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Prime Esperienze

La vita di Margi


di Easytolove
10.11.2021    |    17.089    |    19 9.8
"Pur se condizionata da paure e misteri, fino ad allora la mia era stata un infanzia felice, trastullata dei miei fratelli e dalle mie sorelle più grandi, ..."
L’infanzia di Margi

Sono nata in una tranquilla cittadina di provincia del nord ovest italiano.
La mia famiglia era molto religiosa, mio padre funzionario di un grande ente statale, mia madre casalinga
e fattrice di figli. Entrambi cattolici ortodossi, seguivano alla lettera i dettami della chiesa, per cui avevo otto tra fratelli e sorelle, ed io ero la più giovane, l’ultima arrivata, poi probabilmente mia madre entrò in menopausa, e non fu più in grado di procreare.
In casa regnava un atmosfera che si alimentava sul concetto per cui, ogni azione e decisione potenzialmente avrebbe potuto essere condizionata da quello che veniva definito come il “peccato”.
Ogni desiderio non lecito era peccaminoso, e andava espiato con punizioni e preghiere.
Poi quando giunsi in età scolare, venni mandata in un collegio salesiano gestito da suore, dove rimasi fino al conseguimento della licenza di scuola media superiore.
Era un collegio rigorosamente femminile, e li ricevetti al pari di Flaubert, la mia educazione sentimentale.
Si trattava di una grande casa, ottocentesca, forse qualche lascito di un nobile trapassato senza eredi, immersa in un grande giardino circondato da un alto muro di mattoni rossi, con un enorme cancello di ferro battuto.
All’interno grandi alberi secolari regalavano in estate la loro fresca ombra.
La casa era enorme. Al piano terreno le cucine, con un grande salone, che fungeva da refettorio,
e poi le aule dove studiavamo, mentre al piano superiore un lunghissimo corridoio separava le stanze in cui,
divise per età dormivamo, in letti a castello.
La direttrice era una vigorosa suora, la madre superiora, forse quando arrivai poteva avere una cinquantina di anni, mentre a gestire il buon andamento del collegio, c’erano un'altra decina di sorelle,
alcune più giovani , quasi tutte dedite all’insegnamento, e altre più anziane, con compito di amministrazione e coordinamento.
Gli unici a non essere religiosi, erano tre donnone del paese, che si occupavano della cucina e delle pulizie, e un giardiniere, un uomo taciturno e scontroso, l’unico esponente del mondo maschile che ho potuto vedere fino all’età di quattordici anni.
Ricordo che passai le prime due notti insonni a piangere in silenzio.
Pur se condizionata da paure e misteri, fino ad allora la mia era stata un infanzia felice, trastullata dei miei fratelli e dalle mie sorelle più grandi, con i miei spazi e le mie cose, nel grande appartamento in cui vivevamo.
Anche mia madre, forse consapevole che ero l’ultima sua figlia, e che poi non avrebbe più procreato, per quanto le sue rigide regole religiose lo consentissero, aveva verso di me riversato tutte quelle premure e attenzioni che forse, aveva in parte fatto mancare ai miei fratelli.
Mio padre che era molto più rigido, severo e attento, dopo qualche tempo si accorse di questa debolezza che il resto della famiglia manifestava nei miei confronti, e temendo in una mia crescita malsana, decise di mandarmi in quel collegio, dove avrei avuto un educazione più consona con quelli che avrebbero dovuto poi essere i miei doveri di donna, moglie a madre, inquadrata nei dettami più rigidi di quello che le sue regole religiose prevedevano.
Mi mancavano le fugaci coccole materne, i giochi con i miei fratelli, le risate mattutine, le corse nei giardini con il nostro grosso cane, che pareva impazzire per me, i baci che tutti volevano da me prima di addormentarsi la sera. Mi stavo preparando per la mia terza notte di disperazione e pianto nel silenzio della camerata, sola nel mio letto, quando mi accorsi che la bimba che stava nel piano di sotto del letto a castello che occupavo, silenziosa e furtiva si stava arrampicando, per poi infilarsi sotto alla coperta al mio fianco.
Si chiamava Marcellina, era una splendida bimba bionda, con gli occhi azzurri, quando sorrideva si formavano due fossette sulle guancie ai lati della bocca. In un primo momento lo spavento e l’apprensione ebbero il sopravvento, ma poi mi disse che anche lei aveva pianto sempre durante la notte, che mi aveva sentito, e che aveva bisogno di qualcuno che dormisse con lei, come faceva sempre con la sorella più piccola, quando di notte avevano paura del temporale, o di qualche spirito cattivo che fosse venuto a rapirle.
