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Morbosa Corrispondenza - Capitolo 8


di milflover95
29.02.2024    |    7.723    |    0 8.6
"Metà del ricavato della vendita sarebbe andato a Teodora in quanto sorella, ovviamente; Mena poteva andare in affitto e lavorare per mantenersi, era ora che..."
Teodora

Svuota la lavatrice, stendi i vestiti per asciugarli, prendi gli altri panni sporchi: di quelli la sua famiglia era piena, mettili in lavatrice con tanto detersivo; per quante donne delle pulizie licenziasse, non riusciva a trovarne una in grado di fare un buon bucato, tutte blateravano che non fosse necessario aggiungere così tanto detersivo, stupide e incapaci.

Il vestito doveva odorare di pulito, non bastava che lo fosse; non aveva senso essere immacolate se nessuno lo poteva percepire.

Quindi, anche se era ricca come re Mida, Teodora era costretta a farsi il bucato da sola, come se fosse una comune casalinga. Era proprio vero che se vuoi una cosa fatta bene te la devi fare da sola.

Era questo che da sempre rimproverava a sua sorella Mena: non era capace di prendersi le sue responsabilità, il suo ottuso vittimismo la portava a sperare che qualcun altro avrebbe provveduto a lei e a risolvere i suoi problemi.

Non capiva che ognuno di noi è solo al mondo e prima si fosse abituata a provvedere per conto proprio alla sua famiglia, meglio avrebbe potuto riprendere in mano la sua vita dopo la disgrazia successa a suo marito Roberto.

Aveva capito subito l’antifona quando Mena era passata a trovarla, lamentandosi del fatto che senza adeguate cure suo marito non avrebbe mai avuto speranze di riprendersi dall’ictus. Sottinteso: “sorellina, dammi dei soldini per queste cure e per qualcuno che badi a lui, mentre io passeggio e mi faccio guardare da tutti gli uomini sposati del Paese il culetto con il perizomino in vista sui fianchi”.

Come se la salute di Roberto fosse un problema di Teodora! Mena era stata abituata troppo bene, questa era la verità. Da sempre la cocca di casa, tutte le attenzioni erano per lei. Hai scelto di sposare un professorino spiantato? Nessun problema tesorino, mamma e papà ti regalano una casa dove andarci a vivere. Come dici, Teodora? Era la casa che usavi per le vacanze quando eri piccola e a cui eri affezionata? Non importa, Mena deve creare la sua famiglia adesso.

Mena era stata viziata, tutto qui.

Era anche colpa dei loro genitori che non l’avevano preparata alla brevità della vita, polvere siamo e polvere ritorneremo, era questo che sfuggiva a sua sorella: non capiva che il destino di suo marito Roberto era nelle mani di Dio. Perché accanirsi? Chi siamo noi per interferire con la sua volontà?

Ammettiamo che Teodora avesse pagato (con un costo non indifferente) le spese mediche di suo cognato e lui non ce l’avesse fatta comunque? Chi l’avrebbe rimborsata? Non aveva la presunzione di essere una Santa come Madre Teresa, era solo una modesta peccatrice. Ai problemi di salute dei malati ci pensasse l’ospedale, il presidente del consiglio della repubblica, la caritas o chi per loro, di certo lei non era obbligata a fare qualcosa.

Le pareva ancora di vedere Mena frignare dinanzi a sé: smorfiosa come al solito, con le unghie laccate, i capelli belli lunghi sulle spalle e la scollatura in vista, gli occhi arrossati, il fazzoletto sporco di lacrime e la voce rotta che le raccontava dei problemi di salute di Roberto. Che attrice.

Nemmeno in quel momento tragico riusciva ad avere un abbigliamento consono; Teodora era tentata di suggerirle di iniziare a vestire in maniera più acconcia, magari di nero, per prepararsi al momento difficile che avrebbe dovuto affrontare, però decise di lasciar perdere e tagliare corto.

Polvere siamo e polvere ritorneremo. Probabilmente in cuor suo Mena sarebbe stata sollevata di sapere suo marito libero da tutta quella sofferenza, sarebbe stato meglio per tutti. Amen.

Se sua sorella fosse tornata strisciando per chiederle soldi, le avrebbe risposto che poteva sempre vendere casa in cui Mena viveva. La casa dei loro genitori. Metà del ricavato della vendita sarebbe andato a Teodora in quanto sorella, ovviamente; Mena poteva andare in affitto e lavorare per mantenersi, era ora che qualcuno le parlasse chiaro e la rimettesse sui binari corretti.

Gustando la sensazione inebriante di avere il coltello dalla parte giusta (per una volta), sovrappensiero iniziò a stringere il mucchio di suoi panni sporchi con forza, gongolando tra sé, quando si accorse bruscamente di avere i palmi delle mani completamente imbrattati.

“Ma cosa..?” Si chiese Teodora, poi capì: “ma porca.., di nuovo!” E imprecò in dialetto, rabbiosamente.

Ogni volta la stessa storia. Era più di una settimana che quasi ogni giorno trovava la sua biancheria sporca di s.. di seme maschile, ecco.

Non c’erano dubbi, quella sostanza densa e odorosa era inconfondibile.

Qualcuno continuava a sb..a venire sopra le sue mutande e i sui suoi reggiseni e non capiva né chi fosse né quando lo facesse.

Era quasi sempre ancora calda e piuttosto liquida, segno che quella roba era stata buttata di recente e ogni volta era dannatamente difficile pulire quelle maledette macchie, perché prima di mettere i capi in lavatrice era necessario rimuovere quello sp.. quella roba ed evitare che si asciugasse e si incrostasse; quindi, la povera Teodora era costretta a togliere quello.. sperma con le unghie, un po' per volta, attività che la costringeva a rimanere a contatto con quella crema così densa e odorosa per più di qualche minuto.

Ma quanto sperma c’era? Tanto.

Per quantità e odore sembrava quello di suo marito e la cosa la stava rendendo sospettosa, però escluse che lui fosse tornato in casa di soppiatto; sarebbe scattato il sistema di allarme della casa.

Ma allora chi era stato?

Ogni giorno quell’odore così forte, maschile, feroce la provocava sempre di più, era come un ago piantato nel suo cervello.

Ebbe un conato ripensando a quell’odore di.. sostanze mischiate. Quel sapore vomitevole nella sua bocca.

Chi cazzo era stato?

Escluse suo marito Sergio che probabilmente in questo momento era a spassarsela in qualche resort a spese di lei e scartò suo figlio Alessio, troppo piccolo.

“Buongiorno Mà!” Le disse suo figlio Luca, appena passato a salutarla e ancora in pigiama.

Doveva essere lui, quel piccolo segaiolo di Luca. Vent’anni e ancora nessuna fidanzata, sicuramente indulgeva in quei piaceri proibiti e voleva sfogare sui vestiti di sua madre ogni frustrazione, invece di andare a cercare una brava ragazza e mettere su famiglia a tempo debito.

Era come suo padre, un frustrato che doveva umiliare gli altri per sentirsi meglio.

“Senti, Luca, dobbiamo parlare.”

“Certamente, è successo qualcosa?” Disse Luca, visibilmente preoccupato dal tono serio di sua madre.

