suo petto; la seta della blusa contro la pelle mi da un brivido di piacere e il suo profumo forte e speziato mescolato all’odore di fumo mi riempie le narici. Cercando di non farmi male riesce a levarmi il cerotto dalla bocca e posso finalmente sputare quella pallina di merda. Torno ad appoggiarmi allo schienale.
«Va meglio?» domanda. «A Marisa eccita molto lo sconforto dei suoi schiavi. Io sono più accomodante.»
Si china su di me schiudendo le labbra. Ho una grossa esitazione, vorrei essere in Patagonia e invece mi trovo li, su quel divano, legato e impotente, e temo mi tocchi baciare questo pezzo d’antiquariato. Lui vede la mia esitazione e la cosa lo diverte. Si passa la punta della lingua sulle labbra e avvicina ulteriormente la sua faccia alla mia. Mi sporgo leggermente in avanti e la sua bocca si posa sulla mia. Ci mordicchiamo le labbra e ci baciamo piano, sospirando. Niente lingue per il momento, un bacio da adolescenti è ciò che passa il convento. La sua bocca bruca la mia, mi succhia le labbra, quasi delicatamente. Sa di fumo misto a rossetto e profumo. Sento una sua mano chiudersi sull’asta del mio coso duro, lo carezza, lo scorre, lo palpa.
Le sue labbra sono più morbide di quanto mi aspettassi, carezzano e stuzzicano la mia bocca. Anche la mia tensione va scemando. In pari misura il mio affare aumenta di dimensioni tra le sue dita. Lui mugola di piacere mentre il suo bacio si fa più insistente, più insinuante. Con l’altra mano prende a carezzarmi la nuca e finalmente la sua lingua irrompe nella mia bocca. Prima me la da da succhiare come fosse un gelato, infine ci baciamo appassionatamente, le nostre bocche si afferrano, le lingue si incrociano, le labbra si succhiano.
Sa il fatto suo la Cariatide, è laureato a pieni voti in bacio francese, centodieci e lode e dignità di stampa. Conosce tutti i trucchi, la sua lingua, si attorciglia attorno alla mia, mi scorre sui denti, mi palpa le guance, mi sonda la gola, mi carezza, mi titilla, si arrotola, si distende. Ormai è praticamente contro di me, la seta della camicetta contro la mia pelle, il suo corpo magro che preme contro il mio. Ansimo e soffio come se avessi corso i quattrocento metri piani, sono eccitato come un mandrillo e ho la bocca piena della sua lingua. Un delirio di sensazioni, stimoli, percezioni extrasensoriali, esp, UFO, voci dall’oltretomba, telepatia spinta. Mi manca il fiato, ho il cuore che batte, mi fischiano le orecchie.
Le sue dita scorrono lentamente sul mio uccello, lo accarezzano ma gli impediscono allo stesso tempo di avere il suo orgasmo desiderato. Ha una tecnica sopraffina la bionda, conduce il gioco come vuole, senza fatica.
Esplora la mia bocca con la lingua per qualche minuto ancora poi la sfila lasciandola scivolare fuori, si stacca da me e si mette in ginocchio sul divano portando il suo pube all’altezza della mia faccia. Praticamente non ha più rossetto, me lo sono mangiato tutto io. É eccitato da morire, il fiato grosso il petto magro che va su e giù come un mantice.A una certa età non si dovrebbero fare certe cose, bisognerebbe accettare la realtà, pantofole, poltrona e giornale e magari un plaid sulle ginocchia.
Invece questo si solleva la gonna d’argento e mi sventola davanti al naso un paio di culottes di raso bianco, ampie, morbide e setose. Un’enorme gonfiore le deforma, un gonfiore vivo, pulsante, lucido, che si avvicina implacabile alla mia bocca. Ci guardiamo negli occhi, non c’è bisogno di dire tante parole. Tocca a me, adesso. Mi sorride eccitato e mi carezza una guancia.
Appoggio le labbra sul suo missile foderato di seta e le faccio scorrere semiaperte lungo l’asta resa lucidissima dal tessuto. La mia eccitazione è a un livello che quasi mi spaventa. Respirare mi è difficile mentre il suo sesso gonfio e setoso scorre sulla mia bocca, struscia contro le mie guance, sul mio viso. Andiamo avanti per qualche minuto al solo suono dei nostri respiri. Lui dirige il suo enorme sesso coperto di seta in modo da farselo baciare per bene, lo fa scorrere sulla mia faccia, sulle mie labbra, me lo preme sulle guance, lo struscia lentamente avanti e indietro, mugolando di piacere, ansimando eccitato, finché il raso delle culottes non riesce più a trattenerlo.
É grosso, lungo e largo. Il glande è scoperto, gonfio e rubizzo, enorme. La Cariatide, qui, biondo cenere e magro come un chiodo, è dotato come un cavallo e intende farselo succhiare. In effetti appoggia il grosso glande contro la mia bocca e approfittando del mio sbalordimento lo spinge appena tra le mie labbra.
