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Mamma quando posso farlo anch'io? Cap 1


di andreazelo
26.10.2022    |    66.612    |    16 9.5
"Nel giro di poco tempo Adelmo, avendo capito che a noi sarebbe andato bene, non perdeva occasione di palparci..."
“Mamma quando posso farlo anch’io?” (Capitolo 1)
– chiesi un giorno, mentre eravamo seduti davanti al camino della grande cucina intenti a tagliuzzare le castagne che di lì a poco sarebbero diventate caldarroste.
“Sei ancora piccolo Andrea, hai solo 13 anni e il tuo pisello diventa duro solo quando ti scappa la pipì” – mi rispose mamma- “fra non molto, e spero il prima possibile, diventerai un ometto e allora potrai partecipare alla festa di questa grande e meravigliosa famiglia”.
Tutto inizia da qui, nel lontano 1963, nell’Italia della ricostruzione in un piccolo paese della fertile e agricola terra Lombarda a 50 km dalla grande città.
Erano trascorsi quasi una ventina d’anni dalla fine della guerra, e in una grande fattoria si erano pian piano ritrovati molti membri della famiglia, ognuno aveva avuto la sua storia, in Italia e in Europa chi militare, chi civile tutti, comunque, con il grande desiderio di dimenticare e di reinventarsi una vita partendo da quello che ognuno sapeva fare.
I due nonni, Giovanni e Giuseppe, rispettivamente nati nel 1885 e nel 1888, godevano di buona salute, avevano vissuto due guerre e durante la seconda, troppo vecchi per il servizio militare, erano riusciti ad ottenere in affitto un podere al cui centro sorgeva un complesso di case destinate ad abitazioni per chi lavorava nei campi, una grande aia era il cuore di questa fattoria.
Le due “nonne”, Gertrude, di chiara provenienza austriaca, e Maria avevano sposato Giovanni e Giuseppe ai primi del Novecento ed ebbero rispettivamente 6 e 8 figli tra il 1906 e il 1925, tra cui mio padre Paolo, figlio di Giovanni, che dopo la guerra sposò mamma Angela ed ebbero tre figli Mario, Corinna ed io Andrea che racconto la storia.
Papà aveva intrapreso l’attività contadina con grande entusiasmo e aveva contattato un’azienda del veneto per innovative tecniche di coltivazione per cui si assentava spesso e per parecchi giorni.
Soprattutto durante l’inverno io andavo spesso nella grande casa, quella abitata dai miei nonni e dagli zii Giuseppe e Maria, arrivavo verso sera, quando il camino cominciava a riscaldare la cucina, e aiutavo nonna e zia come assistente cuoco, a dire il vero solo manovalanza tipo riempire di legna la cucina economica oppure pelare patate e via discorrendo, ma mi riempiva di gioia il fatto che nei momenti di pausa ci sedevamo davanti al fuoco e loro mi raccontavano delle storie, a volte vere a volte inventate ma a me piaceva così.
C’era un grande divano, penso arrivato dall’Austria con nonna Gertrude, morbido e avvolgente, io mi sprofondavo sopra, sempre in mezzo a loro, mentre zia Maria sferruzzava calze e maglioni per l’inverno, nonna Gertrude leggeva e raccontava, come un’attrice di teatro, storie del passato piene di personaggi che attraversavano la mia mente come un viaggio di cui diventavo protagonista.
E mentre leggeva, io mi appoggiavo a lei, mi rannicchiavo per scaldarmi e infilavo la mano sotto il suo scialle che le avvolgeva le spalle lasciando spazio al suo generoso decolté, di cui andava fiera.
La nonna era una donna alta, anche massiccia, con due tette enormi che uscivano sempre dalle camicie, di fattura austro ungarica, facendo sognare soprattutto me che, pur bambino ne ero particolarmente attratto.
E la nonna, stranamente, almeno a mio giudizio, sembrava contenta del mio interesse e non diceva mai nulla quando con la mia mano, infilata sotto il grande scialle, le toccavo la pancia e timidamente la massaggiavo.
