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Ricattata dal gioco (8)


di solisoli59
24.04.2024    |    3.126    |    3 8.4
"Lei si disprezzava per essere ridotta ad accettare del danaro da quell’uomo disgustoso ma in quel momento una cosa sola contava: giocare, giocare e ancora..."
Irene de Sentier fermò un taxi e dette al conducente l’indirizzo di un circolo di gioco di Pigalle. Il suo profumo pungente invase l’abitacolo dell’auto e lei sorprese, più di una volta, nello specchietto retrovisore, lo sguardo
interrogativo del tassista che probabilmente si chiedeva cosa andasse mai a fare una signora borghese come quella in un luogo così sordido.
Una volta arrivata, Irene scese dal taxi e si avviò, facendo risuonare i suoi tacchi alti sul marciapiede, verso il posto che cercava. Qualche istante dopo arrivò davanti alla porta del circolo che si trovava accanto alle vetrine polverose di un negozio di articoli erotici. Al lato dell’ingresso, su una placca di cuoio, era scritto: Club privato. Solo membri.
Georges, il portiere, un colosso che sembrava sempre troppo stretto nella sua divisa rossa, riconoscendola, la salutò con deferenza. Superato l’ingresso, Irene lasciò la sua stola di ermellino al guardaroba ed entrò nella prima sala, un bar lussuosamente ammobiliato ed immerso nella penombra, l’attraversò e si diresse verso una porta dissimulata a metà da un grande tendaggio che il “fisionomista” si affrettò a scostare per lei con un sorriso.
In tutte le sale da gioco, legali o meno, il fisionomista è un personaggio chiave. La sua memoria visiva, incredibilmente acuta, gli consente di individuare, al primo sguardo, i clienti indesiderati, i bari, i cattivi pagatori ed i giocatori professionisti.
“Buon giorno Adrien, c’è il signor Kouhana? “
“Sì, signora de Sentier, ora lo avverto subito del suo arrivo.”
Irene entrò nel circolo di gioco propriamente detto, una grande sala dal soffitto basso, sobriamente ammobiliata. Qui niente quadri alle pareti, niente musica, niente che potesse distrarre l’attenzione dei giocatori dal sacro tappeto verde.
Irene andò un po’ qua e là fra il tavolo del blak-jack quello del baccarà, salutando di passaggio qualche cliente che conosceva. Riconobbe fra gli altri Lionello Siomon, il celebre presentatore televisivo, che la notte precedente aveva vinto proprio a lei, al tavolo dello chemin de fer un sacco di soldi e che, in questo modo, era stato uno degli artefici della sua rovina finanziaria. L’uomo gli fece cenno di venire al suo tavolo ma lei rifiutò con un gesto del capo e si diresse verso il bar dove si sedette ordinando un gin tonic in attesa del direttore.
Irene de Sentier non beveva molto, al massimo un paio drink per sera. La sua vera droga era il gioco, anche se più di una volta, ma sempre inutilmente, aveva giurato a se stessa di smettere.
Intanto, il barman le aveva messo davanti un bicchiere panciuto, pieno a metà. Al circolo le consumazioni erano gratuite e questo era normale data la consistenza delle somme che i giocatori rischiavano e spesso perdevano. inoltre, l’alcol favoriva il rischio e la casa se ne avvantaggiava. Volendo, si poteva anche cenare per una cifra ridicola.
Da dove si trovava, Irene aveva una visione perfetta della tavola della roulette. La serata era appena cominciata e i giocatori sfoggiavano un sorriso pieno di sicurezza. Gli habituès facevano le loro puntate senza mai far rotolare i gettoni ma quando, le rare volte, questi non cadevano esattamente il numero scelto, il croupier, silenzioso e zelante, li rimetteva al posto giusto con la sua paletta. Comunque, non era ancora il momento del gioco grosso.
I forti giocatori non arrivavano mai prima di mezzanotte, dopo la cena e il cabaret.
“Signora de Sentier, che piacere di vederla!”
Irene fece ruotare lo sgabello per ritrovarsi faccia a faccia con una montagna di carne umana.
“Buon giorno, signor Kouhana, le ho portato il denaro che le dovevo...”
Il volto porcino del direttore si deformò in un sorriso ossequioso.
“Cara signora, non ho mai dubitato un secondo della sua onestà. Venga nel mio studio, saremo più tranquilli. Farò servire dello champagne.”
“Lo champagne non è necessario, signor Kouhana. Purtroppo non posso restare.”
