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Prime Esperienze

Il professore, Lara e la ripetizione di inglese.


di hershel
29.06.2022    |    17.494    |    7 9.7
"Le calde labbra di lei, porte del paradiso, che salivano e scendevano per tutto il mio sesso al culmine di spasmi di delizia e la totale trasgressione di..."
La Signora Bruna, una inquilina della mia stessa palazzina, mi fermò per le scale con aria preoccupata.
“Professor Giletti, devo chiederle un favore, è per Lara, sa, rischia di non essere ammessa agli esami di maturità se non si tira su in Inglese, le potrebbe dare qualche ripetizione, mi farebbe un grosso piacere”
“Beh...sì...certo Signora Bruna. Quando vorrebbe incominciare?”
“Anche stasera se può, non so, potrebbe venire da noi verso sette, magari anche ogni giorno per le prossime due settimane”
“Sì, si può fare, forse non tutti i giorni ma in qualche modo sì, la facciamo ammettere questa ragazza.”
La figlia in questione, Lara, era una diciottenne che io avevo visto crescere, se fino a qualche anno prima era una delle tante ragazzine del palazzo, ora si era fatta donna, e di sicuro non era una delle tante donne del palazzo. Di statura media, capelli castani chiari, lisci e lunghi, occhi di tigre color smeraldo, labbra carnose, sguardo intenso; due seni prominenti e un sederino super sexy. Una di quelle ragazze che a vederle si mette in moto una specie di sconvolgimento interno.
Io ero un professore di matematica quarantenne, scapolo, qualche sporadica relazione nel corso degli anni, innamorato della bicicletta, ero tonico ma non bello e per di più con una calvizie incipiente. Ero stato a Londra diversi anni e per questo davo anche ripetizioni di Inglese prevalentemente a studenti delle superiori.
La sera mi presentai puntuale, ero sceso dal quarto al secondo piano. La Signora Bruna mi accolse e mi portò nella stanzetta adibita a studio dove si trovava Lara che mi salutò con un ciao. Mi aveva sempre dato del tu.
“Potete stare qui mentre io stiro in soggiorno” disse la Signora Bruna.
“Mentre vai a vedere quegli assurdi tele-quiz vorrai dire” aggiunse Lara sarcastica.
Incominciammo. Lara aveva un atteggiamento piuttosto svogliato e poco collaborativo.
“Certo che qui fa caldo! Almeno lei ce l’avrà il condizionatore” disse Lara con una certa insofferenza.
“Beh, sì, l’ho installato due anni fa, quando ci fu quel caldo terribile”
Si annodò i lunghi capelli sulla nuca e aprì due bottoni della camicetta bianca che indossava. Sulla parete di fianco a noi, un obsoleto ventilatore oscillante a muro, di quelli metallici, con una protezione minimalista, ciclicamente ci investiva con una colonna d’aria dando un po’ di refrigerio alle nostre pelli sudaticce.
Ero seduto a destra di Lara, l’aria investiva anche la sua camicetta, la rigonfiava ed io potevo intravvedere, data la mancanza del reggiseno, l’areola dilatata del suo capezzolo sinistro. Alla fine un capezzolo è un capezzolo, un brandello di carne, lo vedi una volta, ok, basta. Eppure no, ogni dieci secondi il mio sguardo si concentrava su quel francobollo di pelle, lo intravvedeva per un secondo e poi aspettava impaziente lo sbuffo successivo, questo processo si ripeteva metronomicamente sei volte al minuto. Quelle intermittenti provocazioni visive erano come un piccola, reiterata scossa elettrica al mio aplomb di insegnate integerrimo.
Per ragioni indipendenti dalla mia volontà i pantaloni della tuta furono costretti a dare campo libero a una sfacciata impennata di chi non tiene conto delle convenzioni sociali. Mi avvicinai al tavolo per salvarmi dall’imbarazzo.
“Mi sono presa un bel torcicollo con quel rudere di ventilatore.” disse Lara girando la testa con una smorfia di fastidio e toccandosi le clavicole con le mani.
“Alfio, mi potresti fare un massaggino qui sul collo. Di solito mi passa subito.” Mi chiese toccandosi la base del collo.
“Va bene” risposi, un po’ sorpreso e titubante.
Dovetti allontanarmi dal bordo del tavolo e, con una mano, iniziai un goffo tentativo di massaggio da seduto, due-tre frizioni da una parte del collo, due-tre dall’altra, massaggio a dir poco penoso e, quasi sicuramente, inutile.
“Continua pure a leggere” le dissi.
Mentre leggeva, la giovincella liberò distrattamente il terzo bottone della camicetta, forse per agevolare la mia vista. Dalla mia posizione privilegiata ora i ciclici refoli d’aria mi facevano vedere il seno nella sua interezza, sodo, rigoglioso, invitante. Nel frattempo il mio massaggio si stava lentamente e pericolosamente spostando verso sud con la mia mano che, casualmente, ma inesorabilmente scivolava verso il basso eseguendo movimenti sempre più ampi. Una voce mi diceva di non farlo, un’altra mi invitava a continuare nell’azzardo. In questi frangenti raramente la prima voce ha la meglio.
“Così Alfio, sto già molto meglio” disse Lara con simulata ingenuità..
Leggeva un articolo di giornale ad alta voce mentre io correggevo i suoi errori di pronuncia.
La mia mano, ormai abbandonata la zona collo, stava con successo ultimando la conquista di uno dei due promontori del piacere, bianco come il latte, dolce come il miele. Quando le mie dita arrivarono alla sommità trasalii nel sentire il capezzolo duro su quel mare di morbidezza. Congedai il braccio sinistro da quella innaturale posizione e, contemporaneamente, mi intrufolai con quello destro da sotto la camicetta e raggiunsi in un istante la sommità della poppa di destra. Avevo il fiato corto, non certo per la fatica del massaggio ma per la tensione mista ad una eccitazione che cresceva di secondo in secondo.
