Prime Esperienze

L'Erede


di tiguardo69
31.07.2020    |    15.579    |    10 9.6
"Improvvisamente si tirò indietro ed il mio pene scivolò completamente nel suo retto, ma ormai il dolore stava diminuendo..."
Di una persona soltanto m’innamorai veramente durante l’ultimo anno, la supplente d’italiano (coincidenze della vita), la professoressa Giovanna. Era costei una giovane insegnante che rimpiazzava la nostra professoressa di italiano che, soffrendo di trigemino, era costretta a lunghe assenze, specialmente nei periodi freddi. Ella somigliava all’attrice Edwige Fenech in tutto e per tutto e naturalmente essendo quella la mia attrice preferita non poté sfuggire alle mie attenzioni. Quello, come ho detto, fu il mio primo innamoramento, anzi se non penserei di apparire patetico fu il mio primo sconvolgimento. Giovanna creava in me uno stordimento e contemporaneamente un malessere che guastava le mie giornate facendomi giungere ad uno stato di “idrofobia”. Passavo il mio tempo in casa senza avere animo di vedere chicchessia e pregustando l’inizio del giorno dopo che mi avrebbe permesso di vederla in classe; avevo pure cambiato banco passando dall’ultimo al primo e rimanevo estasiato durante le ore di lezione, facevo, altresì, il tutto possibile per mettermi in mostra suscitando l’ilarità della classe che conoscendomi come un uomo di ghiaccio non credeva ai propri occhi nel vedermi così depresso ed innamorato.
Giunse l’estate, e quella del ‘74 fu proprio cocente; Giovanna veniva a scuola con delle camiciole leggere che lasciavano trasparire tutto il candore e la floridezza del suo petto. Un giorno, addirittura, ella non indossava reggiseno; fui interrogato in Divina Commedia e mai interrogazione fu, per me, così cercata e voluta. I primi due bottoni della camiciola di Giovanna erano sbottonati e lasciavano intravedere gran parte del seno che calamitava il mio sguardo, quello stesso sguardo non sfuggì a Giovanna che, comunque, non fece nulla per nascondere quella parte del suo corpo. Alla fine della lezione ella m’invitò fuori nel corridoio e mi disse: - Bancari, devi smetterla!
- Smetterla? - dissi cercando di nascondere la cosa - Ma di fare cosa? -
- Tu mi guardi troppo ed io non posso permettertelo, io sono la tua insegnante e certe cose non ci sono permesse -
- Bene - dissi - allora giochiamo a carte scoperte, lei mi piace, io ho venti anni e non sono più un ragazzino, lei ha turbato la mia psiche oltre che la mia sessualità ed inoltre io vorrei... -
Ella interruppe la fine della mia frase coprendo la mia bocca con la mano che subito ritrasse.
- Zitto, non dire nulla, cosa credi che io sia fatta di legno, anche tu mi piaci, ho visto come mi guardi e con quanto desiderio; anch’io ti desidero ma non possiamo, non dobbiamo, non sarebbe giusto -
- Giovanna - dissi passando al tu - perché?, cosa ti spaventa? -
- Non lo so, forse niente e forse tutto e poi che significato avrebbe tutto ciò? -
- Giovanna, io credo di amarti, tu non puoi allontanarmi da te sarebbe doloroso ed io sono troppo giovane per sopportare una tal sofferenza d’animo, vediamoci altrove, qui l’aria è greve e tu sei esposta agli sguardi dei colleghi e degli stessi miei compagni che in questo momento si staranno chiedendo cosa abbiamo di tanto importante da dirci -
- Va bene, Mario, vieni oggi pomeriggio a casa mia, tieni, questo è l’indirizzo -
Ella vergò poche righe su un pezzetto di carta e me lo porse poi mi lasciò.
Io non credevo ai miei occhi; oggi l’avrei rivista, cosa gli avrei detto?
Il pomeriggio, alle quattro, mi recai a casa di Giovanna. Ella abitava in un quartiere elegante, in una palazzina di soli tre piani, posteggiai la mia Vespa poi dopo avere guardato la tastiera dei citofoni premetti il suo. Una candida voce mi rispose, poi lo scatto metallico del portoncino. Entrai, sentivo il cuore galopparmi nel petto e la mia tristezza aggravarsi. Mi trovavo in una disposizione di spirito strana, dovevo essere contento ed invece mi sentivo triste e nervoso. La sensibilità dei miei nervi era così acuta che ogni cosa esteriore mi provocava delle ferite enormi. Salì piano i tre piani che mi dividevano da lei, il mio salire era lento quasi come il passo del condannato a morte e questo mi fece paura, nel frattempo pensavo a cosa avrei detto.
Finita la scala giunsi davanti la sua porta, suonai con la mano tremante mentre con l’altra sembravo trattenere il mio cuore. Ella aprì, mi salutò poi si ritrasse per permettermi di entrare.
- Ciao - dissi con voce tremante.
- Ciao - disse ella notando la mia disposizione di spirito.
