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Cadorna, stazione di Cadorna (cap. 11 e 12)


di Membro VIP di Annunci69.it Pink1966
31.07.2023    |    1.148    |    3 9.4
"La sua bocca era già aperta, le sue labbra morbide e calde accolsero le mie, la sua lingua si intrecciò a quella che le offrivo..."
11.

Le quattro regole

Le dita che stringevano il capezzolo dovevano sicuramente causarle del dolore, ma la donna non pronunciò alcun suono mentre i suoi passi mi seguivano nel salone.
“Come ti chiami?”
“Silvia”.
Uno schiaffo la colpì sulla guancia sinistra.
“Come ti chiami?”
“Si...Silvia, Signore”
“Impari velocemente, brava”.
Lasciai il capezzolo, non prima di averlo strizzato e torto ancora un po’. Dalle labbra semichiuse le scappò un gemito.
“Regola numero 1: ogni volta che tu entrerai in questo appartamento o dovunque tu mi incontrerai, non appena oltrepassata la soglia d’ingresso dovrai spogliarti. Questo a meno che io non ti abbia istruito altrimenti. Capito?”
Gli occhi spaventati, Silvia annuì. “Sì, Signore”.
“Regola numero 2: quando ti presenti davanti a me dovrai divaricare le gambe – e così facendo infilai un piede tra i suoi e glieli allargai un po’ più del necessario – e intrecciare le mani dietro alla nuca”.
Senza che intervenissi, Silvia sollevò le braccia. “Sì, Signore”. I suoi seni si alzarono lievemente, lo stomaco si contrasse. Era ancora più desiderabile.
“Regola numero 3: quando ti verrà ordinato di farti ispezionare, dovrai mantenere le gambe in questa stessa posizione e afferrare le caviglie con le mani.”
“Sì, Signore”. Feci un passo indietro, mentre Silvia cambiava posizione. I capelli le coprirono il volto, lasciando la nuca libera. Lentamente girai intorno a lei. Quando la mia mano si posò sulla schiena, sentii un brivido scuoterla. Scivolando con il dito indice lungo la colonna vertebrale, arrivai all’osso sacro e proseguii. Forzando leggermente, infilai il dito tra le natiche, indugiai appena un attimo all’altezza del buchino, che mi apparve umido, proseguì fino a sentire il calore e soprattutto il lago che le colava tra le labbra.
“Ti piace, vero?” le sussurrai con un tono suadente.
“Mmmm sì…” la risposta uscì strozzata.
Un secondo dopo, una potente sberla sul culo le fece perdere l’equilibrio e Silvia si ritrovò sdraiata sul pavimento. Mentre provava a rialzarsi, posai un piede sulla sua testa, obbligandola a restare bocconi.
“Te lo dico per la prima e ultima volta. Ogniqualvolta ti rivolgerò la parola e tu sarai chiamata a rispondere, a conclusione di ogni frase ti sarei grato se ti rivolgessi a me come merito. Mi sono spiegato?”
“Sssì, sìì, Signore. Mi scusi, Signore”.
“Bene. Ispezione”.
Scattò velocemente in ginocchio e un attimo dopo era di nuovo in posizione, le tette che puntavano verso il basso, le gambe oscenamente allargate, le mani serrate attorno alle caviglie, culo e fica esposti al mio sguardo e alle mie mani. Il rosso della sberla spiccava sul gluteo destro. Aveva una pelle bianca e delicata, i segni avrebbero ornato facilmente il suo corpo.
Infilai due dita nella sua fica. Calda, fradicia, se possibile ancora più bagnata di pochi minuti prima.
“Ti piace?” ripetei la domanda.
“Sì, sì, Signore”.
Estrassi le dita e andai alla ricerca del clitoride. Lo trovai subito. Gonfio, grosso. Sensibile. Quando lo schiacciai tra le dita, Silvia sembrò sul punto di perdere l’equilibrio, mentre un mugolo le usciva dalle labbra.
“Guai a te se ti muovi”.
Estrassi le dita, il suo piacere le aveva ricoperte di una sorta di bava bianca. Le portai alla bocca, le assaggiai. Aveva un buon sapore.
“Regola numero 4 – ripresi mentre mi riportavo davanti a lei -: in posizione di riposo devi accucciarti ai miei piedi, le piante dei piedi rivolte verso l’alto, le mani dietro la schiena, la schiena dritta. E guai a te se guardi negli occhi senza permesso”.
Ubbidiente, osservai Silvia assumere la posizione. Non resistetti, mi avvicinai e le infilai in bocca le dita pregne del suo sapore. “Pulisci bene, cagnolina”. La sua bocca si aprì, la sua lingua morbida avviluppò le dita e con movimenti lenti e sensuali cominciò a leccare.
Poi, presi le mutandine, le appallottolai e gliele infilai in bocca. Quindi mi inchinai e presi entrambi i capezzoli tra le dita. “Non voglio sentire un suono” intimai. Durissimi, mi divertii a strizzarli, tirandoli verso di me, mentre i suoi occhi si velavano di lacrime. “Non avrei mai pensato che avrei avuto questa bella sorpresa. Guarda come sono duri. Sono sensibili?”
La testa di Silvia andò su e giù.
“E ti piace quello che ti sto facendo?” chiesi mentre davo una nuova torsione a entrambi.
“Mhhhmm….” le scappò, mentre la testa mandava un segnale di diniego.
“Ah no? Che peccato. Perché a me piace molto invece. Ma tu però sei contenta se a me piace, vero?”. Una lacrima scese lungo lo zigomo, mentre la testa tornava a fare su e giù.
“Brava la mia cagnolina” le dissi, liberando le sue ciliegine dalla morsa e asciugando la lacrima con il dorso dell’indice. Poi le accarezzai dolcemente la testa, mi abbassai e le sfiorai una guancia con un bacio. Quindi le feci aprire la bocca e tolsi le mutandine.
Mi guardò con un sorriso riconoscente, mentre io tornavo a sedermi in poltrona.
“Presentazione” comandai, e lei dopo un secondo di stupore scattò ad assumere la posizione.
“Riposo”. Di nuovo tornò in ginocchio.
“Ispezione”. Davanti agli occhi mi trovai il panorama di culo e fica luccicanti di piacere.
Continuai per una decina di minuti, fino a quando il suo corpo si ricoprì di una patina di sudore.
“Hai sete?” le domandai.
“Sì, Signore, grazie”.
“Riposo” comandai, mentre mi alzavo per andare in cucina a prendere un bicchiere e una bottiglia d’acqua.
Quando tornai nel salone, la trovai accucciata al fianco della mia poltrona.
Avvicinai il bicchiere alla sua bocca e la abbeverai, mentre qualche piccolo rivolo scappava dalle sue labbra e scivolava lungo il collo, lungo i seni, per poi riunirsi e sparire nell’incavo delle sue cosce.
Poi, tenendola per i capelli, la riportai al centro del salone e la feci salire su un tavolino di cristallo che avevo sgombrato poco prima del suo arrivo.
“Sali e mettiti a quattro zampe”. Ubbidì.
Riempii nuovamente il bicchiere quasi fino all’orlo e lo posizionai sulla sua schiena.
“Se versi anche una sola goccia, sarai punita” le dissi.

