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Olivina gemeva tutta 2a p. (l'ultima notte)


di sexitraumer
19.10.2009    |    18.655    |    0 6.9
"Finita la mia colazione mio padre aprì un bauletto, e tirò fuori le vesti pulite e profumate per me..."
Si strusciava continuamente tra le carni di mia madre, poi finalmente le entrò nella fica quando lei disse:

“Servitevi pure … ahnnnn … revere … ahhnnn … ndo … ahhhhh … sono vostra!”
“Siete bella voi Annamaria … che culo stupendo che avete … una vera grazia del Creato … invidio vostro marito che può avervi sempre … ahnnnnn … quasi sempre … ahhhnnn !”
“Sempre... ora però fate! mi sento così puta a dover nominare lo marito mio in un momento così ”
“Non siete una puta Annamaria … ora siete mia! E vostro è il mio batacchio che suona la campana vostra … ahhhh … dentro di Voi Signora!”

Finì di strusciarsi e scostando un po’ la coscia alla mamma glielo mise dentro tutto; fino in fondo.

“Ahhhn … uhhhh Fate Don Grico, fate! il mio corpo è vostro … attendo il vostro seme caldo … perdonatemi marito mio … Voi sapete lo faccio,… ahnnnn… per nostro … figliiiiiiioo! ahhhnnnn e siete prete! e come mi chiavate!”

A udire tal favella mia madre stava godendo sinceramente; quel prete, il mio precettore, sapeva come muoverlo il suo cazzo. Semplicemente non avrebbe potuto fare diversamente con quelle movenze esperte di lui.

“Pregherete dopo Annama … ri … a … pensate solo al godimento delle vostre amorevoli carni mia dolce signora per me è un piacere scoparvi la fica ”

Andava avanti e indietro scopandosi bene mia madre nella fica. Mia madre godeva delle cariche di Don Grico. Eppure direi che quella volta, anche se vidi mia madre dolce cagna per il mio precettore, questi la trattava con rispetto nel prenderle le natiche ed i fianchi. Nella faccia di Don Grico c’era sicurezza, compiacimento e poca libidine; forse da prete gli era stato insegnato a reprimerla la libidine … Nel veder mia madre così bella, burrosa, passiva ad offrir le carni, mi prese l’eccitazione al sesso; però la sentivo partire dai coglioni. Presi a menarmi l’uccello. Infatti mentre mamma allargò un po’ le cosce credetti veder colare la sua fica pensando al pelo scuro zuppo. Appena uno schizzetto, e Don Grico dopo una rapida, e vidi famelica, leccata all’inguine, ed una alla vulva pelosa e quasi zuppa le rimise il cazzo dentro e …

“Sì! Ancora Sì! spaccatemi tutta Reverendo ahhh”
“Avete l’orgasmo Annamariiiiaaaa ?”
“Sì ahn! Sbrodolo caricate! caricate Don Grico!...ahnnnn, ahnnnn, ahnnnn …”
“Ve lo do Annamaria, ve lo do… Di voi si gode bene Annamaria siete, ahnnn un caldo fior di femmina ahhnnnn ”
“uhhhh, uhhhh, se state per venire, mettelo al culo Don Grico! Sono pronta!”
“Sì, sì,… ve lo metto al culo signora però com’è calda la vostra fica! ancora un po’”
“Non mi godete dentro Don Grico annnnn, uhnnn, questo a mio marito non lo posso fare godete nel mio culo Reverendo nel culo ”