“Vedi la mia mano?”

“Sì..?”

“Non ti azzardare più a sb.. a fare cose sporche sulla mia biancheria o te la faccio vedere io, mi sono spiegata?”

“N-n-non ho capito”.

“Hai capito benissimo, smettila.” Disse Teodora e mostrò meglio lo sperma fresco sul suo pollice, un grosso filamento bianco, denso e spesso che, a furia di girare nel suo pollice, aveva perso la parte liquida ed era diventato un pezzo di gelatina che Luca fissava disorientato nella mano di sua madre.

Finalmente Luca sembrò realizzare ma rimase senza parole e iniziò a balbettare.

“N-n-n..”

“N-n-n-n-n-n..” disse la madre, facendogli il verso e aggiunse brusca: “Non ti azzardare più o saranno guai, sai che non scherzo”.

“M-ma non ho fatto nulla, t-t-te lo giuro!” Luca stava per attaccare la sua solita piangina e Teodora lo interruppe prima.

“Non mi prendere in giro, so quello che fai quando ti chiudi in stanza per ore. Tollero che avvengano certe cose sotto il mio tetto anche se sono immorali, però non posso ammettere che tu inizi a mast.. a fare certe cose sulla biancheria. Vuoi per caso negare che fai “certe cose”?”

“N-n-no, ma…”

“Niente “Ma”. La prossima volta che accade saranno guai per te. Io sono tua madre e tu devi portarmi rispetto. E ora fila, piccolo pervertito”.

Luca andò via, quasi in lacrime. Non sbatté nemmeno la porta di camera sua, la trascinò piano dietro di sé.

Sembrava la versione scema di suo padre, biondo e dinoccolato; non capiva che era così dura con lui per il suo bene.

Era cresciuta in una casa di gente permissiva e i risultati si erano visti con Mena.

Non poteva permettersi di essere tenera se voleva crescerli bene; ognuno di noi è solo al mondo e anche i suoi figli lo dovevano capire e prendersi le responsabilità per le loro azioni da pervertiti.

Ancora nervosa, Teodora riprese a grattare quei filamenti di sborra densa e profumata con l’unghia del pollice: era così assorta nell’operazione che non si accorse che non li stava affatto raschiando via, si stava solo limitando a spostarli da una parte all’altra delle sue ampie mutande nere mentre quell’odore le provocava sgradite contrazioni al basso ventre e il pollice si muoveva di vita propria cercando di dirigersi verso di lei.

Tentazioni del demonio, senza dubbio.

Presto avrebbe dovuto fare un’altra lavatrice, c’erano decisamente troppi panni sporchi in quella famiglia.



Luigi

Fare il turno serale in pronto soccorso era una circostanza che i suoi colleghi medici evitavano scrupolosamente.

Di notte, un ospedale era un luogo fuori dal tempo in cui ai momenti di crisi frenetica si alternavano silenzi irreali e noia; i colleghi ghignavano quando Luigi accettava tranquillamente di fare quei turni, povero fesso, anche se qualcuno pensava che lo facesse perché aveva un’amante e voleva stare con lei senza troppi occhi indiscreti attorno.

Idioti, pettegoli e scansafatiche.

Voleva solo stare tranquillo e decise di approfittare di quel momento di calma per chiudersi nel suo ufficio e dire alle infermiere di non disturbarlo per un’ora salvo urgenze, si accomodò sulla poltrona, mise i piedi sulla scrivania e iniziò a guardare le notizie sul telefonino.

Lesse un articolo di giornale che parlava di un sito web a cui ci si può iscrivere, creando un account, per mostrare le proprie foto e video erotici ai “fan” o per vedere a pagamento quelli che caricano gli altri utenti; per vedere questi video bisognava pagare un abbonamento fisso e un’ulteriore somma per contenuti personalizzati che ci si scambia via chat o conversazione telefonica.

Luigi sbadigliò, poco interessato all’argomento, poi vide un articolo collegato a quello che stava leggendo: “Non sapevo fosse mio padre. Modella scopre che suo padre era uno dei suoi fan più accaniti nel comprare le sue foto erotiche”.

Iniziò a leggere l’articolo, incuriosito. La modella rivelava di aver iniziato a nutrire alcuni dubbi sull'identità del suo fan più accanito, quando lui ha iniziato a fare richieste “piuttosto insolite” nella chat privata.

“Ho subito capito che c'era un utente che amava i miei contenuti più degli altri. Ho aperto il mio canale da poco, per cercare di guadagnare qualche soldo. Ma quest'attenzione morbosa dell'utente misterioso mi ha insospettita”.

Luigi sbuffò. Attenzione morbosa, che paroloni, forse il padre voleva solo sincerarsi che la figlia stesse bene. Riprese a leggere.

“Ha speso più di 1200 euro per comprare tutti i miei contenuti - spiega la modella -, faceva richieste personalizzate. Cose specifiche, troppo specifiche”.

Sorrise. Contenuti, adesso si chiamano così. Chissà quali erano queste richieste specifiche. Luigi scacciò il ricordo delle mutandine e dell’abito di Anna, macere del suo sperma e strappate in un impeto erotico dopo che sua figlia le aveva dimenticate sul letto. Preferì continuare a leggere.

“Ho iniziato a indagare, fino a quando un giorno gli ho scritto in chat: "So chi sei". Mi trovavo a tavola con mia mamma e mio padre e, un secondo dopo, gli è squillato il telefono. Abbiamo iniziato a litigare di fronte a mia madre a cui ho dovuto spiegare che lui mi pagava per vedere miei contenuti erotici. È stato tremendo, mia madre prima di credermi ha voluto una prova. Le ho fatto vedere una delle foto che mi mandava in privato del suo membro e lei ha dovuto darmi ragione”.

Sempliciotta. Avrebbe dovuto fare finta di nulla, ha solo rovinato la sua famiglia: solo perché il padre aveva questo piccolo Hobby, perché sputtanarlo così? Le bastava assecondarlo, niente di quello che suo padre faceva nell’intimità l’avrebbe potuta danneggiare.

Si scoprì comprensivo con quel padre: aveva scoperto che sua figlia, una bella ragazza, vendeva foto di nudo per guadagnarci e ne aveva approfittato per saziare un suo impulso. A chi faceva del male?

Chissà se..

Respinse decisamente l’ipotesi. Sua figlia Anna non avrebbe mai potuto aprire un account su quel sito.

Certo, Anna era una ragazza bellissima, molto più bella di qualsiasi ragazza potesse fotografarsi su quel sito, se lo avesse fatto, avrebbe guadagnato un sacco di soldi, però escluse che sua figlia avesse bisogno di denaro, non le aveva mai fatto mancare nulla; eppure...

Iniziò ad allarmarsi. Di recente l’aveva vista strana, triste. La tragedia successa alla famiglia del suo fidanzato l’aveva resa irrequieta. E se si fosse indebitata a insaputa di Luigi? O avesse deciso di iscriversi a quel sito per provare emozioni nuove?

Doveva saperne di più, per il suo bene. Decise per puro scrupolo di fare un controllo e iniziò a iscriversi al sito. Gli serviva un nickname, uno qualsiasi. Non gliene venne in mente uno in particolare e scelse di chiamarsi “Papy”.