Mi ritrovai con quel corpicino che mi abbracciava e mi trasmetteva calore, smisi di piangere, e con il susseguirsi del suo respiro tiepido, mi sono addormentata per la prima volta al sicuro, nell’oscurità misteriosa del collegio. Purtroppo il risveglio non fu dei più felici, e dovemmo farne fin da subito i conti con le rigide regole. La madre superiora, come ogni notte faceva un ispezione nelle camerate, e ci sorprese in quella che era considerata come una delle più gravi e peccaminose trasgressioni.
Dormire con un'altra allieva era severamente proibito, e la punizione che ne conseguiva era particolarmente crudele. Ho il ricordo di noi due in ginocchio, con le gonne alzate e le mutandine abbassate in mezzo al salone, con tutto il collegio schierato ad assistere come monito.
La madre superiora che diceva, Maria Grazia e Marcellina questa notte hanno infranto il più grave dei divieti, per cui prima avranno inferte cinque cinghiate sul sedere scoperto, e poi dovranno stare per tre ore inginocchiate con i ceci sotto alle ginocchia. Piansi più per la rabbia e la delusione di non poter ancora dormire abbracciata con Marcellina che per il dolore delle cinghiate, che la superiora non ebbe il coraggio di sferzare con molto vigore.
Anche i ceci dopo pochi istanti finirono tutti sparpagliati intorno, e nessuno venne a controllare se effettivamente stessero facendo la loro funzione intimidatoria. In ogni caso, l’abitudine di restare per qualche fugace minuto nello stesso lettino non l’avremmo mai persa, e con il tempo imparammo anche a trascorrere intere nottate senza essere scoperte. I primi mesi passarono veloci, scanditi dalle noiose abitudini e regole che governano i luoghi come quello, con le gelosie e le invidie classiche che muovono i sentimenti di una popolazione di bambine lasciate sole a gestire i propri sentimenti e bisogni.
La nostra maestra era una suora giovane, e aveva compreso che una sorta di legame e amicizia si erano fatti largo tra me e Marcellina, e sembrava esserne compiaciuta, come se fosse una cosa naturale da coltivare. Poi mia madre mori’, venni un giorno prelevata da uno zio, e portata in auto a casa, dove trovai i miei fratelli disperati e mio padre distrutto.
Finita la cerimonia, mi prese da parte, dicendomi che sarei rimasta in collegio per molto tempo, che aveva accettato un incarico all’estero, si sarebbero tutti trasferiti, ma che ero troppo piccola, e per me sarebbe stato meglio restare tranquilla in quel luogo, dove avrei ricevuto tutte le cure e le attenzioni che la nuova situazione non poteva più garantirmi.
Mio padre lo rividi quando ormai ero una donna, e alcuni dei miei fratelli dopo venti anni, quando ormai laureata e con una mia vita decisi di ritrovare quello che restava della mia famiglia.
Lo zio mi riportò al collegio, e al mio nuovo mondo, che si concentrò quasi totalmente sulla figura di Marcellina.
Diventammo inseparabili, con tutti i nostri piccoli segreti, curiose e monelle spiavamo tutti i componenti del nostro universo, diventammo una entità a sé stante.
Lei era già orfana prima di giungere in collegio, la famiglia aveva disponibilità finanziarie per cui il suo tutore legale l’aveva messa nel collegio, mentre la sorella più piccola non ancora in età scolare, era stata affidata ad una famiglia.
Ci ritrovammo uniche due a trascorrere anche i mesi estivi all’interno della struttura.
Erano i mesi migliori, e anche se la nostra maestra continuava al mattino a farci lezione, insegnandoci cose che le altre non avrebbero mai saputo, la sorveglianza era quasi del tutto allentata,e avevamo interi pomeriggi e nottate in cui potevamo vagare e esplorare tutti quegli spazi, a volte misteriosi, che ci circondavano.
Le soffitte dove venivano custoditi gli oggetti più svariati e strani erano la nostra meta preferita.
Fu in uno di quei pomeriggi estivi che scoprimmo il giardiniere, con i calzoni abbassati fino alle ginocchia, intento in una strana pratica con la madre superiora, che sdraiata su di un tavolo con il lungo vestito nero alzato e le gambe candide incrociate dietro alla schiena di lui, ansimava e ripeteva il nome di Dio.