Il mio precettore uscì dalla fica di mia madre col cazzo ch’era ancora una mazza grossa. Mia madre salì del tutto sul letto, e si accovacciò ginocchioni col culo verso l’alto. Ebbi un attimo di smarrimento. Si allargò lei stessa l’ano giocando con i polpastrelli delle dita un paio di volte, e Don Grico puntando la cappella dura da sopra le scese contro. Vidi cedere lo sfintere di mamma in pochi istanti e tutto cazzo suo entrò alla fine nello di lei culo. Anche il mio era grosso turgido e pronto a dar la sborra. Continuavo a menarmelo nascosto dalla finestra del giardino guardando quei due. Don Grico si muoveva col cazzo afferrato e catturato da quel culo. Era beato. Ormai infoiato dal sesso si era tolta la tonaca; era nudo e non avrei mai sospettato che fosse così prestante di gambe e di braccia. Sapevo cosa si provava a prendere una femmina di dietro e nel di dietro ben addentro. Il viso di mia madre sembrava soffrire, anche perché il mio precettore ce l’aveva grosso. Non contai i colpi. Alla fine però venne e le travasò il seme nel culo. Dopo aver sparato l’ultimo colpo si accasciò lungo la schiena di mia madre, e baciandole il collo le afferrò i seni, quindi si addormentò. Nostra madre dormì con lui. Io non me ne ero accorto, ma avevo goduto quasi contemporaneamente a Don Grico. Che bel culo quello della mamma … dormirono esausti e congiunti. Io avevo visto abbastanza, ed in punta di piedi uscii dalla casa del prete. Me ne tornai a casa inebetito senza alcuna voglia di reagire a niente. Forse rimossi l’episodio, e non lo dissi mai a mio padre che lavorava tutto il giorno, e la sera pure. Tantomeno l’avrei mai detto ad Olivina. Forse no. Mi facevo le seghe tutte le notti pensando al sapore del corpo di Olivina, ed a quel culo di mia madre. Guardai il mio precettore ovviamente con occhi diversi considerato quello cui assistetti. Passarono un paio di mesi nei quali pur non valutando il mio futuro presi a studiare duro fino ad impressionare Don Grico. Cominciavo a giudicare il mondo; cominciavo a sentirmi superiore un po’ a tutti. Don Grico con quella sua “licenza” era riuscito a farmi crescere in un altro senso però. Ormai quando mia madre andava a trovare il mio precettore per pagare le mie lezioni private sapevo già con quale moneta le pagasse realmente. Mio padre le dava il denaro necessario; in teoria dodici ducati a bimestre; di quei soldi relativamente “risparmiati” noi potevamo beneficiarne quasi. A mia sorella Olivina il corredo era in via di ultimazione; nostra madre le stoffe andava a comprarle ad Otranto dai mercanti appena sbarcati … mio padre ed io avevamo qualche camicia in più, e dei calzari nuovi quando i miei amici per non consumarli troppo d’estate si muovevano a piedi nudi. Non seppi mai se mio padre fosse informato delle prodezze amatorie del precettore mio. Un pomeriggio di settembre ebbi una notizia che mi paralizzò: dovevamo tutti farci il bagno alla tinozza con l’acqua di rose e di lavanda. Io e mio padre per primi; nostra madre ed a seguire Olivina per ultima. L’indomani mattina avremmo preso il carretto e ci saremmo recati a Martano dove ci aspettava la famiglia del notaio Tresoldini per il fidanzamento del di lui figlio Ranuccio, suo futuro successore, e mia sorella di anni ormai diciotto Olivina. Già nostro padre aveva deciso che a quell’età Olivina sarebbe andata incontro alla vita; ad una solida vita da bravo angelo del focolare di un futuro notaio … Avrei perso la mia sorellina che, un po’ di caritatevole sesso casalingo, mai ebbe a negarmelo a condizione che non le togliessi la verginità: la sua unica moneta di scambio per il futuro. Mentre mia madre aiutava mio padre a lavarsi, pensavo alle dolci mani di Olivina nel prendermi il cazzo per una pippatina almeno ogni tanto. Quanto dolce era la sua liscia passerina alla mia lingua, con cui avevo potuto sentire anche quel solletico unico alle guance dai primi peli dell’adolescenza; mentre adesso aveva un vero e proprio boschetto da donna da marito. Passai l’intero pomeriggio a rimuginare taciturno. Olivina invece era felice e ciarliera. Chiedeva sempre del suo Ranuccio, se era bello, brutto, biondo, bruno … in realtà attratta com’era dal titolo futuro del futuro marito, non stava in sé dalla gioia. Feci il bagno anch’io un po’ soprappensiero, e sotto l’acqua mi menavo un po’ l’uccello quando guardavo di sfuggita Olivina; la mia Olivina. Finito di lavarmi mio padre mi prese di forza, e mi portò alla messa della sera intanto che mamma ed Olivina si facessero loro il bagno. Anche papà prese a parlarmi del suo amico notaio e di come si fossero conosciuti. Era contento per la festa di fidanzamento. Mi chiese se volevo divertirmi anche io una mezz’oretta da Cosimina; io ero talmente a lutto che dissi di no. E poi caro padre mio, sudando di nuovo, a che sarebbe servito il bagno ? Lui disse che era un peccato perché la settimana prima da Cosimina si era recato, e mi disse che era diventata piuttosto brava … ed io che mi preoccupavo per mia madre e Don Grico … quando le campane batterono l’ora nona tornammo a casa per la cena. Olivina e mamma stavano apparecchiando. Ringraziammo il Signore per il cibo, e ci apprestammo a cenare. Un’ora dopo mettemmo pronti i bagagli all’ingresso ed io ed Olivina venimmo mandati a letto; dormivamo di sopra. Nostra madre accese solo una piccola candela all’angolo della stanza e ci lasciò soli. Augurai la buona notte ad Olivina. Ma ero triste … ero sicuro che domani sarebbe rimasta a casa del notaio di Martano. Non riuscivo a dormire, e finché sentivo i nostri genitori svegli e muoversi non osavo muovermi. Quando le campane diedero la mezzanotte mi alzai. Restai seduto un po’ di tempo, poi non sentendo movenza alcuna mi diressi a piedi nudi verso la candelina accesa. La presi piano piano e lentamente mi diressi verso il giaciglio di Olivina, un letto di legno col materasso di cotone riempito di paglia. Sembrava dormire beata; solo il lenzuolo bianco a coprire il suo corpo profumato dal bagno. Le sollevai il lenzuolo e la vidi con le mutande e la camicia bianca che lasciava scoperto l’ombelico. Un vero bocciolo. Di lì a qualche mezza giornata l’avrei perso. Tenevo la candela sopra le ginocchia di lei, e non illuminavo direttamente il suo viso rilassato nel sonno. Mi guardavo il suo corpo giovane innamorato di quella intima penombra. Quando provai a scostarle le ampie mutande di cotone bianco mi venne un colpo di letterale paura. Fu un istante. Venni toccato verso l‘altro braccio. La voce che sussurrava però mi era familiare, e questo poté rincuorarmi almeno un poco, anche se il batticuore ebbe a continuare …

“… Toraldo!”
“…
“Dì cosa credevi? che non me ne accorgevo?”

Spostai la candela inginocchiandomi verso la testa Olivina anche per sentirla meglio; in quella situazione così intima prese a darmi del tu invece del nostro formale voi che usavamo in famiglia per far credere ai nostri genitori che mantenevamo certe distanze. Il tu non lo usavamo da tempo, e la cosa dopo la mia iniziale sorpresa, mi piacque. Sentii Olivina più vicina. Io però a tratti davo ancora del voi insieme al tu ispirato dall’intimità del momento.