Albert Kouhana girò la schiena e, seguito da Irene, con un’ agilità stupefacente per la sua corporatura, si diresse fra i tavoli da gioco verso il suo ufficio. Questo libanese di quarantadue anni, arrivato nella capitale a diciotto, aveva fatto carriera nell’ambito delle bische clandestine. A vent’ anni, i suoi cento chili di muscoli gli avevano consentito di farsi assumere come guardia del corpo da uno dei boss del giro. Poi, poco a poco, non essendo uno stupido, Kouhana aveva imparato a volare con le proprie ali. Oggi era lui stesso un potente gestore di case da gioco ma la sua muscolatura si era fusa cambiandosi in grasso al punto di farlo assomigliare ad un Buddha.
Kouhana si lasciò cadere nella sua poltrona davanti alla scrivania stile Luigi XVI. Con la sua mano dalle dita simili a salsicciotti, cariche di anelli, indicò alla donna un’altra poltrona. La stanza era insonorizzata, completamente al
riparo dalle voci e dal rumore della roulette del salone adiacente. Entrò il cameriere che stappò una bottiglia di champagne, riempì due coppe e si ritirò. Kouhana tese un bicchiere alla sua ospite.
“Beviamo alla sua salute, cara signora!”
Irene buttò giù un piccolo sorso per non sembrare scortese e poi, posata la coppa, ansiosa di finirla con questa storia, tirò fuori dalla sua borsetta una busta che conteneva i cinquantamila euro che costituivano il suo debito di gioco. Il direttore del club si impossessò della grossa mazzetta di biglietti e con l’abilità di un cassiere di banca, ne verificò l’esattezza in qualche secondo.
“La somma è giusta?” chiese Irene.
“Perfettamente. Comunque glielo ripeto, non ho mai dubitato di lei che è sempre stata fra i nostri migliori clienti. Sa, per altro, che un credito totale le è accordato in permanenza.. .”
“Grazie ma per quanto mi riguarda con il gioco ho chiuso. Definitivamente!
Mi è costato troppo onorare il mio debito”.
Solo lei sapeva quanto le fosse costato. Si rivide, obbligata a cedere alle pretese sessuali odiose di Bonsal, l’usuraio che le aveva dato il denaro e della sua perversa segretaria. Kouhana bevve un’altra coppa di champagne e si lasciò sfuggire un rutto. Il suo volto era lucido di sudore.
“Lei è libera di agire come meglio crede, cara signora. Ma mi dispiacerebbe che serbasse un cattivo ricordo della nostra casa. Sappiamo mostrarci riconoscenti verso i nostri clienti sfortunati...”
Sì piegò schiacciando il doppio mento contro il collo del la camicia ed aprì un cassetto tirandone fuori una pila di gettoni per una grossa somma.
“Ecco qui tremila euro che io le rimetto a titolo di... bonus. Li giochi o li cambi, se preferisce. Ma poiché questa per lei sarà l’ultima volta, li perda divertendosi. E un regalo della casa. E poi chi può dirlo, magari sarà fortunata e si potrà rifare delle perdite precedenti...”
Il direttore si alzò, girò intorno alla scrivania e fece scivolare di autorità i gettoni nelle mani della sua cliente.
“Buona fortuna, signora de Sentier...”
Irene lasciò l’ufficio senza una parola e ritrovò il bailamme della sala da gioco. Aveva pensato di andare via subito ma ora decise di sedersi un attimo al bar per osservare i giocatori che, nei loro smoking, si agitavano intorno ai tavoli da gioco come mosche intorno ad una torta. Le dita della donna si contrassero sui gettoni. Che farne? Cambiar li alla cassa oppure giocare per un’ultima volta? in fondo quei soldi non erano suoi e non rischiava nulla a perderli e forse, come aveva detto Kouhana, avrebbe potuto anche vincere...
Dimenticati tutti i buoni propositi di poco prima, Irene si diresse verso il tavolo della roulette come ipnotizzata dalla pallina bianca e poi si sedette in uno dei posti liberi intorno al rettangolo di panno verde. Non giocò subito ma lasciò passare qualche giro per riabituarsi all’ambiente come un attore prima di entrare in scena.
“Fate il vostro gioco, signore e signori, fate il vostro gioco !”
Irene puntò tutto sul nero, decisa a finirla subito. Rien ne va plus! Il croupier lanciò la biglia di avorio che prese a girare con un rumore di cristallo che va in frantumi. In quel momento, a Irene non importava nulla di vincere o di
perdere. Sei nero e pari. Aveva raddoppiato la sua puntata! Il croupier spinse davanti a Irene due pile di gettoni di uguale altezza e lei puntò di nuovo tutto sul nero mentre la pallina riprendeva la sua corsa folle... Diciotto nero e pari. In un minuto aveva quadruplicato i suoi gettoni. Se avesse giocato con discernimento poteva magari anche riguadagnare i suoi cinquantamila euro...