Evidentemente le soffitte non erano soltanto il nostro luogo segreto, e nella nostra innocenza, comprendemmo subito che stavamo assistendo ad uno dei più gravi peccati che la mente umana possa immaginare, e giurammo che quello che avevamo visto,non l’avremmo mai svelato.


L’adolescenza di Margi

Passarono gli anni delle elementari, crescevamo felici ed inseparabili, Iniziarono le scuole medie, noi assumevamo le fattezze di giovani ragazze, perdendo quelle di due bambine.
A Marcellina iniziava a formarsi una peluria chiara, sul monte di Venere, mentre a me avevano fatto capolino due piccole tettine, che a volte mi facevano male.
A dire il vero anche io avevo notato la crescita di un pelo scuro e vellutato, tra le mie gambe, le cosce iniziavano ad arrotondarsi, come anche il sedere.
Nel giro di sei mesi, entrambe avevamo tre bei ciuffi di peluria lei bionda come i suoi capelli, io nera e scura.
Con lei madre natura è stata generosa, le vennero due tette grosse come due meloni, dure e sode, mentre io sono rimasta con due tettine, che al tempo erano appuntite, con due piccoli capezzoli in cima,sembravano due coni gelato.
Fu in quel periodo che iniziammo ad avere i primi stimoli sessuali, e le notti trascorse insieme, in cui i nostri sonni innocenti di due bimbe che dormivano abbracciate, più per trasmettersi sicurezza e calore, si trasformarono in qualcosa di più sensuale e peccaminoso.
Nella biblioteca del collegio, avevamo trovato degli strani libri, relegati in una libreria nascosta e defilata, il cui argomento era il sesso e le sue più disparate sfaccettature.
Spiegavano tutte le cose che si dovrebbero conoscere dell’argomento, con disegni e fotografie, a volte molto espliciti. Alcuni trattavano solo gli argomenti anatomici e medici, altri quelli psicologici, altri ancora le devianze considerate fuori dalla norma, la possibilità che potessero esserci rapporti anche tra persone dello stesso sesso.
La spiegazione di quelle strane voglie e sensazioni, che sempre più spesso provavamo, e che pensavamo fossero impraticabili e quasi demoniache, scoprimmo che erano conosciute e studiate, che facevano parte della natura umana.
Senza più il timore di precipitare in qualche oscuro antro del peccato, iniziammo così, sempre più spesso a procurarci il reciproco piacere.
Ben presto imparammo quali fossero le zone più sensibili, quelle che andavano accarezzate, che le nostre patatine, ormai ricoperte di una spessa peluria, non servissero soltanto per un bisogno corporale, ma che fossero la fonte principale di un piacere sorprendentemente meraviglioso,e se stimolate con la giusta perizia procuravano un esplosione incontrollata, in uno di quei libri scoprimmo veniva chiamata orgasmo femminile.
Sempre nel libro venivano elencati gli infiniti modi con cui si poteva raggiungere simile meraviglia, e quello che era letto e studiato il pomeriggio, poi la notte nell’oscurità delle coperte, veniva messo in pratica.
Erano esperimenti quasi meccanici, eravamo trasportate dalla curiosità, come dei giochi con cui due bimbe precipitate nella pubertà, scoprivano le reazioni dei propri corpi a nuovi stimoli e le conseguenti reazioni che inevitabilmente venivano procurate.
Quella però fu una fase in cui, la curiosità e le distrazioni, erano numerose, Marcellina era attratta da tutto quello che era artistico e decorativo, mentre io ero più pratica, mi piaceva la matematica, la fisica, trovai un enorme pubblicazione sulla meccanica,mi sono sempre chiesta cosa ci facesse una simile cosa in un collegio femminile, e la bibliotecaria mi disse che era, come quasi tutto il resto, il frutto di una donazione, della famiglia di un ingegnere, tutti i libri che venivano donati, per un preciso ordine della direttrice, erano catalogati e conservati, anche quelli che poco avevano a che fare con l’educazione di giovani ragazze. Compresi la presenza di tutti quei libri sul sesso, probabilmente donati da qualche medico, specialista in sessuologia.
Per qualche mese questi nuovi interessi ci distolsero dai nostri esperimenti notturni, imparai a procurarmi da sola il piacere, come anche Marcellina, solo saltuariamente ci ricapitò di ritrovarci per qualche minuto ,
ma avevamo perso quella ingenuità e curiosità delle prime volte, era comparsa una strana sensazione di pudore, era diventato un fatto privato e personale, da non condividere con nessuno.