12.

Il nome

Il freddo del bicchiere sulla schiena, la posizione a quattro zampe sul tavolino, l’ordine di rimanere immobile. Silvia stava sperimentando sensazioni nuove. “Stupida! Ma chi me l’ha fatto fare?”. Per l’ennesima volta si ripeté la domanda. Conoscendo però perfettamente la risposta. Perché se una parte di lei in quel momento provava a ribellarsi a una situazione per certi versi completamente assurda, ce n’era un’altra, preponderante, che invece la stregava. Inutile mentire con se stessi. Per quanto umiliante fosse quello scenario, nonostante le parole che aveva sentito, i comportamenti subiti, gli ordini ricevuti, Silvia sentiva crescere dentro di sé uno sconvolgimento emotivo mai provato. Con Piero aveva “giocato” diverse volte a schiava e padrone, a parole si erano eccitati raccontandosi scene simili, lui era arrivato a legarla al letto e a usarla per il proprio piacere, ma Silvia aveva sempre pensato che tutto ciò sarebbe sempre rimasto confinato alle mura della loro stanza da letto e a loro due. Invece ora...
“E adesso cosa succederà?” pensò Silvia, il cuore che batteva forte, aspettando il ritorno dell’uomo, che le sembrava fosse uscito dal salone. Abbassò lo sguardo: il cristallo le restituì un’immagine tanto perversa quanto seducente. I capelli che scivolavano ai lati della testa, i seni puntati verso il basso, con quei capezzoli enormi che sembravano incapaci di ritornare in una posizione di normalità, le gambe aperte che mostravano nel riflesso la fica umida. “Se Piero mi vedesse ora...” pensò Silvia.