Giovanna indossava una gonna di un colore blu cobalto molto stretta che metteva in risalto le sue forme, una leggera camicia per metà aperta sul davanti che non lasciava nulla all’immaginazione. Mi faceva strada ed io non potevo non guardarla, istintivamente portai una mano sul mio sesso che già si ergeva prepotentemente. Ella m’introdusse nel soggiorno e mi fece segno di sedermi sul divano. Questo era posto di fronte ad un’ampia finestra che dava sul balcone e da cui entravano i caldi raggi del sole; la camera era arredata sobriamente e con molta cura. Sedetti ed ella accanto a me, io facevo finta di guardare intorno ma con la coda dell’occhio osservavo lei; ella mi guardava sottilmente con uno sguardo che mi sembrò un misto di curiosità e di passione. Io allora voltai la mia faccia verso lei; i nostri occhi s’incrociarono e sembrò quello sguardo durare un’eternità, poi allungai una mano verso il suo viso e presi a carezzarlo.
- Sei molto bella - dissi.
Le mie mani tremanti scivolarono sotto la sua camicia ed al contatto del calore del suo corpo immediatamente si ritrassero provocando le rimostranze di Giovanna che come per volermi mettere a mio agio carezzò il mio volto sorridendo, prese le mie mani e le avvicinò alla camiciola inducendomi a sbottonarla poi appoggiò le mie mani tremanti sui suoi seni: ella ebbe un piccolo brivido e mentre io guardavo quei seni grossi e turgidi ella avvicinò le sue mani ai bottoni del pantalone slacciandoli e mentre faceva ciò mi guardava teneramente. Giovanna insinuò la sua mano dentro il pantalone ed estrasse il mio membro rigido, lo tenne così per un attimo, cominciò a strofinarlo e ad accarezzarlo meccanicamente. Improvvisamente il sangue freddo l’abbandonò. Si aggrappò al pene: era piccolo e grosso ma lo sentivo pulsare come non mai.
Io dal mio canto cominciai a carezzare il seno, prima delicatamente, tanto che i capezzoli s’irrigidirono, protendendosi verso le mie mani, poi più brutalmente.
Baciai Giovanna sulla bocca, poi abbassai il mio capo verso il suo seno. Sentì che le stavo succhiando i capezzoli con avidità talvolta facendole male ma ella ritraendo la testa indietro si mordeva le labbra e non protestava. Le mie mani adesso erano sulle sue gambe e salivano lentamente verso la fonte del piacere; intanto il mio uccello si muoveva come se fosse dotato di vita propria.
La mia mano era arrivata all’orlo delle sue mutandine e armeggiava per insinuarsi dentro di lei. Giovanna sussultò e strinse le gambe, imprigionandomi la mano, ma io continuai finché i suoi muscoli non si rilassarono, spinsi allora le dita sino alla sua fica, molto in fondo; Giovanna si buttò all’indietro, protendendo i fianchi verso di me.
Ansimando le strappai le mutandine, mentre Giovanna si liberava delle scarpe.
- Lasciami togliere la gonna - mi bisbigliò - altrimenti si stropiccerà tutta -
Giovanna si sfilò la gonna, mentre io mi liberavo dei pantaloni e delle mutande. Poi la afferrai di nuovo; premetti la mano sulla vagina, prima di inserire un dito, accarezzandole con le altre dita la protuberanza rotonda del suo sesso. Lei cominciò a sentirsi calda e piena di desiderio. Ella mi strofinò delicatamente i testicoli e riprese l’uccello tra le sue mani. Ad un dato momento la afferrai e la costrinsi a distendersi, avevo una gran fretta di entrare in lei.
Mi gettai su di lei penetrandola con violenza. Giovanna restò senza fiato, ma quello che era più strano era che lei lo desiderava, ora: si sentiva calda e vulnerabile e voleva che io la prendessi. Se io mi fossi tirato indietro credo che sarebbe impazzita. Ma io non avevo nessun’intenzione di ritrarmi. Mi muovevo su e giù dentro di lei incessantemente, sempre più a fondo. Sollevò le gambe e strinse il mio corpo e inarcò la schiena per venirmi incontro, così che io sprofondai ancora più dentro di lei. Poi mi sgusciò da sotto e si rigirò, in modo da giacere prona davanti a me, con le natiche protese. Io le fui sopra e la penetrai da dietro, guidando il mio uccello dentro di lei.
Giovanna contrasse i muscoli delle cosce sotto quella spinta. I nostri gemiti e i nostri sospiri si mescolarono, mentre i nostri corpi tremarono all’unisono. I miei colpi diventarono sempre più violenti, ma, improvvisamente, mi rilassai uscendo da lei.
Giovanna ebbe come un moto di disappunto: - Cosa è successo? - disse.
- Stavo per venire - risposi.
- E allora? - ripeté ella.
- Non voglio, desidero attendere -
Le andai vicino e le stuzzicai i capezzoli, le accarezzai le cosce, fino a che non vidi che ella era nuovamente eccitata.