Poi, in un rantolo, esala: «Dai, tesoro, succhiamelo, fammi godere»
É un sussurro roco, che emana piacere e eccitazione. E desiderio a quintali. Schiudo le labbra e lo accolgo nella mia bocca. La mia posizione è diventata un po scomoda e le mani legate dietro alla schiena e fermate in alto dalla corda che mi stringe in vita non mi aiutano a renderla più confortevole. Lui ne approfitta e lo spinge per bene nelle mie fauci, aiutandosi con un leggero movimento del bacino. Mi riempie la bocca tanto è grande ma riesco comunque a umettarlo con la lingua e a renderlo scivoloso La bionda comincia a farlo scorrere avanti e indietro tra le mie labbra, muovendolo in cerca di nuovi stimoli. Mi carezza i capelli con una mano e con l’altra si solletica i testicoli, li stuzzica con le dita, li coccola. Chiude gli occhi e si concentra sul moto ondulatorio, avanti e indietro, avanti e indietro. Il suo enorme attrezzo, duro come un palo scorre dentro e fuori la mia bocca, abbracciato dalla mia lingua e carezzato dalle mie labbra. Vibra di piacere, a lungo. Almeno un paio di volte si impedisce di venire. Lo sfila e lo rinfila, un pompino con i fiocchi si fa fare. Deve avere un master, questo qui. Un master in educazione sessuale e tecniche applicate all’Università della Terza Età deve avere, la bionda. E adesso probabilmente ci insegna.
Pochi altri scivolamenti, un paio di colpi di lingua, due strusciate di labbra e l’orgasmo arriva come una fontana del Trocadero, parte finisce nella mia bocca il resto sul mio petto. Ne spruzza una quantità enorme, non si ferma più. Con rochi mormorii mi ricopre di sperma caldo e vischioso. Mai vista una cosa simile, ne escono dei litri. Quando il suo membro enorme finisce di pulsare una striscia sottile di liquido seminale denso e opalescente ancora ne collega la punta del glande al mi petto. Poi anche quella si stacca dalla fonte e finisce nel mio ombelico. Si china su di me e incolla nuovamente la sua bocca alla mia. Succhia via il suo stesso seme dalle mie labbra e mi fruga l’interno della bocca con la lingua, l’attorciglia alla mia, se ne impossessa. Sono talmente eccitato che tutto il mio corpo trema come una foglia, il mio respiro e corto e il mio uccello teso allo spasmo tocca a tratti i lembi della blusa di raso color crema dandomi brividi di piacere. Lui lo prende tra le dita mentre la sua bocca succhia la mia come una ventosa. Bastano pochi secondi e gli vengo in mano gemendo tra le sue labbra, il mio sperma che le cola tra le dita. Accompagna i miei spasmi carezzando il mio uccello, finché non si affievoliscono e infine si spengono.
Il suo bacio diventa più leggero e mi lascia succhiare piano la sua lingua. Il cuore mi batte nel petto come un tamburo. Sono sudato e senza fiato ma ho appena avuto l’orgasmo della mia vita. Altro che un piede nella fossa ha questo qui, la sa ancora lunga come il diavolo, può darmi lezione fin che campo. Gallina vecchia fa buon brodo, i detti popolari non sbagliano mai.
Mi carezza ancora un poco, qualche bacio leggero, una slinguatina qua e là, poi si risiede comodamente sul divano accanto a me. Ha l’aria di un gatto che si è pappato il canarino, soddisfatto e appagato. Allunga una mano e mi leva uno sbaffo di seme dalla guancia.
Poi dice: «Mi piaci, tesoro, sei uno schianto. Mi piacerebbe incontrarti slegato una volta o l’altra.»
Non rispondo e lascio che la sua mano mi carezzi lentamente una coscia. Sono impiastrato di seme il cui odore mi riempie le narici. Comincia ad essere meno denso e rischia di colare sul divano. Spero che la Cariatide qui se ne renda conto.
Annunciata da un ticchettio di tacchi e da una nube di profumo Marisa entra in salotto. É elegantissimo in un paio di pantaloni aderenti di raso nero la cui gamba scampanata si muove piena di riflessi attorno alle sue caviglie. Un foulard di seta nera infilato nei passanti e annodato su un fianco funge da cintura. Sopra i pantaloni porta una camicetta semitrasparente nera sbottonata e annodata sull’addome. Sotto non indossa nulla e i suoi piccoli seni grassocci si intravedono attraverso il tessuto. É truccato per bene e una lunga parrucca di capelli platinati gli cade in morbidi ciuffi sulle spalle. Una vera bambola. Ha i piedi nudi calzati in un paio di sandali formati da poche sottili fascette di pelle nera e con un tacco appena più alto della Tour Eiffel.
Si avvicina e vedendo il bordello che abbiamo combinato inorridisce.
«Che cazzo avete combinato?» strilla sollevando le sopracciglia. «Guarda che casino!»
La bionda si alza e asciuga me e le sue mani con la mia Lacoste che ha raccolto da terra. «Hai ragione» ammette, «ci siamo lasciati prendere la mano, ora pulisco.»
Marisa mi slega le caviglie. «Questo mi sporca tutto il divano, Cristo» ulula. «Portalo di la e fagli una doccia.» Mi aiuta ad alzarmi dal divano senza lerciarlo tutto e mi consegna nelle mani della bionda. «E non slegargli le mani» aggiunge mentre ci dirigiamo verso il bagno. «Non voglio che se ne vada né che ci dia dei problemi.»
«Se non mi portate in bagno» dico, «vi faccio la pipì sul tappeto.»
«Ci manca solo quello» mi fa la bionda. «Dai, tesoro, andiamo.»
Mi trascina fuori dal salotto mettendomi una mano sul sedere e, già che c’è, continua a solleticarmi fra le chiappe con due dita. Non ne ha proprio mai abbastanza, questo. Cerco di togliermelo di dosso ma non c’è verso, vuole venire in bagno assieme a me.
Io non sono tranquillo. Non sono per niente tranquillo.
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