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Danilo e Federico - Parte I: Sul campanile (11)


di vgvg91
29.01.2022    |    5.196    |    9 9.3
"Sulla sinistra, la porta introduceva alla camera da letto: un matrimoniale king size campeggiava esattamente nel centro, proprio accanto vi era una porta che..."
Quando uscii dal mio palazzo alle 5 del mattino con un piccolo ma funzionale trolley al seguito, l’aria milanese era gelida. Rabbrividii, stringendomi nel lungo cappotto beige, poi vidi Danilo in piedi accanto alla sua auto: indossava un parka blu notte e dei pantaloni grigi. In quel momento, mentre mi avvicinavo a lui, non riuscii a calcolare precisamente da quanti giorni non lo vedessi, ma ebbi la strana impressione che fosse passato un solo istante dall’ultima immagine che avevo di lui mentre abbandonavo casa sua. Aveva la consueta espressione rilassata e glaciale, all’apparenza non sembrava tradire nessun turbamento. Aprì il portabagagli e fece per prendermi di mano il trolley, ma lo fermai con un gesto deciso: «Faccio io».
Salimmo in macchina: l’ultima volta che ero stato lì, Danilo mi aveva dato il suo primo bacio.
Scossi la testa e mi portai le mani alla bocca, esalando un po’ di fiato caldo nel tentativo di stemperarle dal gelo in cui erano intrappolate.
«Se vuoi, accendo il riscaldamento» mi disse, guardandomi.
«Sì, grazie. Direi di averne bisogno. Quanto tempo ci vorrà?».
«Se non troviamo traffico, meno di quattro ore» rispose, mentre trafficava con il pannello digitale sul cruscotto. Uno spiffero di piacevole aria calda cominciò a investirmi: mi sciolsi e gli rivolsi un’occhiata mentre metteva in moto e tendeva i muscoli delle sue cosce per dare gas. Le primissime luci del mattino delineavano i lineamenti del suo profilo, creando giochi di luce sulla barba castana. Non potei fare a meno di notare quanto fosse attraente, ma mi feci resistenza e distolsi lo sguardo in fretta: ero lì per capire nel profondo ciò di cui necessitavo, non per farmi distrarre dalle mie pulsioni fisiche. Quelle non potevo in alcun modo negarle.
Il silenzio si fece pesantissimo, condito da un ingombrante velo di imbarazzo, ma non fiatai finché Danilo non uscì dalla città, immettendosi in autostrada. Il sole era ormai quasi sorto e il traffico scorreva senza intoppi.
«Allora» feci io, infrangendo finalmente l’insopportabile silenzio, «dimmi qualcosa in più su questo convegno».
«Uhm, sei sicuro? Mi sembri già fin troppo provato, non vorrei metterti fuori gioco così in fretta» disse lui, ironico.
«Ah-ah. Che simpatico» risposi io, stando al gioco. «Credo di potercela fare, ti ascolto». Lo vidi sorridere con la coda dell’occhio.
«Si tratta di un evento fondamentale. Imprenditori, produttori, uomini d’affari sia nostrani che internazionali si riuniscono per aggiornarsi sui movimenti di mercato e gli aggiornamenti di produzione di medie e grandi aziende. Inoltre, è una grossa opportunità, come ti ho già accennato, per la nostra realtà di imporsi definitivamente ed espandersi».
Annuii: ero sinceramente colpito e dava l’impressione di essere un’occasione unica ed elettrizzante.
«E così hanno scelto te per rappresentarli» incalzai io, ammirato.
«Sì. Per di più, ci saranno delle conferenze. Dovrò tenere un discorso anche io».
«Dai, è fantastico! Quando sarà il tuo turno?».
Danilo ci pensò un attimo, poi rispose: «Fra due giorni».
«Andrà bene» conclusi, incoraggiante.
Calò nuovamente il silenzio. I tiepidi raggi di sole mi accarezzavano la pelle e mi procuravano una piacevole sensazione di intorpidimento.
«Ti dispiace se chiudo un po’ gli occhi? Non ho dormito benissimo stanotte». Era la verità: da quando Danilo mi aveva contattato, avevo passato le notti successive tormentato dall’ansia e mi ero recato a scuola come uno zombie.
