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Sara e il bosco


di Lady_Sara
03.06.2021    |    12.275    |    40 9.0
"Mia madre grazie anche al suo lavoro aveva colto molte occasioni di portarmi fin da bambina con lei per buona parte del trentino, a vedere posti e facendomi..."
Era Giugno, il giorno prima al liceo avevo dato l’ultimo esame per la maturità. Mi rimaneva da attendere la pubblicazione dei risultati ma già mi sentivo libera di festeggiare. Avevo condotto le prove con poche sbavature e gli orali si erano rivelati quasi una formalità grazie alla puntuale galanteria di certi professori.

Stavo in camera mia e quel giorno faceva caldo, più del solito per la località dove vivo io, più del solito per essere solo le 9 di mattina.

Smisi di colpo di pensare, alla scuola, alle aule, ai compagni e amiche con cui avevo condiviso un aperitivo di fine anno fino a tardi, a tutte quelle cose che da ieri erano diventate il mio passato, e scesi dal letto. Presi il cellulare e sbloccandolo lessi l’ora, 9:15. Lo rigettai subito sul letto insieme alla canotta aderente usata per dormire e rimanendo in topless scelsi un completo adatto alla mia uscita particolare. Vista la giornata assolata optai per dei vestiti leggeri e pratici: un paio di short jeans, un reggiseno sportivo, una maglietta, occhiali e un kappa way d’emergenza.

Scesi in cucina, salutai mamma, mangiai una colazione lampo e le chiesi le chiavi del nostro 4x4 familiare.
- “Stella dove vai?”
- “Vado da Elena, le ho prestato settimana scorsa degli appunti e ora che abbiamo tutte finito me li ridà. Ci facciamo anche una passeggiatina in paese, credo. Però per pranzo torno.”
- “Ah va bene. Salutami la neo-maturanda allora.”
Inutile dire che era tutta una scusa inventata, gli appunti me li ero fatti ridare già a scuola dopo la prova di matematica e la passeggiata era la spiegazione più sensata a quella che sarebbe stata la mia assenza.

Presi con me cellulare e borraccia che, uscita dalla porta di casa, andai a riempire alla fontana in cortile.
Se qualcuno fosse stato lì avrebbe visto una ragazza che più che andare a boschi sembrava stesse partendo per andare al mare, solo che io non cercavo le onde ma un’immersione nella natura.
Gli short lasciavano le mie gambe generosamente scoperte fino alla parte alta delle cosce e non portavo le mutandine quel giorno non per quell’occasione, volevo stare super comoda. Il reggiseno sportivo che si intravedeva sporgere attraverso la maglietta bianca lo indossavo spesso per camminate e corsette.

Casa mia che si trova in collina (anche se la maggioranza di chi legge la spaccerebbe tranquillamente già per montagna), nella frazione di un noto paese trentino, sta a comoda metà strada tra la cittadina e la montagna vera e propria.

Da dove abito bisogna impiegare dieci minuti buoni per raggiungere ‘il bosco’.
Montai, misi in moto e messo il muso in strada presi la direzione opposta a quella del paese.

Il posto dove mi dirigevo è proprietà di famiglia, o meglio mia e di mia madre, visto che papà è uscito dalle nostre vite quando ero ancora appena adolescente. E’ un’area di molti ettari di bosco protetta lateralmente dalle pendici di due monti che impediscono a venti troppo forti di abbattersi tra le sue radure. La conformazione dei suoi luoghi e sentieri è molto varia rendendolo ai miei occhi una sorta di piccola riserva naturale che non mi annoia e stanca mai di attraversare. Il cambio delle stagioni ne muta perennemente gli ambienti e vegetazione offrendomi volti di bosco sempre nuovi da osservare. Di questo classico bosco dolomitico conosco ogni angolo, escluse le zone dove roccia, pendenza o vegetazione troppo fitta non permettono di avanzare.

Dopo la presa della patente andare al bosco divenne una cosa via via regolare ed esso in pochi mesi si rivelò essere una vera e propria sorgente di energia mentale ma soprattutto un mondo segreto dove coltivare le mie inclinazioni.

Il periodo della maturità, fitto di impegni, ansie ed esami, era terminato ma lasciandomi molto stanca, volevo al più presto scaricare tutto lo stress accumulato e recuperare il mio intimo equilibrio.

Arrivando a destinazione trovai la transenna che fa da ingresso alla proprietà. Essa, immobilizzata da un grosso lucchetto, blocca il passaggio accidentale delle auto e ammonisce eventuali escursionisti a non procedere oltre. Parcheggiai sotto l’ombra di alcuni alberi a bordo strada di quello che è un tornante. Scesi lasciando il 4x4 acceso e con le chiavi in mano cominciai ad aprire il lucchetto.

