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Prime Esperienze

Gocce calde, gocce fredde


di GinTonicOfficial
19.11.2023    |    5.409    |    5 9.8
"Aveva esposto i suoi "buoni propositi" al padre il quale aveva contratto lui debiti per poterlo aiutare..."
Questa storia è iniziata alcuni anni fa, nientemeno a quando circolavano ancora le lire.
Soffiava un lieve venticello che rendeva ancora più insopportabile la già gelida aria fattasi estremamente fredda dopo che la neve caduta il giorno prima, durante la notte si era anche gelata a causa di un certo rasserenamento notturno.
Il bar dello Sport, che di sportivo aveva solo il nome scritto sulla insegna, si trovava sulla piazza antistante la stazione ferroviaria.
Quel mattino i clienti erano stati piuttosto numerosi proprio perché molti pendolari, per sfuggire al freddo gelido, si erano "rintanati" nel non grande locale con la scusa di prendere un caffè o qualche altra bevanda calda.
Poi erano c'erano, state le partenza dei mezzi pubblici ed il locale si era svuotato o quasi.
Erano rimasti in tre: Aldo il barista intendo a lavare e risistemare tazze e bicchieri usati dagli avventori; un tale Tommaso detto Tommy che come sempre aveva una gran voglia di parlare, per giustificare il suo stazionare quasi perennemente dentro il locale. Era stato buttato fuori casa dalla moglie. Tutti sapevano il perché ma lui non l'aveva mai detto, calcava la mano sui difetti di lei. Infatti stava dicendo: “...Tu pensa che io non l'ho mai chiamata per nome. Quando l'ho conosciuta la chiamavo A-more; dopo che l'avevo sposata ed ho visto che solo l'amore sapeva fare bene e nient'altro, non cucinava, non puliva, non faceva un cazzo, l'ho chiamata A-Cosa; adesso che m'ha sbattuto fuori di casa la chiamo A- Stronza."
Aldo fingeva di ascoltarlo ma neanche lo sentiva.
La terza persona rimasta nel locale era Fulvio, il tassista di turno davanti alla stazione.
Costui non prestava la minima attenzione a Tommy che guardava anche lui quando parlava a voce alta proprio perché voleva essere sentito. Fulvio lo ignorava sbirciando un poco la gazzetta dello Sport, messo a disposizione dei clienti dal bar e sorseggiando la china calda che si era fatto servire. Intanto guardava all'esterno, dove il suo taxi era in attesa di clienti, improbabili prima di una mezz'ora, quando sarebbe arrivato l'espresso da Milano.
Se non ci fosse stato tanto freddo avrebbe atteso dentro la vettura, anche per poter rispondere ad eventuali chiamate sulla radio taxi, ma con tutta quella neve aveva sentito il bisogno di qualcosa di caldo: la china, appunto.
Fulvio in quei momenti, nonostante la sua età giovanile, poco più che venticinquenne, stava facendo mentalmente una specie di bilancio della sua vita. Non tanto per tirare le somme ma per valutare le ultime scelte fatte, incerto se rivederle o meno; scelte coraggiose secondo alcuni punti di vista, non il suo però.
Si fa presto a dire a chi sbaglia di redimersi ma oltre il dirlo, di solito come rimprovero e non come consiglio, nessuno fa niente per aiutare chi ha sbagliato scelte di vita, chi se se ne rende conto e vuole smetterla.
Fulvio aveva alle spalle un recente passato non proprio da stinco di santo, anzi, l'esatto opposto.
Ne aveva combinate abbastanza, non al limite del consentito dalla legge ma oltrepassando abbastanza e non poche volte quei limiti.
Poi non per pentimento ma per ragionamento si era reso conto di averla fatta franca con i controlli più per culo che per accortezza: il calcolo delle probabilità era già abbastanza sbilanciato.
Un sesto senso gli aveva suggerito di smetterla finché era in tempo.
Facile a dire “smetterla”. Molto meno farlo davvero.
Smetterla significava rinunciare ai facili guadagni, alla bella vita e, perché no?, anche a quel sottile piacere di osare sempre di più, a quel produrre adrenalina all'impazzata per provare emozioni forti che “i normali” non proveranno mai.
Smetterla in cambio di cosa? Di una famiglia che lo aveva ripudiato perché si vergognava di lui? Di un lavoro che nessuno gli offriva perché lo consideravano inaffidabile? Per entrare a far parte di una società che lo guardava con aria distaccata, pronta a condannarlo, dargli consigli da buoni samaritani ma nessun aiuto concreto per uscire dal giro vizioso in cui era caduto?
Non era stato per lui facile andare verso una meta che lo respingeva (la cosiddetta vita normale) mentre mille molle lo trattenevano, lo spronavano a restare nel giro in cui era intrappolato.