Lara, intenta nella lettura, fintamente ignorava la mia attività mentre io, con uno sforzo atroce, dedicavo una piccola percentuale della mia concentrazione ai suoni delle parole inglesi che udivo sempre più indistinti e ovattati.
“Ma Alfio, ho detto pòlice invece di polìce e non mi hai corretto!” mi redarguì Lara con fare serio.
“Sì, scusa, è polìce.” Farfugliai, ridestato dal mio torpore sensoriale. Le alzai la camicetta, mi avvicinai al suo seno sinistro e iniziai a bacialo, a titillarlo con la lingua, a mangiucchiarne il capezzolo mentre con la mano ora accarezzavo, ora stringevo il seno destro.
La voce del buonsenso che un’ultima volta cercò di riportarmi alla ragione fu irrimediabilmente soffocata nella bolgia dei miei pensieri peccaminosi.
Ora volevo Lara, la volevo tutta, la volevo mia, la volevo per il mio piacere, un piacere senza limiti.
Sentii la mano di Lara cercare il mio fallo e prenderne possesso da sopra la tuta, un’attimo dopo, quella stessa mano si intrufolò sotto l’elastico molliccio dei pantaloni e afferrò con decisione quella carne tesa e irrigidita, iniziando un su e e giù secco e perentorio; la mano andava fino al glande e poi scendeva netta fino alla base del fallo stirando dolorosamente, forse per la foga o per mera inesperienza, la pelle alla sommità; un dolore che si tramutava all’istante in delizia celestiale; sapere che le sue giovani ed esili dita dallo smalto rosso consunto erano a contatto con la mia animalesca intimità di uomo mi provocava vertigini emozionali impossibili da rendere a parole.
La lettura di Lara proseguiva con qualche incertezza provocata dall’eccitazione che lenta ed ineluttabile stava incrinando quella sua ostentata impassibilità da studentessa modello. Con disinvoltura bloccò il movimento della mia mano destra e la trascino sotto i suoi slip allargando al contempo le cosce, senza smettere di leggere e senza cessare di strattonare mio membro.
La mia mano si intrufolò sotto le mutandine e riconobbe quelle zona inviolabile, calda, morbida, umida. Mi pervase una sensazione di totale piacere.
Dapprima premetti con il palmo sopra quella superficie soffice e delicata , poi strinsi forte quel fagottino di ineffabile voluttà.
“Ti voglio, tutta, subito, senza condizioni” diceva la mia libidine ormai in zona rossa. Col dito medio trovai il suo clitoride eccitato e incominciai a muoverlo con rapidi sussulti, ora verticali, ora orizzontali, disordinati e scoordinati.
La voce di Lara incominciò a vacillare, a tergiversare, le parole le uscivano monche, le ondate di piacere che la stavano assalendo abbattevano nel loro incedere anche il più risoluto tentativo di mantenere un apparente distacco. Il suo ventre era rigido, teso nel suo godimento. Progressivamente la sua lettura si fece un rantolo incomprensibile che divenne un mugolio forte e insopprimibile, pensai che forse il volume della televisione lo avrebbe coperto, ma in quegli attimi convulsi non importava. Incominciò a muovere il ventre, poi a scuoterlo, poi i movimenti si fecero incontrollati, gemeva sottovoce, io frizionavo la sua vulva in fiamme più che potevo, poi Lara ebbe un sussulto, le sue movenze si fecero lente e sinuose, la sua mano strinse forte il mio pene, con l’altra premette sopra la mia per aggiustarne il ritmo. Nel suo volto quel travaglio d’estasi che ti fa capire perché la vita vale la pena di essere vissuta. Rimase immobile per alcuni istanti, ansimando lentamente.
Via via il suo volto si rilassò, assumendo un’aria stanca e confusa, il prezzo da pagare per il ritorno sulla Terra.
Il mio membro invece era a pochi momenti dalla deflagrazione, la mano di Lara riprese la sua attività con meno foga ma con eguale effetto, tirai fuori in fretta e furia dalla tasca un fazzolettino per scongiurare ogni imbrattatura, Lara capì, si abbassò e, con la sua bocca di rosa, mi fece toccare le vette del piacere, sentii un’ondata di godimento attraversare a velocità supersonica per tutta la sua lunghezza il mio fallo andado ad infrangersi dritta nel mio cervello. Lara colse il mio primo sprazzo di beatitudine nel suo palato, percepì il tripudio di fiotti espulsi con una pressione che solo un’estasi suprema può generare. Le calde labbra di lei, porte del paradiso, che salivano e scendevano per tutto il mio sesso al culmine di spasmi di delizia e la totale trasgressione di quella situazione mi proiettarono in una dimensione fin’ora sconosciuta.
Lara continuò nel suo celestiale massaggio anche quando la compattezza del mio pene incominciò a incrinarsi, anche per me era giunta l’ora della discesa nella realtà.
Ritornai in me, la stanchezza del mio fallo mi fece capire che anche in paradiso c’è orario di chiusura.
Lara si rialzò, il mio pene flaccido, indolenzito, esausto, chiedeva solamente un meritato riposo.
“Eccoci qua!” con voce squillante la signora Bruna fece irruzione nello studio portando un vassoio con due bicchieri di aranciata.
“Come va professor Giletti?”
“Direi un po’ svuotato, è il caldo, sa, però la ragazza si impegna, l’inglese è sempre un po’ duro all’inizio, ma basta farci la mano, vero Lara?”
Sentii le unghie di Lara piantarsi sulla mia coscia come a esprimere il suo pieno allineamento con la mia linea di pensiero.
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