“Beh voi domani cioè tu domani entrerai a far parte della famiglia del tuo promesso Ranuccio e resterai lì ecco ”
“Sì e la cosa non ti piace, vero?”
“che ti devo dire ? mi …”
“Mi ?”
“mi piacerebbe avervi ancora una volta Olivina. Tutto qui.”
“Tu non puoi avermi Toraldo, la mia virtù andrà a Ranuccio mio futuro marito, non lo sapevi?”
“Sì, ma vorrei assaggiarvi ancora una volta … insomma prima che te ne vai per sempre …”
“Toraldo !”
“Sì?”
“Ultimamente ti sei comportato bene per cui …”
“ per cui?”
“Poscia Toraldo! insomma sia!”
“Allora ”
“ l’ultima volta Toraldo! Potrai avermi un’ultima volta, ma non potrai penetrarmi, devo sposarmi solo lingua! che quella già ce l’hai diavola! Niente dito davanti! e soprattutto niente pisello. Prometti Toraldo!”
Avrei sfidato chiunque fosse a due braccia dalla mia candela ad udire i nostri sussurri più intimi.
“Il dito è piccolo tutto sommato, no?!… nel di dietro … te lo posso mettere?”
“Non davanti Toraldo … non davanti!”
“Non davanti sorellina ve lo prometto!”
“Scaverete poco lì dietro caro fratello! Non voglio dolore …”
“Lo infilerò poco se t’aggraderà lasciarmi entrar col dito …”
“Bene allora aiutami a spogliarmi, fai piano, e sbottonami la camicia dietro il collo E mi raccomando: silenzioso quando lecchi; ti farò sentire il mio respiro col calore del mio seno, vedrai che ti piacerà non fare rumore che ci sentono; fra poco papà si metterà a russare e ci coprirà, ma tu fai tutto in silenzio ci siamo capiti Toraldo?”
“Sì ”
“Spegnete la candela. O alla fine ci vedranno! E orsù dunque accomodatevi!”

Spensi la candela tra due dita, scotto a cui ero da tempo avvezzo, e sistematala spenta sotto il giaciglio di Olivina, mi sedetti sul materasso cercando i seni a tentoni. Cominciavo con un gioioso batticuore a sfogare la fame arretrata del suo seno acerbo e sodo. Olivina tollerava ogni mio tocco sforzandosi di non gemere per l’imbarazzo. Avevo cominciato a percepirle il respiro colla guancia sul suo petto. Mi ero accorto intanto che si era tolta la camicia sbottonata da me poc’anzi. Al mio tatto sul suo dolce corpo in fiore restava con le sole mutande quando mi fece cenno di venire più vicino accanto a lei sul letto. Le presi i seni tra le mani e li strinsi continuando a baciarle il collo di labbra e di lingua. Poi le sussurrai pianissimo:

“vorrei toccarvi Olivina ”
“ancora no Toraldo! Pazientate!”

Obbedìi e mi misi a baciarle la schiena nuda. Olivina decise di assecondarmi e si stese a pancia sotto. Scesi un po’ dal giaciglio e vi risalii tosto per sistemarmi meglio e passarle la lingua mia leggera sulla schiena tutta. Intanto Olivina respirava smorzato per non indurre rumore. Le sue mani cercavano le mie parti intime, e mi liberai delle mutande acciocché potesse carezzarmi il membro ormai grosso quasi turgido. Avevo assaporato la sua schiena profumata dal bagno nella tinozza. Olivia era un bocciolo desiderabilissimo; continuai a baciarle devoto la nuca e le orecchie dietro. Alla fine dei miei baci devoti ed affettuosi si adagiò di fianco e prese a spipparmi. Apprezzai ed istintivamente mandai la cappella contro i suoi seni dritti e sodi anche se non grossi. Comprese e continuò a strusciare il glande sul suo piccolo fiero seno. Me ne solleticò la punta col capezzolo e mi divenne duro. Dei lunghi istanti che purtroppo non sarebbero stati eterni di quella dolcezza, di quel calore, di quell’alito del suo respiro vicino alla mia cappella. Se avesse continuato di tal guisa sarei venuto prestissimo. All’improvviso lo prese decisa in bocca e mi ritrovai mia sorella Olivina, con la sua dolce bocca, che andava avanti indietro per la mia grossa asta usando la sua piccola calda lingua … semplicemente indescrivibile … il demonio mi era stato sempre dipinto in nero, ma vi assicuro che è bianco e rosa. Lingua, saliva ed un dolce alito tiepido quando il glande era fuori dalla bocca prima di rientrarvi. Provai ad allungare le mani dietro la schiena sotto le sue mutande e stavolta venni lasciato entrare con le dita. Il suo ano era ben caldo. Avendo promesso di non cercar la fica arrivai fino al caldo e sudato inguine dove carezzai un poco per poi cercar di penetrare un po’ l’ano col medio. Olivina stava apprezzando; me ne accorgevo da come mi slinguava il glande vicino ormai all’esplosione … Olivina se ne accorse saggiandomi i coglioni gonfi … smise col bocchino; si alzò in piedi sul letto e lasciate cader le mutande mi mise la sua calda e bagnata vulva sul mio viso. Era l’invito a leccarla. La potevo assaporare per l’ultima volta. La slinguai famelico, schiavo della nostra condivisa libidine reciproca; mi bagnavo frenetico il naso, le guance e la faccia tutta di quella passera zuppa da tener vergine. Le afferrai le natiche; l’unico strumento consentito era la lingua. Presi a leccarla ancora di più : Clito, labbra, feci pure una scarpetta nel pertugio d’ingresso. Presi tra le mie labbra il suo piccolo meato urinario … qualunque fluido venisse da lì per me era come latte materno. Lei stessa muoveva la sua fica per affiancarsi alle mie movenze del volto. Improvvisamente la fica mi venne sottratta dal volto. Olivina si era abbassata di nuovo e mi disse sussurrando:

“uhhmmmfff siete un demone fratello ! Ora mi metto carponi e mi potrete avere … dietro!”
“Nel culo ?...”- chiesi di rimando eccitato debitamente.
“Sì datemi lì il vostro seme ! Ve lo consento solo oggi, e mai più! Entrate dunque finché lo avete duro ! Fate ciò piano! che nessun vi oda !”

