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Il brutto anatroccolo


di Membro VIP di Annunci69.it PaoloSC
09.04.2024    |    9.010    |    9 9.6
"“Ma tu rimani accanto a me?” mi chiese timidamente..."
Il brutto anatroccolo
di Paolo Sforza Cesarani.

Una giornata di maggio del 1982, a Roma.
Ero in stanza con la collega Erica, biondina di origini altoatesine e di madrelingua tedesca, trapiantata a Roma da quel di Verona dove si era trasferita poco dopo la nascita causa il trasferimento del padre, ufficiale della GdF.
Erica era una brava ragazza, la classica spilungona biondina slavata, poco seno, fianchi larghi, ma la natura (o i geni?) era stata avara nel distribuire il poco grasso e, soprattutto, distratta. Culo piatto, culottes de cheval pronunciate, gambe arcuate. E poi, una bocca bruttina, con le labbra a scoprire le gengive quando rideva o parlava.
Però Erica era intelligente, brava e molto, troppo sensibile.

Il fato ci mise assieme in una stanza, al terzo piano di un palazzone dell’allora colosso IRI, per collaborare per la realizzazione di un innovativo software di Office Automation destinato alla dirigenza.
Io ero il responsabile dell’analisi, lei l’esperta delle procedure da automatizzare.
Passammo numerose giornate io a far domande, lei a spiegarmi come funzionavano le cose e quali interventi - secondo lei – sarebbe stato opportuno effettuare per accontentare gli utenti, o meglio, le varie segretarie dei dirigenti a cui era destinata l’applicazione.
Faceva molto caldo, quel maggio, ed Erica da buona nordica montanara soffriva più di me l’assenza dell’aria condizionata ancora spenta. Per alleviare il caldo, avevamo messo in atto gli accorgimenti più elementari: alleggerirsi gli abiti il più possibile e bere molta acqua.
Erica quel giorno indossava un abitino in tessuto leggero a fantasia floreale, abbottonato davanti e strizzato in vita da una cintura, ed un paio di sandali senza calze. Io invece non avevo rinunciato alla mia tenuta da lavoro – giacca e cravatta – concedendomi però di indossare uno spezzato di lino.

Il mio capo, responsabile del servizio, aveva chiesto ed ottenuto di mettere nell’androne del piano e per i corridoi un paio di beverine Westinghouse che producevano acqua gelata a volontà, ed il bar interno aveva aumentato di molto la produzione di bevande fredde e di granite.
Ogni tanto ci alzavamo e andavamo a bere un po’ d’acqua o a prendere una bevanda al bar al piano di sotto e, nell’occasione, facevamo una rapida puntata al bagno per smaltire la quantità d’acqua ingerita in precedenza.
Fu durante una di queste soste che accadde l’impensato.
Al nostro piano, il bagno era costituito da un antibagno con i lavandini e tre locali con wc e bidet, due destinati agli uomini ed uno alle donne. La porta che dava sul corridoio aveva una molla che la faceva chiudere automaticamente e nell’antibagno, complice la calura, la finestra era completamente aperta. Anche i bagnetti avevano una finestrella, anch’essa aperta, per garantire circolazione d’aria ed eliminare gli odori.

“Erica, mi fermo un attimo in bagno”
“Pure io”
Entrammo assieme nell’antibagno, la porta centrale era chiusa con il cartello “GUASTO”, la sinistra era riservata alle donne e la destra agli uomini.
Mi spostai a destra cedendo il passo ad Erica. La guardai entrare con la coda dell’occhio nel bagnetto delle donne, la cui porta si apriva verso l’esterno da destra.
Io entrai nel bagnetto di destra, mi chiusi la porta alle spalle con il lucchetto, aprii i pantaloni e feci ciò che dovevo fare. Terminato, mi asciugai, tirai l’acqua ed uscii per lavarmi le mani. I lavandini erano lungo le pareti opposte ai bagni, uno specchio rifletteva le immagini delle porte.
Ad un certo punto un forte ed improvviso colpo di vento contemporaneamente fece sbattere la porta di accesso e spalancare le porte dei bagnetti, sia il mio che quello di Erica, probabilmente chiusa male. La vidi riflessa sullo specchio mentre era chinata in avanti, le mutande ai piedi, intenta ad asciugarsi: insomma, quel che qualsiasi donna avrebbe fatto dopo aver fatto pipì.
Solo che il vento birichino l’aveva beccata proprio con le brache calate, nel vero senso del termine.
Inutile spiegare il suo stupore ed il suo imbarazzo.

