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Torture


di Dariosc
19.04.2024    |    55    |    6 8.7
"Trascorsero venti minuti di sevizie, le più atroci le Patrizia..."
UN GIORNO FERIALE

La ragazza tremava così come una foglia in balia del maestrale.

L’uomo la guardava dall’alto, su di lei, con i suoi occhi di ghiaccio e la donna, l’aguzzina che l’aveva preparata al dolore, gli stava accanto, in attesa.

Patrizia la osservò meglio, l’aguzzina. Sorrideva quella stronza! Ed aveva il sorriso di Satana, ma quant’era bella!

“No! La prego, no!”

La ventiquattrenne vide l’uomo armeggiare con gli strumenti, ed iniziò a dimenarsi, a piangere come una bambina, e la gonna si alzò quanto non doveva.

L’uomo si girò, dimenticando per un attimo l’oggetto che gli sarebbe servito, ed osservò quelle cosce compiaciuto per quel che vedeva.

Pensò che avrebbe gradito di potersi dedicare anche a loro, ma non c’era tempo per quelle e si volse verso la donna; sorridendosi, complici.

Si concentrò su quanto doveva fare sul corpo di quella giovane paziente, sapendo che avrebbe sudato sette camici con lei ma che, alla fine, sarebbe rimasto soddisfatto del suo lavoro.

Un “tortura” la chiamavano, ma perché se era un’arte? Si chiese.

Guardò la ragazza. Lei si sarebbe lamentata che le aveva fatto male. Era sempre così con le giovani di quell’età, mai grate delle attenzioni che lui riservava loro; solo a loro. Le sue cerbiatte, le chiamava, parlando con la donna quando rimanevano soli.

Si lamentavano degli strumenti. Gli urlavano che le apriva all’inverosimile. Piangevano perché le faceva sanguinare. Tremavano per il dolore e lui non era ancora dentro di loro, senza averle le ancora toccate, nemmeno con un dito, guantato. Usava sempre i guanti, quando le trattava.

Un solo appellativo: paurose. Terrorizzate al solo pensiero delle sue mani d’artista dentro di loro.

Chi era Patrizia? Era una giovane ventiquattrenne, come tante. Bionda, occhi castani, dal fisico longilineo. Non una di quelle che quando passano gli si urla “a gran fica, me la dai?”, ma il suo Sex appeal lo aveva.

L’uomo, era un quarantasettenne dal fisico curato, che sembrava attratto dalle sue labbra e…dal suo seno. Patrizia lo aveva sorpreso più di una volta mentre fissava, bramoso, le sue labbra e sbirciava nell’incavo della sua terza misura, sbavando.

Lo guardò, disperata. Non voleva che la torturasse e non voleva provare dolore. Quel tipo di dolore, ma quello le si avvicinò col trapano e la allargò.

Lei pianse di più, sperando, inutilmente, che la porta si spalancasse improvvisamente e che entrasse Paolo, a salvarla dalle grinfie di quel mostro dal ghigno malefico.

Paolo, il suo ragazzo, ignaro di quelle atrocità che da lì a poco lei avrebbe subito, era a pochi metri, intento a chattare con gli amici. Paolooooo! Voleva urlare, ma le fu impedito.

E la “tortura” ebbe inizio.

L’uomo usò le dita per allargarla, avvicinò il suo viso a pochi centimetri da quella parte di lei, così intima, e scrutò bene la caverna che gli si prospettò davanti.

Oramai, Patrizia era nelle sue mani.

Nessuno avrebbe potuto fermare quel mostro e lui, noncurante dei suoi lamenti, infilò un dito dell’altra mano, iniziando a tastare, premendo sempre più forte. E le fece male, molto male.

Patrizia si agitò e provò ad urlare per il dolore che l’aveva investita, fulmineo come una scintilla, ma la donna era intervenuta e la spinse indietro, immobilizzandola.

In quel trambusto, il golfino si era spostato e l’uomo potè godere della vista soave di una mammella della ragazza, più fuori che dentro il reggiseno, e quello che ne conseguì fu un’erezione immediata, trattenuta a stento dai boxer.

L’uomo pensò che la giornata si sarebbe conclusa con una meritata sborrata tra le labbra per cui bramava tanto.

Si rivolse alla donna. “Così non ci siamo. Va preparata meglio.”

E la donna, fredda e insensibile all’orrore urlato dagli occhi di Patrizia, intervenne, penetrando la carne tenera. La ragazza non sentì più nulla.

Trascorsero venti minuti di sevizie, le più atroci le Patrizia.

L’uomo scavò col trapano, raschiò quelle zone così delicate, martoriandole, e ci fu sangue. Ma lui non si fermò mai.

Stanco, posò il trapano.

Non era finita! Patrizia lo vide tornare con una pinza fra le mani.

Chiuse gli occhi!

Tutto finì.

Patrizia fu accompagnata da Paolo che, ignaro delle torture patite dalla sua ragazza, ringraziò prima di andare via.

Erano ancora in ascensore, quando l’uomo, calatosi le braghe, infilò il suo membro turgido tra le labbra della donna, scopandola in bocca.

In strada Paolo chiese a Patrizia: “amore, ti ha rimosso la carie?”

Lei lo mandò a quel paese e, per quel pomeriggio, Paolo si potè scordare il pompino per cui l’aveva accompagnata.
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