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I sogni reconditi di Anna


di Aleternative
28.06.2013    |    26.726    |    3 6.6
"Trovavo incantevole quella casa, in stile country chic anglosassone, arredata col gusto di una donna che ha moltissimo da comunicare e che invece pareva..."
Anna, 46 anni, madre di due figli, sposata con uomo di cinquant’anni, distinto, suo compagno di lunga data, praticamente dal liceo. Una famiglia con una buona posizione sociale, dalle storie felici e addomesticate "borghesi" - se è ancora possibile usare questo termine - in cui la gente si sposa e vive felice e contenta, etc. etc.
Anna era la cugina di mio padre, una specie di zia a cui sono stato sempre tanto affezionato.
Io, Alessandro, ero il nipote “strano”, non mi si poteva definire ribelle, ma un po’ vagabondo, curioso delle culture lontane, libertino ma romantico, aperto al dialogo e al confronto ma determinato su alcuni fatti riservati, intimi, che condividevo solo con pochissime persone.
Da bambino, appena finiva la scuola, passavo circa tre settimane nella casa di campagna dei miei pseudo-zii dove, insieme ai loro figli, più o meno miei coetanei, inventavamo un sacco di giochi. Anna era sempre molto elegante, soprattutto nei modi, una donna di vera classe, che ci teneva d’occhio senza assillarci, preparava merende uniche e la sera ci leggeva storie fingendo di prenderle da libri casualmente estratti da una biblioteca molto ricca. Fui l’unico a comprendere che fingeva, poiché i suoi occhi mi osservavano mentre io osservavo la sua bocca, le sue labbra e la sua lingua, ad ogni sillaba che ne fuoriusciva. Erano storie incantevoli e per la mia curiosità di fanciullo, una sera, una in particolare in cui lei si accorse della mia insistente fissità, decise di interrompere la lettura, poggiando il libro sul divano e accompagnandoci a letto. La notte era misteriosa e appena sentii il totale silenzio umano, scesi a cercare il libro. Non dovetti faticare, Anna lo aveva lasciato lì dove lo aveva appoggiato: sul divano. Il libro era scritto in una lingua per me incomprensibile (in tedesco per esser precisi) e – grazie agli appunti che trovai scritti su fogliettini segnalibro e dal mio grado di intendimento (avevo otto anni) – compresi che parlava di medicina, di cose molto strane, ma di sicuro non vi era traccia sulle storie meravigliose che Anna ci raccontava. La cosa mi sorprendeva e mi affascinava al contempo; ma non volevo conoscere il motivo di tale mistero. Le sere successive nulla cambiò, se non che Anna – di proposito o sbadatamente (?) – continuò a lasciare i libri ovunque io potessi trovarli.
Il tempo passava, io crebbi ed improvvisamente, dopo circa otto anni di assenza dalla casa di campagna, tornai lì alla fine di settembre. Avevo compiuto da poco diciassette anni. La figlia maggiore di Anna, Veronica, aveva passato un test per una scuola molto prestigiosa e severa in Inghilterra, quindi era assente. Daniele, mio cugino di secondo grado, aveva la mia età e pochissima voglia di studiare, affascinato dalle cattive compagnie e forse poco incuriosito dalla vita in generale. Anna, allora poco più che quarantenne, era nel pieno della sua bellezza, fascinosa, elegante come sempre; ma per me, per la mia mente distorta, Anna era l’immagine più conturbante e peccaminosa che avessi mai avuto dinnanzi ai miei occhi, musa ispiratrice ai miei lubrici pensieri.
Era un sabato pomeriggio, iniziò a piovere e una telefonata dopo l’altra confermarono la disdetta di alcuni famigliari che avrebbero dovuto partecipare ad una cena che Anna organizzava per la fine dell’estate (quelle cose che si fanno per riunire la famiglia).
Trovavo incantevole quella casa, in stile country chic anglosassone, arredata col gusto di una donna che ha moltissimo da comunicare e che invece pareva esser muta non appena alcune persone si avvicinavano a lei.
" Lo ricordo ancora come fosse ieri notte ", le dissi con voce un po’ tremolante per la paura di fare una vera sciocchezza per ciò che stavo per confessare. Ma ormai avevo preso la decisione e continuai.
" I libri, i messaggi, quelli dei segnalibro, la calligrafia. Ero curioso per certe cose, ieri come oggi, quindi comprendevo che dietro c’era una specie di caccia al tesoro (!?)".
Anna mi ascoltava e avevo come l’impressione che ora lei mi stesse osservando come la osservavo io mentre fingeva la lettura. Non fiatava.