«Certo, figurati» mi rispose gentilmente.
Chiusi gli occhi e, cullato dal rumore continuo dell’auto e vinto dalla stanchezza, mi addormentai quasi all’istante.
«Sveglia, dormiglione!». La voce profonda di Danilo mi fece trasalire, riscuotendomi traumaticamente dal sonno in cui ero sprofondato. La vista annebbiata impiegò qualche secondo per rischiararsi: Danilo aveva il viso vicino al mio e un braccio attorno al sedile, ma quando mi rimisi seduto in una posizione decente, si allontanò di scatto.
«D-dove siamo?» chiesi biascicando.
«Nel parcheggio dell’hotel».
«Ho dormito per tutto il tempo? Oddio, mi dispiace».
Danilo scosse la testa: «Non importa, alla fine è stato un viaggio molto tranquillo».
«Ti riferisci a me?» osservai, aggrottando le sopracciglia.
«Quando dormi sei un angioletto» affermò, senza rispondere direttamente alla mia domanda e uscendo dall’auto. Fortunatamente, non mi vide diventare paonazzo.
Non appena misi piedi nella camera d’albergo, rimasi a bocca aperta: la suite era ampia, con un divano sulla destra accanto all’ingresso e, poco più in là, un tavolino in legno circondato da due sedie. Sulla sinistra, la porta introduceva alla camera da letto: un matrimoniale king size campeggiava esattamente nel centro, proprio accanto vi era una porta che con tutta evidenza dava sul locale del bagno, ma un altro dettaglio colpì la mia attenzione. Un’enorme vasca da bagno occupava parte della camera da letto, corredata da sali da bagno e candele.
«Ok, questo non lo avevo previsto» disse Danilo alle mie spalle, che mi aveva seguito nel mio giro di esplorazione.
Mi avvicinai alla finestra, che aveva ancora le tende chiuse, e le tirai. La mia bocca, se possibile, si spalancò ancora di più: davanti ai miei occhi, si stagliavano la Cupola del Brunelleschi e il Campanile di Giotto.
«Questo invece lo avevo previsto» disse Danilo, visibilmente divertito.
«Sono… meravigliosi» feci io. «Finora li ho visti solo in foto o sulle pagine di un libro» confessai, imbarazzato.
«Ma come?» rise lui, «un insegnante di lettere che non ha mai visitato Firenze?!».
«Non ho mai avuto l’opportunità» risposi, un tantino piccato.
«Domani saremo lassù» disse, indicando con la mano il Campanile. I miei occhi si illuminarono al sol pensiero. «Sistemo il mio bagaglio di là, poi comincerò a rivedere il mio discorso».
«Non esiste» proruppi io, cambiando espressione. «Mi hai invitato tu e tu resti qui. Di là mi sistemo io» ma Danilo mi bloccò il cammino con la sua imponenza fisica, allargando le braccia.
«Ti ho trascinato io fin qui, perciò adesso ti stai buono e fai come ti dico io». La sua voce divenne improvvisamente dura e perentoria.
Sospirai. «Mi pare di non avere scelta».
«Esatto» rispose con un ghigno, lasciandomi libero di sistemarmi. Passai il resto della mattinata facendomi una doccia e correggendo svogliatamente qualche compito in classe. La porta che dava sull’ingresso era chiusa, ma riuscivo a sentire Danilo borbottare, mentre ripeteva il contenuto del discorso.
Dopo qualche minuto, si affacciò in camera.
«Mi hanno appena avvertito che il convegno di oggi comincerà prima. Non ho tempo di pranzare, faccio una doccia veloce e vado».
«Oh, ok. Nessun problema» risposi con un sorriso, mentre Danilo si recava in bagno. Provai a concentrarmi nuovamente sulla pila di compiti da correggere per qualche minuto, ma la fame iniziava a farsi sentire, provocandomi rumorosi brontolii di stomaco, così rinunciai e mi alzai per scendere a pranzo e accontentare il mio stomaco. Poi mi arrestai di botto, restando impalato.
