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Le avventure di un prete di provincia


di Poetamaledetto
10.04.2022    |    27.278    |    13 9.8
"» «Credo di potere venire sabato pomeriggio, le dò conferma venerdì sera, se per lei va bene»..."
*** Sono un prete e con questo inizierò un racconto, diviso in capitoli, sulle esperienze avute nelle varie chiese e parrocchie che ho presieduto o amministrato. Le vicende sono tutte reali, il canovaccio è autentico, ai lettori il piacere di immaginare il contesto e i luoghi sommariamente descritti ***


Avevo superato brillantemente la formazione in seminario e dopo un breve periodo in vescovado, fui destinato in una piccola chiesa della provincia di Rieti. Una chiesa di campagna, non parrocchiale. Doveva essere il mio apprendistato, una sorta di rodaggio, prima di assumere la reggenza di una parrocchia con il suo carico, non indifferente, di impegni, lavoro burocratico, funzioni religiose.
Poco prima di iniziare il viaggio, mi furono comunicati un numero di telefono e il nome di una donna che aveva le chivi della chiesa. Chiamai prima di partire, per concordare orario e luogo di incontro. La donna, dalla voce non proprio sensuale e dal piglio deciso, mi disse che potevamo incontrarci nella piazza del paese ad un orario prestabilito.
Il viaggio non fu semplice, sbagliai percorso, insomma, arrivai in ritardo. In piazza, non trovai nessuno. Era inverno, la giornata gelida.
Sceso dall'auto, provai a incrociare qualcuno a cui chiedere informazioni per rintracciare la donna, ma non circolava anima viva.
Ero fermo, dentro la mia auto, quando all'improvviso vidi un'altra automobile avvicinarsi. Cominciai a suonare il clacson in maniera incivile per attirare l'attenzione.
L'altra auto si accostò e cercò di capire il motivo del mio comportamento.
A bordo una giovane donna, che poi seppi essere l'unica impiegata del piccolo ufficio postale, la quale mi chiese la ragione di tanto strepito
«Buona sera, sono il prete della chiesa di questa frazione, avevo un appuntamento con chi doveva darmi le chiavi, ma ho fatti tardi e adesso...»
«Lei è un uomo fortunato», rispose la donna, accennando un sorriso...
«Non mi pare proprio, visto anche le disavventure», replicai senza troppo riflettere.
La donna non si scompose. E ripetè:«E' guidato dalla buona stella, la donna che sta cercando è mia zia...».
Rimasi stordito, ma al tempo stesso sollevato.
Dopo un attimo di incertezza, non ebbi alcuna remore a chiedere di essere accompagnato per potere avere le chiavi e possibilmente qualche spiegazione su come raggiungere la chiesetta.
«Certo che l'accompagno, e poi la porto nella sua chiesetta, non vorrei si perdesse un'altra volta», replicò con un sorriso, Francesca, l'impiegata postale, e al bisogno anche postina.
Il tragitto fu brevisso. La pia donna viveva dietro al piazzetta. L'incontro fu breve e senza troppe cerimonie. Ricevetti le chiavi e qualche breve istruzione. Per il resto, ogni ulteriore compito, fu demandato alla nipote.
L'ulteriore tragitto fino alla chiesetta, in una zona di campagna non troppo distante dal paese, fu anch'esso breve, ma la strada era parecchio dissestata e ci volle una buona mezz'ora per raggiungere la destinazione.
La chiesetta, molto simile ad una pieve, era molto modesta, abbastanza piccola e sul retro aveva un piccolo locale per ospitare il prete.
L'interno non era in migliori condizioni: abbastanza spoglio, un piccolissimo altarino, due file di panche, un confessionale e altri arredi sacri.
La staznza del parrocco umida e squallidissima.
«Non proprio una magione», dissi anche per stemperare.