" I messaggi erano brevi, criptici e … forse solo la mia immaginazione mi aveva portato a spingermi oltre … oltre un’eduzione rigida e morale. L’idea di esplorare un universo immaginario attraverso il buco di una serratura o una porta socchiusa, un mondo completamente eclettico dipendente dalla mia fantasia temporale, immediata, con tutti i cambiamenti che desideravo … era una sensazione incredibile, di incredibile libertà e leggerezza che mi faceva volare oltre ogni cosa e pensare un po’ come un adulto ".
Ormai ero lanciato ed ero pronto a dirle tutto d’un fiato ciò che avevo fatto, ma …
Anna: " La tua fervida immaginazione non è stata mai compresa dai tuoi genitori. Ti capisco, sai!? Fu lo stesso con i miei, dai quali fuggii per dar sfogo alle mie fantasie creative. Ma dopo gli studi, la coscienza di una ragazza troppo matura e perbenista, la mia anima si legò …. (tentennando e correggendosi) si relegò ai desideri di Carlo (il marito). Ti osservavo e mi vergognavo per non provare lo stesso interesse in mio figlio; eri diverso, desideroso di costruire un mondo tutto tuo, di cambiare alcuni percorsi che trovavi noiosi. Così approfittai di te, applicando alcune teorie che avevo letto durante la preparazione di alcuni esami all’università. Inizialmente era così, quasi un gioco. Ma poi, capii dalle tue domande che non eri un bambino qualunque ".
Cercai di riprendere il mio discorso:
" si ma … vedi, Anna, il fatto è che io capivo che tu avvertivi la mia presenza … ma fino a lì non trovavo la cosa tanto strana. Cioè, molti bambini di otto anni magari rimangono dapprima un po’ sbalorditi dinnanzi ad un corpo femminile completamente nudo, ma poi la situazione si stabilizza con atteggiamenti del tutto naturali – essendo appunto dei bimbi innocenti. Io invece rimanevo affascinato dalle tue movenze, da come mantenevi la spugna mentre asciugavi la tua gamba appoggiata alla vasca; fissavo le gocce d’acqua scivolare lungo la tua schiena, fino alle natiche e, ti giuro, …. "
Anna m’interruppe di nuovo:
" lo sapevo ma non volevo tornare in me mentre lo facevo, sentivo le tue attenzioni come nessuno aveva mai fatto prima. Mi rendevo conto di avere un serio problema con Carlo, pretendevo che lui mi desse certe attenzioni e non lo faceva. Ed io, per ripicca, non mi concedevo come lui avrebbe voluto ".
Conoscevo benissimo la situazione, ma - ripeto - ormai ero lanciato e continuai:
" Anna, io ti osservavo affascinato, ma non si trattava di attrazione sessuale in quanto ero solo un fanciullo; ero affascinato da tutto l’insieme, da una specie di magia. Certo non potevo immaginare che quei due episodi d’infanzia, mi portassero verso una ricerca morbosa, un mondo lento e languido per i dettagli quotidiani delle donne, quelle mature, dietro i quali si celava una perversione feticista. Anna, da quando ho compiuto tredici anni, ogni qualvolta sono venuto a casa vostra, ho frugato nella tua scarpiera, osservavo le tue scarpe col tacco a spillo, le annusavo e ho provato anche a leccare la punta e i tacchi di quelle quasi nuove. Fino a che un giorno … come faccio a dirtelo … !? ".
Mi mancava il respiro. Sospirai due o tre volte e di nuovo:
" un pomeriggio, non so se ricordi, aiutai Daniele a montare quella scrivania con cassettiera per il computer. Avevamo ormai compiuto quindici anni. Tu quel giorno eri nervosa, era successo qualcosa e non immaginavo cosa. Daniele se ne fregava. Uscii dalla stanza per andare a prendere una pinza nel ripostiglio e passando ti vidi mentre riponevi i collant dentro la cesta delle cose da lavare. Insomma, prima di andarmene, feci di tutto per impossessarmi di un tuo capo di biancheria intima e - quasi alla cieca - estrassi i collant e qualcos’altro. Arrivai a casa e mi accorsi che, oltre ai collant, avevo afferrato anche due mutandine, di cui una di pizzo nero molto sexy. La notte me le portai a letto e le annusai con calma, fino a inebriarmi di quel profumo delicato del tuo corpo, della tua intimità. Sentivo che stavo violando dei confini, delle regole morali, trasformandoti - nelle mie fantasie - in una Femmina lussuriosa ".
Pensavo di svenire, quasi mi era salita la nausea per aver detto tutto d’un fiato quelle parole.
Lo sguardo di Anna era sereno, per nulla stupito o sdegnato.