Danilo era appena uscito dal bagno con indosso l’asciugamano attorno alla vita, mentre con un altro si strofinava i capelli. Il petto era ancora bagnato: grandi gocce di acqua lo ricoprivano, cristallizzate nella peluria, mentre altre scorrevano lungo l’ampio addome. A quella vista, deglutii talmente rumorosamente che l’uomo alzò lo sguardo e mi vide lì immobile, accanto alla finestra.
«Che c’è?» chiese, fissandomi. Anche la barba era umida, notai, mentre ci passava le dita attraverso. Il cuore sembrava dovesse esplodermi nel petto, quando le mie gambe si mossero da sole e, percorrendo velocemente l’intera stanza, mi condussero a dieci centimetri da lui. I nostri occhi si incrociarono, potevo individuare ogni singola sfumatura del suo iride. Poggiai una mano sul suo enorme petto ancora umido e, sentendo il suo cuore battere freneticamente, lo baciai sulle labbra.
Danilo rispose con passionale trasporto, lasciando cadere l’asciugamano e circondandomi i fianchi con le braccia. Mi morse le labbra, poi si staccò, mi prese il mento tra le dita e mi disse: «Se me lo permetterai, stasera ti ringrazierò per avermi accompagnato fin qui». Poi uscì, lasciandomi lì con il fiato mozzo.
A pranzo, divorai qualsiasi cosa mi capitasse sotto tiro. Aver baciato Danilo mi aveva spalancato lo stomaco e mangiai come non facevo da giorni, in quanto avevo sempre lo stomaco sottosopra, poi tornai in camera e sprofondai nel comodo materasso. Rimasi lì a braccia aperte, osservando il soffitto delicatamente decorato da una greca che ne percorreva i contorni. Le ultime parole dell’uomo mi rimbombavano nella testa e sembravano non volermi lasciare in pace.
Era chiaro cosa Danilo intendesse, ma ero davvero pronto a rifarlo? Ebbi la sensazione che fosse ancora troppo prematuro, l’ultima volta mi aveva legato al letto e aveva preso possesso del mio corpo senza riguardi. Ciononostante, ero stato io a baciarlo, a fare il primo passo, a trasmettere un chiaro segnale da parte mia. Decisi, così, di assecondare le sensazioni che avrei provato in quel momento, senza affrettare il passo. Presi il cellulare e mandai un messaggio a Chiara, aggiornandola sugli ultimi sviluppi.
Dopo un lungo sonno ristoratore, passai l’intero pomeriggio a preparare una complicata lezione di letteratura comparata. La vista su quelle meraviglie architettoniche, che imploravano di essere esplorate, vissute, mi ispirò nel lavorare con dedizione. Al termine, ero soddisfatto di essere riuscito a portarmi così tanto avanti con i miei compiti che decisi di concedermi una lauta cena: il pomeriggio successivo avrei potuto esplorare la città in santa pace. Fremevo al sol pensiero. Mi stiracchiai: erano le otto di sera. Ero titubante se attendere Danilo per cenare insieme, ma non mi aveva mandato nessun messaggio per avvisarmi, né tantomeno mi aveva fornito indicazioni sull’orario, così scesi da solo.
Quando ritornai in camera, trovai Danilo con gli occhi chiusi e a gambe aperte accasciato sul divano.
«Bentornato» gli feci. Aprì gli occhi e mi guardò.
«Sei andato a cena?». Al mio cenno di assenso, aggiunse: «Al convegno c’era un buffet, ho cenato lì. Sono stanco morto».
«È stata dura?».
«A dire la verità, molto interessante, ma è durato fin troppo».
Incrociai le braccia: «Credo che ti serva una buona dormita».
«No, credo che mi serva un bagno caldo» decise lui, alzandosi e recandosi in camera da letto. Lo seguii interdetto e lo vidi aprire il rubinetto della vasca, poi prese a spogliarsi, fino a restare in boxer. L’unico rumore nella camera era quello prodotto dalla calda acqua scrosciante.
Ammirai la perfezione di quel fisico, mentre Danilo si voltava verso di me e si poggiava al bordo della vasca con le mani. I tricipiti erano in tensione: l’uomo mi fissava con la sua consueta espressione dura e glaciale, attendendo un mio cenno.