Mi disse che potevo metterglielo nel culo ed avendolo duro ero deciso ad approfittarne. Mi appoggiai al suo culo e, cercato l’ano con le dita, glielo allargai, e tolto il dito, un secondo dopo la trafissi col glande. Feci tutta la pressione del mondo per entrare, entrare, entrare … andai avanti ed indietro come potevo, d’istinto con Olivina che aspettava prona l’inoculazione del mio seme. Sentivo i suoi respiri smorzati. Mi fermavo quando sentivo non facile avanzare anche per non indurre troppo dolore in mia sorella ch’era stata così amorevole col sottoscritto. La sentivo affannare piano e del pari piano facevo anch’io. Come sopportasse non saprei dirvelo. Ancora non riuscivo a crederci. La mia cappella veniva scaldata da quella congiunzione carnale e diabolica. Per fortuna di Olivina il mio pisello grossissimo non era, altrimenti poveretta !- chi avrebbe potuto impedirle di urlare?- Facevamo tutto con un complice silenzio in cui noi stessi soffocavamo il minimo rumore muovendoci piano, respirando garbatamente. La mia erezione per fortuna durava. Tenevo salde le natiche di Olivina. Mi muovevo cercando d’interpretare al meglio le sue movenze, poche dita avanti e indietro. Dopo un po’ all’improvviso sentii un colpetto all’inguine, e poi come un’onda; una piccola piacevolissima frustata da dietro le palle; un caldo piacere sentivo uscire dal mio pisellone direttamente dentro il suo culetto non più innocente. Il mio seme vi si era travasato alfine. Era il godimento mio nel suo caldo culetto che mi aveva poc’anzi accolto. Cercai di lasciarle tutto ciò che le mie palle mandavano, mandavano … poi un’ultima goccia e basta. Mia sorella Olivina ricevette il mio sperma. Tolsi il pisello. Lei si voltò, e mi mise la vulva pelosetta sopra le mie labbra poi, dopo averla tolta di nuovo, si abbassò e mi disse a bassa voce:

“Stenditi, poggia la testa comodo! Ti vengo io sopra. Tu non muoverti e continua a far piano Toraldo fatti una pippa ti prego, se senti che s’ingrossa, dentro di me non puoi entrare più …”
“Sei stanca? Vuoi dormire?”
“No, mi fa un po’ male, ma puoi usare la lingua …”
“… ma lasciamela leccare …”
“Certo, certo. Però da domani non mi tocchi più Toraldo! … solo la fica e solo adesso!”
“Allora la lecco?”
“Sì solo lingua! e ti vengo in faccia se vuoi … va bene?”
“Dai sì vieni, abbassati.”

Era comunque buio. Mi stesi sul cuscino col cazzo ormai moscio. Olivina abbassò il bacino sulla mia faccia e cominciò a sfregare la fica tra il mio naso e la mia lingua. Sentivo il pisello che si risvegliava. Ogni pochi istanti Olivina aveva preso a massaggiarsi il clito: lo sentivo sul naso, e sentivo pure il suo dito frenetico. Poi ancora il suo pelo contro la mia faccia. Slinguavo a caso, la sentivo dilatare le grandi labbra per far entrare la mia lingua nel roseo e salato pertugio. Potevo esplorarla dentro grazie al peso del suo bacino e coglierne direttamente gli umori colanti con la mia lingua esausta. Ero assetato del sapore intimo di mia sorella; dolciastro, salato, odoroso, ma anche urinoso. Ritirò il bacino e la mia lingua si trovò a mezz’aria: mi allungai come potevo per continuare a leccare quella magnifica giovane ostrichetta. Sentivo alcuni peli entrarmi in bocca, ma non me ne importava niente. Aveva allontanato il suo bacino perché era il momento; dalla vagina bagnata partì uno schizzo che mi colpì nell’occhio irritandomelo. Mi scendeva tiepido sulla guancia quando ne arrivò uno più piccolo, forse più denso, nonché salatissimo che colpì la mia lingua fuori. Lo ingoiai felice. Accelerai la pippa, esaltato da quei sapori in bocca, e venni anch’io. Poca sborra, ma le palle mi esplodevano comunque. Olivina mi prese per la nuca e mi strofinò più volte la fica bagnata e raffreddata dalla sua eiaculazione femminile. Poi mentre mi stavo addormentando Olivina mi disse:

“Tornate a dormire nel vostro giaciglio fratello, che devo scendere dabbasso a lavarmi …”
La baciai sulle guance; lei dopo pochi istanti mi respinse dicendomi:
“Andate!”

Me ne andai al letto felice, e cascai alla fine dal sonno emotivamente stremato. Venni svegliato all’ora ottava da mia madre che aveva già preparato la colazione per Olivina ed ora si apprestava a vestirla. Finita la mia colazione mio padre aprì un bauletto, e tirò fuori le vesti pulite e profumate per me. Mi vestii come un damerino di corte con tanto di bianco collare ondulato ed un rosso copricapo, ed un’ora dopo eravamo sul carretto con due cavalli, graziosamente prestati dal nostro signor Barone, in procinto di partire per Martano alla cui porta ci aspettava la famiglia del notaio Tresoldini con la tavola imbandita della loro casa. Una buona oretta durò il viaggio durante il quale Olivina mai mi guardò in faccia. Non ce l’aveva con me, ma capivo. Dovevamo dissimulare il più possibile con i nostri vecchi quanto fra noi accaduto la notte prima stessa. Era quasi mezzogiorno quando due persone ci aspettavano all’entrata di Martano. Il giovane era alto, magro, biondo; indossava una veste azzurra col collare anche lui; accanto a lui in piedi, reggendo le redini di un cavallo stava un uomo basso ed anziano con la barba rossiccia. Nostro padre fermò il carretto e scese. Vedendo il suo amico notaio si levò il cappello, e questi fece altrettanto. Scambiato questo ritualistico saluto reciproco l’uomo con la barba rossiccia si avvicinò al carretto afferrandone il legno:

“Mia signora …”-disse rivolto a nostra madre-“… è per me un onore darvi il benvenuto presso di noi; sono il notaio Giuseppe Maria Tresoldini e chiedo il permesso di presentarvi il mio giovane figlio Ranuccio; studente di gran valore, che un giorno Dio voglia lontano, avrà a prender il posto mio ”
“Prego signor notaio. Io e mia figlia Olivina siamo onorate di incontrarvi entrambi.”