Purtroppo, il sito consentiva di cercare i “content creator” (le persone che vendevano foto e video erotici) solo per nickname. Cercò tutte le “Anna”, “Annina”, “Annetta” ma erano comunque tante e nessuna le sembrava somigliarle.

Probabilmente aveva uno pseudonimo.

Cercò su internet se ci fossero altre modalità di ricerca e scoprì che scaricando una app era possibile cercare anche con riconoscimento facciale. Inserì subito una foto di Anna sull’app e una caterva di more mezze nude lo sommerse.

Trovare sua figlia in quel mattatoio di culi e tette sarebbe stata un’impresa impossibile. Pensò con indignazione a quanto quel sito mercificasse la figura della donna. Chissà quante minorenni si erano iscritti sotto falso nome per vendere e comprare immagini di nudo, era vergognoso.

Assurdo che ci fossero così tante morette atletiche e nude, gli avrebbero reso impossibile trovare sua figlia in quel marasma; giovani, belle, vogliose, ma non erano lei. Scorreva febbrilmente, attento a tutti i dettagli su quei corpi che potessero aiutarlo a trovarla.

Assurdo, umiliante per le donne.

Le sembrò di vedere in una ragazza il culo di sua figlia, così spesso ammirato involontariamente quando indossava il costume da bagno.

Tondo, perfetto, sodo, leggermente abbronzato. Tutto arrossato dopo essere stato già ben sculacciato dal suo fidanzato.

Non era lei però.

Vergognosa mercificazione.

Gli sembrò di vedere in un’altra ragazza la bocca di Anna, ben disegnata, carnosa, sensuale, sorridente.

Pronta a succhiarglielo.

Assorto, quasi senza accorgersene Luigi tirò fuori il cazzo già duro dal pantalone ospedaliero con un solo gesto secco.

Non era lei, meglio scorrere.

Gli stessi capelli, gli stessi occhi ma non era lei.

Iniziò piano a scappellare il suo cazzo con la sinistra, mentre con la destra scorreva usando il mouse.

Nemmeno lei, nemmeno lei.

Scorreva, si segava, cercava.

Che stava facendo?

Basta.

Si fermò con la mano sinistra, il cazzo ormai duro e pulsante non era dello stesso avviso, fremeva.

Non era lì per masturbarsi, doveva trovare Anna, capire se avesse pubblicato foto di nudo. Video in cui scopava, in cui godeva come una puttana.

Non avrebbe mai trovato Anna in quella bolgia di carne nuda, era come cercare un ago in un pagliaio.

Fece un ultimo tentativo. C’era un'altra app che consentiva di vedere se un profilo fosse registrato in una specifica città ma solo se quella persona si fosse localizzata lì.

Casualmente, trovò un solo profilo di una donna che si era localizzata proprio nel loro paesino.

Francesca4you. Ma era davvero lei?

Nessuna foto, iscrizione molto recente. Forse aveva trovato sua figlia prima che iniziasse a pubblicare contenuti?

Al diavolo, poteva essere lei e tanto bastava.

Pagò senza battere ciglio l’importo necessario per avviare una conversazione e si collegò con lei.

“Ciao Francesca!”

“Ciao! Per curiosità, perché hai pagato per avviare la conversazione? Non ho messo mie foto sul sito”.

Domanda legittima. Bisognava improvvisare.

“Mi intrigava il tuo nome, un bel nome”.

“Il mio nome? È un nome molto comune”.

“Mi è sempre piaciuto questo nome. È il tuo vero nome?”

“No.. Tu come ti chiami?”

Altra domanda legittima.

“Chiamami papi”.

“Sei un uomo maturo?”

“Sarebbe un problema?”

“No, ci mancherebbe”.

“Sei siciliana?”

“Come fai a saperlo?”

“Ti sei localizzata in Sicilia..”

“Cavolo, non l’ho fatto apposta, tolgo subito la localizzazione! Grazie”.

“Perché non hai messo foto sul sito?” Chiese Luigi, spazientito. Era davvero una sua compaesana o lo stava prendendo in giro?

“Come avrai capito sono una novellina, ho iniziato da poco a usare il sito e non so bene che foto utilizzare.”

Doveva chiedere, doveva sapere.

“Quanti anni hai, novellina?”

“Non si chiede l’età a una signora! Screanzato!”

“Hai ragione, scusa.. e una tua foto? Si può avere? Nuda?”

“È questo il problema, sono piuttosto spaventata al pensiero di mostrarmi, di essere riconosciuta”.

“Sei su una piattaforma che è creata letteralmente per vendere conversazioni e foto erotiche e non vuoi mostrarti? Non andrai lontano così, perdonami”.

“Hai ragione, purtroppo non sono pratica di questo mondo e ho molti dubbi a entrarci davvero”.

“Una recalcitrante intrattenitrice. Curioso. Sei fidanzata?”

“Sono impegnata, sì”.

“E non hai paura che il tuo fidanzato ti scopra?”

“Se lo sapesse ne morrebbe, temo.”

“Solo lui?”

“In che senso?”

“Non pensi ti possa vedere qualcun altro? Tuo padre, ad esempio”.

“Perché sei qui, papi?”

Sentendola rivolgersi a lui così, sentì il cazzo dolergli; aveva iniziato quasi ad ansimare. In qualche modo doveva sapere, doveva vedere.

“Perché un uomo è su un sito hard?”

“Posso immaginare. Purtroppo, mi hai colto in una fase di “lavori in corso” e non ho foto da inviarti al momento. Cercherò di rimediare, mi segno il tuo contatto”.

“Lascia stare. Perché sei qui, Francesca?”

“Perché ne ho bisogno”.

“Ci sono tanti tipi di bisogno. Bisogno di brivido? Bisogno di soldi?”

“Ho già abbastanza brividi nella mia vita”.

Forse non era lei. Sua figlia non aveva assolutamente problemi economici e lui aveva sempre provveduto a lei; a meno che non le nascondesse qualcosa. Debiti? Forse avrebbe dovuto investigare.

“Non lavori? Non hai qualcuno che provvede a te?”

“Forse ce l’ho, forse non basta. Perché ti interessa?”

Doveva sapere. Anche a costo di uscire allo scoperto.

“Vuoi saperlo?”

“Se ti va di dirmelo..”

“Perché ho una figlia di 25 anni di nome Francesca”.

“..e quindi?”

Inventa una storia credibile, presto.

“Mia figlia Francesca ha sempre bisogno di soldi, spende ogni centesimo in alcol e droghe. Sospetto abbia intenzione di iscriversi a questa piattaforma”.

“.. e speri di trovarla per farle cambiare idea, giusto?”

“Sì”.

Ci fu un lungo silenzio. Luigi capì che la sua interlocutrice era dubbiosa sul da farsi. Nel frattempo, iniziò a scappellarsi piano, scoprendo il glande gonfio e rosa.

“Se può rassicurarti, non mi chiamo davvero Francesca e non ho quell’età”.

Luigi sospirò, forse di sollievo, forse di malinconia, ma prima che potesse risponderle, Francesca riprese a scrivere.

