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Ape regina


di Aleternative
27.06.2014    |    9.148    |    3 9.0
"Riuscii a trattenere lo spasmo un paio di volte ma poi rigettai saliva e altro..."
L'ape regina rientrò al termine del volo nuziale. Il rito della fecondazione si era concluso. Lei stessa aveva ucciso il fuco vincitore, concedendogli quel privilegio. Perché la sorte degli altri maschi, gli sconfitti, sarebbe stata ben più crudele: le operaie non li avrebbero più nutriti, condannandoli a morire di inedia.
Accadde tutto in un breve sospiro. Mi succhiai l'universo di un attimo di vita scovato, trattenuto e stretto tutto insieme. E poi … continuai a pulsare.
Mi ero lasciata soggiogare dall’arroganza della giovinezza: lui, nel pieno dei suoi ventisei anni, fiero e superbo come un uomo dall’esperienza più virile. Io, quarantenne, condannata alla routine di una convivenza stanca, appesantita e non stimolante da ambedue le parti. Accadde tutto in un istante. Accadde, dapprima, che diventai la puttana di un ragazzino viziato e vizioso; perverso come pochi, viscido e ossessionato dal sesso.
Da li a poco tempo, l’inedia sessuale di anni aveva provocato i suoi disastrosi effetti: mi ero trasformata in una zoccola clandestina. Facevo cose inaudite, immorali. Dovevo scopare con lui fino a sentirmi esausta, svuotata e anche un po’ indolenzita. Spesso, dopo i nostri rapporti, le labbra vaginali erano gonfie e di un color rosso vivido. Me le rinfrescavo con l’acqua corrente e provavo una sensazione devastante, quella di un piacere intenso che sfociava in dolore acuto.
Dovevo scopare come un’ossessa, a casa mia, di pomeriggio, fino a 20 minuti prima che rincasasse Paolo dal lavoro. Paolo, il mio compagno, sembrava non accorgersi mai di nulla. Ma un giorno, io e il mio amante, andammo oltre il limite: mi aveva legato al letto, abusando del mio corpo anche con l’ausilio di alcuni oggetti che avevamo a disposizione. Giunti al nostro limite orario, sottomessa dal mio arrogante ragazzino, mi permisi di fargli notare che non c’era più tempo. S’innervosì, s’alzò di scatto e prese i suoi indumenti. Credevo scappasse via mezzo nudo. Ma tornò in camera, impiantò un fallo di lattice con la ventosa alla sponda dell’armadio, mi prese per i capelli e mi costrinse ad inginocchiarmi. Il fallo era un po’ troppo in alto rispetto alla mia bocca. Lo strappò e lo schiaffò per terra facendo appiccicare la ventosa al pavimento. Con un gesto veloce e violento si fece una sorta di coda-maniglia con i miei capelli intorno alla sua mano. Mi guidò la testa con determinazione fino a farmi ingoiare il cazzo finto. Poi mi sputò sulle natiche, più volte e si strofinò il glande in modo rotatorio. Non avevo idea di cosa volesse farmi, ma un istante dopo la sua eccitazione fu decisamente e ferocemente maggiore al dolore e l’urlo che cercai di contenere quanto possibile. Mi aveva letteralmente spaccato il culo, con il suo cazzo di medie dimensioni. Così … in malo modo, nella cavità anale tendenzialmente arida. Iniziò a randellarmi con foga, cacciandomi la testa sempre più in basso, sempre di più per farmi ingozzare di cazzo. Riuscii a trattenere lo spasmo un paio di volte ma poi rigettai saliva e altro. Ero in affanno, completamente alla sua mercé. Avrei potuto scegliere diversamente, avrei potuto ribellarmi e liberarmi da lui. Ma non lo feci. Sentivo la mia voce sincopata, le mie urla ossessionate proprio come se stessero sventrando qualcuno. Non mi ribellai, anzi, decisi di arrendermi completamente a lui, di lasciarmi violentare, scopare e inculare come una troia, come la puttana che tante volte avevo sognato di essere e che mai, prima, avevo avuto il coraggio nemmeno di pensare di divenir tale.
