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Lui & Lei

La Sua Troia - Finale - Parte III: Eden


di NoOne8
09.08.2022    |    4.807    |    1 8.3
"Piacere…” Le tese la mano ancora una volta..."
Quando si risvegliò, l’auto era ancora in marcia. Serena controllò l’ora sul telefono, era salita in macchina da almeno un paio d’ore ormai. Era chiaro che la stesse portando fuori città, ma dove? Quanto ci sarebbe voluto ancora?
In quel momento, come se le stesse leggendo nella mente, sullo schermo dello smartphone apparve un nuovo messaggio da Marco:
“Ben svegliata. Tranquilla, non ci vorranno più di cinque minuti.”
La donna si rilassò subito, lanciando un bacio all’obiettivo incastonato nel pannello che la separava dall’abitacolo dell’autista, ormai sicura che fosse proprio il marito a controllare quella videocamera.
Come annunciato, poco dopo sentì la macchina rallentare, finché non si fermò del tutto. La donna provò subito ad aprire la portiera, solo per scoprire che era bloccata. Evidentemente poteva essere aperta solo dall’esterno, cosa che infatti avvenne entro pochi secondi.
La luce del sole di mezzogiorno inondò l’auto, accecandola. La donna riuscì a distinguere solo una silhouette femminile intenta a tenderle la mano, un aiuto che accettò ben volentieri per uscire da lì.
“Benvenuta Serena.” La accolse con un tono caloroso, calmo, ma con un fare quasi distaccato.
Poco alla volta, gli occhi si abituarono, cominciando a mettere a fuoco le fattezze della femmina che si ergeva davanti a lei.
È una dea? Fu il primo pensiero che le attraversò la testa, costretta a piegare la testa indietro per guardarla negli occhi verdi brillanti. Il viso era incorniciato da una folta chioma di capelli rossi sciolti, che illuminati dal sole si accendevano di riflessi, ricordando le fiamme della passione.
Gli occhi di Serena seguirono l’incendio che avvampava elegantemente sulle spalle, coprendo parte della profonda scollatura offerta dal leggero vestito bianco legato al collo che le sembrava cucito addosso, esaltando ed evidenziando perfettamente ogni curva.
Lo sguardo continuò a scendere, come ipnotizzato da quelle forme, lungo la vita stretta, i fianchi larghi, materni quasi, arrivando quindi alle gambe, nascoste fin poco sopra al ginocchio dalla gonna, ma nude e scultoree fino alla caviglia, dove trovò un intreccio di fili dorati che la invitarono a scendere fino ai piedi affusolati, tenuti sollevati da un insolito paio di sandali alla schiava con tacco alto.
“Grazie.” Rispose Serena in ammirazione, prima di ricordarsi che di fronte a quella che sembrava essere una dea della femminilità, lei era ancora vestita come una puttana da due soldi. Arrossì di vergogna, come se la avesse appena insultata senza volerlo.
“Non preoccuparti,” rispose la donna sorridendo, “non hai nulla di cui vergognarti.”
Il tono rassicurante placò subito le sue ansie, facendola sentire quasi una ragazzina immatura.
“Grazie… signora.” Rispose, senza sapere come appellarla.
“Hai ragione, perdonami, non mi sono ancora presentata. Sono Marie, la proprietaria di questa tenuta. Piacere…” Le tese la mano ancora una volta.
“Piacere mio.” Replicò la più giovane, stringendole la mano.
“Devi essere un po’ affaticata dal viaggio, ma tranquilla, adesso ti rimetteremo in sesto. Seguimi.” Aggiunse, senza darle la possibilità di replicare.
Si girò avviandosi lungo il sentiero tracciato da delle mattonelle di marmo, mostrando a Serena come il vestito le lasciasse il dorso completamente nudo fino al fondoschiena, da dove partiva la gonna, spaccata in due lunghi pezzi di stoffa, che rivelavano le gambe sode a ogni seducente passo della dea.
Seguendola, cominciò a esplorare con occhi e orecchi l’ambiente circostante. La villa romana, rifinita in stile rustico, verso cui si stavano dirigendo era circondata da un enorme parco, delimitato da quella che sembrava essere una foresta. L’unica breccia in quel muro verde era costituita dalla strada su cui era arrivata. La stessa che stava ripercorrendo adesso la macchina, allontanandosi da quell’oasi.
Nell’aria, si propagavano profumi floreali, accompagnati dal canto degli uccelli e dallo scorrere dell’acqua. Ancora intenta ad assorbire quello spettacolo fuori dal tempo, Serena venne interrotta quando la sua guida si girò verso di lei:
“Dopo quel viaggio immagino che tu abbia un po’ di appetito. Vuoi mangiare qualcosa?” Le chiese sorridendo.