Ero sinceramente dispiaciuto che le fosse accaduto in mia presenza, anche perché era qualche giorno che mostrava atteggiamenti particolarmente amicali nei miei confronti e mi seccava averla messa a disagio in qualche modo.
“Tranquilla, non ho visto nulla!” le dissi.
“Ma hai sentito che colpo di vento?” mi rispose. “Comunque il chiavistello non funziona, vedi?” mostrandomi per l’appunto a sua discolpa il fatto che la chiusura della porta non funzionava bene.
“Visto, in effetti una cosa strana… comunque tranquilla, non ho visto che portavi le mutande bianche a fiorellini!” le dissi facendo finta di inventare il fatto di aver effettivamente colto il colore dei suoi slip. Non ero in realtà stato in grado di osservare la cosa con attenzione visto che aveva richiuso lei di scatto la porta ed avevo potuto intravedere solo la forma delle sue mutande calate alle caviglie.
Erica sbiancò “Ma allora hai visto tutto! Che figura!” disse mettendosi una mano davanti alla bocca mentre arrossiva dalla vergogna.
“Ma no, dai, scherzavo. Sul serio non ho visto nulla! Ho detto così per dire. Era per prenderti in giro, chi è che indossa ancora le mutande di cotone a fiorellini? Giusto la mia cuginetta di sette anni!” le dissi sorridendo.
Il suo rossore non diminuì, anzi, se possibile aumentò ulteriormente assieme al suo imbarazzo.
“Veramente io porto gli slip di cotone a fiorellini, oggi” mi rispose.
Era il mio turno di essere imbarazzato.
“Beh… io comunque stavo scherzando” balbettai abbassando lo sguardo e notando in controluce che in trasparenza si notava che l’elastico le arrivava in vita.
“Vabbè, dai, ti aspetto in stanza” le dissi, cercando di allontanarmi in fretta per allentare la tensione che era palpabile.

Ecco, se c’era un altro motivo per cui Erica non mi piaceva, erano le sue mutande.
Mi davano fastidio la sua freddezza, il suo algido distacco dalle cose del mondo, quasi che oltre al lavoro, alla famiglia e Dio Onnipotente non esistesse altro.
Non sopportavo soprattutto il suo terrore nei confronti degli uomini.
Pochi giorni prima l’avevo trovata che si stava quasi confessando con una collega anziana, la quasi pensionanda segretaria responsabile della gestione delle nostre ferie e delle nostre trasferte. Captai le parole “vergogna” e “costume da bagno” ma non riuscii a catturare di più, ma la cosa non era di mio interesse e soprattutto, l’associazione “costume da bagno” ed “Erica” non era proprio presente nel database dei miei pensieri; semplicemente, come tante altre cose, rappresentava una combinazione assente.
Però quando passai accanto a loro si tacitarono entrambe in attesa che mi allontanassi.
Girai l’angolo del corridoio e sentii ricominciare il cicaleccio, subito coperto dai rumori di fondo dell’ufficio.
Feci spallucce e tirai diritto verso la mia stanza, il mio lavoro. Dopo un po’, tanta era la concentrazione, non mi resi conto che Erica era rientrata in stanza se non quando la vidi davanti a me, le braccia appoggiate sulla mia scrivania, in attesa che mi accorgessi di lei. E la cosa sarebbe potuta andare avanti per un bel po’ se non avesse fatto un raschietto della gola per richiamare la mia attenzione.
Mi riscossi e sobbalzai sulla sedia.

“Scusa, non mi aspettavo di vederti. Dimmi!”
“Volevo dirti che mi spiace di quello che è successo in bagno”
“Perché, cosa è successo in bagno?” chiesi mostrando una naturale innocenza.
“Niente, mi hai visto quasi nuda”
“NUDA? Ma se a mala pena ho visto che eri in bagno! Ma ti sei resa conto che eri pure controluce? Dai, non ho visto nulla. Non ti preoccupare. La tua verginità è salva!” aggiunsi pensando di fare una battuta.
Invece, mi resi conto di aver commesso l’ennesima gaffe. Erica impallidì per poi diventare viola color melanzana, al che cercai di salvare il salvabile con un “Intendo dire, la tua nomea e la tua professionalità sono salve!”.
“Vabbè, Erica, che cosa ti devo dire? Che mi dispiace per te? Ok, lo dico. Mi dispiace per te!” le dissi alzandomi a mia volta in piedi.
“Non so di cosa dovrei scusarmi, alla fine ero in bagno come te e la porta del bagno si è aperta al di fuori della tua e mia volontà! Vai a dirlo al capo e fagli chiamare la manutenzione, piuttosto! Pensa se succede alla Rossi!” aggiunsi, riferendomi ad una collega della nostra segretaria famosa per la sua sindacalizzazione, pronta a decretare uno sciopero perché erano finite le bombe alla crema al bar.

Ecco, questo le provocò una risata ed il labbro superiore le si arricciò sui denti scoprendo le gengive superiori ed i due incisivi centrali grossi come quelli di un castoro. Decisamente non un bel panorama. Mi venne in mente Mariangela Fantozzi e risi anch’io, salvo poi sentirmi un brivido di gelo salirmi per la schiena. Perché mi aveva sorriso in quel modo? Era la prima volta!
Poi scossi la testa e scacciai dalla mente il pensiero orrendo che per un attimo si era affacciato, ovvero che Erica mi stesse facendo la corte.
Impossibile.
Erica era l’antitesi della sessualità e dell’erotismo. Pensare a lei come un’amante? Più facile pensare ad una notte di sesso con i cadaveri in una morgue.