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Tornai nel salone facendo attenzione a non fare rumore. Davanti agli occhi mi apparve quel culo sul quale avevo fantasticato spesso negli ultimi giorni. Dalla fantasia alla realtà, il passo era stato molto più breve di quello che mi sarei aspettato. Le ginocchia divaricate permettevano di ammirare quelle forme così invitanti. Le labbra della fica facevano bella mostra di sé, ma il culo sodo permetteva anche una bella visione del suo buco posteriore. Che a un primo esame visivo non sembrava neppure essere troppo vergine.
“Tuo marito ti scopa nel culo?” le chiesi a bruciapelo.
Un sobbalzo di spavento la scosse, l’acqua nel bicchiere minacciò di debordare, ma alla fine non mi concesse la soddisfazione di avere subito una scusa per punirla. Ma contavo di rifarmi molto presto.
“Sì, a volte, Signore”.
“E ti piace?”
“Sì, Signore”.
Allungai la bacchetta che tenevo in mano. L’estremità flessibile di bambù andò a solleticare la rosellina.
“Hmmmm” si lasciò scappare di bocca, mentre la punta allargava leggermente il buchetto non ancora lubrificato quel tanto da regalarle un misto tra fastidio e piacere.
“Perché hai deciso di chiamarmi? E soprattutto, perché ci hai impiegato tanto?” la incalzai, mentre intanto il bastone dal culo si era abbassato alla fica. Le labbra grosse, carnose, lo ingoiarono quasi ingorde, mentre la punta si spingeva leggermente in alto alla ricerca del clitoride. Quando lo trovai, l’acqua nel bicchiere ebbe un altro pericoloso scuotimento.
“Ti ho detto di non muoverti, altrimenti...” la minacciai, senza però diminuire la pressione sul suo bottoncino sempre più sensibile.
“Ooohhmm..ci ho pensato tanto, tantissimo, in...oddio, la prego... queste due settimane, Signore. Tante volte sono stata sul punto di chiamare, aprivo il telefono, digitavo il nome e...”
“Sono curioso, con che nome mi avresti salvato nella tua rubrica?”
“Aprendo, Signore”.
“Aprendo?”
Passarono un paio di secondi e quando la lampadina si accese nel mio cervello scoppiai a ridere.
“Mi piace, lo trovo geniale, davvero geniale. E quindi era così che già mi pensavi? Che mi immaginavi? Che mi volevi?”
Tolsi il cane dalle sue labbra e mi portai davanti a lei. Prima che mi potesse rispondere, mi inginocchiai e la baciai. La sua bocca era già aperta, le sue labbra morbide e calde accolsero le mie, la sua lingua si intrecciò a quella che le offrivo. Per un minuto fu solo cercarsi, scoprirsi, annullarsi l’uno nel bacio dell’altra.
“Baci bene, un altro punto a tuo vantaggio – dissi mentre mi rialzavo e la mano si perdeva nei suoi capelli -. Però non abituarti troppo bene, non sono sempre così buono”. E le afferrai un capezzolo, stringendolo, mentre si lasciava scappare un lamento animalesco.
“Per par condicio, comunque, se tu hai dato un nome a me, io dovrò darne uno a te, non credi?”
“Sì, Signore”.
“Oggi sono buono e democratico: tu cosa sceglieresti? Hai qualche idea?”
“Nessuna, Signore” rispose dopo qualche secondo in silenzio.
“Nessuna? Mmmmmh, non so. Non rende completamente quello che...”
“Intendevo dire che non ho nessuna idea”.
Il sibilo echeggiò nell’aria, sostituito dal colpo secco che la raggiunse sul culo.
“Aaahia” urlò Silvia, forse più per la sorpresa che per il dolore reale.
“Ti avevo avvertita, non devi parlare senza essere interpellata. O sbaglio?”
“Sì...cioè no, non sbaglia, Signore. Mi scusi, Signore”.
Un altro sibilo, un’altra stilettata si impresse sul suo fondoschiena.
“Scuse accettate”.
Le girai intorno, mi avvicinai al suo orecchio.
“Sefa – le sussurrai -. Ecco il tuo nome. Sai cosa significa? È una parola turca, vuol dire piacere. Perché tu da adesso ti adopererai, ti concederai, ti farai usare per il piacere. Il mio, s’intende”.
Le infilai una mano tra le gambe, due dita penetrarono la fica. Era, se possibile, ancora più fradicia. Le tolsi e le portai alla sua bocca.
“Lecca Sefa, fammi vedere come sei brava a usare questa bella lingua”.
Come se fosse impazzita, Silvia aprì la bocca e ingoiò le dita, lappandole con ingordigia, avvolgendole con la lingua, leccando ogni traccia dei propri umori. Gliele infilai in profondità, fino a oltrepassare le tonsille, giù fino all’imbocco della trachea. Fu scossa da un conato mentre tentava di respirare, ma non mi feci impietosire.
“E adesso rispondi alla domanda iniziale: cosa ti ha spinto a chiamarmi?”

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