Non solo i soldi e le emozioni avevano cercato di trattenerlo ma anche le minacce di coloro con i quali aveva fatto intrallazzi, gente che non scherza, gente capace di tutto. Chi non si fa scrupolo di sfruttare la prostituzione e spacciare stupefacenti perché dovrebbe farsene per tappare la bocca a chi sa troppe cose? Fulvio era uno che sapeva troppo ed aveva abbandonato un certo giro che ancora lo corteggiava ed ancora lo pedinava, lo osservava, perché non si fidavano ancora di lui, nonostante non avesse lasciato pendenze di alcun genere. ...Però non aveva potuto restituire tutto quello che sapeva, e il suo “sapere” lo metteva ancora in pericolo nonostante avesse lasciato ormai la malavita. Aveva investito i frutti delle sue malefatte in tre acquisti: l' alloggio del monolocale dove già viveva in affitto, una licenza da tassista ed un taxi.
Allora, si penserà, non era vissuto solo per godersela, si era messo da parte anche un bel gruzzoletto.
Non era esattamente così. Qualcosa aveva come capitale ma non abbastanza ed aveva contratto debiti. Non con banche perché queste non concedono fidi a chi non ha nulla per garantire; non con quelli del suo ambiente perché con quelli voleva tagliare i ponti e non intrecciarsi ancora di più. Aveva esposto i suoi "buoni propositi" al padre il quale aveva contratto lui debiti per poterlo aiutare. Doveva restituire al padre non ad altri, ma doveva farlo perché erano somme ingenti e perché a sua volta anche il padre doveva estinguere il debito contratto per lui con una banca.
Si era illuso di poter essere libero una volta acquistati licenza e taxi e fare della guida una professione onesta. Invece era riuscito a lavorare solo associandosi ad una cooperativa di taxi preesistente. Da autonomo non lo avrebbero lasciato lavorare.
Fulvio era li per coprire il suo turno stabilito dalla cooperativa: con brutto o cattivo tempo, con o senza clienti, doveva stare li.
Fuori era quiete assoluta. La neve scendeva lenta a grandi falde leggere, tutto era bianco. Tutto tranne quella sagoma forse umana , vicino al suo taxi. Veramente proprio di forma umana non si poteva dire: era una specie di grande sacco peloso che si spostava intorno alla sua vettura.
Lasciò subito il bicchiere sul bancone e corse fuori per andare da quella persona che credeva essere un cliente. Uomo o donna era difficile da dire da quella distanza, anche se solo di pochi metri: di certo la persona indossava una ampia pelliccia a pelo lungo, con un ampio cappuccio dello stesso materiale rovesciato sulla testa ma, essendo esageratamente ampio, ricadeva anche sul volto coprendolo quasi totalmente. Appena arrivato a poca distanza fu certo trattarsi di una donna per la gestualità del muoversi e per l'alone di profumo dolciastro e pregnante - fino ad essere anche leggermente sgradevole – che la circondava.
Chiese:- “Posso essere utile?”
Risposta:-”Ed io? Posso esserti utile io?”
La voce era tremolante; era evidente che stava letteralmente battendo i denti per il freddo.
Fulvio propose: “Entra nel taxi, è un poco meno freddo li dentro”
Lei: “Tu sei matto! E se arriva il tassista?”
Non disse di essere lui il tassista ma “Chi se ne frega? Inventeremo una scusa”
“Tu sei matto”
“Tu sei bella ed hai freddo, dai entra,...entriamo”
Lui entrò, per abitudine, dalla portiera del guidatore, lei non capendo di avere a che fare con il tassista, (o fingendo di non capirlo?) salì dalla portiera anteriore del lato passeggeri.

E' strano come a volte i sensi percepiscono gli stimoli quando questi cessano o si affievoliscono. Infatti la donna percepì fortemente la sensazione di freddo appena entrata in vettura e sottratta alla gelida brezza, ed esternò sonoramente, con un prolungato “brrrrr”. il suo rabbrividire dal freddo.
Fulvio subito si prodigò “Aumento un poco il riscaldamento?”
“Ma, ma...ma...come fai a sapere come si fa? Non sarai mica tu il tassista?”
Nel parlare fece ribaltare il cappuccio con un colpo all'indietro della testa e lasciò liberi i due lembi del bavero che fino ad allora aveva tenuto stretti l'uno contro l'altro con le mani. Era una ragazza giovane, certamente più giovane di Fulvio, naturalmente bella nei lineamenti del volto, aggraziatamente spigoloso, incorniciato da una fluente cascata di lisci capelli neri; occhi verdi messi in risalto da una eccessiva dose di rimmel, vagamente languidi; carnagione chiara, pallida, ma con le gote rosse più che rosee, forse per l'eccessivo freddo o forse per un trucco sbagliato; le labbra carnose ricoperte di un rossetto dai toni eccessivamente accesi. Particolari che, uniti al profumo, già erano più che sufficienti a rivelare la professione della donna anche a persone ingenue, figurarsi agli occhi di Fulvio che aveva bazzicato per anni in quell'ambiente ed in quelli affini.
Fulvio, mentendo in parte, le disse “ Si, ma sono in pausa, posso dedicarti del tempo se vuoi”.