Ok Federico, è tempo di decidere, pensai. Ma non mi mossi di un millimetro, al che Danilo mi diede le spalle, chiuse l’acqua, si sfilò i boxer ed entrò delicatamente nella vasca, sospirando per il sollievo e socchiudendo gli occhi. Era un’immagine bellissima di per sé; poi, quando mi sussurrò: «Vorrei ringraziarti, Federico» cedetti. Mi spogliai e lo raggiunsi in vasca. Nonostante le dimensioni dell’uomo, era sufficientemente grande per contenerci entrambi. Mi accucciolai tra le sue braccia e mi strinse a sé, poi rapì le mie labbra con un bacio. Fu dolce, passionale, intenso. Portai la mia mano sul suo sesso e lo percepii enorme, svettante e voglioso di me. Gli praticai una sega lenta, ma continua, mentre Danilo con le dita mi strizzava i capezzoli, facendomi gemere; con l’altra mano mi carezzava i capelli.
Non ricordavo che il suo membro fosse così grosso: l’acqua calda metteva ancora più in evidenza le sue vene, dilatandole, al che mi era difficile chiudere le dita attorno al cazzo. Quando passai a solleticare i coglioni gonfi di seme maschile, Danilo perse la testa: prese a grugnire di piacere, sussurrando: «Sì, continua così. Bravissimo, piccolo». Assecondai la sua voracità e gli dissi: «Voglio prenderlo in bocca».
Danilo mi osservò, poi un ghigno e un lampo nei suoi occhi mutarono la sua espressione.
«Sai come funziona» mi fece, «a te la scelta di ciò che accadrà».
Annuii, sorridendo. Poi mi prese la testa fra le mani: «Fammi un pompino sott’acqua» e mi spinse giù.
Feci in tempo a prendere un lungo respiro, poi mi avventai sul cazzo. Non ero affatto sicuro di farcela, ma rimasi sorpreso dalle mie stesse abilità: mentre trattenevo il fiato, spalancai la mandibola e presi in bocca il palo di carne. L’acqua ovattava i rumori al di fuori di essa, ma riuscivo distintamente a udire i gemiti dell’uomo, che accompagnava i miei movimenti con le mani.
Resistetti per 30 secondi, poi fui costretto a riemergere per respirare. Danilo era visibilmente soddisfatto: «Sei stato bravissimo…».
«Voglio riprovare» lo interruppi, immergendomi nell’acqua calda per la seconda volta. Questa volta, non persi tempo: presi la cappella e metà asta venosa in bocca e spompai quel cazzo meraviglioso, solleticando le palle e muovendo la lingua. L’asta cominciava a pulsare furiosamente, ma ero ormai a corto fiato, così provai a riemergere: senonché Danilo con la pressione delle mani mi tenne la testa sott’acqua ed eruttò il suo piacere nella mia bocca. I getti di sborra calda mi colpirono il palato, mentre le mie mani gli toccavano le gambe massicce, ma non mi fu impossibile ingoiare, altrimenti avrei rischiato l’annegamento.
Quando la pressione sulla mia testa svanì, riemersi con un lungo respiro: Danilo aveva gli occhi rivoltati e respirava affannosamente, poi i nostri occhi si incrociarono e scoppiammo a ridere contemporaneamente per quanto successo.
«Scusa» mi disse, sentendosi un po’ in colpa.
«Non ti preoccupare. Se c’è una cosa di cui mi vanto è avere una buona capacità polmonare. Finché non tenti deliberatamente di uccidermi, non c’è pericolo» replicai, ridendo.
«Per quelle labbra, potrei uccidere» fece lui, carezzandomi il volto, poi portò la sua mano sul mio cazzo eretto e lo circondò con le dita. Iniziai a gemere per la furia della sega, mentre con l’altra mano Danilo giocava con i miei capezzoli turgidi dal piacere. Durai pochi secondi: sborrai violentemente, pensando a quell’uomo meraviglioso che stimolava le mie zone erogene con passione. Tremando, poggiai il viso sul suo petto, mentre mi liberavo degli ultimi fiotti di sperma. Restammo in quella posizione per un paio di minuti, poi uscimmo dalla vasca e ci asciugammo. Dopo aver percorso ogni centimetro del mio corpo con lo sguardo, Danilo annunciò: «Allora, io vado di lì. Ti auguro una buona notte» e fece per andarsene.