L’incidente, diciamo così, scivolò via senza ulteriori problemi e chiudemmo la settimana immersi in un caldo sempre meno sopportabile, soprattutto in assenza di climatizzazione. Mi sarei rinfrescato comunque nel fine settimana: mi aspettava una piacevole regata a bordo della barca di un caro amico che mi aveva assoldato come tattico e addetto alla randa.

Il fine settimana passò senza ulteriori incidenti, ormai si era quasi alla fine di maggio e il caldo era divenuto decisamente estivo, quell’anno. In più, la mancanza dell’aria condizionata, perché l’impianto era ancora guasto, rendeva quasi invivibile lo stare in ufficio in quei palazzi moderni tutti vetri fissi senza un adeguato ricambio d’aria.
La Rossi, in questo caso, da brava rompipalle qual era, decise di attivare lo stato di agitazione richiedendo di rimandare a casa tutti i dipendenti fino a che il guasto non fosse stato risolto, obbligando comunque l’azienda a retribuire l’assenza. L’azienda, da parte sua, non intendeva pagare troppo e tirò fuori un oscuro parere di qualche giudice civile che statuiva che la temperatura di benessere fosse insindacabilmente fissata a 28°C e che fino ad allora l’operatività della sede era salva.

Ma un paio di giorni dopo il palazzo, privo di ricambio d’aria, era divenuto una serra a trenta gradi con un’umidità da bagno turco e la Direzione del Personale, alle 10:30 di una mattina di fine maggio, mise in libertà tutti i dipendenti in attesa di ulteriori comunicazioni. Alcuni però furono inviati in altre sedi, e la stessa sorte sarebbe toccata a noi se la Rossi non avesse richiesto all’azienda di mettere a disposizione delle navette per trasferire il personale dalla sede in centro all’altra che si trovava di fatto in campagna, ai confini con il GRA, in una zona abbandonata da Dio e dagli uomini e non ancora servita da mezzi pubblici. Dietro minacce di altri scioperi e di cause legali, il management decise di concedere due giorni di stop retribuito a tutti.

Fu così che Erica ed io ci trovammo alle 11 del mattino fuori l’ufficio.
“Che facciamo, ora?” mi chiese.
“Non so te, ma io me ne vado al mare. Ho la sacca in macchina, vado a Ostia a prendere un po’ di sole.” le risposi senza pensarci su.
“Posso venire con te?” mi chiese.
La sua domanda mi gelò. Mi aveva preso in contropiede, mai avrei pensato che mi avrebbe chiesto di portarla con me dovendo mostrare qualcosa di più delle gambe.

Lì per lì, imbastii una scusa credendo di potermi negare. “Per me va bene, ma guarda che io vado alla spiaggia nudista, mi piace prendere il sole nudo. Difatti, vado a Capocotta, non proprio ad Ostia.” cercai di giustificare il mio rifiuto. Non che fossi un naturista convinto, ero andato qualche volta ai Cancelli ed in un paio di occasioni mi ero effettivamente denudato, ma ero in compagnia di un’amica ed ero intenzionato a “scartavetrare un po’ l’uccello con la sabbia”. Allora invece la situazione era del tutto differente.
La vidi trasalire, diventare rossa, viola, porpora e poi sbiancare, visibilmente combattuta tra la sua pudicizia ed il desiderio di stare assieme a me.

Non bastò, a quanto pare, la minaccia di doversi denudare perché, dopo qualche secondo di meditazione, rispose: “E che problema c’è? Lo sai che sono tirolese, abituata alla sauna che si fa in totale nudità” mentendo visibilmente.
“Si, ma in sauna ti tieni l’asciugamano, al mare no…” ribattei.
Altra pausa di meditazione, e disse “E va bene, vuol dire che starò senza costume”.
“Erica, che sia chiaro: io mi spoglio nudo e rimango con il pisello di fuori. Sappi che al sole potrei avere problemi di erezioni incontrollate, non vorrei che pensassi male di me. Te lo dico prima, affinchè tu lo sappia e possa decidere in tutta libertà. Inoltre, cosa da non sottovalutare, a Capocotta girano certi figuri che quando vedono una donna nuda si mettono lì vicino e si smanettano a tutta birra davanti a te” aggiunsi, sperando di dare il colpo di grazia alla sua decisione.
“Ma tu rimani accanto a me?” mi chiese timidamente.
“Beh, si, certo, è ovvio che stiamo vicini, mica uno da una parte ed uno dall’altra” risposi con franchezza, non pensando che la mia risposta le avrebbe potuto infondere un certo livello di sicurezza che l’avrebbe aiutata a persistere nella sua scelta.
“E allora andiamo. Fermiamoci però a comprare un costume ed un telo da mare, vorrei avere qualcosa da mettermi se dovessimo andare a prendere un caffè.” concluse sorridendomi.
Non potevo esimermi per cui la accompagnai in un negozio a pochi passi.

