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Danilo e Federico - Parte I: Il serpente che si morde la coda (8)


di vgvg91
25.01.2022    |    5.114    |    8 9.3
"Ad un certo punto, nel camminare, persi completamente l’orientamento, ma non me ne curai..."
Durante il lungo viaggio di ritorno verso Milano, ebbi occasione di ripensare alle vacanze di Natale appena trascorse. Dopo il mio coming out, se così poteva definirsi quella crisi di pianto nel bel mezzo della notte di Natale, mia madre e mia sorella mi fecero intendere che il bene nei miei confronti sarebbe rimasto immutato e che questo non avrebbe pregiudicato nulla. Mio padre, invece, per i primi giorni fece finta che non esistessi, ma avevo compreso che le sue intenzioni non erano malvagie e che aveva solo bisogno di tempo. Il giorno della partenza verso Milano, si avvicinò e mi diede il suo solito buffetto sulla guancia. Capii allora che sarebbe andato tutto a posto.
Prima di riaprire la porta del mio appartamento, sospirai. Si ricomincia.
Le lezioni ripresero a ritmo serratissimo, quindi i miei momenti di svago si ridussero all’osso: tutto il mio tempo era occupato da preparazioni di lezioni, correzioni di compiti in classe, predisposizione di piani didattici e interrogazioni serrate in chiusura del primo quadrimestre. Mi sentivo prosciugato, ma sereno. Le vacanze di Natale avevano avuto un effetto ristoratore sul mio fisico e sulla mia psiche.
Dopo aver passato due settimane recluso in casa, se non per andare a scuola o prendere qualcosa al volo dal supermercato di fronte giusto per evitare di morire di inedia, il sole luminoso della domenica mattina mi invitò a fare due passi per le vie della città. Non presi nessuna metro, decisi di macinare chilometri di strada camminando. Indossai le cuffie, accesi la musica e mi lasciai andare al fluire dei pensieri.
Percorsi tutte le strade e i punti di interesse del centro città, affacciandomi di tanto in tanto alle vetrine dei negozi. Ad un certo punto, nel camminare, persi completamente l’orientamento, ma non me ne curai. Prima o poi avrei trovato un cartello della metro e da lì sarei tornato verso casa.
All’improvviso arrestai il mio cammino. Ebbi la sensazione di trovarmi nei pressi di un luogo familiare, che risvegliò qualcosa nella mia mente. Sollevai lo sguardo da terra e mi guardai attorno.
Il mio cuore perse un battito e maledissi le mie gambe che mi avevano condotto fin lì senza consultare il mio cervello: ero nella strada di casa di Danilo.
A 150 metri più avanti, mi si parò davanti agli occhi una scena a cui non avrei mai voluto assistere nella mia vita. Riconosciute le due persone, mi affrettai a nascondermi dietro un’auto a pochi passi da me.
Danilo stava accompagnando Vanessa verso quella che doveva essere presumibilmente l’auto della ragazza. Le loro espressioni furono per me indecifrabili. I due si fermarono davanti al portello, poi lei si girò e Danilo allargò le braccia, mentre le pronunciava qualcosa che non riuscii a udire. Vanessa si accomodò tra le sue braccia e lui le carezzò dolcemente i capelli. Poi le scoccò un bacio sulla guancia e si allontanò, osservandola mentre prendeva posto in auto. Quando la macchina si avviò, Danilo levò una mano in segno di saluto, finché non svoltò a destra. Fece ricadere la mano lungo il fianco, indugiò ancora per qualche secondo con lo sguardo fisso in quella direzione e poi rientrò in casa.
Le mie gambe cominciarono a protestare a causa della posizione innaturale che avevo assunto, ma la loro fu una richiesta sorda alla mia mente, che galoppava.
Il mio umore cambiò nel giro di pochi istanti, passando dall’ansia di essere scoperto, ad un vago senso di tristezza, per poi rompere gli argini e sfociare in una rabbia cieca.
Non repressi i miei sentimenti: ero furioso. Le ultime parole dell’uomo che fino a pochi istanti prima era davanti ai miei occhi rimbombavano nelle mie orecchie: “dammi tempo”.
Certo, il tempo gli era servito per fregarsene e continuare la felice storia d’amore con la sua ragazza, senza degnarsi di rivolgermi un solo pensiero, di darmi quel briciolo di considerazione che credevo, in fondo, di meritare. Non pretendevo nulla di più, alla fine avevo accettato di essere stato soltanto una breve meteora nella sua vita, un’eccitante avventura come diversivo dall’asfissiante routine. Così presi la mia decisione: erano passati quasi due mesi, aveva avuto tempo a sufficienza.