Da quel momento prese a puntare sui numeri e un’ora più tardi non le restava nulla, neppure un gettone. Rien ne va plus.
Lentamente, con le mani umide di sudore, lasciò il tavolo della roulette si diresse verso il bar dove Kouhana stava sorseggiando un whisky con il ghiaccio. L’uomo si passò la lingua sulle spesse labbra prima di dirle con un sorriso.
“Non si preoccupi, signora, le faccio subito portare altri gettoni perché lei possa continuare il suo gioco.”
Fece un cenno ad uno dei suoi sbirri e un minuto dopo deponeva il corrispondente in gettoni di diecimila euro davanti ad Irene. Lei si disprezzava per essere ridotta ad accettare del danaro da quell’uomo disgustoso ma in quel momento una cosa sola contava: giocare, giocare e ancora giocare. Ringraziò Kouhana senza far trasparire nulla dei suoi sentimenti e, con classe, andò a riprendere posto al tavolo della roulette. Decise di puntare su quattro numeri alla volta più un colore a mille e cinquecento euro al colpo. Vinse due volte con il colore ma perse con i numeri e, poco a poco, verso le due del mattino, era rimasta di nuovo senza nulla. Ormai pronta a tutto, tornò ancora a farsi prestare altro denaro da Kouhana segnando un riconoscimento di debito per cinquantamila euro e il meraviglioso inferno ricominciò:
Pari, Dispari, Rosso, Nero... La pallina continuava a girare e Irene perdeva. Alle cinque era di nuovo completamente a secco.
Livida, si diresse verso l’ufficio di Kouhana entrando senza bussare. L’uomo sembrava aspettarla. Le porse una coppa di champagne che lei rifiutò bruscamente.
“Non posso pagare subito...”
“Non importa! Le lascio fino a stasera per trovare i soldi.”
“Ma, in così poco tempo, non è possibile! Mio marito ignora che io gioco così forte e se venisse a saperlo, sarebbe una tragedia. Chiederebbe il divorzio! La prego, Kouhana, mi lasci più tempo!”
“Mi dispiace, signora, ma ho anch’io delle scadenze improrogabili. Cerchi di procurarsi i soldi per stasera. Se proprio non ci riuscisse, venga comunque da me. Troveremo una maniera per metterci d’accordo...”
Stanchissima e piena di angoscia, Irene de Sentier lasciò il circolo dimenticando persino la sua stola di ermellino e tornò a casa come una sonnambula. Nicoletta, la sua cameriera, si era già alzata e l’aiutò a spogliarsi e mettersi a letto. Poi le fece inghiottire un calmante in maniera che potesse riposare meglio.
Irene dormì per tutta la giornata. Verso le venti, Nicoletta la svegliò e le preparò un bagno. Irene si immerse nella vasca restandoci per più di un’ora. Il calore dell’acqua le fece bene ma, man mano che il suo torpore si dissipava, l’angoscia riprendeva a contrarle il ventre. Sarebbe dovuta tornare al circolo e dire a Kouhana che non aveva il denaro per saldare il debito...
In qualche modo rassegnata, si raccolse i capelli a crocchia in una pettinatura che le conferiva un’aria severa ed indossò un vestitino leggero e molto semplice di Saint Laurent.
In cucina, prese dal frigo una coscia di pollo e la mangiò in piedi mentre la cameriera chiamava un taxi.

Kouhana non ricevette subito Irene de Sentier lasciandola per un bel po’ sui carboni ardenti così che quando lei entrò nel suo ufficio si trovava in uno stato di nervosismo estremo. Sempre molto ossequioso, il direttore le si fece subito incontro porgendole la sua grassa mano molliccia al cui contatto la donna si sentì rabbrividire di disgusto. Piena di angoscia Irene si lasciò cadere nella poltrona che il suo ospite le indicava.
“Purtroppo non sono riuscita a trovare il denaro,” disse in un soffio.
Kouhana prese un’aria falsamente dispiaciuta.
“Mia cara signora, sono desolato! Ha chiamato i suoi amici? Davvero nessuno può prestarle almeno una parte della somma?”