«L'ultimo parroco qui si è ammalato, poi non è più voluto venire nessuno», spiegò Francesca, aggiungendo:«qui, si dice messa al mattino presto, alle 7 in punto, poi non c'è altro da fare, ma la gente della zona è molto legata a questa piccola chiesa e nonostante le resistenze in vescovado, è ancora aperta al culto».
«Capisco», replicai laconicamente.
«Comunque, adesso vado. Le lascio il mio numero, dovesse avere bisogno, oppure può chiedere a mia zia, ma non credo possa aiutarla molto, come ha visto è anziana», disse Francesca un attimo prima di congedarsi.
Salutai la donna e visitai i nuovi ambienti.
Un brevissimo giro, i luoghi erano freddi. Nella mia stanzetta un angolo cucina, un piccolo bagno separato, una scrivania, quella che un tempo doveva essere stata una libreria, un armadio e il letto. Almeno questo mi apparve molto comodo.
Prima che lo perdessi, registrai sul telefono il numero di Francesca, subito dopo uscì per andare a fare un po' di spesa per la cena.
I giorni seguenti furono parecchio monotoni: la prima e unica messa del mattino in presenza di qualche beghina della frazione, le consuete presentazioni, qualche idea per rendere più accogliente il luogo.
Non avevo più visto o sentito Francesca e neppure ero tornato in paese.
Un pomeriggio decisi di chiamarla.
Dopo pochi squilli rispose al telefono.
«Salve, sono don Claudio, Francesca ?»
«Buona sera, padre; sono io, prego...»
«E' impegnata ?»
«In che senso ?», rispose con una risata.
Compresi il senso, ma sorvolai.
«Desideravo chiederle se uno di questi giorni potrebbe passare per avere un po' di informazioni sul luogo, la gente, la storia della chiesa. Qui, le signore subito dopo la funzione vanno subito via e non credo mi sarebbero di grande aiuto...»
«Credo di potere venire sabato pomeriggio, le dò conferma venerdì sera, se per lei va bene».
Era martedì; mi sembrò una buona idea, anche perchè nei giorni successivi, dopo la funzione, sarei dovuto andare in vescovado per ragioni legate all'incarico.
Venerdì sera, Francesca mi confermò l'ìappuntamento.
Nell'aria c'era una inspiegabile tensione. Francesca rispondeva alle mie domande, dava i suoi pareri, fino a quando non chiesi del precedente prete...
«Sì, don Oreste, ma non so molto...» e si fece scura in volto.
«Non c'è nessuna traccia del suo passaggio...», aggiunsi ingenuamente
«E meno male...», si lasciò scappare la donna.
«Che vuoi dire ?», avevamo deciso di darci del tu.
«Preferisco non parlarne...».
«Perchè ?».
«Girano molti pettegolezzi, non so se siano veri, mi dispiacerebbe mentire !».
«Capisco, ma rimarrebbe un dialogo molto privato...».
«Diciamo che era 'chiacchierato'».
«Ma in vescovado mi hanno detto che ha lasciato per anzianità».
«Ufficialmemte», rispose d'impeto, Francesca.
«Per favore, fammi capire...».
Nonostante la sua riluttanza e qualche rossore, seppi che sul mio predecessore pesavano forti sospetti di avere relazioni sessuali con alcune donne della zona, alcune addiritura di altri paesi.
la cosa mi sconcertò, ma al tempo stesso incuriosì molto.
Seppi sempre da Francesca che l'uomo, nonostante l'età, fosse particolarmente prestante e molte donne erano fortemente affascinate da lui. Gli incontri avvenivano nel pomeriggio e l'isolamente dei luoghi agevolava gli intrallazzi. In alcuni casi, pare fosse don Oreste a spostarsi.
Una faccenda scivolosa per la chiesa locale che temeva uno scandalo. Ma il silenzio dei protagonisti e una diffusa reticenza, fecero in modo che non si sapesse nulla fuori dal piccolo contesto di paese.