Percorsi a grandi falcate la strada, finché non mi ritrovai di fronte al portone d’ingresso. In quell’istante, la serratura scattò e un uomo vi uscì di fretta, senza badare troppo a me. Per non dare troppo nell’occhio, mi infilai rapidamente nel portone prima che potesse richiudersi.
Superai il gabbiotto del custode di corsa, presi l’ascensore e, nonostante il frastuono metallico dovuto all’ascesa, potevo udire distintamente il cuore che mi batteva all’impazzata nel petto e in gola. Le porte scorrevoli si aprirono e mi recai senza esitare verso l’interno C2. Posai il dito sul pulsante del campanello e pigiai. Lo tenni a lungo premuto, noncurante di procurare enorme fastidio: questa era soltanto la prima valvola di sfogo.
La porta si aprì: «Non mi dire che hai dimentica…» la voce dell’uomo gli si strozzò in gola, come notai con una punta di soddisfazione, ma il mio sguardo rimase glaciale.
«Oh». Non aggiunse altro. Io, da parte mia, non mossi un muscolo, nonostante apprezzai il suo fisico statuario. Era a petto nudo. Non sapevo se risultassi minaccioso di fronte a quella montagna umana o soltanto ridicolo, ma non cedetti di un passo.
«Che ci fai qui?» mi chiese alla fine lui.
«Bel coraggio» risposi io ostentando una calma innaturale, sebbene dentro di me infuriasse una guerra in tumulto.
Danilo sospirò: «D’accordo, entra» e si fece da parte.
Superai l’ingresso senza degnarlo di uno sguardo e mi voltai verso di lui, mentre richiudeva la porta.
«Che ci fai qui?» ripeté, squadrandomi da capo a piedi.
«“Dammi tempo”» recitai io, scandendo le parole.
Danilo si passò una mano fra i capelli, flettendo i muscoli del braccio. «Ok, ascolta. Posso spiegare» provò a dire lui, ma al suono di quelle parole, il mio coperchio esplose.
«Non me ne frega niente delle tue giustificazioni. Ho visto a sufficienza!».
«Cosa avresti visto?» chiese lui, inarcando le sopracciglia e alzando il tono della voce per tentare di sovrastare la mia.
«Che la tua vita va avanti tranquillamente, proprio davanti al mio naso. Ho assistito a tutta la romantica scenetta sotto casa! So bene che non avrei potuto pretendere nulla, sia chiaro, ma credevo di meritare almeno un briciolo di considerazione!» sbottai io, alzando a mia volta il tono di voce. Stavo quasi urlando: ormai il proposito di mantenere la calma era andato a farsi benedire.
«Come sempre, non hai capito un cazzo» disse Danilo, provando a mantenere un tono pacato in contrasto con le mie urla.
«Sono stufo delle tue frasi insensate e soprattutto del tuo atteggiamento da menefreghista strafottente, stronzo!». L’ultima parola gliela vomitai in faccia con una rabbia indescrivibile.
Qualcosa nei suoi occhi si accese, come una sorta di fiamma, mentre la sua espressione divenne dura: «Stammi a sentire, ragazzino…».
«Come OSI chiamarmi ragazzino? Tu…». Non riuscii a terminare la frase. Come una belva, Danilo si avventò su di me, sbattendomi al muro e bloccandomi il collo con l’avambraccio. Sollevai le mani e provai ad allentare la presa ma, come tutti gli altri miei tentativi passati, anche questo si risolse in un buco nell’acqua. Danilo avvicinò il viso al mio e disse a voce bassa e minacciosa: «Sì, sei un ragazzino. Irrompi in casa mia e decidi deliberatamente di non ascoltarmi, di non darmi la minima opportunità di spiegare. Conta solo la tua verità, vero?». Il suo respiro profondo mi investì il viso, mentre i suoi occhi percorrevano i miei lineamenti. Poi riprese a parlare, mantenendo la stessa espressione: «Allora, dal momento che hai deciso di non ascoltarmi, adesso sarò io a non ascoltare te, qualunque cosa mi dirai. Ti scoperò così forte che sentirai le tue gambe cedere…».
«No!» urlai, provando a divincolarmi, ma con tutto il suo peso mi schiacciò contro il muro e mi tappò la bocca con la mano.