Irene scosse la testa. In realtà non aveva interpellato nessuno perché sapeva bene che sarebbe stato inutile. Non aveva chiamato neanche Bonsal, l’usuraio, che la volta precedente le aveva dato il denaro, almeno in parte, la parte che mancava l’aveva dovuta pagare con il suo corpo in cambio della sua collana di diamanti. Ormai, dopo tutte le perdite al gioco, non le restava più un gioiello che valesse qualcosa. A meno che Kouhana...
Irene guardò il grassone vestito con un abito bianco di buon taglio e con una camicia di seta pura. Kouhana la stava fissando con uno strano sorriso all’angolo delle labbra, come se si aspettasse qualcosa da lei. Irene fece un profondo respiro e si gettò allo sbaraglio.
“Ieri, o meglio stanotte, lei mi ha lasciato capire che forse avremmo potuto metterci d’accordo...”
Kouhana sollevò un sopracciglio come se non si ricordasse per nulla di questo fatto. Poi si passò la mano sui capelli imbrillantinati, prendendo tutto il suo tempo per rispondere.
“Sì, ora mi ricordo e certamente se lei mi rendesse un certo servizio potrei anche dimenticarmi del suo debito...”
Folle di speranza, Irene si aggrappò subito a quella opportunità
“Mio marito è un importante funzionario del Ministero del Commercio Estero e se lei avesse dei problemi con la sua casa da gioco potrebbe benissimo darle una mano...”
Kouhana piegò le labbra in una smorfia.
“Veramente non pensavo ad un servizio di questo genere. Avevo in mente... un’altra cosa... se riesco a farmi capire. Lei è molto bella, molto attraente... “
Così di questo si trattava ! Kouhana voleva andare a letto con lei. Irene cercò di riflettere. La cosa la disgustava, certo, ma in fondo non di più che con l’usuraio. Con un sorriso amaro si alzò e, lentamente, il cuore che le batteva forte, girò intorno alla scrivania. La storia ricominciava come con Bonsal e come con Bonsal, suo malgrado, Irene avvertiva un vergognoso calore nel basso ventre. Quell’esperienza sordida con l’usuraio l’aveva umiliata ma l’aveva anche fatta godere. Di un piacere malsano, certo, ma il cui gusto infame lei stava ritrovando in questo momento.
Si immobilizzò davanti a Kouhana che però rimase immobile limitandosi a fissarla impassibile. Allora, pensando che l’uomo volesse che lei si umiliasse da sola, fece appello a tutto il suo coraggio e si sbottonò l’alto del vestito
scoprendo i seni compressi nel reggipetto ricamato. Attraverso il tessuto bianco si potevano scorgere le sue areole brune.
Kouhana continuava fissarla senza alcuna reazione e Irene provava adesso un turbamento abietto nell’esibirsi così davanti a quest’uomo disgustoso, un turbamento che la faceva vergognare. Con un movimento delle spalle si lasciò scivolare il vestito per terra rivelando il suo tanga brasiliano dalla stoffa impalpabile e trasparente. A questo punto, Kouhana ebbe una reazione.
“Mi perdoni, signora de Sentier, ma lei non mi ha capito bene. Non sono io la persona che...”
Irene si immobilizzò come stordita. A che gioco giocava costui ? Che cosa voleva da lei ? Più presto che poté, si infilò di nuovo il vestito ingarbugliandosi con le manica tanto si sentiva in imbarazzo mentre le gote le bruciavano dalla vergogna. Avrebbe voluto fuggire dall’ufficio di quell’ignobile Buddha che la guardava sorridendo ironico ma le gambe le tremavano talmente che fu costretta a sedersi di nuovo. A quel punto Kouhana si decise a spiegare cosa volesse.
“Dato che, a quanto sembra, lei non ha alcuna difficoltà a spogliarsi davanti alla gente, credo di avere un lavoro per lei, - disse il grassone con voce melliflua. - Un lavoro che le permetterà di saldare il suo debito...”
“E di cosa si tratterebbe... esattamente ?”
“Per il momento non posso essere molto più preciso,” rispose l’altro con un sorriso ambiguo. “Dovrà rimettersi completamente a me ma, grosso modo, si tratterà di utilizzare... il suo grazioso corpicino. Comunque è prendere o lasciare. Allora ?”
Irene pesò il pro ed il contro. Da una parte, il divorzio e la perdita dei privilegi, dall’altra.., l’umiliazione e la vergogna. Ma un’umiliazione e una vergogna che, in qualche modo, la riempivano già di un turbamento abietto. Con voce appena udibile accettò la proposta di Kouhana.
“Molto bene,” fece quello con una risatina gioviale, “Allora l’aspetto per domani sera alle otto e mezza precise come una brava impiegata!”
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