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Gay & Bisex

Un’ultima volta ancora


di Libertinum
06.02.2023    |    4.106    |    4 8.9
"Lo sentivo scorrere sempre meglio, quasi non mi bastava, calai la mano per tornare ad allargare, come se non volessi sprecarne un millimetro, con un dito..."
La nebbia scendeva lungo le strade attanagliando la sera, le luci ed i semafori sembravano sprofondare in un mondo parallelo, nebbia fitta e densa come a voler celare desideri ed azioni da sguardi troppo curiosi di chissà chi, in quella remota fetta di bassa padana a due passi dal Po.
Nella mia cameretta suonava piano un’alternanza di 883 ed Articolo 31 con il loro Tranqui funky, poster di Baggio e della Juve del ‘96 alle pareti, io solo in attesa dell’arrivo di Marco e di sua madre, che come spesso accadeva, dopocena scendeva a prendere il caffè con la mia, entrambi i nostri padri erano via per lavoro come sempre.
Marco, poco più grande di me, lui 19 ed io 17, da tempo giocavamo assieme, prima coi lego, poi col subbuteo ed infine con quel vecchio Amiga prima dell’arrivo della Play, non solo però quei giochi innocenti no, da tempo simulavamo di fare l’amore senza le donne, come in quei film sulle cassette nascoste nel comodino di suo padre, che fantasie mettevano in moto, e così si provava prima mimando e poi scoprendo la carne vera.
A me probabilmente per inferiorità anagrafica toccava sempre la parte della lei di turno, ma alla fine ammetto che mi piacesse decisamente.
Lui da poco aveva trovato la prima morosa, quella che con ogni probabilità, si era concessa finalmente, finalmente per lui ma magra per me, già perché avendo finalmente trovato l’agognata vulva a me piano piano mi aveva esplorato sempre meno.
Tutto normale, detto ciò però a me tirava sempre un bel po’.
Suonò il campanello, con quel tono delicato come la campanella dell seconda ora al Fanti, sentii la porta aprirsi i saluti, ed i primi passi sulla scala che divideva come due mondi il piano terra dal secondo mansardato.
Si stese sul letto, poggiando l’ultimo dei Litfiba masterizzato, passai le cinque mila per l’amico “contrabbandiere” e mi stesi accanto a lui.
-Scordatelo!- Mi disse già sapendo dove volevo arrivare.
-Un’ultima volta, cosa ti costa?- Quasi implorai.
Sembrava non ci fosse modo di dissuaderlo.
Sembrava appunto.
La mia mano salì sui pantaloni della tuta cerata, quella dell’ Adidas che aveva una serie di automatici mitragliati sulla gamba esterna paralleli alle famose tre strisce, adoravo quella tuta, gli si vedeva il pacco indurirsi in mezzo secondo.
La mia mano fu lassù, lo sentivo sotto già duro, né coglievo le forme, le vene, la cappella estremamente sensibile quando passavo col dito, il mio parco giochi era tutto lì.
-Lascia stare!- Tentò invano di ammonirmi, ma era lui il primo a volere l’esatto contrario, già perché quando glielo tirai fuori non sembrò porre alcuna protesta.
Aveva già gli umori filanti che fuoriuscivano dal glande lucido ed un po’ odoroso, leccai quel filamento dolciastro e caldo, poi avvolsi con la bocca quella punta rovente, sentivo le vene delinearsi sotto la lingua bramosa, iniziò ad ansimare come un qualsiasi animale in trappola, aspiravo forte quasi a voler risucchiare quel sesso preda dei miei istinti.
Sì girò bruscamente di lato facendomi roteare accanto a lui, con una mano mi tenne steso a pancia sotto, con l’altra mi abbassò i pantaloni e ciò che rimaneva quasi fosse fuori controllo, con gesti frettolosi e scoordinati mi lasciò nudo col mio sedere alla sua mercé, ricordo con estrema eccitazione quel senso di nudo, quasi di brivido freddo sulle natiche lisce e disarmate dinnanzi ad un nemico a cui non vuoi in vero porre alcuna resistenza, quei secondi intrisi di infinito desiderio di essere preda degl’istinti dell’altro nell’immediato di pochi attimi.
Allargai con le mani le chiappe, con una mano mi strinse il polso, il suo glande poggiarsi su quel buco d’inferno, un filo di saliva scese nel vano tentativo di abbozzare una minima lubrificazione, una fretta furiosa lo portò ad una prima spinta che lo fece scivolare troppo in alto, la seconda ancora più selvaggia di piantò nella fessura, come un cuneo piantato a mazza nel taglio di un tronco per abbatterlo nella direzione voluta.
Una fitta di dolore acutissima che tentai di soffocare schiantando il viso nel cuscino, la cappella quasi con uno scatto fermato dopo il passaggio della corona sbrecciò ogni resistenza carnale.
-Aspetta un attimo!- Tentai d’implorare,
-Lo volevi? Ora lo prendi e muto!-
Un altro colpo di reni e sentii lo schiocco dei suoi testicoli schiantarsi sul mio fondoschiena, ancora dolore, ricaricava e affondava con forza, con le mani continuavo a tenere divaricato le natiche nel goffo e disperato tentativo di farlo scorrere meglio, forse però peggioravo la cosa, allora quasi con rassegnazione le portai in alto accanto alla testa, quel dolore portava piacere, il mio corpo istintivamente si in arcava sotto quei colpi frustrati, a tratti rabbiosi, decisi.
Lo sentivo scorrere sempre meglio, quasi non mi bastava, calai la mano per tornare ad allargare, come se non volessi sprecarne un millimetro, con un dito andai a frappormi appena all’interno dell’ano ed il suo cazzo.
Lo sentivo scorrere, umido. Non resistetti, era troppo, lo sfregamento del mio sesso tra la pancia ed il materasso mi regalò piacere profondo, poco dopo un secco e prolungato suo affondo mi fece capire, si ritrasse a poco a poco poi di nuovo un colpo, sentii liquido bollente fuoriuscire, denso all’interno coscia, le sue gocce di sudore scivolavano sulla mia schiena.
-È stata l’ultima Gabri!-
-Lo so!- Risposi tramortito, tra il godimento ed una infinita malinconia annegata nello sguardo immerso in quella nebbia alla finestra.
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