“Ma non sono nata ieri. Oltre ad avere il nickname “Papy”, un po' malizioso, sei stato piuttosto vago all’inizio. Mi hai chiesto una foto di nudo. Voglio dire, potevo essere tua figlia. Almeno, lo sospettavi. Direi che ci speravi”.

A Luigi batteva il cuore forte.

“Ti eccita tua figlia, dì la verità”.

In tutti quegli anni nessuno aveva mai scoperto il suo segreto ed era stato beccato dopo mezz’ora di conversazione online.

“Mi hai scoperto, ti ho scambiata per lei. Ti porgo le mie scuse, ti ho fatto perdere tempo. Ti saluto, vedrai che troverai il coraggio di caricare quelle foto”.

“Non so se lo troverò mai. Forse è un mondo che non fa per me”.

“Francesca, mi consenti di darti un consiglio?”

“Certo.”

“Però prima vorrei sapere la tua età”.

“Ho quarantacinque anni”.

Non era lei, ora ne era certo. Poteva permettersi di essere sincero e di parlarle onestamente.

“Ben portati, credo”.

“Mi difendo bene”.

“Posso immaginare. Cosa hai fatto nella tua vita?”

“Ho lavorato (poco) e ho badato alla mia famiglia. Qualcuno direbbe che sono una” risorsa” inutile della società”.

“Non dovresti scoraggiarti. Sei sveglia e devo ammettere che sei riuscita a scoprire cosa mi piace in pochi minuti. Hai fatto perlopiù la casalinga? Spesso sola in casa?”

“..sì.”

“Beh, trasformalo nel tuo punto di forza”.

“Spiegati meglio”.

“Lascia perdere le foto e i video di nudo. Hai troppa concorrenza da parte di ragazzine e donne spregiudicate. Non sei così. E hai troppo da perdere”.

“Cosa consigli?”

“Entra nella mente dell’utente, parla o scrivi via chat con l’utente. Fai roleplay”.

“Roleplay?”

“Conversazioni erotiche. Fatti pagare per stuzzicare l’immaginazione dell’utente, non i suoi occhi”.

Anche stavolta ci fu un silenzio di qualche minuto.

“È un’idea suggestiva”.

“..sai cosa sto facendo adesso, mentre ti parlo?”

“Cosa?”

“Mi sto toccando il cazzo, o meglio, immagino che sia tu a stuzzicarlo”.

“Ma se non mi hai nemmeno visto in faccia!”

“Non importa, la fantasia è il vero motore di tutto”.

“Allora diciamola tutta, non sono io a toccarti il cazzo, è tua figlia. Lo sai che nel frattempo stai continuando a spendere soldi per restare a parlare con me?”

“Lo so”.

“Potrei sbagliarmi, ma credo che tu sia interessato a praticare un “roleplay” con me, con Francesca”.

“Lo sono”.

“Il mio primo cliente, che onore. Raccontami di lei”.

“Mora, atletica, molto sveglia, altrettanto bella. Tutta sua madre che purtroppo è.. scappata di casa quando Francesca era piccola”.

“Mi spiace”.

“Grazie. Mia figlia è davvero una bella ragazza, fa girare la testa a tutti. Una donna stupenda. Sfido chiunque a non provare attrazione per lei”.

“Ma tu non sei chiunque, papi”.

“E allora? Penso che qualunque padre prima o poi abbia pensieri erotici verso la propria figlia, è inevitabile. Semplicemente io ho il coraggio di ammetterlo.”

“Tua figlia è molto sensuale?”

“Sapessi.. pubblica in continuazione foto in posizioni provocanti, mezza nuda, espressioni da porcella. Nessun padre al posto mio rimarrebbe impassibile di fronte a simili foto, finirebbe per masturbarsi nel segreto della propria intimità, pensando di godere delle attenzioni di una simile figa”.

“Balle”.

“Che intendi?”

“Non sono del tutto convinta. Tua figlia potrà pure essere cresciuta ed essere diventata una bella donna, per carità. Ma non è quello il punto, vero?”

“Perché lo pensi?”

“Perché di belle donne è pieno il mondo, eppure ti concentri proprio su tua figlia, perché?”

“Non lo so”.

“Lo sai”.

“Tu cosa pensi?”

“Penso che tu sia rimasto solo da giovane. L’hai cresciuta tu. Hai un legame speciale con lei, un legame che c’era già prima che diventasse una giovane donna. L’hai coccolata, protetta. Hai provato gelosia per lei, per il rapporto con i suoi primi fidanzatini”.

“Come fai a saperlo?”

“È evidente. Voglio farti una domanda: quando è stata l’ultima volta che hai fatto sesso?”

“Sono passati più di dodici anni da allora”.

“Perché non mi racconti com’è andata?”

“Non è un ricordo di cui vado fiero”.

“Racconta, dai. So che ne hai una voglia matta”.

“E va bene. Ero in Brasile con mia figlia quando lei era ancora una ragazzina”.

“Bello! In vacanza?”

“Sì e no. Lei è sempre stata molto portata per lo sport e ho sempre voluto che partecipasse a competizioni con ragazze della sua età, anche all’estero. Volevo che conoscesse il mondo e potesse mostrare il suo valore a tutti. E con sua madre viaggiavamo pochissimo”.

“Dov’eravate quella volta? Racconta pure, ti ascolto”.

“Eravamo a Rio De Janeiro. Molto bella, colorata, piena di lunghe distese di sabbia bianca. Dormivamo in un enorme Hotel a Copacabana. La mattina accompagnavo mia figlia a un palazzetto sportivo dove gareggiava, all’epoca, in un campionato di tuffi sportivi”.

“Davvero? Bello! E tu dov’eri? “

“Io ero sempre sugli spalti, tifavo per lei. La guardavo allenarsi, la incitavo a dare il meglio. Ho sempre pensato che la missione di un padre sia quella di spingere la figlia a essere la migliore, a spiccare il volo. E che volo, dovevi vedere che tuffi faceva”.

“Penso che durante il riscaldamento non ti sarai perso un suo movimento. Quel fresco e perfetto corpicino asciutto, le tettine che spuntavano appena da sotto il costume, e il suo bel volto incorniciato dai capelli mori.. vado bene finora?”

Luigi non capiva cosa stesse succedendo, continuava a stringere forte il pene, duro da fargli male, ma lo faceva quasi per tenerlo a bada, senza fare su e giù. Sentiva la sensazione del liquido pre-spermatico che gli bagnava la punta del glande, appena coperto dal prepuzio, ma non voleva fare nulla per proseguire la masturbazione.

Era troppo assorto nel ricordo, nella rievocazione.

“Sì.. all’epoca portava i capelli corti, li riteneva più comodi. Aveva un sederino a mandolino bellissimo, appena accentuato e una bocca invece molto ben definita e involontariamente seducente. Era impossibile non ammirare la mia bambina”.

“Continua”.

“Il primo giorno di allenamenti fu del tutto ordinario. Rimanemmo al palazzetto fino al primo pomeriggio, poi tornammo in albergo a piedi per mangiare. Fu una bella passeggiata, mia figlia è sempre stata molto espansiva con me, affettuosa. Mi abbracciava mentre passeggiavamo per strada, faceva commenti sulle altre partecipanti, era molto entusiasta”.

