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Cadorna, stazione di Cadorna (cap. 23)


di Membro VIP di Annunci69.it Pink1966
25.08.2023    |    1.108    |    12 9.7
"E, ogni volta che percepiva come Silvia si avvicinasse al punto di non ritorno, Piero cambiava ritmo, rallentava, smetteva per pochi secondi per poi, nel..."
Ringrazio l’utente Mercantexx per fare copia e incolla del racconto, cambiando titolo e nome della protagonista e spacciandolo per suo. Più che mercante, ladro di basso livello.

23.

Bacco, Tabacco e Venere

Due giorni dopo, Piero era alla sua scrivania in ufficio, quando dall’ufficio posta si presentò un fattorino. “Signor Piero, questo è per lei” gli disse, consegnandogli un pacco piuttosto voluminoso. Incuriosito, Piero lo aprì immediatamente, trovando una bottiglia di vino rosso, un Brunello di Montalcino della casa vinicola Antinori, un sigaro Choix Supreme e un biglietto, chiuso in una busta su cui, con una grafia elegante, era scritto il suo nome. Quando Piero lo aprì, trovò un messaggio di poche righe. “Caro Piero, come i latini avevano perfettamente intuito, omne trinum est perfectum, ogni complesso di tre è cosa perfetta. Mi sono permesso di omaggiarla con del Bacco di un’ottima annata, dell’aromatico Tabacco proveniente da Cuba, mentre, allo stesso tempo, volevo ringraziarla di avermi concesso le grazie della sua adorabile Venere. P.”.
Nello stesso momento in cui Marco leggeva il biglietto, Silvia…