Lui lo voleva, non perché aveva visto il volto di lei, ma perché la pelliccia, certamente falsa, ovvero sintetica e di scarsa qualità, buona per fare scena ma non per riparare dal freddo, si era aperta e i due lembi erano scivolati ai due lati del sedile, mostrando le gambe favolose della donna, scoperte dalle ginocchia in su, quasi fino all'inguine, e nient’altro oltre le mutandine nere di pizzo. Dalle ginocchia in giù le gambe erano coperte da due stivaloni di nappa nera. Nella parte superiore del corpo solo il reggiseno di pizzo del completino intimo metteva in risalto un seno di per se non enorme, ma era sproporzionato rispetto alla corporatura esile della donna e i suoi capezzoli erano turgidi e sporgenti che ci sarebbe potuto appenderci una giacca. Forse a causa del freddo.
Non potevano esserci dubbi sulla professione della donna.
Fulvio che non era né sposato, né fidanzato, già da un paio di settimane andava avanti con l'auto soddisfacimento, si sentiva fortunato per quell'incontro, fregandosene del fatto di essere in servizio, tanto con quel tempaccio era improbabile che arrivassero clienti per lui, prima dell'arrivo del treno espresso da Milano, ammesso che con quello ne fosse arrivato qualcuno.
Stava per chiedere quanto gli sarebbe costata la prestazione quando lei lo spiazzò con “Per me è già tanto che mi hai fatto riparare qui dentro. Sto già meglio. Stavo congelandomi lì fuori”
“Sfido io, sei nuda sotto quel coso peloso. Chi è che ti obbliga a lavorare con queste condizioni atmosferiche? Non deve essere una persona sensibile il tuo....come si dice? ...Diciamo amico che si prende cura di te”
Con l'aria più che afflitta la donna gli chiese: “E' così evidente che sto...sto...sto cercando...di lavorare?”
Fulvio fu spietatamente schietto: “Beh, con il profumo che hai messo e questa divisa da lavoro che indossi. "
Lei si sciolse e si raccontò a Fulvio, dicendogli: “ Lavoro in un nightclub e uno stronzo mi ha chiesto di seguirlo da lui per una cosa tra noi con la promessa di centomila lire ma poi, essendo sola e senza protezione me ne ha date venti più dieci per il taxi e mi ha sbattuta fuori. "
Fulvio, con qualche lieve difficoltà creatagli dalla schiettezza e dalla tristezza che le leggeva negli occhi si era sentito rapito da lei. Le propose: “ Vuoi fermarti un attimo in un bar che conosco e scaldarti con una colazione calda , forse è meglio” .
Il viso di lei si che si illuminò fu una eloquente anche se tacita risposta: accettava.
Una volta dentro al locale lei disse “Che bel caldo”, eppure tremava tutta.
Fulvio la invito a prendere quel che voleva assicurandole che avrebbe pagato lui.
Lei ordinò un cappuccino e un croissant. Fulvio un’altra china.
Continuarono a raccontarsi e Fulvio apprese che lei , Jedda, era Ucraina e aveva una bambina di due anni lasciata al suo paese; la crescevano i suoi genitori. Lei mensilmente mandava dei soldi per la famiglia perché lei era quasi l’unica fonte di sopravvivenza per loro.
Fulvio percepì che la ragazza non raccontava balle, e affascinato e commosso, memore di tanti momenti difficili vissuti anche da lui in passato, mise la mano in tasca e prese quasi tutto quello che aveva per metterlo nelle di mani di lei dicendole "fa finta di aver già lavorato e guadagnati questi ,e vattene a casa. Ti porto io.": Le aveva dato quasi tutto l'incasso del suo lavoro, forse oltre centomila lire. Si tenne il minimo per poter pagare le consumazioni.
Lei si buttò su Fulvio abbracciandolo, stringendosi a lui. I suoi seni premevano contro il petto dell'uomo che, colto di sorpresa, con garbo la invitò a ricomporsi. Non era per il giudizio di eventuali presenti ma perché non voleva che lei pensasse di averla pagata in anticipo per una prestazione sessuale. Non aveva mai fatto sesso pagando.
Parlarono ancora un po’ e Fulvio raccontò anche qualcosa di lui e dei sui errori.
Poi pensò che forse era arrivato il momento di andare e di accompagnare la ragazza a casa per poter ritornare al suo lavoro.
Le chiese “ dove abiti dai , ti accompagno io. Tranquilla la corsa per te è gratis. “
Lei gli diede l’indirizzo. Arrivati sul posto Fulvio si accorse che non era una casa ma uno squallido albergo a una stella posizionato proprio a fianco a un conosciuto e chiacchierato nightclub Genovese.
Lui provò a salutarla con un “ Dai, buona giornata Jedda , mi ha fatto piacere conoscerti e ti auguro buona fortuna.".
Era convinto che la storia finisse lì, invece Jedda gli disse ....
.....facciamo che continuo a raccontarvelo la prossima volta?...
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