«Andrà così: squarterò il tuo bel culo da impavido giudice morale quale sei e nessuna delle tue suppliche potrà fermarmi. Potrai anche gridare pietà, è proprio ciò che voglio. Così magari imparerai la lezione».
Detto ciò, con una violenza inaudita, mi strappò di dosso il giubbotto, mi strattonò dal braccio e mi trascinò verso la camera da letto. Provai a puntare i piedi per arrestare il suo cammino, ma Danilo si fermò e mi prese in braccio come fossi un fuscello, senza la minima difficoltà. Riuscii ad assestargli una gomitata sul viso ma, nonostante il colpo, non fece una piega. La sua volontà di ferro gli permise di avanzare e scaraventarmi sull’enorme letto matrimoniale. Mi voltai e provai a scappare, ma Danilo fu più svelto: mi bloccò a pancia sotto col suo peso, facendomi affondare la testa nel morbido cuscino. Si sollevò e, con la sola pressione delle gambe sulla mia schiena, si sporse per aprire il cassetto del comodino e prendere qualcosa. Sentii uno sferragliare metallico e, riuscendo a sollevare il capo di qualche centimetro, notai delle manette. Il mio cuore prese a battere all’impazzata e provai nuovamente a divincolarmi, investendo tutte le mie energie in quel gesto, pur sapendo in partenza che sarebbe stato vano.
«Lasciami andare!» dissi, ma la mia voce era ovattata dal cuscino nel quale ero sprofondato.
«Così la smetterai di sprecare tutta questa forza inutilmente» disse minaccioso, stendendomi il braccio e bloccando il polso in una manetta. Legò l’altra estremità alla spalliera del letto. Con un braccio fuori gioco la mia sorte era ormai segnata ma a quanto pare per Danilo non era sufficiente. Usò il secondo paio di manette per bloccare l’altro braccio alla spalliera del letto.
Ero bloccato, non potevo fare nulla.
«A Vanessa piacciono tanto. Ma con te prenderò qualche altra piccola precauzione» disse lui, e percepii una nota di ironia nella sua voce.
Uscì dalla camera e, da quella distanza, potei solo sentire che trafficava con qualcosa da qualche parte in casa. Dopo qualche secondo, fece ritorno, mi strattonò le gambe e divaricò le cosce. Avvertii attorno alla mia caviglia destra l’inequivocabile tessuto ruvido di una corda.
«No, ti prego» lo implorai, ma il mio appello non arrivò mai alle sue orecchie.
Legò sia l’una che l’altra gamba ai pomelli inferiori del letto, flettendomi leggermente le ginocchia in modo tale da farmi assumere la posizione della pecorina. Mi sentivo indifeso, con il mio culo a sua disposizione, ma non potevo muovermi di un solo centimetro, talmente le corde erano tese.
Il materasso si piegò e la rete cigolò, mentre Danilo saliva sul letto. Poi sollevò una parte del mio pullover e sentii il suono di una lama tagliare il tessuto. Con delle forbici affilate, mi stava svestendo nell’unico modo possibile.
Cominciai a singhiozzare, senonché mi giunse uno schiaffo violento e furibondo sul culo, che per un attimo mi provocò un leggero stordimento.
«Mi pare che tu sappia che odio questi piagnistei» ringhiò Danilo al mio orecchio. «Non ho ancora iniziato a sventrarti e già piangi. Taci» aggiunse, marcando pesantemente l’ultima parola.
L’operazione gli portò via parecchi minuti: lo fece appositamente per farmi dannare, con dei gesti sadici e lenti. Dopo avermi tolto il pullover, passò ai pantaloni. Rimasto in mutande, quelle le strappò via senza remore come aveva già fatto l’ultima volta, ma in ben altre circostanze. Ero completamente nudo e alla sua mercé.
Alle mie orecchie giunsero tutti i suoni della sua svestizione: anche lui era nudo, capii immediatamente quando si avvicinò a me e i nostri corpi entrarono in contatto. Le sue gambe massicce e pelose sfregarono contro il retro delle mie. Come percorso da una scossa elettrica, che partì da quel punto del corpo e si irradiò verso il mio cazzo, passando attraverso il mio ano, ebbi una potente erezione.
Non mi era mai successo nulla del genere, era come se fossi scisso in due: la mia mente non voleva essere lì, ma il mio corpo, a quanto pare, aveva già ceduto alla maestosità virile del mio “sequestratore”, memore dei precedenti trattamenti ricevuti.