Nostra madre gli allungò la mano per un brevissimo baciamano. Poi mio padre presentò Ranuccio, che già conosceva, a mia sorella Olivina, quindi a me. Lo favorì tra noi due a bordo del nostro carretto, e facente strada il cavallo del notaio procedemmo verso la loro magione. Ranuccio, bel tipino pulito timidissimo, restò in silenzio fino a casa. Arrivati che fummo, fu il primo a scendere, quindi favorì il braccio dapprima a nostra madre, quindi fatto il giro del carretto aiutò a scendere Olivina senza parlare con un lieve sorriso. Alla fine scesi anch’io. Delle persone all’uopo giunte presero le redini dei cavalli e sgomberarono la corte. La casa del notaio era grande, con una bella remesa, dalla quale si accedeva subito verso la sala del pranzo di fidanzamento. Tutto era imbandito a festa. Nostra madre fu felice di conoscere la moglie del notaio signora Lucia. Tutta gaiezza quel giorno. L’accordo tra le famiglie era questo: quest’oggi Olivina sarebbe entrata a far parte della famiglia del notaio, e dopo una settimana si sarebbe, come in effetti avvenne, sposata con Ranuccio. La tavola era imbandita ed il notaio disse che presto sarebbero accorsi dei musici ad allietare il pranzo dopo il quale ci sarebbero state le immancabili danze. A metà del pranzo il giovane Ranuccio avrebbe chiesto a mio padre la mano di Olivina, e mio padre neanche a dirlo, avrebbe senz’altro accondisceso. Libagioni, vino, musica e allegria. Di invitati pochi, e tutti di Martano parenti del notaio. Vidi una femmina decisamente poco bella nonché tonda che mi aveva fatto buoni occhi durante il pranzo; mio padre mi ordinò d’invitarla per le danze e lo feci mal volentieri: non avevo alcuna intenzione di fidanzarmi né di sposarmi io quel giorno. La donna di ventisei anni si chiamava Francesca, e finora non aveva trovato pretendenti nonostante il procace seno. Di solito una tettona trovava sempre. Per quel pomeriggio la feci divertire, ma non la illusi punto. Olivina e Ranuccio si piacquero in quell’atmosfera gioiosa. Noi tornammo dopo una settimana per le nozze e mia sorella all’una del pomeriggio di un certo giorno uscì dalla mia vita divenendo Olivina Tresoldini moglie del giovane futuro Ranuccio marito suo.


All’inizio sapete, andò bene poi Ranuccio per via di alcune sue amicizie sbagliate finì per cedere al vino ed al gioco dei dadi, senza almeno all’inizio, trascurare sua moglie Olivina presto madre. Poi avvezzo al vino, agli amici infidi, prese a perdere grosse somme, a fare debiti pagati dal padre, ed a restare vittima del gioco dei dadi che erano facili a truccarsi. Ogni sera alla Taverna a giocare come seppi quattro anni dopo, appena diplomato ragioniere dell’intendenza del Barone, andando a render visita a Olivina per conoscere il nipotino mio Aymone di anni tre. Chiesi a Olivina come andasse e non si lamentava. La suocera, sua seconda madre amata al pari della prima, la accompagnava in chiesa ed al mercato e per sua buona sorte stava conoscendo una seconda giovinezza badando ad Aymone. Il vecchio notaio Giuseppe Maria sapeva che presto sarebbe arrivato il momento suo,… ma si godeva Aymone che teneva lontano dal padre quando questi beveva o giocava che era la cosa che gli dava più tristezza. Due nonni stupendi come stupendi erano stati i nostri genitori. In conversazione toccai il punto dolente: mi mancava il sesso con Olivina; il terzo giorno della mia visita mi sciolsi dopo il giro dei parenti: per garbo glielo dissi lontano da Aymone ch’era nel sembiante il ritrattino di Olivina. Parlammo di ritorno dal macellaio dove Olivina aveva comprato un po’ di carne a credito per me ch’ero loro ospite già da due giorni.

“… dovevate dimenticarmi Toraldo … lo avevate giurato! E presto dovrete tornarvene a casa per quanto gradito mi sia vedervi, mio amato fratel Toraldo !”
“Solo quattro anni ho resistito mia Olivina,… avrei potuto venire a trovarvi prima, ma cercavo di dimenticarvi …”
“mah, ovviamente non ci siete riuscito ”
“No, non ci sono riuscito siete sempre stata troppo bella!”
“Vedo che mi guardate ancora Toraldo ! Ancora non avete trovato una donna che vi voglia sposare? Siete diventato così prestante su ditemi altre donne con cui far sesso ? Siete veramente così digiuno?”
“Ve ne prego sorella!”
“Sapete nostra madre mi scriveva che cominciavate ad avere successo col vostro lavoro; delle donne bene in vista, mi scriveva … delle vedove, vi chiamavano presso la loro magione per certe spiegazioni sui balzelli … veramente davate soltanto loro spiegazioni? non vi hanno anche fatto rispondere di qualche altra vostra cosa che io, -nostra madre ci perdoni-, so già di mio molto generosa? ”

“Ehi, perché vi siete fermata sorella?”