Quello che avrebbe condizionato gli anni a venire, successe un pomeriggio estivo, durante quel periodo in cui io e Marcellina restavamo sole, padrone del collegio.
Avevamo terminato le scuole medie, alla fine delle quali, quasi tutte le nostre compagne lasciavano il collegio,le superiori non erano contemplate, ma per alcune costrette a rimanere, c’era la possibilità di frequentare due o tre istituti della cittadina vicina.
La mattina passava una corriera nella strada fuori dal collegio, e io e altre quattro ragazze, tra cui Marcellina, ci recavamo nella nuova scuola. Lei aveva scelto un liceo ad indirizzo artistico, mentre io uno scientifico. La sera finite le lezioni tornavano tra le nostre sicure mura, ci avevano tolte dai cameroni, ognuna occupava una piccola stanzetta singola, noi due eravamo riuscite a farcene assegnare una un pochino più grande, in cui avevano sistemato due lettini.
Il primo anno della nuova vita era trascorso tranquillo, entrambe avevamo superato la prova con risultati lusinghieri, la direttrice era molto orgogliosa, l’idea che due ragazze provenienti dalla sua scuola, fossero le migliori, donava prestigio, la consuetudine di affidare le bambine alla sua organizzazione, si stava perdendo, ogni anno erano sempre meno le nuove reclute, c’era il fondato timore, che non sarebbero prima o poi state più sufficienti per mantenere in vita la struttura.
Era il momento delle vacanze, la mattina trascorreva tranquilla, Marcellina si dedicava alle arti grafiche, nella biblioteca era apparso magicamente un computer, avevamo imparato ad utilizzarlo, studiava dei complicati programmi di elaborazione grafica, dal suo tutore aveva ricevuto i soldi per acquistare un attrezzatura fotografica, elaborava immagini, stava sviluppando le conoscenze per quello che sarebbe diventato il suo lavoro, mentre io coltivavo la mia passione per la meccanica e la tecnologia, mi inoltravo in calcoli sempre più complicati, studi sui metalli, funzionamento delle macchine e dei motori.
In uno dei pomeriggi in cui invece dedicavamo il nostro tempo allo svago e alla ricreazione, ci siamo accorte di esserci perdutamente innamorate, che quei giochi che mettevamo in pratica per procurarci qualche attimo di rapido piacere, avevano uno scopo ben preciso, scatenare quella passione che per qualche anno non ci avrebbe mai abbandonato.
Avevamo preso l’abitudine di recarci lungo un piccolo torrente che scorreva dietro al collegio, in un ansa si formava una grossa pozza, dove ci bagnavamo e rinfrescavamo, dopo esserci rosolate al sole.
Da qualche tempo avevo come la sensazione di subire una curiosa attrazione per le ragazze, e le forme ormai non più del tutto acerbe di Marcellina avevano iniziato a tormentare i miei pensieri.
A dire il vero fu lei a iniziare il primo approccio, mentre ritornate dal tuffo nella pozza, tutte bagnate e nude, ci eravamo sdraiate sul grosso telo di cotone colorato.
Ho sentito una sua mano approcciarsi al mio ventre, per poi scendere fino al ciuffo nero, come facevamo qualche anno prima, ma solo che ,mentre prima era un gioco, quella volta irruppe potente e prepotente la passione.

Margi diventa donna.

Ormai avevamo quasi raggiunto una specie di semi indipendenza, che si protrasse per tutti gli anni delle superiori. La bellezza di Marcellina era da mozzare il fiato, aveva uno stuolo di corteggiatori infinito, lei ci giocava, li sfruttavamo per ogni nostro bisogno. Passaggi in auto, inviti a compleanni, festicciole, era molto abile ad adularli, anche se iniziava a circolare il sospetto che oltre ad essere due amiche inseparabili, ce la intendessimo anche sotto alle lenzuola.
Un pochino ci salvava il frequentare due scuole diverse, almeno in quelle ore non restavamo insieme, ma poi nei pomeriggi e nelle nottate diventavamo una cosa sola.