“Espansiva in che senso?”

“Da piccola amava darmi i bacetti sulla guancia. Tanti bacetti. Mi stringeva, accarezzava, mi saltava in braccio. Mi tormentava, ma non lo poteva sapere. E io..”

“Tu che facevi?”

“La lasciavo fare. Giocavo con lei, le stringevo le fossette sulle guance tra indice e pollice e le strizzavo le guanciotte, rendendole le labbra involontariamente arricciate e mi facevo baciare così, la bocca come un piccolo tumulo di carne, piccino e morbidissimo”.

“E poi?”

“Tornavamo in Hotel e riposavamo. Le avevo preso una stanzetta tutta sua, ormai stava crescendo e meritava la sua privacy. Dopo andavamo un po' in spiaggia e facevamo un bagno assieme”.

“E probabilmente il bagno a mare non aiutava affatto”.

“No, infatti era molto imbarazzante. In acqua voleva giocare a cavalluccio e tuffarsi, sentivo il suo corpo dimenarsi mentre saliva sulle mie spalle, i suoi capezzolini si strofinavano sulla mia schiena e.. mi imbarazzava”.

“Cosa? Dillo dai”.

“Hai capito”.

“Ti eccitavi, avevi il cazzo che si induriva, vero?”

“Per un padre, avere un’erezione in acqua mentre giochi con tua figlia non è il massimo; ero diventato bravo a nascondere il mio cazzo tra le pieghe del costume, ma non posso escludere che mia figlia lo avesse notato”.

“Lo ha mai sfiorato?”

“Non volontariamente, però lei ha sempre avuto un sorrisino malizioso in ogni cosa che fa ed era un’altra tortura per me quando un suo piedino o la sua schiena si strusciavano involontariamente sull’asta dura”.

“Un po' come adesso, penso. Hai il cazzo duro e, fammi indovinare, non riesci a masturbarti ma solo a stringerlo forte, così forte che ti sta facendo male”.

“..questa era facile da indovinare, però. Sei davvero una puttana, lo sai? Questo mestiere fa per te”.

“Vero, non ti distrarre però. Continua a stringerlo forte e dimmi, piuttosto, che facevate dopo il bagno?”

“La sera, tornavamo nelle nostre stanze e cenavamo in albergo. Dopodiché andavamo in stanze. Lei era sempre stanca morta dopo quelle giornate sfibranti e..”

“E.. cosa?”

“Detto così, suonerà ambiguo”.

“Cosa?”

“Beh, gli ultimi metri prima di entrare in camera, mi chiedeva di sollevarla prendendola in braccio e facendola entrare in stanza così, fino ad appoggiarla piano sul letto”.

“In effetti è intrigante. Una sposina novella. Poi che facevi?”

“Le accarezzavo i capelli, le prendevo come al solito le guanciotte in mano e mi schioccava un bacio. Poi le davo un paio di bacetti sul volto e poi uscivo. E, prima che tu lo chieda, sì, finalmente potevo andare in camera e masturbarmi”.

“Direi che era ora. Ne avrai buttato di sperma, dopo così tanti vellicamenti”.

“Avevo le palle così dure che mi facevano male, anche se ormai ero abituato. Come adesso. Poi andavo a dormire, esausto”.

“Non uscivi a conoscere qualche bella turista per sfogare quel bozzo? Mi sfugge il momento in cui hai fatto sesso”.

“Ci sto arrivando, purtroppo. Il giorno dopo ci sarebbero state le eliminatorie e mia figlia superò il turno brillantemente. Sarebbe andata alle finali ed era elettrizzata per questo successo. Al ritorno continuava a baciarmi, a danzarmi intorno, era così emozionata che non andammo al mare. Indossammo i costumi da bagno ma rimanemmo nella mia stanza a parlare della gara finale di domani fino a ora di cena. Non ci andava di scendere al ristorante e preferii ordinare il servizio in camera; fu molto strano quando aprii la porta al cameriere che vide mia figlia, anche lei in costume, distesa sul letto. Penso proprio che il ragazzo abbia pensato male”.

“Che ti importa? Rimaneva un momento “padre figlia” molto bello e intimo e nessuno avrebbe potuto rovinarlo”.

“Già.. comunque mangiammo sul letto e rimanemmo a parlottare, a farci il solletico, a coccolarci piano. Non ordinavo il servizio in camera dalla mia luna di miele ed ero terribilmente eccitato. Fu allora che mia figlia appoggiò serenamente la testa sul mio petto villoso, mentre io continuavo a parlare. Mi sembrò quasi che il suo sguardo fosse attratto dal bozzo che avevo nel costume”.

“Ti stava mettendo a dura prova, quella monella”.

“Smisi di parlare, avevo il fiatone. Come adesso. Il cazzo mi doleva tremendamente, implorava le solite seghe serali. Mia figlia non muoveva un muscolo. Le accarezzai dolcemente la nuca, feci appena una lieve pressione. Non capivo nulla, vidi la sua testolina scendere verso il mio stomaco. L’erezione era così forte che la cappella faceva capolino dall’elastico, ero ormai certo che avesse visto il cazzo di suo padre. E non aveva detto niente. Non sapevo che stavo facendo, ero impazzito. Le presi piano i neri capelli e feci il gesto di abbassarle ancora la testolina per dirigerla sul mio cazzo ormai di marmo”.

“Stop. Aspetta un attimo. Mi stai parlando dell’ultima volta che hai fatto sesso o sbaglio? Mi stai dicendo che è successo con tua figlia?”

“Sei matta? Fammi continuare. Fu un quel momento, prossimo a impazzire, che la sentii russare, piano”.

“Si era addormentata, povera piccola!”

“Già. Non sapevo se essere imbarazzato per il mio comportamento o sollevato perché credo non si fosse accorta di nulla. Forse la seconda sensazione. Le appoggiai delicatamente il capo sul cuscino e uscii prima di fare qualcosa da cui non si tornava indietro”.

“Accidenti”.

“A quel punto decisi di vestirmi. Mia figlia ormai dormiva pesantemente, la lasciai riposare e scesi in strada a fare una passeggiata serale per schiarire le idee. Fu allora che, girando per le vie di Rio, la vidi.”

“Chi?”

“Non sono certo del suo nome, credo si chiamasse Taissa. T-shirt da bambina e minigonna molto corta. Non parlavo portoghese e lei parlava un pessimo inglese. Mi abbordò per strada chiedendomi se la volessi portare a cena fuori. Doveva avere qualcosa come quattordici anni e faceva la vita di strada per mantenersi”.

“Una giovane prostituta, insomma. Attraente?”

“Niente di che. Capelli biondo cenere, bassina, poco sopra il metro e sessanta, sinuosa, con una prima di seno. Il sedere era piccolo e tondo, il viso era piuttosto anonimo, come bellezza non mi diceva nulla. Aveva delle belle labbra rosse, un po' sottili. In realtà, l’unica cosa che mi interessava era la sua età e il suo culetto”.

“E immagino tu abbia accettato di seguirla”.