Anzi, furbamente, ogni accenno, veniva immediatamente stroncato come illazione, un maldestro tentativo di mettere in cattiva luce il sant'uomo.
Tuttavia, Francesca, di cui avevo subito ottenuto la fiducia, mi confermò la fondatezza, rivelò con sobrietà particolari scabrosi, fece i nomi di alcune donne.
Tra queste, la moglie del farmacista e quella di un anziano impiegatuccio (così lo definì Francesca), comunale.
La prima una donna particolarmente avvenente, formosa, slanciata, sempre ben vestita; la seconda, una donna comune, ma pare - dal racconto di Francesca - dagli appetiti sessuali irrefrebabili. Di loro, nessuna frequentava adesso la 'mia' chiesetta, altre erano donne di altri paesi.
Seppi dopo, quando entrai in una più approfondita confidenza con Francesca, che lei e la farmacista erano 'intime'.
La nostra prima conversazione durò molte ore, il tempo sembrò letteralmente volare, io rimasi pensieroso, ma fu nitidò che quella prima conversazione ne avrebbe avuto molte altre. Capì e non mi sbagliai che Francesca aveva bisogno di parlare (e successivamente anche di altro). Lei intuì che si poteva fidare e che aveva davanti a sè sia il prete sia l'uomo di mondo.
Gli incontri avvenivano sempre al pomeriggio; nessuno avrebbe notato la sua presenza.
Francesca, superata qualche riluttanza, iniziò a raccontare le pruriginose vicende così come riferitele dalla moglie del farmacista, la signora Ornella, una donna, dicevamo attraente, particolarmente procace e devota a Saffo.
Tutto iniziò poco dopo l'arrivo di don Oreste, il quale godeva di fama di uomo di tempra e 'sostanza'.
Ornella decise di rivolgersi a lui nella speranza di trovare sollievo ai suoi turbamenti, alle sue angosce derivanti dal pessimo rapporto con il marito.
Gli incontri da sporadici, durante i quali la donna riversava in confessionale tutte le sue tristezze e difficoltà, divennero quotidiani. Sempre al pomeriggio. Il marito, interessato solo alla commessa che si scopava bellamente, non faceva caso alle uscite della moglie o se ci faceva caso non aveva nulla da obiettare.
Un pomeriggio, dopo l'ennesimo sfogo, don Oreste uscì dal confessionale, prese per mano Ornella e la condusse nella sua camera privata.
Nella stanza, il prete si tolse l'abito, abbassò i calzoni, fece inginocchiare l'avvenente signora e senza troppi indugi la invitò a prendere in bocca il cazzo ancora semi duro. Ornella dopo un iniziale senso di smarrimento, afferrò con la mano ingioiellata il randello per cominciare un focoso bocchino. La donna dopo pochi minuti sembrava indemoniata: spingeva quasi tutto il cazzo in bocca per poi tirarlo fuori e ricominciare. Il prete era in un tale stato di eccitazione che le gambe iniziarono a tremargli e dovette sedersi.
Ornella, invece, non riusciva a fermarsi: lavorava di bocca il cazzo del prete con foga e passione; accalorata iniziò a sbottonarsi la camicetta di seta nera tirando fuori da un ricercatissimo reggiseno le tette.
La vista dei seni, eccitarono ancora di più il religioso che tirò a sè la donna iniziando a strizzare con violenza le mammelle.
«Che tette grosse che tieni, Ornella», sospirò, don Oreste.
«Le piacciono, padre ?».
«Sono belle sode, fatti toccare tutta...»
«Mi tocchi padre, sono assatanata, non ce la faccio più, ho bisogno di...».
Ormai in preda ai sensi, incontrollata e incontrollabile, Ornella fece quello che chissà da quanto tempo sognava. Il gesto più veloce della parole: scostò le mutandine di pizzo nero e in un lampo si infilò il cazzo duro nella passera in fiamme.
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