Sentii il suo ritmo incalzante velocizzarsi fino al suo mugolio di piacere assoluto, pregno di egoismo fino al midollo. Mi sentii felice di essere stata usata, di essere stata l’oggetto del desiderio di un perverso ed arrogante ragazzino. Scappò via: probabilmente aveva anche incrociato Paolo. Ero devastata e confusa. Cercai di accelerare i ritmi per ricompormi e ordinare un minimo la stanza, ma non ci riuscivo. Buttai tutto nel ripostiglio/lavanderia, m’infilai velocemente una tuta e mi lavai il viso. Ansimavo, avevo ancora l’affanno e il cuore mi sembrò scoppiare quando Paolo valicò l’uscio. I saluti scontati e poi il silenzio; il sublime ancora in corpo ma una me completamente assente nei confronti di Paolo.
Cena, poco dialogo, televisione che parla e che non ascolto. Mi faccio la doccia, esco e la televisione è ancora li che parla senza che nessuno l’ascolti. Paolo è in camera e con lui l’odore stantio dell’adulterio. Il cuore mi batte in modo esasperato. I capelli sgocciolano acqua che sa di uno strano sapore. Mi rendo conto di non aver usato il sapone. Paolo m’incute terrore nel vederlo assente e sospettoso. Ma nulla! Non succede nulla, come al solito. Va in bagno, si fa la doccia e torna che sono già a letto, mezza addormentata e mezza pensierosa. Si sdraia, ma non legge la sua rivista come di consueto. Spegne l’abatjour e il silenzio cala di nuovo fra noi. Improvvisamente mi risveglio in uno stato confusionale, con quella sensazione tipica, priva di cognizione temporale e di luogo; forse perché fin troppo stremata dal violento rapporto con il mio amante, non ricordavo nemmeno di essermi addormentata. Ma in realtà il risveglio lo avuto perché fra le mie cosce c’è la mano di Paolo e il suo cazzo pulsa e preme fra le mie natiche. Magari aveva capito tutto, aveva notato qualcosa che non avevo sistemato. Magari sentiva ancora il profumo proibito che emanava il mio corpo o semplicemente sapeva da tempo e lo eccitava la conferma di essere cornuto. Ma non gli bastava: voleva la prova che fossi finalmente diventata una gran puttana. Mi prese con decisione, come solo all’inizio della nostra relazione faceva. Me lo mise nel culo ancora aperto e arrossato. “Mioddio”, mi ero persino scordata di che cazzo gonfio in circonferenza avesse il mio Paolo. Me lo aprì per bene il buco del culo. Gli chiesi di tapparmi la bocca; gli morsicai le dita e lui mi pompava come un ossesso. Quando sentii che ormai stava per esplodere, lo feci uscire di scatto e mi fiondai sulla sua verga tesa e palpitante con la bocca spalancata. Lo spompinai magistralmente e sentivo che mi ripeteva quanto fossi puttana. Ho ingoiato tutto. Ero talmente esausta che non riuscivo nemmeno a respirare. Pochi istanti dopo, Paolo sdraiato al mio fianco mi domanda: «ti piacerebbe farti fottere da un camionista?». Rimasi attonita per la sconveniente richiesta.
Paolo: mi piaci da impazzire nelle vesti di moglie puttana. Mi piace pensare che tu ti faccia sbattere da qualcuno, da sconosciuti. Mi piace avere il sospetto, ma fai in modo che non ti scopra mai, per favore.
Io: perché mi dici così? Perché mi fai certe domande?
Paolo: perché sono molto eccitato e perché non abbiamo nulla da perdere, ormai.
Avevo appena avuto la conferma che Paolo sapeva tutto, che ormai eravamo una coppia stanca da qualche anno. Aveva ragione: non avevamo nulla da perdere. Ci addormentammo.
La mattina seguente, mi svegliai che lui era già uscito. Mi feci una doccia, mi misi delle creme corpo. Mi truccai in modo evidente. Tirai fuori le scarpe col tacco che avevo messo solo per un’occasione speciale, tipo un matrimonio. Mi misi il completo intimo più sexy e la l’abito più succinto che lasciasse intravedere le mie grazie. Uscii con un solo pensiero: farmi fottere in un’area di sosta sull’autostrada da Milano verso Piacenza da un camionista dell’Est.

Questo racconto è tratto da una delle fantasie della mia amica intima M. - donna quarantasettenne molto affascinante con cui – da diversi anni - è nata un’intesa molto speciale.
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