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La Duchessa - Cap. 3


di Dariosc
28.04.2024    |    29    |    2 6.0
"Il nobile cornuto li aveva raggiunti e si era fermato, intento a osservarli..."
Nel corso della notte, il principe aveva abbandonato l’usuale portamento rigido a favore di un atteggiamento più rilassato, sollevandole un ginocchio e cingendolo con il braccio. In tal modo, il percorso del suo membro sarebbe stato facilitato, sino alla completa penetrazione della giovane topa.

La principessina si era sorpresa a studiare la grazia della sua postura, il polso in equilibrio sul ginocchio, le membra lunghe ed eleganti, il suo membro svettare e farsi strada, prima tra i suoi seni, poi dentro di sé. Era come trovarsi dentro una fossa in compagnia di un serpente. Lui poteva rilassarsi, lei no. Quel che erano carezze, potevano divenire torture, atroci, in un nonnulla.

Più o meno un’ora prima dell’alba, il principe, padre adottivo, si alzò. «Basta così per questa notte,» aveva annunciato. Poi, sorprendendola, aveva lasciato la stanza, senza un saluto. Lei ne aveva approfittato per riposare, costringendosi a stendersi e a chiudere gli occhi. Solo allora si accorse che quella parte le bruciava, fastidiosamente.

Nello stesso frangente, il Duca stava attraversando il piazzale, diretto verso la Porta, quando, da dietro una tenda, gli giunse la voce che conosceva bene. Era quella di Razz, il Barbarossa. «Devi dirmi chi è stato, in modo che possiamo occuparcene.»

«Non importa chi è stato. La colpa è mia. Te l’ho già detto.» Il tono ostinato di Francisco, l’iberico, era inconfondibile. «È stata colpa mia. Me la sono cercata. Lui stava insultando la principessina.»

Razz, il barbarossa, disse: «Perché mi nomini la principessina? Io l’ho vinta ai dadi, la duchessa, e ho trovato un altro che l’impalava.»

«Perché me lo chiedi?»

«Perché ti ho già visto barare e scatenare una rissa.»

L’iberico gli scoccò un’occhiata poco amichevole. «Mi avevano detto che avevi la bocca larga, Razz. Sai cosa farò? Mi faccio fare un massaggio da lei, e tu starai a guardare.» tagliò corto. « e tu , datti da fare. Non sei qui per oziare. Impalati da sola.»

Sentendo quelle parole, il duca trasalì. La duchessa, sua consorte, era dentro quella tenda e Francisco, l’iberico, la stava impalando, lasciando Razz, il Barbarossa, all’asciutto.

Decise di sostare. Ogni occasione in cui quel gradasso, barbaro, era castigato, era un momento di godimento per lui. Peccato che non avrebbe potuto usare il guanto per darsi piacere, udendo le urla di eccitazione della duchessa.

Che aspetti? Servimi.» disse Francisco

«Servirvi?» ripeté la duchessa.

Si sentì sopraffatta da quelle parole. Lei, una nobile, alla mercé del membro turgido di un barbaro.

«Hai dimenticato come si fa?»

«L’ultima volta non è finita bene per me. L’hai trattata senza i riguardi che merita il mio casato.»

«Allora ti suggerisco di comportarti meglio. » ribattè l’iberico. Poi gli voltò lentamente le spalle e attese.

Nello stesso istante, in un’ala di un altro castello.

I lacci del suo farsetto cominciavano dalla nuca e si spiegavano in una linea continua lungo tutta la schiena.

Per cominciare ad allentare i nastri, il Mastino dovette scostare, con le dita, le punte dei capelli dorati, morbidi come la pelliccia di una volpe.

Quando lo fece, la principessina chinò quasi impercettibilmente il capo in avanti, per facilitargli il compito.
Essere spogliata da un servo era normale per un principessina e lei accettò il servizio con l’indifferenza di chi vi era avvezza.

L’apertura nel broccato si allargò, rivelando al di sotto una camicia bianca, che era stata premuta contro la schiena dallo spesso tessuto esterno. La camicia e la pelle della principessina avevano la stessa delicata sfumatura eburnea.

Il Mastino fece scivolare le falde del farsetto sulle spalle della giovane e, per un attimo, sentì sotto le dita la tensione dei suoi seni.

«Può bastare.» lo fermò la ragazza, scostandosi e gettando da sola l’indumento da una parte. «Aspettami seduto al tavolo.»

Lui andò e lei si avvicinò, inginocchiandosi ai suoi piedi. Le sue mani si mossero abili, a liberare il mastino del Mastino, e la ragazza cominciò a sbucciarlo, gustandone il sapore.

Aldilà della raduna, il Duca scese da cavallo e, quando raggiunse la tenda in cui era la duchessa, sua consorte, si fermò qualche minuto a osservare, senza essere visto.

Il suo sguardo si posò su Razz il Barbarossa e su Francisco l’iberico, e poi sulla duchessa.

Non c’era zuffa tra i due contendenti.

Sentì l’iberico rivolgersi al barbarossa. «La sai usare?»
«Sì.»