“Certo… grazie.” Rispose lei, quasi imbarazzata.
“Benissimo, allora seguimi di qua.” Osservò la dea, uscendo dal sentiero lastricato, prendendone un altro ricoperto di ciottoli.
La donna provò subito a seguirla, ma si rese conto che i trampoli che stava indossando non erano idonei a quel genere di terreno.
Sentendola arrancare, Marie si fermò, girandosi per andarle incontro.
“Scusa, non avevo pensato che con quei cosi il passo non è proprio semplice!” Scherzò, indicando le scarpe con la testa, prendendola per mano una volta raggiunta.
“Non è che i tuoi tacchi siano molto più bassi… Ma per te sembra così facile…”
“Esperienza mia cara… non è il mio primo giorno.” Rispose l’altra sdrammatizzando.
Passo dopo passo, le due arrivarono finalmente sul retro della villa, in un patio ombreggiato, con una vista su tutto il resto del giardino.
Mentre il parco davanti era sobrio, quasi spartano, per quanto riguardava alberi, piante e decorazioni, dall’altra parte della casa lo spettacolo era diametralmente opposto. Serena notò subito le fontane sontuose, soffermandosi poi su siepi e alberi potati perfettamente e, più lontano, trovò persino un labirinto.
“Che meraviglia!” Esclamò candidamente.
“Grazie, ci teniamo molto al decoro di questo posto.” Apprezzò la sua dea.
“Accomodati pure.” Aggiunse, indicando un tavolino da tè bianco in ferro battuto, mentre due giovani si affrettarono a tirare indietro le sedie per le signore.
“Grazie ragazzi, portateci qualcosa da mangiare e del tè freddo, la nostra ospite si deve rimettere in forze.” Ordinò ai camerieri in divisa.
“Certo, Regina.” Accordarono loro, inchinandosi leggermente prima di lasciare le donne da sole nel patio.
“Allora, immagino che vorrai farmi un po’ di domande. Chiedimi pure quello che vuoi.” Propose Marie con il tono calmo e affabile che la contraddistingueva. Tuttavia, nei suoi occhi verdi, Serena vide qualcos’altro, come un accenno di sfida.
“Vediamo se sai farmi le domande giuste.” Fu l’interpretazione che diede a quello sguardo.
“Che posto è questo?” Cominciò subito con la domanda che la attanagliava da quando era salita sul SUV nero.
Le labbra di Marie si curvarono in un sorriso. La prima domanda, per quanto ovvia, era giusta.
“È un luogo in cui le persone, persone selezionate, possono venire per spogliarsi delle maschere che devono indossare nella società. Quando ne sentono il bisogno, sanno che qui tutto è permesso e che nessuno li giudicherà. Nessuno di rilevante per la loro vita, almeno.”
Il ghigno sul volto della donna dopo aver risposto rivelava senza alcun pudore che fosse proprio lei a giudicare i suoi ospiti.
“Sulla base di cosa li giudichi?” Proseguì Serena, intrigata dal discorso, affrontando la donna a viso aperto.
“Era così palese eh?” Esordì, mettendosi a suo agio sulla sedia, accavallando lentamente le gambe, rimanendo con una coscia nuda grazie al generoso spacco del vestito.
“Non fraintendermi, non giudicherei mai i gusti e i piaceri di una persona, non riesco a pensare a nulla di più tedioso. Giudico il loro carattere, è l’unico requisito che esigo per accedere a questo posto. Come potrai immaginare, gestire un’attività del genere ha già le sue difficoltà, non voglio persone che mi complichino la vita. Sicuramente questo limita la portata della mia ‘impresa’, ma è mio desiderio che tutti escano di qui soddisfatti, più felici o comunque più consapevoli di sé stessi, dei loro gusti, anche dei loro limiti.” Pronunciò quelle ultime parole fissando Serena dritta negli occhi, intensamente, come se stesse provando a entrarle nella testa.
In quel momento, tornarono i due camerieri, con dei vassoi carichi di antipasti e pietanze, apparecchiando la tavola. Quindi, riempirono i bicchieri delle due donne di ghiaccio e tè freddo.
“Grazie ragazzi, andate pure.” Li congedò accompagnando le parole a un gesto della mano.
“Certo, Regina.” Sì licenziarono ancora una volta con le stesse parole, inchinandosi come da copione.
“Perdona l’interruzione, serviti pure.” Si scusò Marie.
“Figurati, anzi grazie…” rispose Serena, servendosi dai piatti di portata prima di continuare.
“A proposito, perché ti chiamano Regina? È un titolo? Un nome d’arte?” Cambiò rapidamente il discorso con un’altra domanda.