“Non ne vado fiero. Un taxi ci portò a casa sua dopo una mezz’ora di tragitto. Mi sembra ancora di sentire la musica latino-americana per le strade; il quartiere era malfamato e lei viveva in una baracca di lamiere, un buco schifoso e puzzolente. Non mi importava, ero come in trance. Quando mi portò nella sua camera da letto pagai l’obolo, mi spogliai mentre si tolse la maglietta sgualcita e vidi i suoi seni, piccoli e con i capezzoli a punta. In quel momento, qualcosa scattò in me e le saltai addosso”.

“E poi?”

“E poi.. hai presente la storia delle api e dei fiori?”

“Dai, non credo proprio che in quello stato tu l’abbia scopata delicatamente e con amore, dimmi la verità”.

“Non so cosa mi fai, Francesca. Riesci ad entrarmi dentro, non riesco ad avere segreti con te”.

“È l’anonimato, ci spinge entrambi ad essere brutalmente sinceri. Sii sincero fino in fondo, papi”.

“Ammetto di essermi lasciato andare. A volte ho dei blackout, non so cosa mi succede; ricordo solo che la trascinai sul suo letto e la vidi cercare di fermarmi, mi fece segno con le dita di indossare uno dei preservativi che aveva nella ciotola sul comò. Continuava a dimenarsi, a indicare i preservativi, a dire cose che non comprendevo tranne la parola “condom”. Come si permetteva di darmi ordini?”

“Mi sembrava una richiesta ragionevole, la sua”.

“Sciocchezze. Pagavo e decidevo, non mi importava nulla di quello che diceva, era una puttana e tanto bastava. Capivo solo che diceva di “no” in portoghese e cercò di fermarmi urlando. Feci il gesto di darle un ceffone e rispose in un pessimo inglese che avrebbe voluto altri soldi. Le dissi solo “ok” e la vidi sbarrare gli occhi e smettere di lottare. Pensai che non ci fosse bisogno di violenza, dopotutto era già consenziente, no?”

“Se lo dici tu..”

“Il resto fu piuttosto ordinario”.

“Continua, papino, fallo decidere a me se fosse ordinario”.

“La spogliai con calma. Aveva delle belle coscette sode, schiacciate l'una sull'altra, delle gambe lisce e fresche. Non era mia figlia ma fisicamente le somigliava parecchio".

In realtà non l’aveva spogliata con così tanta calma. Luigi si strizzava il cazzo muovendo appena le dita, ricordando con lascivia e lussuria il corpo snello e giovane di quella puttanella mentre le toglieva avidamente la minigonna e le mutandine: la sua vita stretta, le sue piccole tettine che muovevano al ritmo del suo battito cardiaco mentre la piccola Taissa singhiozzava e guardava altrove.

“Mi misi a cavalcioni su quel corpo delicato e le appoggiai tutto il mio peso sullo stomaco, mentre le accarezzavo i piccoli seni, li stringevo come avrei voluto fare con la mia piccola, finalmente potevo dare un vero sfogo a tutti quei giorni di carezze, baci, erezioni insoddisfatte. Non era tempo di preliminari. Le urlai “guardami, puttana” e i suoi occhi si posarono di nuovo su di me. Notai che tratteneva appena le lacrime e sembrava mancarle il respiro per la paura”.

“Ovviamente eri duro come adesso, se non di più”.

“Sì, tolsi anche le mutande e appoggiai bruscamente quel pezzo di carne dura e bollente sulla sua fichetta. Ricordo che era liscia, senza un solo pelo. Gustai brevemente la tenerezza della sua polpa delicata contro il mio cazzo incandescente e senza altri indugi la mia cappella penetrò le labbra di quella fichetta, senza darle nemmeno il tempo di lubrificarsi”.

“Hai la cappella grossa?”

“Sì, piuttosto massiccia”.

Luigi si fotografò rapidamente il pene e inviò la foto a Francesca.

“Lo vedi? Di lunghezza è nella media, saranno 16 centimetri. Però ho sempre avuto il glande molto sviluppato”.

Cosa stava facendo? Luigi non le aveva inviato la foto del cazzo per farci sesso a distanza, voleva solo mostrarle l’arnese che aveva scopato Taissa. L’aveva fatto per raccontare meglio la storia, si ritrovò a sperare che Francesca non si offendesse e non lo abbandonasse; per fortuna lei non sembrò offendersi.

“Un bel cazzo, complimenti. Durissimo, con un bel glande tozzo e violaceo. Una piccola mela, entrata bruscamente in quel buchetto. Povera Taissa, non so se invidiarla o meno”.

“Infatti, dopo che il mio cazzo fece il suo ingresso Taissa urlò e non credo proprio fosse piacere. Era dannatamente stretta e la cosa mi eccitava. Una volta dentro, la penetrai con un singolo, fortissimo affondo infilandole tutta l’asta fino alla base della sua patatina”.

“Era molto stretta?”

“Come se fosse vergine, cosa sicuramente irrealistica. Comunque, una volta dentro mi apprestai finalmente a scopare come si deve quella piccola troietta con un movimento deciso e serrato: tiravo fuori quasi completamente il cazzo e poi lo infilavo di nuovo fino alla cervice di quel piccolo pertugio con un singolo movimento e, dopo aver trovato il ritmo, iniziai a gustarmi ogni affondo.

Dentro e fuori.

Dentro e fuori.

Iniziava a bagnarsi, meglio così. Facilitava le mie spinte.

Dentro e fuori.

Sentivo la fica di Taissa aprirsi e distendersi nello sforzo, era davvero molto stretta. Forse non faceva quella vita da molto”.

“Godeva?”

“Gemeva, sì. Non so se di piacere o di dolore, forse entrambi. Aveva i capezzoli duri e molto sensibili e li stringevo senza sosta. Li sentivo turgidi e pensai a mia figlia”.

“Ti capita spesso, vero?”

“Cosa?”

“Di sognare tua figlia mentre godi”.

“Sempre. Vedo il suo volto sorridente, rassicurante. Mi dice quasi sempre le stessa frasi: “più forte, più veloce, papà! Va tutto bene, sborrami dentro!” E anche quella volta fu lo stesso, ogni affondo era per lei, non per quella puttana. La sua lubrificazione era comunque utile, mi consentiva di scoparla meglio. Iniziò infatti a godere anche lei e a spingere il proprio bacino verso il mio cazzo per farsi fottere meglio, ormai preda della sua eccitazione. A un certo punto ebbe un orgasmo e mi sembrò quasi che si vergognasse di quella reazione, chissà perché”.

“E tu? Hai fatto contenta tua figlia? Le sei venuto dentro?”

“Sì, ma non subito. Per una volta che avevo un corpo giovane e fresco, volevo godermi il momento. Dopo qualche altra spinta mi fermai e la gira di schiena. Il suo volto da ragazzina stupida e piangente mi annoiava. Non mi piacevano quei capelli biondo cenere, preferisco le morette. Perciò la afferrai da dietro come se fosse una bambolina di pezza e le ficcai la testa sotto i cuscini del letto, senza tante cerimonie. Perfetto, un corpo fresco e tonico a pecorina, quello che ci voleva. Le tenni ferme le braccia e le piantai brutalmente il cazzo nella fichetta che sporgeva appena dalle gambette e iniziai a scoparla di nuovo, stavolta in maniera rapida, accelerando il ritmo”.