Danilo mi diede un secondo schiaffo sulle natiche: era violento e il rumore si diffondeva nella camera da letto. Emisi un urletto causato dal dolore sordo. Poi ne arrivò un terzo, mentre si sporgeva verso di me e mi tirava i capelli: mi sospirò nell’orecchio, i miei occhi si ribaltarono all’indietro. Poi lasciò la presa e mi spinse la testa verso il materasso.
Facendosi ancora più vicino, mi prese dai fianchi e cominciò a strusciare la sua verga enorme sul mio buco. Ancora una volta, provai la sensazione di essere scollegato mentalmente dal mio corpo, quando il mio cazzo cominciò a gocciolare pre-sperma, visibilmente eccitato. Quando, però, cominciò a spingere senza troppe remore la sua virilità nelle mie viscere, mi resi conto che quello sarebbe stato solo l’inizio.
«No…» mugolai io, sebbene fossi consapevole che le mie richieste non avrebbero sortito alcun effetto. In effetti, per tutta risposta, la presa sui miei fianchi si fece più solida. Non che ce ne fosse bisogno, non potendo muovermi di un solo centimetro, ma quel gesto marcava il suo possesso su di me.
«Oh sì…» lo sentii gemere, mentre il suo cazzo affondava centimetro dopo centimetro. Il dolore fu lancinante e urlai con quanto fiato avevo nei polmoni. La penetrazione mi dilatò a dismisura: non prendevo il suo cazzone da due mesi, e le pareti del mio ano avevano avuto il tempo di restringersi. Fu come riceverlo per la prima volta. Le gambe tremarono violentemente, mentre affondava in me senza pietà. Il mio cazzo sobbalzò, producendo altro liquido. Poi, avvertii i peli del suo pube toccare il mio culo: era completamente dentro di me.
«Devo ammettere che il tuo culo è sempre sensazionale» fece lui, in evidente stato di elettrizzante eccitazione per quello che aveva davanti ai suoi occhi. Cominciò a muovere il bacino, ma non ci fu un aumento graduale della velocità: fu, dal primo istante, un martello pneumatico. Strabuzzai gli occhi: la sua forza era impressionante e mi sbatteva senza pietà.
Sentii le pareti del mio retto tese all’inverosimile, di lì a poco avrebbero cominciato a lacerarsi. Strinsi le mani, attendendo il peggio. Danilo mi fotteva con colpi rapidi e decisi, tenendo le mani ancora sui miei fianchi. Poi, senza preavviso, fece partire altri tre schiaffi poderosi in sequenza. Urlai tutte e tre le volte che la sua mano produsse il rumore sordo sulle mie chiappe.
Sentii la sua imponenza fisica avvicinarsi al mio viso, mentre manteneva il ritmo della scopata e disse con voce rotta dal piacere: «Urla pure quanto vuoi, piccolo. Casa mia è perfettamente insonorizzata, e poi i tuoi gemiti non fanno altro che eccitarmi di più». Con un ringhio feroce, portò entrambe le mani sul mio collo e ritrasse il busto. Mi sentii strattonare verso di lui dalla gola, le braccia legate alla spalliera si tesero per accompagnare il movimento.
In quella posizione mi fotteva con ancor più vigore di prima. Ormai il cazzo scivolava con estrema agilità dentro di me: un po’ perché ero del tutto slabbrato, un po’ per il pre-sperma prodotto dal suo sesso. Anche la mia mente si abbandonò al piacere che pervadeva il corpo, ricongiungendosi al mio fisico. Gemetti, rivoltando gli occhi e mi affidai all’indiscutibile piacere che Danilo mi stava procurando, dopo mesi di mancanza.
«Allora ti piace, lo sapevo» rantolò Danilo, soddisfatto di aver vinto la sua partita. Dal canto mio, non riuscii a fare altro se non continuare a gemere e mugolare, segnalando la mia soddisfazione carnale.
Danilo mi assestò un altro ceffone sul culo e, dopo un paio di minuti di quella brutale cavalcata, mi spinse nuovamente la testa sul materasso. I suoi gesti decisi mi suggerirono che dovesse essere pervaso da un piacere inarrestabile.
Poi, la dominazione dello stallone raggiunse lo step successivo. Sollevò la gamba destra e portò il suo enorme piede sul mio viso, schiacciandolo contro il materasso. Mi sentii soffocare e le mie urla furono inevitabilmente represse. Per mantenere quella posizione, Danilo sollevò il suo corpo e riprese a fottermi da una angolazione diversa, stimolando la mia prostata in maniera più diretta.