Di colpo, lo trattenni prendendolo per mano. «Non fare il coglione» gli dissi, poi lo condussi sul letto. Passammo la notte insieme e dormimmo nella più assoluta serenità.
Il mattino dopo, come promesso, Danilo mi portò a visitare il Duomo e il Campanile di Giotto.
«Questo lo pago io» dissi, anticipandolo. «Il minimo che possa fare».
«D’accordo, non mi oppongo».
«Ma perché saliamo sul Campanile? La Cupola non è collocata più in alto?» chiesi, perplesso.
«Solo dal Campanile potrai osservare la bellezza della Cupola nella sua interezza» mi rispose, mentre cominciavamo a salire. A metà percorso ero già stremato dalla fatica, ma fortunatamente c’erano delle stazioni di sosta a intervalli regolari: mi fermai e mi piegai in due per riprendere fiato, mentre Danilo, forte dei suoi continui allenamenti, non batteva ciglio.
«E la tua capacità polmonare di cui tanto ti vantavi stanotte che fine ha fatto?» mi chiese sarcasticamente.
«Taci… I gradini sono troppi» biascicai, riuscendo a parlare a malapena.
«Ti porterei in braccio, ma le scale sono strettissime» disse ridendo.
«Non ne ho bisogno» replicai con aria di sfida e ripresi la scalata con rinnovato vigore, finché non giungemmo in cima.
«È… è bellissimo» balbettai, mentre l’imponenza della Cupola, rivestita dai caratteristici mattoni rossastri, si stagliava di fronte a noi. Danilo si accostò a me: il brusio dei commenti degli altri scalatori che commentavano con eguale stupore la bellezza accompagnò quel momento di contemplazione.
«Speravo che gradissi il panorama» mi sussurrò lui, poi aggiunse: «Così è come ti vedo io».
Lo guardai con aria interrogativa, battendo le palpebre. «Non capisco» risposi lentamente. Danilo protese una mano indicando la cupola: «Tu sei come la Cupola del Brunelleschi».
«Cioè mi stai dicendo che sono grasso?» lo interruppi bruscamente, in tono ironico.
«Fammi finire» disse, sospirando e roteando gli occhi. Risi, ma lo lasciai continuare.
«Io sono come il Campanile. Sono duro, freddo, rigido sulle mie posizioni. Ma, davanti a me, ho questa cupola magnifica, che mi coinvolge con la sua perfezione e non posso fare altro che ammirarla. Tu sei più in alto di me, perché è così che ti vedo. Sei migliore di me, Federico, soprattutto hai una statura morale più elevata. Io impallidisco davanti a te, sembro insignificante, eppure resto lì, accanto, riflettendo la tua bellezza interiore ed esteriore. Questo volevo dire».
Ero senza parole: avevo le guance in fiamme. Ero riuscito a percepire la difficoltà dell’uomo burbero accanto a me pronunciare quel discorso, ma ne ero immensamente grato e, allo stesso tempo, imbarazzato.
«Io… non so cosa dire, Danilo». D’un tratto, mi trascinò in un anfratto del Campanile e mi schiacciò contro il muro.
«Non dire nulla. Mi hai stravolto la vita, Federico. Non mi perdonerò mai per le ferite che ti ho causato» e mi avvolse in un abbraccio poderoso. Una lacrima scese lungo il viso mentre ricambiavo con energia l’abbraccio: non pronunciai altre parole. Non ce n’era bisogno.
Quel pomeriggio, mentre Danilo era impegnato nella seconda conferenza, fui libero di girare per la città in autonomia. Le strade di Firenze brulicavano di persone: i bambini, in festa, lanciavano coriandoli, gridavano di gioia e si immedesimavano nei personaggi da cui si erano mascherati. Normalmente, tutto quel trambusto mi avrebbe irritato, ma il mio cuore era talmente leggero da lasciarmi coinvolgere con piacere da quell’atmosfera festosa.