“Penso che in quella posizione sia stata una penetrazione ancora più dolorosa per lei..”

“Vero, infatti sentivo i singhiozzi della ragazza, attenuati dai cuscini. Pompavo rapidamente e ritmicamente tutto il cazzo a fondo in quelle carni tenere e sentii la mia pancia pelosa a contatto con quel bel culetto tondo. Un sogno. Dimenticai che fosse solo una ragazzina e cominciai a spingere con tale foga da farla urlare di dolore”.

Sgomento, Luigi si chiese per la prima volta cosa sarebbe successo se al posto di Taissa ci fosse stata Anna: davvero avrebbe violato con tanta veemenza anche il corpicino acerbo di sua figlia? Decise di non pensarci e proseguì il racconto.

“In altre circostanze avrei rallentato il ritmo e me la sarei presa comoda, ma la fica di mia.. voglio dire, la fica di Taissa era molto bagnata e stretta e i miei affondi si facevano sempre più piacevoli e frenetici, mentre sentivo il familiare formicolio delle palle prima dell’orgasmo. Valutai di sodomizzarla prima di concludere ma non lo ritenni essenziale, volevo solo sborrare. Venni, le scaricai dentro la fichetta esausta un fiotto di sborra denso e bollente, frutto di tutto il mio amore per la mia bambina. Le dissi grugnendo: “godi, piccola, il tuo papà ti ha dato la medicina per il pancino, adesso dovresti stare meglio”. Le inondai la vagina con il mio seme e la sentii scuotersi percependo la sua fessurina allagata da tutta quella sborra; urlò mentre mordeva i cuscini del letto. Esausto, rimasi dentro di lei ancora qualche minuto, la cappella che si sgonfiava piano. Poi, soddisfatto come non lo ero da anni, mi lasciai cadere sulla schiena. Notai un lungo rivolo del mio sperma colare dalle cosce di Taissa, che rimase, tremante, in quella posizione per ancora qualche minuto”.

Ecco, finalmente lo aveva raccontato. Che sollievo. Pensò di masturbarsi, il polso gli faceva male per quanto stringeva forte il suo pene. Però non aveva concluso il racconto e decise di attendere.

“Accidenti, hai fatto proprio un servizio completo a quella poveretta. Una bella storia che immagino finisca lì”.

“In realtà no, ci fu un seguito, purtroppo”.

Fu in quel momento che Luigi sentì bussare alla porta dell’ufficio.



Anna

La guardava imbambolata, come se fosse desiderosa di catturare l’immagine della nudità di Anna dentro l’ampia doccia per il maggior tempo possibile.

“Allora?” Le chiese Anna, sorridendo, senza voltarsi.

Bastò questa domanda per riscuotere Lia che la raggiunse in doccia e appoggiò su una mensola il dildo di silicone e il lubrificante.

La doccia aveva un soffione portatile, Lia lo prese senza esitazione e fece scorrere piano il getto sul proprio corpo, sospirando rilassata mentre innaffiava quelle diafane e tonde mammelle con l’acqua tiepida.

Era davvero una Dea ed Anna si ritrovò gocciolante di liquidi vaginali, mentre rimaneva voltata e in attesa.

Fu allora che Lia, ridacchiando furbetta, si posizionò dietro di lei e indirizzò lateralmente il soffione verso il corpo di Anna che sentì il tenue getto proprio sul clitoride semi scoperto e sensibilissimo; ad Anna sfuggì un gemito e guardò prima i propri capezzoli, appuntiti come chiodi e poi quelli di Lia, piccoli come noccioline.

Fu in quel momento che sentì le mani di Lia posarsi sui suoi fianchi con delicatezza, passare ad accarezzare i suoi seni piccoli e tondi come colline, titillare appena i capezzoli ormai turgidi per poi avvicinarsi alla sua bocca per baciarla da dietro, con desiderio.

Chiuse gli occhi e sentì la lingua di Lia insinuarsi dolcemente tra le sue labbra e Anna rimase ferma, ancora voltata e in trepidante attesa dell’iniziativa della bionda, godendo nel lasciarsi guidare come se fosse la sua prima volta; rimase estasiata quando percepì la lingua di Lia muoversi con voluta lentezza dalla sua bocca fino ai contorni del labbro superiore per poi scivolare piano sulla guancia e da lì raggiungere l’orecchio di Anna.

Fu come una scossa elettrica, la sensazione della lingua di Lia che le penetrava l’orecchio mentre le dita le frizionavano i capezzoli era troppo eccitante ed Anna iniziò a mugolare, togliendo il braccio destro dalla parete della doccia per provare a dare sollievo alla propria patatina liscia e calda ma venne intercettata dalla mano di Lia che intrecciò le dita con quelle di Anna e disse: “stamattina sei solo mia”.

Anna annuì piano, gli occhi chiusi, la sensazione di quella mano intrecciata con la sua aumentò l’eccitazione a dismisura e si ritrovò fradicia a sentire il fiato corto di Lia che esplorava avidamente ogni centimetro del suo corpo e iniziare a baciarla sul collo e la spalla.

Fu allora che la bionda iniziò ad abbassarsi piano, strusciandole piano quei globi di alabastro sulla schiena abbronzata, un massaggio incredibilmente piacevole di due seni morbidi e grandi che ondeggiavano accarezzando quel corpo in preda alle scosse di piacere; era troppo bello ed Anna iniziò a sospirare sempre più forte fino a quando non sentì la bocca di Lia appoggiarsi piano sul suo sedere tondo, tratteggiando una scia invisibile di piccoli baci e carezze con la lingua fino a raggiungere inesorabilmente la sua fica bollente.



Quella porcellina bionda si era inginocchiata e le stava baciando piano il sesso, stuzzicandolo lentamente, leggermente, con piccoli baci; la sensazione era tanto tenue quanto paradisiaca. Non aveva dimenticato quanto fossero piacevoli le labbra di Lia, quell’arco di cupido così pronunciato le rendeva morbide e stuzzicanti come lo zucchero filato e ad Anna iniziò a muovere il sedere verso la sua bocca, gemendo piano, cercando di farle capire che voleva la sua lingua dentro di sé.

Eppure, Lia non si decideva, continuava con i suoi bacetti vellutati a cui alternava dei piccoli morsi alle natiche tonde e sode di Anna che continuò ad ansimare dal piacere e a sussurrare a Lia: “accelera, fammi godere, leccami, scopami con le dita, col cazzo, con quello che vuoi” e fece per muoversi, ma anche stavolta Lia le tenne strette le mani con le sue, bloccandola dolcemente.

Niente, solo bacini, morsetti, tocchi leggeri.

Anna, in estasi, iniziò a gemere regolarmente, respirando sempre più forte e iniziò a pregare Lia, stavolta con voce implorante: “ti prego, ti supplico, è una tortura, scopami, sono fradicia, un lago”.

Lia iniziò a sussurrare, la lingua che non smetteva di accarezzare piano le grandi labbra di Anna: “sei stata spudorata ieri, mi hai tenuta sulle spine, prima l’hai fatta annusare al ragazzo e hai voluto che vi guardassi, poi mi hai vestita, truccata, accarezzata, adesso è il mio turno”.