Annusai l’odore pungente e maschile del suo piede: l’odore mi mandò in estasi e i colpi sulla prostata cominciarono a produrre quella ormai familiare sensazione di calore che si diffondeva nel mio corpo.
Più mi fotteva in quella posizione, più aumentava la pressione del suo piede sul mio viso. Cominciai ad avere delle piacevolissime contrazioni che mi scuotevano l’ano.
«Sei una puttana» ringhiò Danilo avvertendo le contrazioni attorno al suo cazzo pulsante, «la mia puttana» aggiunse, reclamando il possesso del mio corpo, del mio essere.
Gli affondi si fecero più profondi e il mio ano partecipava con trasporto, fondendosi col suo cazzo. Il calore aveva raggiunto ormai la punta del mio cazzo quando, con ancora il suo piede sul mio viso, iniziai a gemere travolto dalla passione. Le contrazioni aumentarono e il mio cazzo sobbalzò: lo sentii produrre un fiotto dietro l’altro di calda sborra, accumulando un laghetto viscoso sulle bianche lenzuola. Danilo, contemporaneamente, arrivò al culmine ansimando:
«Sì Fede, vengo con te… Ti riempio il culo!». Avvertii l’inondazione nelle mie viscere, mentre Danilo continuava a spingere imperterrito. Il suo seme era talmente copioso che spruzzò fuori dal mio culo. Danilo gemeva e tremava, mentre con le mani mi strizzava con forza entrambe le natiche. Poi, con un’ultima scossa, scrollò il cazzo dentro di me e posò il viso sulla mia schiena. Fu a quel punto che prese a scoccarmi dei baci teneri e delicati lungo tutta la mia schiena madida di sudore.
Rimasi in quella posizione per qualche minuto. Mentre il piacere diminuiva, lasciava il posto all’indolenzimento che avvertivo su tutti gli arti. La mia mente tornò a essere protagonista del mio spirito e, realizzando quanto avvenuto, mi pervase un senso di vuoto e di angoscia. Gli occhi si fecero umidi.
Danilo si scostò da me e prese a slegarmi. Quando fui finalmente libero, assunsi con calma una posizione naturale tanto agognata, passandomi le mani sui polsi, ma continuai a dare le spalle a Danilo. Lo sentii posizionarsi in ginocchio sul letto, il suo respiro ancora affannoso. Poi sussurrò: «Fede…».
Mi voltai di scatto e lo guardai, restituendogli una espressione dolorosa e ferita. Non ero ferito per la foga della scopata, che alla fine non potevo fingere di non aver gradito, quanto per l’atteggiamento fuori controllo che aveva assunto nei miei confronti. La sua espressione era indecifrabile. Tentò di protrarre una mano verso di me.
«Non mi toccare» ringhiai io, scostandomi. Potevo apparire come un animaletto indifeso, lì rannicchiato sul suo letto: ma la rabbia che montava in me mi conferiva una forza incredibile. Guardai i segni marcati sui miei polsi e le mie caviglie. Non avrei ceduto più. Sollevai la testa.
«Federico…» ripeté lui incerto, mentre mi alzavo di scatto dal letto. Percorsi frettolosamente con lo sguardo la stanza, finché non trovai i miei abiti tagliuzzati sul pavimento. Dovevo andarmene di lì, pensai, ma non potevo farlo senza vestiti.
Posai gli occhi su alcuni abiti di Danilo poggiati su di un grande cassettone. Li afferrai al volo e iniziai a indossarli.
«Cosa stai facendo?» chiese lui, sinceramente sorpreso.
Non risposi: i suoi vestiti, inevitabilmente, mi andavano impressionantemente grandi, avrei potuto ballarci dentro. Mi specchiai: sembravo uno di quei rapper all’apice del successo che ostentavano questo tipo di abbigliamento con assoluta nonchalance. Il problema di apparire ridicolo non sfiorò minimamente il mio cervello: a passi decisi, mi avviai verso l’uscita.
«No, Federico!» urlò Danilo. Si precipitò giù dal letto e prese a seguirmi nel corridoio.
«Lasciami in pace!» gridai, mentre recuperavo il giubbotto dal pavimento. «Me ne vado di qui e, ti giuro, non vedrai mai più la mia faccia!» aggiunsi adirato, senza rivolgergli lo sguardo. Avevo già una mano sul pomello della porta quando Danilo, dalla parte opposta del corridoio, esclamo con voce rotta: «Per favore, ascoltami… L’ho lasciata! È finita…».
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