Prima di separarci, Danilo mi aveva preannunciato di non aspettarlo per cena, un po’ mortificato. Così, tornai in hotel ormai distrutto per l’ininterrotto cammino, cenai e mi gettai di peso sul letto. Non mi accorsi nemmeno di essermi addormentato: fu solo quando sentii delle labbra premermi contro la tempia che mi riscossi dal torpore. Danilo mi osservava sognante, mentre ricambiavo lo sguardo con gli occhi semichiusi.
Come quella mattina, non fu necessario dire nulla: aprii le gambe e Danilo vi si frappose con il suo corpo meraviglioso. Prese a baciarmi il viso, la fronte, il naso, per poi scendere lungo il collo: ansimai di piacere, mentre l’uomo mi sfilava i vestiti con delicatezza. Ricambiai il trasporto sbottonandogli la camicia che indossava e passando maliziosamente una mano sul pacco, già pieno ed enorme. Danilo si sollevò per sfilarsi pantaloni e boxer: rimase nudo, con il suo cazzo davanti ai miei occhi che pulsava. Era lì per me, attendeva che lo accogliessi, così mi avventai su di lui e presi a leccarlo, inumidendo la cappella e tutta l’asta. L’uomo poggiò una mano sulla mia nuca e, delicatamente, fece una leggera pressione per invitarmi a prenderlo in bocca. Eseguii: era caldo e gonfio, notai, mentre centimetro dopo centimetro la cappella arrivò a solleticarmi l’ugola. Sollevai lo sguardo, continuando a pompare con vigore quel magnifico cazzone: Danilo mi scrutava rapito, penetrandomi con il suo sguardo profondo. Con la mano destra prese ad accarezzarmi il viso, poi mi diede un delicato buffetto che mi fece gemere. Repentinamente, l’uomo estrasse il cazzo, mi fece stendere sul letto a pancia in su, con la testa penzoloni lungo il bordo del letto e si mise in piedi sopra di me. Ripresi a ciucciare il cazzo da quella nuova prospettiva, ma Danilo mi bloccò la testa con entrambe le mani e lo inserì più a fondo che poté. Riuscii a sentire il suo sesso affacciarsi all’imboccatura del mio esofago, mentre dei conati sommessi lamentavano la fatica di accogliere quel palo enorme. Poi prese a scoparmi la gola con vigore, incurante delle lacrime che sgorgavano dagli occhi. Per non annegare, tossii e sputai un po’ di saliva, che andò a facilitare la lubrificazione del suo membro.
Vedendo che riuscivo a prendere con molta più agilità il suo cazzo, mi lasciò libera la testa e prese ad esplorare il mio corpo con le mani, fino ad arrivare al membro, duro e voglioso. Giocava con le palle, accennava una veloce sega, per poi passare alle mie cosce. Piegandosi su di me, me le allargò e mi accarezzò il buco con le dita. Fremetti di piacere, mentre i peli del suo pube ormai mi toccavano la punta del naso. Raccolse un po’ della mia saliva che grondava dalla bocca e la usò per lubrificare l’ano e le pareti rettali. Danilo non fu soddisfatto finché non recuperò anche del pre-sperma che gocciolava dal mio membro e non lo usò per stantuffarmi con le dita, poi estrasse il cazzo dalla mia gola, si chinò e, dopo avermi baciato, mi chiese: «Ho campo libero?».
Annuii, senza parlare, ancora provato dalla scopata del mio cavo orale. Il mio lasciapassare spense i freni inibitori di Danilo, ma ne ero assolutamente consapevole: quel toro aveva bisogno di scoparmi con forza, ed era proprio ciò che il mio corpo desiderava. Mi girò di scatto, mi posizionò a pecora mentre lui era ancora in piedi dietro di me e avvicinò la cappella al mio buco: d’istinto, lo allargai, lanciando il chiaro messaggio di voler essere sfondato. Danilo poggiò entrambe le mani sui fianchi e spinse: mi mancò il respiro, quando il suo sesso prese ad allargarmi il retto spianando la strada verso le mie viscere. Gemetti, piegando la testa e mordendo le lenzuola.