" E poi? ", esclamò Anna come se ora pretendesse ogni particolare.
Ed io … " poi … cosa? Cosa vuoi sapere con pre … precisione ". Quasi balbettavo per la sua sfrontatezza nel rimanere impassibile e pormi domande dopo una tale confessione.
" Voglio sapere cosa hai fatto con i miei collant, con le mie mutandine! Voglio sapere come e in chi mi hai trasformato nei tuoi sogni innaturali … ", ora si mi sembrava stesse cambiando umore e eni suoi occhi si era accesa una luce vivida, determinata e fiera. Ed ora Anna prese fiato e sbottò:
" mi è venuta voglia di qualcosa di terribilmente sporco e inconcepibile, qualcosa di sudicio, di irrimediabilmente torbido dove la logica degli eventi non segue nessuno di tutti gli standard di nessuna morale ... qualcosa di reale, insomma ...
vedi, con te è diverso, lo è sempre stato, ma ora sento che posso dirti tutto quello che voglio, perché io sento come se "siamo i compagni di banco dell'ultima fila" ... non so se ho detto un'altra stronzata, ma non me ne preoccupo più ormai. Dimmi cosa cazzo hai fatto coi miei collant!? "

Non so se ero più eccitato o spaventato:
" li ho usati come un preservativo, in tanti punti, in tante notti. Risciacquavo dalla coscia alla parte inferiore, ma mai la parte superiore. La strofinavo al mio pene. A volte ci infilavo la testa oppure le indossavo per masturbarmi di fronte allo specchio ".
Non riuscii ad andare avanti … Anna era stata avvolta dalla lussuria, era sfrenata, era voluttuosa. Corse via, su di sopra, nella sua stanza. Io rimasi lì, attonito, impotente e mi sentivo davvero un coglione.
Rimasi per più di un’ora a fissare i libri o altre cose che non erano cambiate negli anni.
Arrivò la sera, Anna scese, vestita di tutto punto, elegante e con la sua irreversibile naturalezza, come se non fosse accaduto nulla.
Cenammo, io mio cugino Daniele, mio zio Carlo (che ci raggiunse poco prima) e una coppia di amici antipatici di amici suoi.
La mattina me ne andai presto e da quella confessione, passarono altri tre anni prima che rivedessi Anna.
Avevo compiuto ventuno anni, mi ero alzato ancora un po’ e il mio viso aveva qualche segno in più. Anna ne stava per compiere quarantaquattro e, sapendo che ero rientrato in Italia dopo un paio d’anni all’estero, mi chiamò per salutarmi e per invitarmi alla sua festa che avrebbe tenuto nella solita casa di campagna. Trovavo la cosa assai strana, non amava farne troppa propaganda, se non con i suoi soliti inviti borghesi e formali per far fare bella figura al marito.
" Carlo, dopo anni che lo ripeteva, si è deciso a far abbattere la legnaia per fare il posto auto esterno. Sta pensando anche di fare una piscina e di modificare alcuni spazi del seminterrato ".
Ci misi un po’ a capire: erano di nuovo i suoi messaggi. Parlava dei miei nascondigli segreti di quando ero bambino e che rivisitavo ogni volta che tornavo lì. Una volta mi aveva detto che col tempo avrei nascosto altri oggetti segreti per cui, una volta cresciuto, sarei stato curioso di riscoprire.
" ... quando inizierebbero i lavori? ", le dissi con tono di complicità.
Lei: " mah, so che l’architetto la prossima settimana fa il sopralluogo con l’impresa ... sai … io ho fatto avanti e indietro un paio di volte per inscatolare alcune cose (pausa con sospiro al telefono) ... anche oggi … è solo … che … il cielo è così nero, il temporale, … sai pensavo … ".
Non la lascia finire. Chiusi la comunicazione e presi l’auto di mia sorella. M’incamminai convinto, pieno di una sicurezza che non conoscevo. Mi sentivo ribollire dentro, quasi incazzato, ma davvero molto, molto eccitato.
Arrivai che diluviava. Era maggio. Sebbene il tragitto dalla macchina all’ingresso fosse breve, m’infradiciai completamente. La porta era chiusa ma non a chiave. Anna sapeva del mio arrivo perché al cancellone avevo suonato e dal videocitofono mi aveva riconosciuto senza che nessuno dei due fiatasse.