E riprese ad appoggiare la bocca sulla sua carne e a stuzzicarla senza sosta, ignorando le suppliche della moretta, ormai al limite dell’orgasmo: quando Lia se ne accorse, finalmente strinse in mano il dildo e, ancora inginocchiata, le allargò piano le piccole labbra e lo inserì piano nel varco di piacere di Anna, ormai pronto e lubrificato a ricevere quel bastone duro.

Essere penetrata dopo tanta attesa fu estremamente appagante per Anna che sentì il grosso dildo dentro per metà e le sembrò di essere già piacevolmente piena, mentre il getto d’acqua continuava a bagnarle il volto e Lia iniziava ad aumentare leggermente la velocità. Dentro e fuori, dentro e fuori, due o tre centimetri per volta.

A quel punto Lia le diede il colpo di grazia, accarezzando da dietro con l’altra mano il piccolo clitoride di Anna, turgido come un bottoncino.

“Sìììì” urlò Anna e iniziò a contorcersi nell’orgasmo. Pensava che avrebbe spruzzato, invece si ritrovò con un lungo rigagnolo di succo vaginale che le colava su una gamba, un piccolo fiume di piacere che finalmente rompeva gli argini.

“Ti piace?”

“Credo.. sono venuta, Lia”.

“Vedo!” Disse buffamente Lia, sfilandole piano il dildo dalla fica; Anna sentì una piccola sensazione di vuoto e vide quel cazzo finto, così realistico, con tanto di glande e venature, tutto sporco di succhi vaginali. Pregno di lei.

“Ma non abbiamo mica finito, vero?” Disse Lia alzandosi in piedi, voltò Anna prendendola piano per una spalla e proseguì: “adesso tocca a te, moretta diavoletta!”

Anna sorrise. Lia era tenera e pura come una fragolina; le accarezzò la mano e fece per prendere il dildo, ma rimase sorpresa quando fu Lia a spingerla dalla spalla verso il basso, facendole segno di inginocchiarsi.

Il pavimento della doccia era tiepido, mentre l’acqua continuava a scorrere su di loro e Lia disse, bruscamente: “cosa hai detto che volevi fare a quel coglione?”

Anna sorrise ancora mordendosi le labbra, sorpresa dall’improvviso cambio di tono di Lia.

“..una pompa” sussurrò Anna.

“Non ti ho sentita!” disse Lia, quasi con rabbia.

“Una pompa!” urlò Anna, divertita.

“E allora fammi una pompa, troia!” urlò Lia e appoggiò il cazzo finto sulle labbra della mora, posizionandolo tra le proprie gambe, proprio all’altezza del ciuffo biondo sul suo carnoso monte di Venere.

Ad Anna era capitato più volte di usare quel giocattolo mentre era da sola, prendendosi da sola quella scintilla di cui aveva bisogno ed in quel caso le era capitato di passare la lingua su quell’affare, mimando una fellatio. Però niente a che vedere con quel momento.

“Lo sai che hai una bocca da pompinara?”

Anna rise, diede un’altra leccatina al glande di plastica che vibrò leggermente e aggiunse: “Me lo sento dire, ogni tanto”.

Lia sembrava in trance, continuava a spingerle in bocca quel cazzo finto tenendole la nuca, lo estraeva, glielo rimetteva in bocca ed Anna sentì il sapore dei propri liquidi vaginali, così dolciastri, che si posarono sulle sue bellissime labbra, rendendole lucide come se avesse passato un lucidalabbra.

“Succhialo, maledetta puttanella, ti insegno io a guardarmi con quegli occhioni!”

Era sorpresa di quanto Lia fosse così presa da quel pompino immaginario e notò che aveva allungato piano un dito a intrufolarsi nella propria passerina. Evidentemente la piccola Lia non era così santa come sembrava, aveva le sue fantasie porcelle, come tutti e allungò un braccio, accarezzandole da dietro l’interno coscia e salendo piano. La figa di Lia era una fornace, una pesca matura e accaldata in cui le due dita di Anna si tuffarono come in una torta alla crema. Lia iniziò a gemere, proseguendo nel suo sproloquio.

“Lo senti quant’è venoso? Lo senti quant’è grosso? Succhialo, devi imparare a ciucciare, devi sapere come si fa!” urlava Lia terribilmente eccitata e le dita di Anna si unirono alle sue nello stantuffarle la passerina.

La moretta si ritrovò accaldata, di nuovo. Stava sbavando, la saliva le colava sulle guance, sul seno; quella fellatio così energica le stava stranamente piacendo, così come la situazione così particolare. Per fortuna era abituata a imboccare il cazzo di Toni, di calibro pari o addirittura superiore al suo giocattolo, anche se meno venoso.

Che strano, non aveva pensato a Toni fino a quel momento. Avrebbe dovuto rattristarsi, sentirsi in colpa, smetterla di succhiare quell’affare. Invece iniziò inspiegabilmente a fantasticare che Toni fosse lì, all’ingresso del bagno e le stesse spiando.

Chiuse gli occhi e immaginò Toni mentre fissava il suo corpo snello, le sue tettine sode e insolenti, la sua bocca modellata mentre qualcun altro le scopava la bocca con il suo cazzo e le sembrò di impazzire. Sentì la propria mano libera scendere a masturbarla, a dare sollievo alla propria fichetta bollente, soffermandosi tra le gambe più volte; due dita entrarono tra le piccole labbra, ma non le bastarono. Mise le altre dita ai lati del clitoride e le fece oscillare mentre stantuffava sempre più rapidamente, in una masturbazione sempre più ritmata.

Anna andò in paradiso e iniziò a gemere.

Forte, perché Toni la ascoltasse.

Forte, perché doveva gustarsi il suo personale show lesbo.

Cornuto, questa è la tua fidanzata.

Vennero quasi allo stesso tempo e fu un orgasmo incredibile, indimenticabile. Urlarono di piacere e sentirono i loro corpi vibrare all’unisono: Anna ricevette una seconda doccia di schizzi dalla fica di Lia, un getto violento che le innaffiò il volto dei succhi della bella bionda. C’era abituata.

Dopo qualche minuto di pausa, fecero l’amore per altre due volte ed ebbero altrettanti orgasmi. Stavolta fu Anna a dirigere il gioco e a scopare Lia incessantemente, fino a farla accasciare priva di forze su di lei.

Restarono così per un po', sdraiate sul pavimento della doccia. Lia con la testolina bionda sul grembo di Anna che notò come le loro mani si fossero raggrinzite. Erano rimaste nella doccia per più di un’ora.

Anna guardò l’orologio. Cazzo. Suo padre non era ancora tornato, per fortuna si era attardato a lavoro.

Sarebbe stato imbarazzante se le avesse viste fare sesso.

“Vieni, andiamo a fare colazione, biondina!”

Lia rise e fece un’espressione beata con gli occhi chiusi.

“Eh sì, mi sa che è ora di andare”.

E le schioccò un bacio sul seno.

Come diceva il proverbio? Una tira l’altra.
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