Lo sguardo negli occhi di Francisco tradiva chiaramente le sue intenzioni.
«Non è una buona idea» provò a dissuaderlo Razz.
«Hai ragione. Non ti piacciono i confronti diretti,» ribatté l’uomo. «Preferisci fartela alle spalle? Hai paura di darle qualche colpo, con me?»
«No.»

«Allora che c’è? Non sai batterti?» lo provocò Francisco. «O sei venuto per andare a letto con la duchessa, da solo?»
Razz si lanciò all’attacco ed infilzò la dama da dietro. Francisco la ingaggiò e la penetrò davanti, e si trovarono immediatamente impegnati in uno scambio serrato di colpi.

Lo scopo di Francisco era chiaramente quello di sfiancare l’eccitazione del barbarossa e non fece nulla per trattenersi. Iniziò a spingere a fondo, con ritmo forsennato e Razz dovette fermarsi per non godere anzitempo.

Era il tipo di combattimento incalzante e violento che avveniva durante una battaglia, non in un duello, i cui primi scambi erano in genere cauti e riflessivi, specialmente contro un avversario di cui non si conoscevano le capacità. Lì, invece, i loro membri cozzavano l’uno contro l’altro, divisi da una membrana sottile e il diluvio dei colpi si interrompeva solo per qualche secondo, qua e là, per poi riprendere con l’iniziale ferocia.

Francisco era bravo. Tra i migliori su quel campo, una caratteristica che condivideva con pochi altri e che la duchessa aveva imparato ad apprezzare. La loro lite era il suo orgasmo.

Era passato più di un mese dall’ultima volta in cui la dama aveva impugnato la verga dell’iberico, ma le sembrava che fosse trascorso un secolo dallo sventurato giorno in cui lei, avvezza a membri smisurati, aveva ingenuamente chiesto di vedere il suo sedere violato da quell’arnese, ed i giorni trascorsi non erano neanche stati sufficienti a fargli sparire le lacerazioni subite.

Le era mancato battersi contro quel mostro. Ancorarsi alla fisicità dello scontro, concentrarsi su un gesto, mossa e contromossa a una velocità tale da trasformare il pensiero in istinto, soddisfaceva qualcosa di profondo dentro di lei. Il desiderio di essere violata con la brutalità dell’iberico, intanto che il Barbarossa si affannava dentro di lei.

Tuttavia, lo stile di combattimento dell’iberico era tale che le sue risposte non potevano essere unicamente automatiche e la Duchessa si scoprì a provare una sensazione che era in parte liberazione e in parte piacere puro, pur conservando uno stretto controllo sui propri gesti.

Dopo un altro minuto o due, Francisco si liberò e imprecò. «Vuoi penetrarla bene o no?»
«Hai detto che avremmo scambiato qualche colpo.» rispose Razz.

Francisco fece un passo indietro e si sfilò dalla dama. Razz si mise lentamente in piedi, davanti la sua bocca, la sua verga, abbandonata, vibrava nell’aria.

Nessuno dei due disse una parola. Francisco continuò a spostare lo sguardo dal proprio membro a quello di Razz e viceversa, ma non si mossero.

Fu allora che Razz sentì la mano del Duca posarglisi sulla spalla; staccò gli occhi dall’iberico e li puntò nella direzione che il Duca gli aveva indicato con un cenno della testa.

Il nobile cornuto li aveva raggiunti e si era fermato, intento a osservarli.
«aspetta che la infilzi come sai fare» disse il Duca.

Razz non si mosse e il Duca non riuscì a interpretare la sua espressione. «Che c’è?»
«Francisco è più bravo di me.»

Il Duca non seppe trattenere un sospiro divertito a quelle parole, né trattenne la lunga occhiata dalla testa ai piedi e viceversa con cui scrutò la Duchessa; occhiata forse appena un po’ insolente, ma tanto peggio per lei.

La donna arrossì. Le sue guance s’imporporarono e un muscolo gli guizzò sulla mascella, come se stesse cercando di reprimere con forza ciò che provava, qualunque cosa fosse.

Il Duca non l’aveva mai vista reagire in quel modo, e non riuscì a resistere alla tentazione di provocarla ancora un po’.

Le propose: «Ma non mi dite, mia Dama! Volete scambiare ancora qualche colpo, in amicizia con questi due combattenti?»

«No.» La dama, disturbata dal Duca consorte e cornuto, si rialzò, sistemandosi la veste.

Qualsiasi cosa stesse per succedere fra il Duca e la Duchessa fu interrotto da Francisco:

«Vostra Signoria, se avete bisogno di altro tempo con...»

«No,» lo interruppe la Duchessa . «Parlerò solo con te, piuttosto. Seguimi nel mio appartamento.»

I due si allontanarono, lasciando il Duca in compagnia di Razz.

«Ti odia», commentò allegramente il Duca, «il tuo Duca ha il guanto che ti è utile in questi frangenti.»

Lo getto in terra e lasciò che Razz si dedicasse al suo piacere solitario.
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