- Girati - le sussurrai - Voglio prenderti da dietro.
Giovanna era molto eccitata e non considerò quella proposta con disgusto o come una follia. Intanto avevo cominciato a strofinarle la clitoride, poi abbassai il capo e la toccai con le labbra. La leccai e poi le infilai la lingua nella fica, premendole la clitoride con il labbro. Giovanna sussultava, sollevava i fianchi verso di me, digrignando i denti. Sentiva crescere dentro di sé un desiderio quasi insopportabile. Muoveva i fianchi, ondulandoli, spingendosi sempre più verso quella bocca che la riempiva di piacere.
- Non fermarti - supplicò - Non fermarti -
Poi ella sentì come un rombo nelle orecchie e un’onda gigantesca che la inghiottiva. Avvertì come una specie di esplosione nella testa e gridò, gridò per quella intollerabile sensazione, desiderando che non finisse mai.
Poi restò sdraiata, senza respiro, rilassata. Io la feci voltare, senza trovare alcuna resistenza. Sembrava che ogni forza di volontà l’avesse abbandonata, con l’orgasmo. Baciai le sue natiche rotonde, lisce; poi le aprì con le mani e leccai il piccolo orifizio in mezzo. Giovanna si sentì oscenamente nuda, esposta ai miei sguardi, ma ormai non le importava più nulla, non provava nessun imbarazzo. Sentiva la mia lingua che s’insinuava dentro di lei, dietro. A volte si sottraeva, sentendo una tensione spiacevole, poi si protendeva di nuovo verso di me, verso la mia lingua calda, umida, sollevando il sedere.
- Apri le gambe - le dissi.
Giovanna ubbidì, aprendo le gambe al massimo.
Le inserì un dito nella vagina, facendola sussultare e, prelevando un po’ della sua secrezione, lo introdussi nell’orifizio posteriore, che si contrasse bruscamente.
Continuai a muovere il dito, allargando l’ano, per prepararlo a ciò che sarebbe seguito. Poi introdussi un secondo dito. Questa volta, Giovanna sentì dolore e si tirò indietro, ma io mi riaccostai, tolsi il secondo dito, poi lo inserì di nuovo. Pian piano il dolore diminuì man mano che la donna si abituava alla pressione. Ora Giovanna provava una sensazione piacevole e voleva che le mettessi dentro l’uccello.
- Fallo - mi disse, voltandosi e mostrandomi il viso acceso dalla passione. - Mettimelo dietro -
M’inginocchiai dietro di lei e le dissi: - Mettiti in ginocchio -
Giovanna obbedì, mostrandomi le tonde natiche e il piccolo orifizio.
- Prendilo e mettilo dentro tu stessa - dissi.
Giovanna mi prese il pene, si protese e appoggiò la punta sul suo ano. L’uccello piano piano si andava facendo strada, per un momento non ci furono problemi, poi, improvvisamente sembrò che la stessero squartando.
Si tirò indietro, gridando: - No, no! mi fa troppo male -
Ma io ignorai le sue proteste. La tenevo stretta e continuavo a farmi strada dentro di lei, sempre più avanti.
Giovanna non riusciva a pensare. Improvvisamente si tirò indietro ed il mio pene scivolò completamente nel suo retto, ma ormai il dolore stava diminuendo.
Adesso io mi muovevo su e giù nello stretto passaggio, senza pietà.
Giovanna non si aspettava di essere sodomizzata e la cosa le sembrava indecente, umiliante, ma quando stava per pensare una spinta più decisa le impediva di riflettere. Provava un dolore terribilmente piacevole.
Cominciò a muoversi all’indietro, per andare incontro ai miei colpi furiosi. Ogni tanto si voltava verso di me per mostrarmi, con il volto arrossato e gli occhi scintillanti, l’effetto che provocavano i miei assalti.
Io fissavo, come ipnotizzato, il mio pene che penetrava in quel morbido, rotondo culo bianco. Mi sentivo stringere in modo quasi insopportabile, ma il mio piacere era ancora più forte nell’udire i gemiti e i sospiri di Giovanna. In quel momento era mia: quel pensiero aumentò a dismisura la mia passione. Presi a muovermi più in fretta, con un moto ondulatorio, dentro di lei.
- Oh, si! - mormorò Giovanna - Si, così!, continua, non fermarti.
Accelerai i movimenti afferrandole i seni, stringendo i capezzoli tra le dita. Ella aveva la bocca spalancata, il respiro mozzo, come se stesse soffocando. Le afferrai le natiche e le aprì ancora di più, mi sentivo gonfio e pesante, pronto a scoppiare in un’esplosione di desiderio.
Giovanna gemeva e gridava frasi sconnesse, mordendosi le labbra. Finalmente venni sussultando violentemente, gridai il nome di Giovanna mentre il bianco sperma entrava a fiotti nel corpo di lei, poi giacemmo, in silenzio, uno sull’altra.
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