Olivina non badò alla mia domanda:

“Ohhh! Buona giornata mia signora ! ”

Olivina si fermò; una donna tonda e agghindata di fini vesti con una bella acconciatura che decorava il suo capo si fermò aspettando che Olivina dopo il saluto le facesse pure l‘inchino; ricevuto l’inchino la donna immantinente pose domanda:

“Chi è codesto bel giovanotto che vedo accompagnarvi? Non havvi sembianza del vostro consorte Ranuccio … o son io che vedo poco?!”
“Vedete benissimo madama De’ Gemmi, questi è mio fratello Toraldo!”

Disimpegnai tosto mia sorella dalla seccatura del momento con quella che avea tutta l’aria d’esser una distinta seccatrice; mi tolsi il cappello e fui pronto per un rapido e poco servile inchino:

“I miei rispetti signora! Son ragioniere del Barone nel paese a voi vicino, e quivi venni a trovar la sorella mia e lo nipote mio, di lei il figlio, Aymone…”
“Ah!”

La signora mi sorrise con una certa sufficienza, poi, visto un pronto sorriso di Olivina pensò che poteva porre d‘altre questioni:

“Siete sposato giovane messere?”
“Ancora no signora. ”
“Oh…”
“La cosa vi turba signora?”
“Oh, no; gli è che alla vostra età ci si sposa messer Toraldo. Sarebbe gran peccato veder un così bel giovane da solo! Comunque fate bene ad accompagnar la sorella vostra. Non vedo molto vostro marito di questi tempi. Dite Olivina, vostro marito sempre a giocare ai dadi?”
“No mia signora! Il marito mio sta lavorando allo studio del padre, il notaio Tresoldini!”
“Ah, il notaio! Sta bene quel sant’uomo?! Sempre a far debiti per il figlio che perde ai dadi! Comunque madamigella Olivina vorrei che voi portaste una mia ambasceria al vostro consorte…”
“Signora vi prego! Ditemi!”
“Ecco amichevolmente mi rivolgo a voi Olivina: io e mio marito vorremmo che non chiamasse più nostro figlio per bere insieme la sera alla taberna, a furia di far tardi e di andar assieme in cerca di quelle innominabili, me lo rovina!”

Mia sorella venne presa di contropiede da quella distinta signora preoccupata della moralità del figlio il cui nome non volle declinare. Onde farla uscire da quell’imbarazzo intervenni:

“Gli è che noi si ha fretta…perdonateci!”

Olivina incassò il colpo e tirò quello suo per la dignità di suo marito di cui ora portava il cognome:

“Addio signora De’ Gemmi, vi auguro buona giornata! Riferirò quanto dite a mio marito che saprà rispondervi per le giuste rime; vostro figlio è comunque anche lui discreto bevitore e ammiratore delle forme delle femmine; anzi a quanto dicono le preferisce di certa età o stagionatura, se ben agghindate l‘età non ha importanza veruna…”

Madama De’ Gemmi per un istante fulminò Olivina che fece immediato paragone tra la distinta signora e le innominabili pute del retro delle taberne; ci salutò senza importunarci oltre:

“Buona giornata a voi Olivina!”

Mia sorella non aveva chinato il capo nel salutar quell’attempata signora che veniva dalla parte opposta della passeggiata e che ci aveva fatto fermare; un atto d’impudenza calcolata. Olivina disse ch’era la moglie di uno de’ magistrati di giustizia; teoricamente era un onore esser salutate da cotanta donna: era segno che in paese la stima per Olivina era ancor salda. Tuttavia madama De’ Gemmi con un figlio maschio che volle studiare costruzioni navali mi disse mia sorella ch’era donna alquanto incline al pettegolezzo, e pronta a riferire tanto al marito, quanto alle sue selezionate amiche della Santa Messa. Più di una volta aveva avuto a sparlare con la signora Lucia, ora sua affezionata madre, dei vizi di Ranuccio, che erano di dominio pubblico in paese. Olivina voleva bene a sua suocera. Meno vedeva madama De‘ Gemmi, meglio si sentiva. Ringraziai per l‘informazione poi ripresi il mio discorso:

“Sorella lo confesso,… il sesso mai ebbe a mancarmi! Con voi però è diverso … ero così felice di avervi assaporato quando rispettai la virtù vostra per Ranuccio … risentire di nuovo quei sapori vostri …”
“Solo nostalgia fratello, trovatevi una donna giovane allora che faccia per voi …”
“Io vi voglio Olivina. Andrò via solo quando vi avrò avuta, almeno una volta …”
“Vi conosco Toraldo! Una volta non potrà bastarvi ! Tornereste comunque, come siete tornato ora a veder vostra sorella delusa.”
“Giacete con me ancora una volta mia stupenda Olivina …”
“… vorreste che ve la dessi di nuovo come qualche anno fa …”
“Vi desidero Olivina! Solo che vorrei stavolta, perdonate l’ardore, penetrarvi lì, davanti …”

Non ero io a parlare, ma il demone che si apprestava a mediare tra noi due. Olivina restò in silenzio a lungo durante il nostro tragitto, poi disse:

“Sapete una cosa fratello Toraldo?”
“Dite Olivina …”
“Ranuccio ha un bel bocconcino nel suo letto, e da qualche tempo mi riferiscono che se ne va con le pute! Ma come fa ad andare con femminacce così sbrigative e mal curate se non gli si alza neppure con me con quanto beve! … perdonatemi Signore Iddio per questi miei sconvenienti lamenti ! Ranuccio non se ne cura, ma sono in tanti a parlargli dietro, tanti invidiosi della ricchezza che fu di suo padre!”- Olivina si fece il Segno della Croce.
“… che …”
“Neppure mi riconosce quando torna a casa alla mezzanotte ubriaco! … se lo avessi voluto avrei potuto farmi gli armigeri quel paio di volte che me l’hanno riportato morto di sonno alcoolico senza metterlo dentro una notte ai ferri. Per rispetto al padre suo !… giurerei che uno mi guardò, e mi compatì, ma non osava toccarmi, e Ranuccio non se ne sarebbe accorto punto.”
“…”
“La creatura, Aymone è sua comunque siano maledetti i dadi ! Maledetto il vino! Mah,