Ogni tanto, osando un po' di più, appoggiavo la testa sulle sue gambe e lei mi accarezzava.
Le sue carezze erano dolci e ritmiche, e schiacciavano la mia testa contro di lei, il tutto nella penombra della stanza illuminata dalla luce del camino e da una fioca lampada per la lettura del libro.
Rimanevamo in quella posizione per diverso tempo, nei lunghi pomeriggi invernali, ed io cominciavo a conoscere un pezzo del suo corpo e soprattutto a riconoscerne gli odori.
Ogni tanto zia Maria smetteva di fare la maglia, e anche lei mi accarezzava, sembrava volesse interrompere il monopolio della nonna, che non sembrava assolutamente esserne infastidita.
Una sera, al rientro dal lavoro,il nonno e lo zio, si sedettero attorno al grande tavolo rettangolare di legno a bere vino e mangiare formaggio e salame, come antipasto alla cena, raccontando la giornata a chi voleva ascoltarli poi, zio Giuseppe si avvicinò alla moglie e alla cognata le accarezzò entrambe, facendo loro simpatici e provocanti complimenti, in modo particolare a nonna Gertrude.
“Sei sempre più bella, cognatona mia, fatti toccare un po’”- disse mentre già le sue mani le cingevano i fianchi- mi fai sognare sempre”;
“Il solito adulatore” – rispose nonna- “ma non hai una moglie da toccare?”;
“Si certo, ma a me piacete entrambe lo sai” – e sempre più audace le palpò culo e tette- “mi fai impazzire Gertrude, tu Maria non sarai gelosa per caso” -disse sornionamente lo zio;
“No Giuseppe, non sono gelosa anche perché anch’io ho il mio corteggiatore, tuo fratello Giovanni,” – e invitò il cognato ad avvicinarsi- “vieni Giovanni, vieni vicino”.
Il nonno si alzò dal tavolo, si avvicinò alla cognata, la strinse con maschilità, e cominciò a palparle le tette, baciarla sulla bocca e soprattutto sfregarsi con il bacino contro di lei.
Io rimasi attonito e quasi spaventato, questo quadro familiare mi stava sconvolgendo, non capivo più nulla e feci la mossa di andare a casa mia, pensavo di essere di troppo in quella situazione, ma nonna Gertrude mi invitò a restare:
“Andrea stai tranquillo, rimani con noi, questo è un nostro modo di darci affetto, non siamo gelosi l’uno dell’altro, quando sarai più grande capirai meglio” – e mi invitò a sedermi al suo fianco sul divano”;
“Nonna ma quando sarò più grande cosa vuol dire?” – chiesi –
“Vedi, piccolo mio, il corpo si modifica con l’avanzare dell’età, ma soprattutto le pulsazioni che il cervello danno al corpo” – mi prese la mano e accarezzandomela la poggiò sulla sua gamba- “ho visto prima che eri diventato rosso ma dimmi cos’hai provato quando lo zio mi ha baciata e accarezzata?
“Ecco, non so precisamente, ma forse avrei voluto farlo anch’io” -dissi- “ma non so se fosse stato possibile”;
“Perché no Andrea, non ci sarebbe nulla di male, sono tua nonna ma forse sarebbe meglio parlarne con la mamma prima, non credi?”
“non so se è una buona idea”
“Hai ragione” – disse nonna- “forse sarebbe meglio che ti spiegassi come stanno le cose nella nostra famiglia, ma sarebbe meglio andare nell’altra stanza da soli”.
Nonna si alzò dal divano e prendendomi per mano disse agli altri presenti:
“Andrea e io andiamo in salotto e non vorremmo essere disturbati perché devo raccontargli un po' di cose della nostra famiglia”;
“Posso venire anch’io? Disse zia Maria”:
“Se proprio vuoi unisciti a noi, voi due maschietti andate a giocare a carte noi siamo impegnati”.
Il salotto era molto accogliente, due divani e due poltrone erano attorno a un tavolino basso, e noi tre ci sedemmo sul divano grande.