“Mi aiuti a scegliere, Paolo?” mi chiese.
“Per il telo? Prendine uno grande ed uno più piccolo, anzi, ti consiglierei un telo mare grande, uno più piccolo ed un pareo copricostume!” risposi anche in quel caso senza pensarci su.
“Veramente intendevo il costume…” mi corresse.
Decisi di farle pagare l’ardore e la costrinsi, di fatto, a comprare il bikini più ridotto che trovammo e le feci prendere anche un costume intero brasiliano a perizoma.
Ero deciso a comportarmi da stronzetto, ma Erica mi stupì accettando supinamente il mio diktat. Prese il tutto senza nemmeno provarli, ma in effetti la commessa era stata ferma nell’imporle la taglia 40 «tanto è tessuto elasticizzato e si regolano i laccetti, e poi lei non ha assolutamente seno!» provocando un ulteriore rossore ed una mia sghignazzata sotto sotto.
Però poi mi resi conto che mi stavo comportando troppo da stronzo e che Erica, tutto sommato, non lo meritava, per cui arrivati alla cassa le dissi “Il costume intero te lo regalo io, mi permetti?” provocandole un ulteriore motivo di imbarazzo quando la cassiera alzò un sopracciglio nel realizzare che avevamo scelto un perizoma, di certo inusuale ai tempi.


“Dai, Erica, cammina, siamo quasi arrivati” le dissi quando mancavano pochi metri alla duna dietro la quale avevo deciso di stenderci. La mia collega arrancava al caldo, incespicando sulla sabbia troppo calda per andare a piedi nudi. Ci eravamo dimenticati di prendere un paio di ciabatte e lei sciabattava con le scarpe da città in mezzo a quella sabbia fina. Decisi di limitare lo spostamento e di accettare di essere più vicini alla zona tessile, ma era un giorno infrasettimanale di maggio ed ero certo che Capocotta non sarebbe stata troppo trafficata.
Poggiai allora per terra la mia sacca nella quale avevo messo tutta la nostra roba, compresa una bottiglia d’acqua che mi ero fermato a comperare strada facendo.

Erano ormai le due del pomeriggio ed il sole era ancora a picco, la brezza era piacevole e mitigava il calore del sole, ma la disidratazione, soprattutto dietro le dune, era un pericolo da non correre assolutamente.
Aprii la sacca, tolsi i teli e li stesi sulla spiaggia bloccandoli con alcune pietre. Mi tolsi le ciabatte e salii in piedi sul mio asciugamano, mi slacciai i pantaloni e con un sol gesto me li sfilai assieme agli slip. Poi mi slacciai la camicia e rimasi, nudo come mamma mi aveva fatto, chinato a piegare e metter dentro la mia roba dopo aver tirato fuori lo spruzzino e l’olio solare.
“Se mi vuoi dare i tuoi vestiti, li metto qui dentro” le dissi senza voltarmi. Poi, visto che ero un po’ scomodo, decisi di alzarmi in piedi e di voltarmi verso di lei. Mi resi conto che era lì, immobile davanti a me, quasi bloccata da quel che credevo essere un attacco di panico.

“Erica, cosa c’è?”
Balbettò qualche parola sconnessa, rossa paonazza ed in profonda agitazione. Mi girai di nuovo, presi la bottiglia dell’acqua e gliela passai “Bevi un po’, sei rossa come un peperone!”
Erica prese la bottiglia e bevve un lungo sorso. Poi me la ripassò e rimase lì, ferma in piedi, sotto al sole.
“Erica, ti spogli o no? Che sei venuta a fare, se no?” l’apostrofai.
“Ehm… ma io … mi vergogno…” mi sussurrò con un fil di voce, continuando a tenere gli occhi bassi per evitare di guardare alla mia nudità.
“Erica, lo sapevi che saremmo stati qui e che mi sarei spogliato. Ti ho avvisato, tu hai confermato di voler comunque venire. Se non vuoi toglierti il costume, amen, non è un problema mio, ma di certo io non mi rivesto.” le dissi con un tono che non ammetteva repliche.

Sollevata, si mise a sedere sul suo telo accomodandosi il vestito in modo da coprire il massimo possibile. “Allora posso evitare di spogliarmi?” chiese speranzosa.
“Si, certo, non ti obbligo mica. Basta però che non protesti se io sto nudo.”
“E chi protesta?” ribatté, accennando un sorriso.
Sapevo che prima o poi sarebbe venuta a più miti consigli, accettando di mettersi in costume per mitigare il caldo.
“Ma non sarebbe meglio andare sulla riva del mare?” mi chiese.
“Il fatto è che in riva al mare saremmo più freschi senz’altro, ma io non potrei stare nudo. La nudità qui è sopportata solo dietro le dune. Ma se tu vuoi, puoi andare.” aggiunsi, sapendo che, da brava cozza abbarbicata allo scoglio, non mi avrebbe mai mollato.
“Però, se proprio non riesci a spogliarti, metti il costume, così se vuoi farti un bagno puoi andare senza problemi” conclusi mentre mi rimettevo sdraiato palle all’aria.
Erica annuì e si guardò intorno, probabilmente alla ricerca di un posto defilato dove potersi spogliare, ma non vi era nulla più grande di un cespuglio di tamerice. Intuii la sua perplessità e difficoltà e la invitai a servirsi del telo che mi offrii di tenerle per schermarla. Erica si calò lo slip da sotto il vestito (stavolta un normalissimo tanga in microfibra) ed infilò la mutandina del bikini (decisamente più piccola della mutanda che aveva appena sfilato). Poi, nascosta dietro il mio paravento improvvisato, mi dette le spalle, si sfilò il vestito dalla testa rimanendo a seno nudo, giacché non portava reggiseno, e si infilò il sopra del bikini. Poi si girò per ringraziarmi, si inginocchiò sul telo e si sdraiò a pancia in giù.