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Già, Silvia. Per lei, invece, quei due giorni successivi furono un viaggio nelle emozioni. Soprattutto il primo, restare seduta a lungo alla scrivania si rivelò un’impresa, il fastidio dei colpi (perché non si poteva parlare di dolore, ma di fastidio sì) era sempre lì a rammentarle quello che era successo e, nonostante gli impegni, una parte del suo cervello continuava a tornare in quella casa, su quel tavolino di cristallo, sulle posizioni che avrebbe dovuto assumere nel momento in cui si sarebbe ritrovata – perché lo avrebbe rivisto, su questo non aveva mai avuto il minimo dubbio – a cospetto del Padrone. E poi alla mattanza sessuale che l’aveva vista protagonista sulla strada del ritorno a casa e che, per quanto al limite – se non oltre – della legalità, l’aveva eccitata e lasciata soddisfatta sessualmente come poche altre volte nella sua vita. Anche Stefano, il suo collega – e nel parlare con lui non poteva non pensare ogni volta all’altro Stefano, quello che in divisa si era prima fatto fare un pompino e poi l’aveva scopata sulla scrivania assieme al suo collega –, a un certo punto si accorse che in lei c’era qualcosa di diverso, una distrazione che la faceva sembrare sempre un po’ altrove.
“Uè, ma dove hai la testa in questi giorni? Stai pensando alle vacanze o ti sei innamorata di qualcuno? Guarda che sono geloso eh?”, la prese in giro durante una delle loro solite pause caffè.
Silvia, nonostante fosse abituata alle sue battute che spesso e volentieri implicavano un gioco sessuale, questa volta non riuscì a evitare di arrossire.
La sera, invece, Piero mantenne fede alla promessa del mattino, e dopo che i figli andarono a dormire tornò a reclamare il proprio ruolo di marito e maschio. Nella privacy della loro camera da letto iniziò a baciare Silvia con infinita dolcezza. Dagli occhi passò alla bocca, scese piano verso il mento, alternò baci e morsetti sul collo che fecero ansimare Silvia, quindi, proseguì la sua discesa verso il basso, dedicando particolare attenzione ai seni, leccando i capezzoli duri, poi succhiandoli e mordendoli con una forza sempre maggiore che le strappò gemiti di piacere. Più Piero continuava a scendere lungo il suo corpo, più la sua bramosia aumentava, tanto che a un certo punto Silvia dovette tirargli i capelli a chiedere un po’ di tregua per quei capezzoli che nella bocca famelica del marito sembravano ciliegie pronte a essere staccate da un momento all’altro. Le leccò poi la pancia, facendole venire la pelle d’oca, infilò la lingua nell’ombelico, uno dei suoi punti erogeni, e infatti Silvia iniziò a sussultare come se colpita da una scossa elettrica. Ma fu quando Piero scese a livello della sua fica, che la situazione deflagrò.
Tra il lavoro della bocca, l’uso sapiente delle dita di Piero e le immagini che si accavallavano nella sua testa, quelle del Padrone, dei poliziotti, ma anche del bacio in ascensore a Francesco seguito dalle parole quasi oscene (“Puzzi di sperma”) che il ragazzo aveva pronunciato, Silvia iniziò a entrare in un’altra dimensione. La fica, lo sentiva non solo fisicamente, ma anche dai rumori che la lingua di Piero produceva, uno sciacquettio crescente, uno ‘sciaf sciaf’ di umori sempre più copiosi, ormai era un lago che tracimava piacere e che piacere pretendeva. Non ci volle molto perché iniziasse a implorare Piero di scoparla.
Ma lui, sadicamente, non le diede retta, anzi, alternando la frequenza delle leccate, delle dita che la penetravano andando a cercare, quasi a raschiare, il suo punto G, del risucchio al clitoride che, prigioniero dei denti e colpito a ripetizione dalla lingua, ormai svettava durissimo come un minuscolo cazzo. E, ogni volta che percepiva come Silvia si avvicinasse al punto di non ritorno, Piero cambiava ritmo, rallentava, smetteva per pochi secondi per poi, nel momento in cui Silvia quasi iniziava a ringhiare, repressa e frustrata per quella infinita tortura, ricominciare con il suo gioco, in una scalata, per la donna, ormai quasi dolorosa verso le vette del piacere.
Fradicia di sudore, Silvia non ne poteva più. Ormai sentiva di stare impazzendo, quel trattamento le faceva persino male, la testa le girava e sentiva che non avrebbe potuto andare avanti ancora a lungo con quel trattamento. “Pietà, pietà. Scopami per favore” si trovò a implorare sempre più impotente e remissiva di fronte al trattamento di Piero. Il quale, finalmente, dopo un tempo che le parse infinito riemerse tra le sue gambe, la faccia completamente fradicia dei suoi umori, un sorriso a metà tra il sadico e il compiaciuto.
“Scopa…”. Silvia non fece in tempo a finire di pronunciare la parola, che una sberla improvvisa sulla figa le mozzò il fiato, mentre un urlo gutturale risaliva dal profondo del suo corpo e le gambe scattavano a proteggere il suo scrigno. O meglio, provarono a scattare, perché subito dopo Piero le mollò un’altra sberla che colpì direttamente il clitoride. Fu, letteralmente, il colpo di grazia perché, come le capitava raramente, Silvia alzò bandiera bianca, ammainò ogni tipo di resistenza, si consegnò senza chiedere o pretendere alcun tipo di condizioni, si presentò davanti al plotone di esecuzione, si tramutò in agnello che sa che da lì a poco sarà sacrificato, semplicemente, con un guaito animalesco e ancestrale, iniziò a godere, il suo piacere una fontana di umori che schizzò violentemente il volto di Piero e infradiciò le lenzuola.
Il respiro affannato, la testa che le girava, la fica che non smetteva di pulsare, quasi anche lei stesse provando a respirare per ritrovare un accenno di normalità dopo essere precipitata senza paracadute dal cinquantesimo piano di un grattacielo. Silvia non fece in tempo a scendere dal picco dell’orgasmo che Piero, con un’aggressività che non gli era propria, la girò di forza, schiacciandole perentorio con una mano il volto e le spalle sul materasso, e obbligandola nel contempo con un paio di schiaffi a sollevare in alto il sedere.
“Visto che l’altro giorno ti è piaciuto così tanto…” e giù un’altra sberla sul gluteo destro, alla quale ne fece immediatamente seguito una seconda su quello sinistro.
Ancora preda dell’orgasmo, Silvia si limitò a qualche gemito, mentre Piero le assestava un altro paio di schiaffoni che iniziarono a colorarle il culo. Poi, spinto da un impeto animalesco, le allargò le ginocchia, si insinuò tra le sue gambe e con un colpo secco che quasi non incontrò resistenza, tanto la fica era bagnata, impalò Silvia. Che un attimo dopo si trovò sottoposta a un martellamento crescente da parte di Piero, che prima le afferrò i fianchi per avere maggior presa, ma subito dopo con una mano le artigliò i capelli, tirandoli e obbligandola a rialzare la testa.
I colpi sempre più forti e profondi, la schiena arcuata all’indietro con la mano a tenerle saldamente la “criniera”, quasi fosse una puledra da addomesticare, e che faceva sì che il cazzo di Piero affondasse a ogni colpo del cazzo un po’ di più dentro di lei, Silvia ricominciò la scalata verso il piacere. Scalata che ebbe un’impennata brusca quando Piero, dopo avere alternato con forza crescente una serie di violente sberle sul culo, senza uscire dalla sua fica si sollevò quasi a volersi sedere su di lei, puntò i piedi ai lati delle sue ginocchia, diede un ulteriore strattone verso l’indietro ai capelli che le fece sollevare ancor di più il busto, e con entrambe le mani le afferrò il collo, stringendolo. A quel punto, come un ossesso, accelerò ulteriormente il ritmo della scopata, con Silvia che, il cazzo nella fica e le mani di Piero a stringerle il collo, si ritrovò con il busto sollevato e le mani a muoversi senza coordinazione, come fosse una marionetta comandata da un burattinaio impazzito.
“Strizzati i capezzoli” le ordinò Piero, madido di sudore per lo sforzo crescente. Silvia, il viso sempre più paonazzo e il respiro strozzato, ubbidì, regalandosi un ulteriore brivido nel momento in cui le dita iniziarono a stringere i capezzoli.
“Più forte”, il sibilo affannato di Piero che indicava come anche lui ormai fosse allo stremo della resistenza. E infatti, pochi istanti dopo, un urlo profondo che Silvia sperò non svegliasse i ragazzi, sottolineò l’orgasmo del marito. Sentire il suo cazzo che pulsava dentro la fica, lo sperma che la invadeva, fu tutto quello di cui Silvia ebbe bisogno per esplodere a sua volta con una violenza tale che le fece quasi perdere i sensi.
Stravolti nel letto, i corpi sudati uniti in un abbraccio, i due rimasero a lungo immobili, il ritmo del respiro che poco alla volta ritrovava una sua normalità. Quando Silvia fece per alzarsi e andare in bagno a pulirsi, Piero però la fermò. “No, stanotte voglio che tu dorma con la mia sborra a marchiarti” le disse crudo. Poi, poco prima che entrambi cedessero al sonno, pronunciò le parole che, di fatto, cambiavano la loro relazione. “Ti permetterò di rivedere quell’uomo, ma al di là di quello che lui ti farà fare, delle esperienze che ti regalerà, ricordati che tu sei e sarai per sempre mia”. Un bacio lento suggellò la loro promessa.

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Il pomeriggio del giorno dopo, ormai al termine di una giornata lavorativa finalmente normale, nel completare una pratica che necessitava dell’invio di alcuni documenti, Silvia prese la borsetta, aprì il portafoglio e… “Cazzo, la carta di identità!”, esclamò con un tono disperato.
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