Un lungo silenzio, poi Olivina dopo aver visto passare incrociandoci un vecchio magro e smunto che ci chiedeva l’elemosina, che noi a nostra volta gli demmo, dato ch’io avevo meco pochi spiccioli, aspettò che il vecchio si allontanasse da noi, quindi rivolta a me disse:

“… per la verità una scappatella la farei anch’io mio Toraldo è da tempo che non mi entra dentro un membro duro; sto dicendo un vero cazzo, mio caro fratello! certe volte vi confesso che son tentata con gli armigeri due contemporaneamente, mi solletica il pensiero sì, ma poi mi dico di no! solo le mie dita ben pulite sul clito e qualche cetriolo ben lavato quando son sola a rigovernare … pensate fratello che mamma Lucia, la suocera, ne vide uno che avevo incautamente dimenticato sul letto … fratello ! Come già una volta, potrete avermi …”
“Cosa volete dire Olivina?”

Restò a lungo in silenzio. Camminammo, e giunti che fummo nei pressi della nostra corte Olivina mi disse:

“Fratello voi mi volete?! …”
“Certo … ho molto pensato a voi Olivina giocando con la mano amica…”

Mia sorella Olivina sorrise intenerita:

“ … alle mie condizioni allora!”
“E sarebbero …?”
”Ebbene … sapreste recitare se ve lo chiedessi ?”
“Recitare?...”

C’è una cosa che ancora non sapete, cari moderni, la sorella mia Olivina era sempre stata un vulcano d’idee:

“Per l’appunto. In questi pochi anni siete mancato anche a me … ma in casa non potrei mai favorirvi le mie carni fratello. Non c’è abbastanza intimità, e poi Ranuccio non deve proprio sospettare alcunché … potrebbe denunciarci per vendetta! Quando non beve, quando beve, è imprevedibile!”
“Recitare che cosa intendevate?”
“Travestitevi da nobile viandante spagnuolo … lo sapete parlare lo spagnuolo ?”
“Lo Spagnuolo …?”
“Sì,… don Grico vi avrà fatto studiare lo spagnuolo ? Per lui la Spagna era il massimo della civiltà cristiana.”
“Lo parlo solo un po’ imperrocché per il mio lavoro non serve. La soldataglia dell‘imperatore non usa socializzare con noi del luogo. Usano sempre un interprete!”
“Se ci tenete ad avermi farete così: lo andrete a trovare in piazza dopo l’ora ottava della sera … e lo farete perdere ai dadi. Invece dei soldi che tanto non ha, gli chiederete con garbo di lasciarvi venire a casa nostra a fare la conoscenza di sua moglie. Cercate di non avere testimoni intorno...e potrete avermi quasi legalmente … cioè volevo dire tranquillamente!...non se ne accorgerà punto. Prendete alloggio in una locanda l’ultimo giorno. Vi verrò a trovare io stessa e Ranuccio non sospetterà niente. Acquistate una parrucca lunga fratello Toraldo! Perché il gioco riesca bisogna che ve ne andiate un giorno prima; così che lui creda che non siete più in paese ma non è per mio marito! Bisogna, comprenderete, che anche il paese lo creda ”
“Olivina, volete dire che …”
“Nel pagare i debiti di gioco ha un suo senso dell’onore paga, paga e qui noi si fa debito su debito.”

Olivina passava dal voi al tu e poi ancora al voi senza accorgersene.

“Per lui la logica del debito è più facile da accettare. Stasera quando tornerà non vi noterà neppure, ormai è apatico, e domattina non ricorderà niente. Vi saluterete normalmente … non mostrargli denaro o te lo chiederà; vorrei risparmiare lo spettacolo ai suoceri.”
“Il denaro è così poco?”
“Io devo nascondere il denaro, anche quello che ogni tanto mi mandate voi e la mamma per il piccolo, e di nascosto pure me lo passa la mia augusta suocera. Devo nasconderlo, d’intesa con loro, per il bene di Ranuccio. Il mio gentile suocero, Dio lo conservi, da un mese, non ha più la fiducia della banca, ed io stessa gli ho dovuto chiedere di lasciarmi sola con l’ufficiale messo del tribunale che stava pignorando il lettone matrimoniale e la mobilia … prima che arrivaste voi mio Toraldo. Aspetteranno due settimane ancora, poi temo che nemmeno le mie seppur giovani e piacevoli carni potranno bastare.”
“Olivina ! Che mi dite ?”
“Ecco cosa vi dico: quattro volte presa dal vecchio ufficiale giudiziario, e stiamo rimandando così ogni due settimane da un mese. Per questo vi concedo di prendermi Toraldo, e vi darò anche la congiunzione sul davanti che tanto bramate, visto che rispettaste la mia virtù anni fa se mi è toccato darla ad un vecchio, sarò ben lieta di darla a voi … siate fiducioso Toraldo la profumerò per voi, mio Toraldo! mi aspetto che siate pulito anche voi mio Toraldo … ma dovrete pazientare. Non stasera!”

Olivina mi diede un lungo bacio affettuoso sulla guancia, e con una mano coperta dalla sporta della spesa mi toccò il pisello attraverso i pantaloni con una breve stretta; poi mollò nel caso fossimo stati comunque visti:

“Olivina orsù ditemi ma che somma dovete alla banca ?”
“Milleduecento ducati! Di soli interessi. Finora sono bastate le terre del notaio, ma adesso … c’è solo la casa; questa però son decisa a non perderla … dalla settimana prossima affitteremo la tua stanza per esempio … per questo ti ho chiesto di tornartene presto a casa …”
“Prenderò alloggio qui in paese … ci sarà una piccola locanda che costi poco … indicatemela Olivina … ma i suoceri?”
“Per ora starete ancora da noi Toraldo, senza troppo guardarmi vi prego! e per domenica ve ne tornerete a casa. Tanto perché lo sappiate anche a casa il notaio e mia suocera si ritireranno in un vicino convento; colà seguirà i loro affari in cambio di vitto e alloggio noi qui si affitteranno le loro stanze e tireremo avanti.”
“e Ranuccio?”