Fu durante l’ultimo anno che, iniziarono a prendere forma quelle situazioni che avrebbero condizionato il nostro futuro. Marcellina stava diventando una fotografa molto brava, la sua scuola aveva organizzato una mostra, con i lavori delle allieve più dotate, e una delle sue fotografie era finita nella copertina di una delle riviste più famose a livello internazionale. Una delle più importanti accademie aveva inoltrato l’invito, con tanto di borsa di studio, per frequentare uno dei suoi corsi di perfezionamento, negli Stati Uniti.
Mio padre si era congedato dal suo importante lavoro, era tornato nella nostra città, e con i soldi della buona uscita , aveva rilevato l’azienda di un suo zio,che produceva in piccolissima serie auto da competizione,e preparava per le corse auto di serie sportive, coronando quella che era sempre stata la sua passione.
Me lo sono vista comparire un pomeriggio, era attraverso la direttrice al corrente dei miei studi e della mia bravura. Mi disse che era già pronta la mia iscrizione ad una delle facoltà di ingegneria più prestigiose del paese, che finito l’anno sarei tornata nella nostra vecchia casa, e che nel tempo libero dagli studi, avrei potuto iniziare a sporcarmi le mani con il grasso e l’olio dei motori.

Sapevamo che presto ci saremmo separate, non per questo la nostra dedizione agli studi venne meno, ma le nostre notti divennero sempre più infuocate.
La bellezza di Marcellina mi inebriava, aveva un modo tutto suo di lasciarsi amare, godevo di quelle sue forme perfette senza nessuna limitazione, mi lasciava fare tutto quello che volevo, avrei potuto baciarle e leccarle i seni, coricata sopra di lei per una nottata intera, mi accarezzava la nuca e i capelli corti, sospirando e sussurrando, restando sempre ferma in quella posizione.
Quella nostra ultima estate passò in un battibaleno.
Una mattina, avevamo ormai superato gli esami finali, eravamo solo in attesa degli scontati esiti, presto avremmo lasciato per sempre il collegio, la direttrice ci chiamò nel suo ufficio.
Era molto invecchiata, per come ce la ricordavamo quel primo giorno di tanti anni fa, una donna energica e vigorosa, dotata di una strana bellezza magnetica, che gli abiti religiosi non facevano che esaltare.
Ci disse di sedere sulle due sedie di legno massiccio, imbottite di spesso cuoio, che stavano di fronte alla grossa scrivania di mogano scuro, dietro alla quale lei dirigeva da sempre le sorti dell’istituto.
Dopo averci per qualche istante osservate iniziò un lungo discorso, alla fine del quale riuscimmo a stento a trattenere le lacrime per l’emozione.
Siamo state tra le sue allieve preferite, fin da quella mattina che ci sorprese a dormire insieme, quella punizione data a malincuore, e poi mai più ripetuta anche se sapesse bene tutto quello che combinavamo.
Ci disse che, anche se probabilmente le nostre strade si sarebbero per sempre separate, avevamo imparato ad essere donne libere e indipendenti, senza pregiudizi, anche innamorate, ma avremmo compreso solo con il tempo, la lezione che in silenzio ci aveva impartito.
Quello passato era l’ultimo anno che il collegio aveva funzionato, con noi se ne andava per sempre, in qualche modo aveva suggellato il giusto coronamento di una vita dedicata alla crescita e alla realizzazione, di centinaia di bambine, divenute donne.
Poi ci ha baciate, e donato un piccolo volumetto, con rilegate tutte le pagelle e le valutazioni che lei scriveva a fine anno, il suo giudizio sul nostro percorso di crescita, comprendemmo di avere avuto una mamma occulta, che ci aveva guidato senza che ne accorgessimo per tutti quegli anni meravigliosi.
Poi venne l’ultimo giorno, eravamo eccitate per la nuova vita che ci attendeva, ma tristi per l’inevitabile lontananza. Ci eravamo promesse che ci saremmo scritte tutti i giorni, appena possibile riviste, amate per il resto della vita.
Andammo a perlustrare tutti quei posti che da bambine ci attiravano, le soffitte buie, gli scantinati umidi dove ormai quasi inutilizzati arrugginivano gli arnesi più strani, la stanzina dove scoprimmo la direttrice che, come avremmo compreso dopo, si lasciva andare alla passione con il giardiniere burbero e scontroso.
La notte la trascorremmo aggrovigliate, sfinite dagli orgasmi, procurati con la bocca e con le mani, con le passere appiccicate a strofinarsi, ho goduto per l’ultima volta di quel corpo perfetto, quelle forme scolpite dalla natura, la più bella donna che mi sia mai capitata tra le mani.
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