Proprio negli ultimi giri di chiave d’improvviso sentii dietro di me il rombo di una moto avvicinarsi velocemente e solo quando il suono fu vicinissimo e fortissimo per istinto feci per voltarmi con la testa. Il motociclista che in quel momento aveva rallentato l’andatura per affrontare la curva volgeva lo sguardo verso di me ma non per osservare cosa facevo, bensì per ammirare qualcos’altro. Il mio sguardo lo congelò facendogli drizzare subito la testa, più sù verso il mio viso, ed ebbi in quel momento conferma. Non appena passò quel frangente, il motociclista voltò immediatamente la testa dando contemporaneamente gas per riprendere l’accelerazione. Il lucchetto scattò e continuando a guardare la moto allontanarsi calciai la transenna spingendo per aprirla. Nei passi di ritorno al 4x4 avevo gli occhi inclinati verso l’alto, consapevole che tutto il mondo è paese, con la faccia di una che neppure se la prende più (vabbè).

L’ingresso alla proprietà ha un primo tratto in discesa che si immerge subito nella natura coperto da un fitto tetto di rami d’albero. Sotto i raggi del sole si creava un piacevole effetto luminoso fatto di luce-ombra che mi mette sempre il buonumore e che accompagnava il transito sino alla fine del sentiero dove si apriva una vasta radura.

Entrataci fermai il 4x4 e scesi. Guardai l’ora sul cellulare, 9:50. Vidi anche che avevo ricevuto diversi messaggi, alcuni molto recenti ma decisi di ignorarli, non me ne fregava nulla in quel momento. Aprii il baule, tirai fuori un minuscolo zainetto da sciatore, pratico e utile in molte occasioni, e ci buttai dentro cellulare e kappa way.

Dalla radura partivano alcuni sentieri. Presi quello centrale che conduceva all’unica zona del bosco dove sapevo cresceva un po’ di manto d’erba tra gli alberi. Camminai circa 3 minuti per raggiungere quello che definivo come ‘punto di partenza’, una pietra dalle forme regolari a lato del sentiero abbastanza bassa da poter essere usata come panchina.

Appoggiai lo zaino e senza esitare cominciai a spogliarmi. Tolsi anche le scarpe e per finire sciolsi i capelli.

Ero totalmente nuda. Ero rimasta solo io, Sara. Essenzialmente Sara.
Avevo rimosso ogni filtro, ogni cosa che mi separava dalla natura ed ora potevo prendere parte ad essa.
Mi sentivo finalmente libera, da ogni sguardo, da ogni pressione, da ogni preoccupazione, da ogni scocciatura e da ogni cosa del mondo là fuori. Come in un eden personale non c’era alcuna vergogna da provare o qualcuno da cui nascondersi ma solo un nuovo posto dove stare tra le altre forme di vita.

Capelli biondi, un metro e settanta di altezza, terza di seno, un corpo snello dalle forme equilibrate che termina con due piedini taglia 37. Questa sono io. E per fatalità del destino, se venissi incontrata in tale contesto, potrei venire scambiata per una classica ninfa.

Appoggiai le mani sui fianchi del bacino e chiusi gli occhi. Aspettai il silenzio del bosco e feci un respiro profondo passandomi le mani dai fianchi fino ad arrivare sotto i seni. Poi espirai affiancando le mani sul centro del diaframma e facendole scendere fino alla vagina. Riaprii gli occhi e cominciai a camminare, proseguendo lungo il sentiero.
Lasciai tutto su quella pietra, sarei tornata lì più tardi a conclusione della mia passeggiata.

Se smettevo di pensare potevo sentire sotto i miei piedi ogni irregolarità del terreno: i piccoli aghi di pino, le rocce del suolo, i sassi, i rami, le radici, le foglie. Sentivo la vegetazione toccare il mio corpo quando lasciato il sentiero mi addentravo tra le piante e gli alberi. Sentivo la brezza del vento accarezzarmi la pelle.

Ricordavo ancora bene la prima volta che lo feci. Fu terrore puro. Una ragazza poco più che diciottenne che provava a muoversi nuda e indifesa nel mezzo di un bosco. Per quanto bello e accogliente fosse all'inizio ero principalmente intimorita da qualsiasi rumore anomalo sentissi e dal costante presagio che qualcuno fosse lì a pochi passi dietro me, ad osservarmi per assalirmi. Percezioni derivanti da un istinto naturale che abbiamo ereditato, e ciò è perfettamente comprensibile, ma riuscire a sopprimerle abbastanza da potermi muovere libera nel verde senza voltarmi mai non è stata cosa facile.

A spingermi e dominare la paura sono state la passione per la letteratura e l’amore verso la natura trasmessami da mia madre veterinaria. Mia madre grazie anche al suo lavoro aveva colto molte occasioni di portarmi fin da bambina con lei per buona parte del trentino, a vedere posti e facendomi entrare in contatto con gli animali del luogo che doveva visitare. Questo non solo aveva sempre stretto un forte legame con lei ma mi aveva portato a riflette e per certi versi invidiare alcune caratteristiche tipiche degli animali che noi ‘animali umani’ non abbiamo forse mai avuto, una tra tutte quella di far diventar la natura casa propria senza distruggerla.
La lettura invece, hobby che ho sempre coltivato, mi ha portata col tempo ad approfondire la conoscenza di nuovi personaggi sempre più idealizzati e simbolici presenti nelle opere della letteratura celtica e greca delle quali mi sono innamorata. Non mi sono fatta mancare neppure approfondimenti in chiave sacra e profana che mi hanno permesso di comprendere a pieno i significati dietro alcune opere.
Assimilando le due cose fui sempre più spinta a voler colmare quella sana invidia che provavo verso gli animali e a incarnare, almeno parzialmente, quei canoni estetici e di virtù posseduti dai miei idoli/e delle opere classiche.