«Scopami Danilo, ti prego!» urlai, in estasi.
«È quello che farò, piccolo» rispose lui, dando un colpo secco e impalandomi. Poi diede inizio alla furiosa cavalcata. Il bruciore iniziale lasciò dopo qualche secondo spazio al piacere, mentre roteavo gli occhi e arricciavo le dita dei piedi. Danilo prese a schiaffeggiarmi le natiche, provocandomi delle urla: resosi conto dell’aumentare dei miei decibel, afferrò un cuscino e me lo pose sulla testa, ovattando le mie urla di godimento. Riprese a fottermi con decisione, grugnendo dal piacere. Il calore del suo arnese rilassava i nervi del mio ano, che ormai era a completa disposizione delle sue voglie.
Trascorso qualche minuto di quella incessante penetrazione, Danilo tirò fuori il cazzo e mi sollevò in braccio, girandomi di fronte a lui. Ci baciammo, poi mi trasportò verso il muro e sobbalzai quando la mia schiena entrò a contatto diretto con la parete fredda. Danilo puntò il cazzo verso il mio buco e mi fece scendere leggermente, finché non fu dentro di me, poi iniziò a scoparmi in quella posizione, spingendo verso l’alto. Non ci staccammo gli occhi di dosso: gemevo e sobbalzavo, trafitto dai colpi incessanti del suo cazzo, mentre le nostre labbra giocavano a pochi centimetri di distanza. Per aiutare Danilo nell’impresa, mi aggrappavo più forte che potevo alla sua larga schiena, percorrendone l’estensione con le mani e affondando di tanto in tanto le dita. La sensazione era meravigliosa: il suo cazzone premeva direttamente contro la mia prostata e i fiotti di pre-sperma si fecero sempre più frequenti. Danilo era visibilmente esausto, così mi trasportò nuovamente sul letto, questa volta a pancia in su, e riprese a scoparmi in quella posizione. Mi avvicinai a lui e gli baciai il petto: accompagnai il gesto accarezzandogli le braccia e mordicchiandogli i capezzoli.
Lo stallone perse la testa e affondò ancor di più il cazzo dentro di me, stantuffandomi con foga. Il suo viso si contorse dal piacere, poi mugolando mi sussurrò: «Sei mio, Fede. Ti sborro nel culo!». Assestando gli ultimi, vigorosi colpi, Danilo mi riempì il culo del suo caldo e denso seme. In quel momento, gemendo assieme a lui, mi accorsi di quanto mi fosse mancato sentire il suo sperma invadermi le viscere e riempirmi il ventre. Grugnendo poderosamente, scaricò gli ultimi fiotti dentro di me e si accasciò, tenendomi la testa fra le mani. Lo stretto contatto tra i nostri corpi gli fece sentire sul suo addome il mio cazzo grondante umori che non era stato ancora soddisfatto.
«Il signorino non è contento» osservò lui, ridendo. Risi a mia volta e mi preparai a ricevere la sega, ma accadde qualcosa di inaspettato. Danilo si avvicinò con la bocca e prese a fissarlo.
«Sei sicuro?» gli feci.
«Più che sicuro» mi rispose, poi lo inghiottì interamente.
Era la prima volta che Danilo mi praticava un pompino. Lo leccava con maestria, abituato sicuramente ai cunnilingus praticati in passato, ma si adattò in fretta alla forma del cazzo e prese a succhiarlo. La sua bocca era calda, la sua lingua guizzava vorace. Purtroppo ero al limite, stimolato a lungo dalla penetrazione precedente, e presi a contorcermi, pronto a scaricare il mio orgasmo. Notando i miei spasmi, Danilo si staccò e continuò a segarmi con la mano, mentre con l’altra esercitava una lieve pressione sul mio ventre ancora pieno del suo seme. Venni, imbrattandomi l’addome: Danilo accompagnava i miei gemiti sussurrando dei flebili “sì”.
«Sei stato meraviglioso» gli dissi, riprendendo fiato.
«Anche tu» replicò, poi aggiunse: «Lo farei per il resto della mia vita».
Il mostro non c’era più. Sentivo di essere nel posto giusto.
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