Dopo aver schizzato una quantità di liquido abbronzante e di olio solare sul mio petto, le cosce ed il pube, mi ridistesi sul telo, sempre a pancia in su.

“Paolo, potresti darmi un po’ di olio solare? Vorrei metterlo sulla schiena” mi chiese con un tono di incertezza.
“Erica, secondo me per te sarebbe meglio la protezione solare. La tua carnagione è molto chiara, non hai mai ancora preso sole, a mia differenza, e ti scotteresti in un amen. Tieni!” e le passai il latte solare a protezione elevata che una mia cara amica usava mettere sul seno e sui capezzoli per evitare le ustioni.
“Non è che potresti aiutarmi?” mi chiese con un tono ancor più mieloso.

Sbuffando un po’ mi risollevai in ginocchio e mi avvicinai a lei versando un po’ di liquido sulle mie mani e lo spalmai sulla sua schiena.
“Scusa, ti slaccio il reggiseno, non vorrei sporcarlo” e senza attendere autorizzazione le sciolsi i laccetti sulla schiena e sul collo e ripresi a spargere il latte ed a farlo assorbire dalla cute, piena di piccole efelidi. Aveva una pelle efebica, talmente delicata che al contatto con le mie mani un po’ callose immediatamente si arrossava.
“Vuoi che la passi anche sulle gambe, Erica?”
“Magari, Paolo!” mi rispose annuendo con la testa che aveva voltato di lato. Notai che aveva gli occhi chiusi ed un sorriso di soddisfazione le illuminava il viso.
Usai un altro poco di latte, ne cosparsi la parte superiore dei polpacci e continuai verso le caviglie. Presi un piede alla volta e lo unsi appoggiandolo alla mia pancia. Poi, nel rimetterlo giù, urtai con il suo alluce il mio pisello. Lei ebbe come un tremito, uno scossone, si irrigidì e trasalì.

“Scusa Erica, non volevo” mi giustificai.
“DI nulla Paolo, non è successo nulla, sei tu che mi stai facendo un piacere”.
Mi risedetti e stavo per sdraiarmi quando Erica mi chiese: “E le cosce, Paolo? Non credi che debbano essere protette anche loro?”.

Ridacchiai tra me e me, ma me ne uscii con un sonoro sbuffo, giusto per farla sentire in colpa. Poi presi un altro po’ di latte, mi sedetti sulle sue gambe ed iniziai un lento massaggio sulle sue cosce, salendo dal cavo del ginocchio sino al fianco, evitando di toccare la parte interna e, soprattutto, i glutei in gran parte scoperti dalla scarsa dimensione dello slip. Osservai attentamente le reazioni di Erica che ad ogni passaggio tendeva impercettibilmente ad aprire le cosce, sino ad allora ermeticamente serrate.
Notai allora che dall’elastico degli slip uscivano ciuffetti di pelo biondissimo, segno che la depilazione intima per Erica era qualcosa di assolutamente sconosciuto.
Poi presi il coraggio a quattro mani e le chiesi: “Visto che il costume è un po’ ridotto, vuoi che te ne spalmi un po’ sulle chiappe?”
Erica annuì vigorosamente senza pensarci e contestualmente allargò ulteriormente le cosce sollevando impercettibilmente il solco anale.

Presi altro latte e lo passai lentamente sui glutei, sui lombi e poi ancora sulle cosce, questa volta indugiando sulla parte interna. Risalii di nuovo e nella manovra infilai un dito birichino sotto il costume, provocandole un ulteriore brivido.
Alla fine mi sdraiai e mi misi a prendere il sole.
Passarono una decina di minuti durante il quale fummo coccolati dal canto del mare e del vento, nella totale assenza di altri rumori e suoni. Mi girai su un fianco per prendere un goccio d’acqua e notai che Erica aveva tolto il pezzo di sopra del costume, appoggiato sul telo accanto alla sua mano. Il suo viso era girato dalla parte opposta e non si accorse che la stavo osservando. Mi ridistesi e mi riconcentrai sul sole, quasi che con il pensiero stimolassi la produzione di melanina.
Passarono altri minuti senza alcun fiato, e decisi di stendere un velo di protezione sulla mia asta; alla fine, la pelle era troppo sensibile per prendere il sole senza protezione. Mi sollevai pertanto a prendere la boccetta e mi misi seduto con le gambe incrociate, presi un po’ di latte e lo utilizzai per ungere abbondantemente il pisello. La situazione era tale che mi provocò una lieve erezione, sufficiente a far emergere il ciclope dalla grotta. Erica in quel momento si voltò e si sollevò sui gomiti, dimentica di essere a seno nudo, e si mise a fissarmi.