Oggi non provo più alcun timore. Dopo essermi informata sulla fauna dei luoghi, aver esplorato e imparato quasi tutto il bosco a memoria ho convinto me stessa che non c’erano veri motivi di avere paura.

E per il resto?
Per il resto sfrutto questi momenti di profonda intimità e solenne tranquillità per riflettere, ricaricare le energie mentali, far giocare la mia fantasia, masturbarmi immersa tra la natura oppure pensare a modi nuovi per sottomettere mentalmente e torturare i miei schiavetti.

Rimasi a girare in quella zona di bosco per tutto il tempo che mi sembrò necessario. Una buona parte di tempo lo passai in una piccola radura dove sotto gli alberi cresceva quello che era un raro manto d’erba. Lì mi stesi, punta dai fili d’erba e dalle foglie, leggermente colpita dalla luce cominciai a toccarmi dolcemente e lasciai correre i miei sadici pensieri.

Quando vidi il sole farsi sempre più alto nel cielo decisi di tornare sul sentiero e fare ritorno.

Quando mancavano ormai un centinaio di metri dal punto di partenza cominciai a sentire in lontananza la suoneria del telefono. Pensai che forse era una mia amica e che l’avrei richiamata appena tornata al 4x4.
Arrivata davanti la roccia cominciai a rivestirmi ma non feci in tempo a rimettermi il reggiseno che il telefono dentro lo zainetto ricominciò a suonare. Decisi di tagliarla lì e di vedere chi fosse.

Tra i messaggi ricevuti anche 3 chiamate perse e una in arrivo. Il nome sullo schermo: “Servo2”

- “Ma che vuole sta troia? … Non usa più il cervello da ieri che già il cazzo ha ripreso il controllo !?”
Aprì la telefonata, e domandai con tono secco e serio: “Che c’è?”
Dall’altra parte rispose la voce di un ragazzo: “B-Buongiorno Giulia, come stai? E’ un piacere risentirti. Spero ti sia andato tutto bene con gli esami. Scusa se ti disturbo ma ora che sono nuovamente libero di tornare al tuo servizio desideravo risentirti e sapere se avevi bisogno .. se avevi già bisogno di me in questi giorni o magari per l’estate. Perché vedi mi sono fatto una lista di impegni e ho visto che …”

Il motivo per cui mi chiamava Giulia lo dirò un prossimo racconto.
Intanto io avevo già messo in vivavoce la chiamata e stavo finendo di rivestirmi.

“ … perciò volevo dirti che fino a metà Agosto bene o male sono disponibile. Poi purtroppo sarò occupato a prepararmi per il test di ingresso all’università e là poi non so come e quanto libero sarò. Anche te…”

Finalmente vestita lo interruppi “Senti schiavetto … Hai anche intenzione di dirmi qualcosa che mi possa interessare o essere utile, o devo terminare la telefonata qui?”
- “Come? Mi avevi detto che a esami finiti avrei dovuto informarti della mia disponibilità il prima possibile.”
Risposi sempre con tono severo: “Esatto. Per farlo ti basta un messaggio, non intasandomi di telefonate e facendomi l’organigramma della tua estate. Sono io che ti contatto quando voglio e serve a me ricordi? O non ti è più chiaro?”
- “No no certo. Hai ragione. E’ solo che dopo sto periodo avevo piacere risentirti.”
In modo impassibile risposi: “Senti, la vuoi una cosa da fare per me?”
- “Si dì pure.”
- “Te ora ti metti a cuccia in un angolino, rimani sull’attenti, e se ti chiamo corri. Chiaro?”
- “Si … ok.”
- “Magari per uno dei prossimi weekend.”
- “E se per qualche ragione ho un imprevisto o non posso quel giorno?”
- “Chiamerò qualcun altro al posto tuo. Semplice. … Se non hai nulla di utile da dirmi io ti devo salutare, ora sono impegnata.”
- “Certo va bene… ci sentiamo.”
Chiusi la telefonata, lessi l’ora (11:20), ributtai il telefono nello zaino e mi incamminai per tornare al 4x4.

Uscita dalla proprietà e rimessami in strada finii per pensare all’università. Che pure io dovevo scegliere che percorso seguire e sostenere una prova di ammissione. Ma mi rifiutai di pensarci oltre. Avevo le idee già abbastanza chiare e una intera estate davanti da usare per divertirmi, leggere, ricaricarmi, nutrire le mie voglie e sfogarmi … soprattutto sfogarmi.
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