“Stai in mezzo Andrea” – disse nonna- “ti racconteremo la storia della nostra famiglia”
“Ci siamo sposate entrambe giovani, non ancora ventenni, e siamo andate a vivere a casa dei tuoi bisnonni perché là c’era il lavoro della campagna, sono nati i primi figli, tra i quali tuo padre, poi, nel 1915, tuo nonno e tuo zio sono stati chiamati alle armi per la Prima guerra mondiale.
Sono stati tre anni lunghi e difficili, il cibo non mancava, la fatica con i bambini neanche, quello di cui soffrivamo, zia Maria ed io era la solitudine affettiva, ci mancavano i mariti.
Eravamo sempre nervose, uomini decenti in fattoria non ce n’era, erano tutti in guerra.
Di questa situazione si accorse tuo bisnonno Adelmo che cominciò a stuzzicarci entrambe con la proposta di sostituire momentaneamente i suoi figli nei doveri coniugali, così tutto sarebbe rimasto in famiglia.
Ovviamente sua moglie, la bella Luigina, non avrebbe dovuto sapere nulla, poi lei era sempre impegnata ad andare in chiesa e a cucinare.
Noi rimanemmo ovviamente esterrefatte da questa proposta, riconoscemmo che Adelmo fosse un bell’uomo e nemmeno tanto vecchio, meno di 70 anni in fondo ed in piena forza fisica e lasciammo che cominciasse a toccarci.
Nel giro di poco tempo Adelmo, avendo capito che a noi sarebbe andato bene, non perdeva occasione di palparci.
Tette e culo erano la sua passione ma spesso si sfregava anche contro di noi facendoci sentire il suo bel cazzone duro.
Un giorno mi invitò a toccarglielo, eravamo nel fienile da soli, così io timidamente gli slacciai i bottoni della patta e gli abbassai le mutande. Un bellissimo uccello lungo e duro si presentò ai miei occhi, mi invitò a toccarlo ed accarezzarlo.
“Dai Gertrude menalo un po', se vuoi prendilo in bocca, fai qualche cosa non stare lì impalata a guardarlo, da quanto tempo non ne vedi uno?”
“Un anno Adelmo, da un anno, da quando Giovanni è partito non ho più toccato un cazzo”
“Allora approfittane, fami una sega, un pompino quello che vuoi, se lo vuoi dentro in figa te lo metto, ma sbrigati che sto per sborrare”
Mi sbottonai la camicetta, con una spinta lo feci cadere sulla paglia cominciai a succhiargli i capezzoli, la mia lingua dentro la sua bocca, mentre lui mi palpava furiosamente le tette, i miei capezzoli diventarono turgidi la mia voglia di lui, del suo cazzo, divenne irrefrenabile, misi il suo cazzo fra le mie tette e ogni tanto gli succhiai la cappella.
Dal suo glande cominciò ad uscire un liquido viscido, ma non era sborra, era l’anticamera del suo godimento, lo menai ancora un po', poi sputai sulle mie dita mi bagnai la figa e cominciai a masturbarmi il clitoride per essere pronta al suo cazzo dentro di me.
“Vieni Adelmo, vieni dentro di me chiavami con tutta la forza che hai, fammela bruciare di godimento”
“Certo Gertrude ti chiavo come una cavalla, la mia nuora troia, che fa godere il vecchio suocero, sei bellissima, hai una figa stretta, cazzo che bello, ti pompo, ti sfondo, fammi godere, fammi sborrare dai….”
Dopo poco Adelmo sborro nella mia figa ed io avevo goduto come non mai, ancora meglio che con mio marito, mi infilai due dita in figa per recuperare la sborra di Adelmo e succhiai avidamente il nettare.
“Ora devo accontentare anche Maria, che ne pensi Gertrude?” -disse Adelmo-;
“Certo mi sembra giusto, ma prima dammi una leccata per favore che mi pulisci ben bene, vecchio porco”
Adelmo mi leccò per benino la figa, mentre con un dito mi ispezionò il buco del culo, e disse;
“Vedrai che ti sfondo anche quello prima o poi”

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