“Che stai facendo?” mi chiese con tono un po’ inquisitorio, credendo chissà cosa.
“Mi sto mettendo anch’io un po’ di protezione sul pisello, non vorrei scottarmi” le risposi con la massima naturalezza.
Rimase ad osservarmi con curiosità mista ad un po’ di morbosità, visto che arricciava il labbro inferiore dentro la bocca.
Non diedi ulteriore peso alla cosa e mi rimisi disteso ad occhi chiusi. Sentii Erica alzarsi e poi distendersi dopo poco. Chissà, forse aveva bevuto dell’acqua.
Passarono altri minuti in completo silenzio e decisi che il caldo iniziava ad essere meno sopportabile, mi alzai e con gli occhi ancora semi accecati dal sole mi rivolsi alla mia collega.
“Io vado a bagnarmi un po’. Resti qui o vieni con me?”
“No, vengo anch’io” e si alzò anche lei. Notai solo allora che era a seno nudo e non si era coperta. Ammiccai non visto un sorrisetto e mi diressi verso la riva distante pochi metri, seguito da Erica che mi raggiunse e mi superò ad andatura sostenuta. Ebbi modo allora di notare quanto piccolo fosse il pezzo di sotto del costume, che in effetti lasciava scoperte gran parte delle chiappe. Su un altro corpo sarebbe stato un complemento mirabile, su quel corpo sbagliato ove la ciccia era scesa dalle natiche sull’esterno delle cosce non era il massimo.

Quando entrò in acqua si tuffò e poi subito riemerse scoprendo il seno che fino ad allora era rimasto del tutto celato.
Seno… vabbè, i campioncini. Le sue tette erano più simili ai boccioli di una bimba in età prepuberale che a quelli di una donna di quasi trent’anni. Però aveva dei bei capezzoli, pronunciati e di color rosa scuro, al centro di piccole areole rugose. Sorrisi al pensiero dello sforzo che doveva fare quella ragazza per dimostrare la sua disponibilità al flirt, e ne apprezzai gli intenti. Pensai allora di offrirle un aiuto, mostrandomi partecipativo e giocherellone. Mi gettai in acqua accanto a lei e fui schiaffeggiato dall’acqua gelida. In meno di un nanosecondo la mia erezione svanì. Uscii subito dall’acqua con il pisello ridotto a quello di un amorino di Cupido in Arcadia, provocando l’ilarità di Erica che si portò la mano alla bocca per nascondere il suo sorriso di scherno.

Me l’ero meritato, almeno per tutte le cattiverie che avevo pensato fino ad allora.
Facendo il finto offeso ritornai al nostro giaciglio improvvisato, presi un sorso d’acqua e mi rimisi a pancia in su a prendere il sole. Vidi arrivare la mia collega che spostò il telo verso di me e si mise a sedere accanto a me, per poi distendersi anche lei faccia al sole.

“Non è che avresti voglia di passarmi la crema anche davanti?” mi chiese timidamente.
Senza risponderle, presi il tubo, lo spremetti facendo uscire una discreta quantità di liquido bianco sulla pancia, due dita sotto l’ombelico, ed iniziai a spargerlo sull’addome risalendo verso il seno. Mi limitai a passare sotto ed in mezzo alle mammelle senza sfiorare i capezzoli che peraltro si erano irrigiditi già da tempo. Passai le mani con decise carezze sotto al collo e sulle spalle, scesi poi passando ai lati dei seni verso i fianchi. Ripresi un altro poco di liquido e lo spalmai sulla pancia, passando a filo dello slip, decisamente basso sul pube al punto che un po’ di peletti biondi uscivano dall’elastico.
Decisi di scioccare la mia collega, mi interruppi e slacciai i laccetti laterali.
“Per evitare di sporcare il costume nuovo, Erica” mi giustificai, mentre la sentii irrigidirsi e sottrarsi per un momento alla mia azione.

Continuai invece a spalmarle il latte sulle cosce fino alle ginocchia, passando con le dita sull’interno delle cosce e provocando come reazione una leggera divaricazione delle gambe. Terminai l’operazione e mi distesi di nuovo al sole, ma questa volta a pancia sotto.
“Paolo, posso metterti un po’ di crema io sulle spalle e sulla schiena?” mi chiese dopo poco.
“Io uso l’olio, ma se vuoi, si, grazie!” le risposi con la massima gentilezza.
Non mi aspettavo di certo quanto accadde.
Erica si alzò e si mise a cavalcioni delle mie gambe ed iniziò a cospargere con le sue mani tremanti le mie spalle. Mi accorsi quasi subito del contatto anomalo con il mio polpaccio: erano le grandi labbra pelose che strusciavano “nature” sulla mia pelle. Di fatto, Erica si era tolta lo slip ed era nuda anche lei. Immediatamente sentii un certo turgore nelle parti basse; mi sollevai leggermente e misi il pisello, decisamente barzotto, a testa in giù in mezzo alle gambe, che avevo cercato di divaricare nonostante il peso di Erica mi bloccasse i movimenti.
“Che fai?” mi chiese.
“Nulla, sposto il pisello che mi dà fastidio sotto la pancia. Ti dispiace?”
“No, non ti preoccupare. Vado bene così?” mi chiese mentre mi ungeva le spalle, senza superare mai la linea dei lombi.
“Si, ma guarda che puoi anche scendere. Anzi, se mi ungi le chiappe e le cosce te ne sarei grato!” aggiunsi.
“Sì sì, adesso lo faccio!” si giustificò la mia collega, mentre le sue mani iniziarono a scendere verso le chiappe.
“Scusa, ma sto scomoda così. Potresti aprire le gambe in modo che mi possa inginocchiarvi in mezzo?” mi chiese.
“Certamente” ed esaudii immediatamente la richiesta, allargando le cosce e mettendo bene in mostra la mia mercanzia.
Le sue mani scesero lentamente sui miei glutei ma vi si soffermarono giusto un momento per poi fuggire subito verso le cosce esterne.
“Guarda che non mordono mica, e poi dovresti metterne un po’ anche in mezzo…” provocai.