Olivina non mi rispose alcun che. Chiaramente era lei che mandava avanti la casa davanti all’indolenza più che colposa di suo marito. Era giovedì. Avrei cenato con Olivina, mio nipote ed i suoceri nel calore del focolare domestico. Un piccolo assaggio di normalità. Non guardavo Olivina, che faceva gli onori di casa e serviva la cena. I suoi suoceri erano contenti di lei come fosse la loro figlia di sangue. Tutti noi facevamo finta di non notare l’accidia di Ranuccio che si sforzava di sorridere spesso con il piccolo Aymone. Il seno di Olivina fui incapace di non notarlo. Mi eccitavo all’idea che quel seno lo avrei avuto presto, e immaginavo fin da quel momento come lo avrei gustato e amato. Avrei presto succhiato i suoi capezzoli. Mi dissi tra me e me: “voglio sentirmeli inturgidire tra le labbra”… dovevo aver sussurrato qualcosa sovrappensiero perché la signora Lucia mi disse:

“Vi fanno male le labbra Toraldo?... non mangiate allora?”
“Oh no, stavo pensando a bassa voce scusate ”
Il vecchio notaio Giuseppe Maria s’introdusse nella breve conversazione:
“dite Toraldo, vi siete accasato, poi?”
“No, non ancora signor Notaio l’occasione non manca ma mi guardo ancora intorno …”
“Siete solo allora Toraldo?...”
“No, fidanzato con la nipote del mio precettore ma il matrimonio non ancora … devo mettere da parte dei soldi ”
“Capisco, siete molto prudente in verità anche se”
“anche se?”
“l’ultima volta che sono stato lì da voi, mi perdonerete se non sono venuto a salutarvi, ma me ne mancò il tempo, mi hanno detto,… chi ben vi conosceva che ve la cavavate bene con le vedove si volevano far spiegare personalmente da voi certi balzelli da pagare e ditemi Toraldo andavate proprio a casa?”
“Sì, qualche volta ”
“e vi pagavano codeste vedove ?”
“mah ”

Risi per schermirmi. Il notaio, a quanto sembrava, di me sapeva abbastanza cose.

“Solo voci degli invidiosi signor Notaio … non le creda tutte!”
“No certo che no ”

Il Notaio forse era vecchio, non certo stupido. Dovevo smetterla di guardare Olivina, o avrei finito per tradire entrambi. Era bellissima e faticavo non poco. Già il Notaio era ben informato...Quello che non sapeva era che fu Olivina a farmi perdere la timidezza con le altre donne. Per me lei fu una figura fondamentale come al contrario non lo era stata Cosimina che la dava per lavoro. Prima di partire per Martano la settimana prima trovai il necessario coraggio per imitare mio padre senza dover pagare la pur bella Cosimina; mi feci infatti una delle negre del Barone per la curiosità di provare quel che aveva provato mio padre. Me la sono scopata ben calda mentre preparava la cena sbattendomela nelle cucine del Barone. Siccome le schiave del Barone non sapevano leggere m’inventai un documento in cui il Barone mi autorizzava a disporre delle sue schiave per i miei appetiti di quella mattina in pagamento dei miei servigi. In realtà questo documento era solo un atto di quietanza senza la firma dell’intendenza del Barone. Da schiava quale era la donna che avevo scelto non obiettò nulla, e scoprì lei stessa le sue intimità davanti a me che lo avevo già grosso per la riuscita dell’idea. La schiava di chiamava Matù e aveva venticinque anni, abbastanza bella e ben piazzata; in un paio di gesti si sollevò la gonna e si mise ad aspettare disciplinata che iniziassi almeno a leccarle la fica; mi passai tra le mani tutto il suo bacino e le leccai la dolce passera già sudata per il travagliare in cucina; non odorava, anzi puzzava un pochino, ma io arrapato ci avevo appiccicato il naso, e introdotto egualmente la lingua. Tiepida, salata, dolce, calda, bagnata; sentii che sapore aveva l’Affrica. Quel corpo si prestò a me per una buona oretta nella quale mai ebbe a fare resistenza al mio cazzo. Le diedi il seme tre volte, poi me ne andai prima che la servitù del Barone sospettasse qualcosa. Quella schiava negra era calda e immensa di cosce ch’erano la parte migliore del suo corpo di nocciola; il mio pisello si era fatto onore in quella carne rossa dall’aspetto esteriore scuro. Il pelo suo era nero-grigio legna bruciata. Era bella anche Matù con quella sua magnifica testa dai capelli corti. La seconda sborrata per esempio me la diede, ricordo, con una bella scaldata del cazzo tra i suoi seni. Me ne venni abbondante su di lei innaffiandole il petto da dea quando mi ricordai come lo poggiai la prima volta sui seni ancora acerbi di Olivina carezzandomi la punta del glande con i suoi capezzoli. Altrettanto feci con Matù oltre a scaldarmi il sotto della cappella con il suo seno che stava ancora su da solo. Matù era la dea nera della salute, più che della bellezza … Cenai col cazzo dritto sotto la veste. Finché restavo seduto non ero in imbarazzo. Non dovevo più pensare al sesso o mi sarei scopata Olivina lì dentro, sul posto, tradendo la nostra vecchia personalissima tresca fatta di rari, e per questo intensi, incontri.



- continua -



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