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Una brutta scopata (Bukowsky insegna...)


di rudere600
09.12.2012    |    6.701    |    0 3.8
"Nel corso della giornata riemersi un paio di volte in perfetta solitudine, per vomitare, per pisciare, per farmi una pera con i filtri usati in precedenza, ..."
L’ora dell’appuntamento si avvicinava con certezza. Lo presentivo infilandomi sotto il lenzuolo. La mattina mi sarei svegliato con i primi brividi, con quella sensazione di mollezza diffusa, col naso che incominciava a colare, con una particolare sensibilità agli odori, con il mio stesso odore assimilabile a quello di una capra, con un’erezione quasi dolorosa, nella sua intensità, domabile solo con una sega di circostanza. Poi sarebbe venuto il peggio. Svegliarsi alla mattina con uno spiacevole appuntamento in mente è abbastanza sgradevole ma averne segnalazione e conferma anche dal corpo è ancora più fastidioso. Dopo un periodo a strafarmi seguiva il periodo del ripensamento, le ricette di morfina a scalare fino a quando il medico non ne poteva più delle mie menate e mi portava alla dose minima , poi dovevo fare il salto nel calo o ricominciare a sbattermi per le piazze e la vie della città. Si trattava di resistere a quattro o cinque giorni di malessere fisico e psichico. Poi sarebbe arrivata la sensazione della vittoria, progetti, senso di libertà, consapevolezza che la prossima pera avrebbe offerto un effetto e una potenza ormai dimenticati, pari, quasi, a quelli delle prime volte. E poi sarebbe arrivato il giorno di tristezza, l’episodio contrariante che avrebbero determinato la rapida ricerca del vecchio contatto, la sospirata potentissima perona, e poi un’altra e poi ancora fino a tornare alla condizione di travet dello sballo. Alla noia dello sbattimento quotidiano per non stare male e ,raramente, trovare il sollievo dall’esistere che la roba sapeva darmi. E poi, di nuovo, il ripensamento, il nuovo medico, o quello vecchio se non lo avevo stressato troppo e avanti così. Quei pochi giorni di calo forse valevano la sensazione di rifarsi in una condizione di semi verginità tossicologica. E passavano gli anni.
Cinzia era la donna di Paolo. Aveva due tette enormi , i denti in fuori, il culone e camminava come una papera; e mi arrapava. Lo sapeva e si divertiva. Quando ero in carcere alle sue lettere dense di torbide promesse neanche troppo velate seguivano delle masturbazioni furibonde pensando al suo seno enorme che mi sovrastava in un amplesso selvaggio. “Ho sognato che mi leccavi, e quando stavo per venire mi accorgevo che ti eri trasformato in una donna… che bel sogno!” mi disse una volta guardandomi fisso negli occhi, soffocandomi di bacetti. Venne il giorno in cui ci ritrovammo in una casa in campagna,colline del Monferrato, tardo ottobre, prime brume; un gruppo di frikkettoni, fiaschi di vino scadente, lattine di birra, fumo in quantità e il mio ennesimo appuntamento col calo. Paolo era a fare il militare ed era atteso un paio di giorni dopo per una licenza. Cinzia troieggiava con me e la sera ci ritrovammo in un letto in tre, io,lei ed un’altra tipa di cui non ho memoria. Tutti talmente fatti, ubriachi e fumati da addormentarsi tranquillamente abbracciati senza poter pensare al sesso.
La tarda mattina dopo il risveglio con i brividi, l’erezione dolorosa e Cinzia accanto. L’altra dormiva profondamente in un fagotto informe di coperte e vestiti. Le nostre bocche si trovarono ma non corrispondevano, il suo corpo era goffo, io ero goffo nel muovermi sul suo corpo, le sue tette sempre nel mezzo, quasi insensibili, se ne vergognava e non gradiva tutte le attenzioni che cercavo di dedicargli. I larghi capezzoli rimanevano inerti sotto la mia lingua. Tra le sue gambe la mia bocca trovò una fica scostante, dalle labbra strette, avara di succhi. Nella sua bocca il mio uccello si perdeva con poca soddisfazione. Fu quasi per disperazione, per fare presto, che decidemmo la penetrazione, incapaci di fare una risata e decidere che in quel momento non era il caso. In otto secondi e tre decimi venni dentro di lei con l’orgasmo doloroso e veloce indotto dal calo e mi addormentai avvolto dal mio puzzo e dalla delusione. Risvegliandomi un paio d’ore dopo constatai la mia solitudine nella camera, l’aumento dei sintomi di astinenza, mi attaccai alla boccetta di valium e ricercai un sonno agitato e viscido. Nel corso della giornata riemersi un paio di volte in perfetta solitudine, per vomitare, per pisciare, per farmi una pera con i filtri usati in precedenza, cercando di spremere anche quello che non c’era da quei pezzettini di cotone esausti e sudici. In serata venne a farmi visita Cinzia, considerò la situazione, si accoccolò sul letto accanto a me e tentò di consolarmi con bacini,carezze e paroline dolci, come si fa con i bambini. Poi si interruppe mi guardò negli occhi e mi disse: "Ti amo, mi sono innamorata di te...". La guardai di rimando, incredulo, e con esasperante franchezza risposi, cercando di non avere un tono crudele, " Io no...". I suoi occhi si velarono un po’, non disse nulla e si allontanò. Il risveglio successivo fu in piena notte, nessuno aveva condiviso il mio letto la mia stanza fetente di vomito, sudore tossico, fazzolettini di carta moccicosi, dall’aria densa di ansia e sospensione. La casa era silente e scesi in cucina per cercare dell’acqua, sentii un rumore soffocato provenire dal soggiorno e mi affacciai discretamente per vedere , sul divano, Cinzia seduta su Paolo, che lo montava furiosamente, che sospirava, che agitava i seni pesanti davanti al suo volto, che lo scopava come avevo sperato che scopasse con me.
Affascinato rimasi un attimo a guardarli poi mi ritirai per il timore di essere sorpreso , io avevo il mio appuntamento con una lunga notte,altro che storie! E poi ne avrei avuto un altro, in città, col mio pusher.
(Dedicato ai nuovi amici)
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