Non potevo vederla., ma immaginai che dovevo averla fatta arrossire ancor di più.
In effetti, dopo un po’ ritornò sulla posizione dedicandomi alcune ardite carezze sulle mie chiappe con un paio di rapide incursioni nel solco, ma senza arrivare al rosone,
Al che presi e divaricai i miei glutei e le dissi: “Ecco, metti un po’ di olio anche qui, in mezzo, e scendi giù in basso, mi raccomando.”
Attesi inutilmente, perché Erica non ebbe il coraggio. Si alzò in piedi e corse a coprirsi.
“E’ inutile, non ce la faccio” la sentii bofonchiare.
Lasciai perdere e mi spalmai da solo l’olio nelle zone non trattate.
“Grazie Erica, molto gentile da parte tua aiutarmi” le dissi, un po’ scherzando un po’ sul serio.

Trascorsero un’altra ventina di minuti senza che nessuno dei due fiatasse. Mi ero rifiutato di alzarmi e mi ero forzato di ignorare la ragazza qualsiasi cosa avesse fatto, ma dopo poco mi alzai e mi diressi senza proferire parola verso il mare per bagnarmi di nuovo.
Quando tornai, Erica era seduta a gambe aperte, appoggiata sui gomiti. Il pezzo di sotto del bikini era accanto a lei, ed un mucchio di serici peli biondi copriva il suo sesso.
“Alla fine hai capitolato, allora!” le dissi.
Lei annuì e mi rispose “Alla fine non si sta male, anzi, è molto piacevole!”.
Le detti ragione con un cenno della testa, mi chinai a prendere la bottiglia dell’acqua e gliela passai.
Erica bevve un paio di sorsi e poi me la ripassò. Misi in bocca a mia volta l’imboccatura e presi anch’io un paio di sorsate abbondanti. Stavo per rimetterla a posto quando lei me la richiese e se la riportò alla bocca attaccandovisi con voluttà.
Mi restituì la bottiglia e si mise in piedi con il suo sesso all’altezza della mia testa.

Potei notare il folto pelo biondo che le copriva il pube e le grandi labbra, e le sue piccole labbra che sembravano incastonare la punta del clitoride appena sporgente.
Subito sentii i sintomi di un’imminente erezione che non riuscii a fermare.
Erica se ne accorse e si mise ad osservare il mio membro senza parlare.
Non so cosa mi prese, mi alzai e la abbracciai.
Erica, invece di distaccarsi, cercò la mia bocca e mi baciò. Non feci nulla per allontanarmi, anzi, ricambiai cercando la sua lingua con la mia. Restammo quasi immobili per qualche secondo, poi la sua mano andò a tastare la mia virilità, quasi a sincerarsi della sua presenza.
Allungai anch’io le dita verso la sua fessura che sentii calda e bagnata. Erica non si tirò indietro, allargò un po’ le cosce per favorire la mia esplorazione mentre la sua mano cercava impacciatamente di scoprire il mio glande dal prepuzio che lo copriva.
Mi distaccai da lei e la feci distendere, poi mi inginocchiai. Le allargai le gambe e le iniziai a leccare il clitoride esplorandone nel contempo la sua femminilità con le dita. Iniziò a sospirare ed a gemere di piacere mentre le stimolavo i capezzoli che reattivi si ergevano duri e rugosi.
Le grandi labbra si erano gonfiate divaricando le piccole ed evidenziando il piccolo cece che cresceva al centro della plica anteriore. Infilai delicatamente un dito nella vagina ma non vi riuscii, ostacolato da qualcosa di cedevole.

