Ogni donna ha il suo collare

Il suo, di collare, lo stavo girando e rigirando in mano, soppesandolo e osservandolo nei dettagli: la sua forma, la sua consistenza, il calore che emanava. Lo avevo fatto a mano partendo da un delicato filo di rame. Non aveva in realtà importanza il materiale che avevo usato, anche se lo avevo scelto con cura, avrebbe potuto essere anche cuoio o acciaio od un semplice spago da avvolgersi intorno al collo.
Il fatto di averlo fatto per lei era l'unica cosa che contava, per me. La materia non era la sua essenza. L’essenza era altro.
Il rame era il suo materiale però, di lei, intendo, non d’oro, non d’argento, il rame era il contrasto giusto, perfetto direi, era lei l’oro della sua pelle e l’argento del suo essere. Un collare d’oro o argento non avrebbe avuto valore sul suo collo.
Ero sovrappensiero e riflettevo su cosa mi avesse portato a farne uno così, ruvido, semplice, eppure delicato. Con le fibbie cesellate. Con piccole saldature fatte sempre a mano.
Alzai un attimo lo sguardo osservandola, di fronte a me.
Ero lì seduto, ai bordi di un letto, vestito elegante, senza cravatta e lei era in piedi di fronte a me, in attesa, immobile, quasi con il fiato sospeso.
Vestita come le avevo chiesto.
Alta, slanciata con le gambe toniche ed affusolate, con la pelle chiara e vellutata, con gli occhi azzurri, la voce calda.
Ora stava in silenzio. La voce era un ricordo che mi svolazzava nella mente per le tante e lunghe chiacchierate che avevamo fatto. Ora non aveva importanza parlare.
Mi voltai distratto verso la finestra, volavano rondini e la vita e la primavera pareva voler entrare dentro la stanza. Vi era profumo di vita lì attorno.
Tintinnai il collare. Bastò questo a riportarmi con lo sguardo a lei.
Avvicinai una mano alla sua coscia, poggiai un dito sulla pelle e sentii un fremito. La guardai negli occhi, fissandola, mentre il mio dito leggero risaliva. Senza preavviso.
Percorsi l'interno della gamba, scivolai sotto la gonna. Giunsi al monte di venere.
Lo saggiai.
Non aveva intimo sotto.
Ne ero assolutamente certo, non avrebbe avuto senso dubitarne, eppure avevo gustato il gusto di provocarla per capire e guardarla negli occhi.
La guardai. A lungo.
Tintinnai di nuovo il collare.
Capì. Non servivano parole.
Iniziò a spogliarsi.
Tra pollice ed indice iniziai a gustare i suoi umori: era bagnata. Ne annusai l’odore avvicinando le dita al naso. Inebriante.
Tolse la gonna… cadde a terra.
Iniziò a sbottonare la camicetta e la pelle chiara e quasi dorata risaltò ancor di più alla luce soffusa della stanza.
I vestiti caddero ai suoi piedi in un piccolo mucchio sul pavimento.
Rimase con il reggiseno in pizzo. Nero. E niente altro se non le scarpe sempre nere, alte. Con il tacco.
Senza dire una parola si inginocchiò, guardandomi negli occhi.
La osservai entrando con lo sguardo nelle sue pupille. Non aveva importanza osservare il suo corpo tornito.
Poi scossi la testa, tintinnando di nuovo il collare.
Capì.
Non servono parole, alle volte.
Allungò una mano dietro la schiena e slacciò il reggiseno.
Cadde anche esso a terra.
La guardai completamente nuda di fronte a me, in ginocchio mentre io ero completamente vestito di fronte a lei.
Inclinò il collo, porgendomelo.
Con il collare lo cinsi e agganciai il fermaglio.
Era splendida.
Le carezzai una guancia, con il palmo della mano.
Il collare era solo il suo. Il rame risaltava sulla pelle dorata. Le donava.
Presi la sua testa e la poggiai sulle mie ginocchia. Le carezzai i capelli.
Fuori le rondini volavano leggere.
Ogni donna ha il suo collare, pensai distrattamente.