Pensai ai miei tre nascondigli preferiti, ma non fu necessario: ci pensò lei a farsi sentire. Scesi nel seminterrato e la trovai appoggiata ad un tavolone che adoravo, fatto da un artigiano ai primi del Novecento, sbiancato per le numerose carteggiate e riverniciate. Le sue natiche appoggiate sul bordo, la sua gamba destra era protesa più dell’altra, facendo pressione sulla punta e mezza pianta per tenere in equilibrio il peso del corpo semi-obliquo. Le scarpe col tacco, quelle rosse che mi facevano impazzire, che non aveva mai calzato. Solo una sottoveste rossa velata copriva il suo corpo così sensuale, tanto femminile: i seni davano un'ampiezza delicata e provavo ad immaginare la sensazione di che il tessuto poteva procurare nello sfregamento sui capezzoli.
Anna: " finalmente! Iniziavo a sentir freddo ".
Io: " bugiarda! Ho visto con la coda dell’occhio la vestaglia pesante stesa sul pavimento. Se fossi stata qui per soli dieci minuti, così poco vestita, saresti congelata ".
Lei ribatté: " ah si?! Sarei una bugiarda? E tu? Chi sei veramente? ".
Mi avvicinai a lei, ad ogni mio passo zampillavano piccoli rigoli d’acqua e il suono stridulo delle scarpe rendeva bene quanto fossi inzuppato. Arrivai di fronte a lei, avvicinai il mio viso al suo. Non l’avevo mai vista così truccata. Sembrava una prostituta d’alto borgo.
" Sei fradicio ", mi disse quasi sogghignando. Con la mano carezzai il suo viso fino a far scivolare la mano sotto il mento, per poi afferrarlo come un trofeo, in modo deciso ma non violento. Perché era il mio trofeo dopo tanti anni. La baciai con avidità, leccai la sua lingua e con le dita le sbavai il rossetto il trucco. Le insinuai le mie dita nelle cavità orali: uno, due, fino ad arrivare a quattro e persino tutta una mano - ponendola a mo’ di becco d’uccello. E poi di nuovo a rilavarle il viso, ovunque, con il palmo della mano, con le dita; poi me le facevo leccare di nuovo, le bagnavo di saliva, della sua e della mia e poi di nuovo a lavarle l'intero volto. Era eccitata, estasiata, esausta per la lunga attesa.
La portai su in cucina: le dissi che dovevo fare una doccia.
" facciamola insieme ", mi disse ansiosa.
Notai un paio di collant poggiati sullo schienale di una sedia; continuai a guardarmi intorno e vidi altri oggetti, la vestaglia, la sua cintura. Fui preso da una specie di raptus, la presi per i capelli, la feci inginocchiare sulla vestaglia, la feci mettere a gattoni e le legai le caviglie con la cintura della vestaglia; poi legai il lembo rimanente ad una gamba del tavolo. La feci scivolare tutt’una verso l’altra gamba del tavolo e ci legai un polso con una delle due gambe dei collant. Usai l’altra gamba per infilargliela a mo’ di passamontagna e mi rialzai dicendole a denti stretti e ansimando un pochino:
" beh?! Non eri quella che desiderava qualcosa di terribilmente sporco e inconcepibile, qualcosa di sudicio, di irrimediabilmente torbido privo di ogni logica morale ... qualcosa di reale … !!?? Eccoti servita! ".
E nuovamente, dalla maturità di una donna - una donna che aveva represso per troppo tempo ogni sua tentazione, ogni pensiero fuori dalla norma morale, ogni sospetto che potesse far pensare ad una donna dai comportamenti fuori dalle regole dettate dal rango sociale - ecco che sbottò tutta la lubricità che tratteneva da anni:
" legami … legami alla tavola, cerca da basso, dovrebbero esserci dei collari dei cani, dei guinzagli, delle corde. Fai come vuoi, quello che vuoi e io sarò ubbidiente e farò quello che vorrai. Lasciami qui legata, aspetterò il tuo ritorno per offrirti il mio corpo come più bramerai, se vorrai. Nient’altro, non desidero altro che essere presa secondo l’indecenza dei nostri pensieri ... che siano essi a scandire la nostra permanenza qui, ora, stanotte e domani ancora, forse anche la prossima settimana, il prossimo mese e magari per i prossimi anni. Vorrei che finalmente l’indecenza dei miei pensieri facesse splendere la mia voluttà ".
In effetti passarono diversi anni e la nostra relazione continuò in versione sperimentale, così come era iniziata, con i soliti messaggi criptici lasciati qua e là. Proprio per la sporadicità dei nostri incontri, talvolta le sessioni sfioravano l’indecenza più recondita, più inaudita, a rischio di denuncia per atti impuri in luoghi pubblici.
Otto anni più tardi, Anna era una splendida cinquantenne, divorziata da Carlo e convivente con una donna più giovane che, lentamente, l’aveva riportata alla sua vita borghese e finta. Non mi ha mai più cercato ed io ho rispettato i suoi desideri.
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