“Ma… “ esclamai.
“Si, sono vergine” mi precedette.
“E…”
“Si, ti prego, fammi tua.” mi rispose ancora.
Confesso che non sapevo come comportarmi. Al momento, non avevo fatto alcuna esperienza con ragazze vergini e non avevo idea di quel che sarebbe successo.
“Ne sei sicura, Erica? Guarda che potrei farti male” le dissi, ben conscio di avere una dimensione notevole, di certo ragguardevole nel diametro della cappella.
“Lo voglio, ti prego. Scopami!” mi pregò.
Umettai con molta saliva il glande e cercai di inumidire al meglio le sue grandi labbra fino all’imene. Osservai da vicino e vidi che era in parte sfrangiato, aveva un’apertura irregolare un po’ più piccola di una moneta da 5 lire, segno che qualcosa era già successo.
“Ma non sei vergine del tutto” esclamai.
“Si, ho provato con il manico della spazzola ma non ho avuto il coraggio di continuare”
“Ma ti è uscito sangue?”
“Poco per fortuna”
“Ti ha fatto molto male?”
“Un po’ ma poi ho provato piacere” e trasalì mentre provato ad inserirle un dito nella vagina ed a divaricare il tessuto della membrana che mi apparve elastica e sottile.
“Ti ho fatto male?” le chiesi?
“No… anzi”
Mi dedicai allora ancora un po' con la lingua ad eccitarla, e dal mutato sapore mi resi conto che iniziava a piacerle ed a lubrificarsi.
Ribagnai ancora la cappella, mi accostai alla sua vagina e lo appoggiai delicatamente fino a che non sentii la resistenza.
“Allora, sto per entrare, Erica. Se ti faccio male, lasciamo perdere, va bene?” le dissi con tono di inatteso affetto.
“Si, lo voglio!” disse con enfasi e quasi a confermare la sua determinazione, dette una forte spinta e mi accolse dentro di sé.
Trasalimmo entrambi: anche io avevo sentito un po’ di fastidio, il frenulo che si tirava un po’di più per il molto attrito. Erica fece alcune smorfie di dolore e smise di muoversi.
“Vuoi che esca?”
“Noooo! Resta” mi implorò.
Piano piano avanzai con la cappella dentro di lei.
“Ormai sono dentro, rilassati. La parte più grossa è entrata. Ti fa molto male?” le chiesi un po’ preoccupato.
“No, ora va meglio, grazie!”
Iniziai lentamente a fare su e giù, attento alla minima smorfia da parte sua.
Cercai l’angolo migliore per non pesare sulla membrana e quando mi sembrò di averlo trovato, presi a muovermi con maggior intensità.

“Come va?”
“BEENEEEE” rispose, il piacere che iniziava a superare il dolore ed il fastidio.
La penetrazione era più profonda ed un paio di volte arrivai a sbattere con il mio pube sul suo clitoride, provocandole dei gemiti. Dopo qualche minuto, la vidi un po’ sofferente e mi tirai fuori.
Notai che c’erano minime tracce di sangue, alla base.
“Perché sei uscito?” mi chiese.
“Perché stavi iniziando a soffrire il dolore. Non voglio che tu ricordi la tua prima volta associata alla sofferenza” le risposi.
Mi meravigliai della mia stessa risposta. In quel periodo ero piuttosto misogino e, diciamolo, anche un bel po’ stronzo a causa della mia ex che mi aveva mollato per mettersi con il mio più caro amico. E sinceramente, Erica non mi provocava alcun sentimento positivo, sino ad allora.

Mi riaccomodai accanto a lei con il cazzo ancora duro.
Lei si sollevò ad osservarlo da vicino.
“C’è un po’ di rosso alla base. È sangue?” chiese allarmata.
“Si, ma è pochissima roba, è come un graffietto. Ti fa male?”
“Appena appena, come dici tu, come se fosse un graffietto. Ci riproviamo?” mi chiese speranzosa.
Sorridendo, annui e mi riavvicinai a lei, mi misi tra le sue gambe e provai a rientrare, immaginando di dover faticare ancora. Invece, fui dentro in un attimo, senza alcuna frizione.
Un gemito di piacere sottolineò il momento.
“Dai, muoviti!” mi disse
“Si, adesso” ed iniziai a pompare su e giù sentendola sempre più partecipe e lubrificata.
Iniziò a godere sottolineando con gridolini e gemiti sempre più forti l’avvicinarsi del climax.
“Dai Paolo, scopami forte, per favore!” mi pregò.

Sbattevo il pube sempre più violentemente sul suo sesso mentre ormai si sentiva lo sciacquettio provocato dalle sue abbondanti secrezioni.
Aumentò la frequenza dei sospiri fino a quando si inarcò e proruppe in un grido di piacere mentre mi artigliava, squassata da tremiti, le gambe e la schiena.
Ero ancora lontano, per cui mi tirai fuori e la baciai delicatamente sulle labbra.
“Grazie Paolo, credo di aver avuto per la prima volta un orgasmo interno” mi disse ansimando per la sforzo. “È stato bellissimo. Lo possiamo rifare tra un po’?” mi chiese con innocenza.
Sorrisi, non immaginavo che sarei diventato il suo Pigmalione.
Mi alzai e le dissi: “Vado a sciacquarmi in mare.”
“Posso venire con te?”
“Ma certo!”
Mi tese la mano, la presi e la sollevai. Lei mi prese il viso tra le mani e mi baciò sulle labbra: “Grazie, Paolo. Mi hai fatto finalmente diventare una donna”.
Andammo in acqua e ci lavammo. Volle pulirmi prendendo in mano con delicatezza il mio pene che sciacquò con cura e quasi devozione.
Non feci altrettanto, passato il momento rividi la Erica di sempre, bruttina, sgraziata, un brutto anatroccolo che per un momento era divenuto cigno.

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