“Cosa cambia? L’unica differenza tra un titolo e un nome d’arte è chi se lo inventa. Sono un concetto astratto. Loro godono nel darmi questo titolo. Altri godono nel chiamarmi Puttana. Ma che sia Regina o Puttana, io sono Marie e qualsiasi appellativo non cambierà ciò che sono. I miei desideri sono miei. L’importante è ricordarsi che sta tutto nella persona che lo pronuncia. Perché per lingue diverse, Regina può significare Puttana e Puttana può significare Dea. Non trovi?”
La domanda fece arrossire Serena, lasciando trasparire che Marie sapesse molto di più su di lei di quanto non potesse aspettarsi. Cos’altro sa? Si chiese. E come ha conosciuto Marco? Cosa si sono detti? Lui la chiama Regina o Puttana?
“Tranquilla…” la proprietaria interruppe subito il treno di dubbi che si stava ammassando nella testa della giovane, come se le stesse leggendo nella mente.
“Lo so che ti starai chiedendo che rapporto c’è tra me e Marco, ma non devi preoccuparti. Ci siamo conosciuti un paio di mesi fa a un evento e ha passato subito la mia prova di carattere, anzi, probabilmente ha stabilito un nuovo record. Se sei qui oggi, è proprio perché ho visto la verità nelle parole con cui vi ha descritto e negli intenti che mi ha dichiarato.”
Serena si sentì immediatamente sollevata.
“Quindi, anche io ho superato la tua prova?” Chiese, divorata dalla curiosità.
“Ammetto che questa domanda ti abbia fatto perdere alcuni punti, ma sì. Il tuo exploit nella macchina mi ha convinta abbastanza. Una donna passiva, in balia di quello che le succede intorno e del volere altrui, non sa godere in quel modo. Mi hai ricordato me stessa, molto tempo fa…” Dichiarò Marie, senza peli sulla lingua.
La giovane arrossì ancora una volta. Allora non era Marco a guardare il video della telecamera! O almeno, non era solo lui…
Cercò gli occhi della dea, trovandoli fissi su di lei, mentre con nonchalance si stava portando il bicchiere alle labbra voluttuose, bevendone lentamente, lasciando che delle gocce di condensa le cadessero lungo la scollatura, continuando a scendere come un fiume tra le montagne pesanti e voluminose che erano i suoi seni, colando fino a scomparire nel vestito.
Serena sentì un brivido attraversarla dentro, era attratta magneticamente da quella Donna, percependo in lei tutto ciò che stava scoprendo di voler diventare. Se le avesse fatto anche solo un cenno, si sarebbe buttata in ginocchio tra quelle gambe, per adorarla come meritava.
“Quindi… tu sei una dominatrice?” Chiese, quasi con cautela.
“Ancora con titoli ed etichette. Hai un bel carattere ma devi fare ancora molta strada. Dominatrice e sottomessa, schiava e padrona, sono due facce della stessa medaglia. Il padrone può controllare come gode uno schiavo, ma lo schiavo può bloccare tutto con una sola parola. Non è potere anche questo? Anzi, non è il potere più grande? Dovresti diffidare di chi è sicuro di essere una cosa sola. È chiaro che alcuni prediligano uno rispetto all’altro, ma sono ruoli e tutti dovremmo imparare a sapere quale vogliamo interpretare, quando e con chi.”
La risposta di Marie la lasciò interdetta per alcuni istanti. Serena non dubitava che dietro a quel ragionamento ci fosse una verità, ma non riusciva a immaginare una versione di sé con quell’assertività e quell’autocontrollo che contraddistinguevano suo marito e la sua interlocutrice. Non desiderava altro che sottomettersi al suo uomo, completamente, soddisfacendo con obbedienza tutti i suoi ordini e i suoi desideri. Questo, la faceva godere come non era mai successo prima. Come avrebbe mai potuto dominare qualcuno? E soprattutto, il discorso di Marie implicava che anche suo marito avrebbe potuto godere dall’essere sottomesso? Da chi?
Ancora una volta, la dea intervenne per liberarla dai dubbi che la stavano bloccando.
“Non dare troppo peso a quello che ti ho appena detto. Se è tua intenzione intraprendere questo viaggio e approfondire questo aspetto di te, prima o poi lo capirai. In caso contrario, non c’è nulla di male nel fermarsi a quello che hai scoperto finora, l’importante è che tu lo faccia per il tuo piacere, non solo per quello di tuo marito.”
Aggiunse, con un sorriso avvolgente che riuscì subito a tranquillizzare la giovane, che annuì sentendo quelle parole.
Serena rimase in silenzio per alcuni secondi, tornando a osservare il grande giardino verdeggiante dalla sua postazione privilegiata, riempendosi gli occhi di quella meraviglia. Quindi, si decise:
“Bene, cosa succede adesso?” Chiese con curiosità.
“Adesso,” cominciò Marie, alzandosi dalla sua sedia tendendo una mano alla donna per aiutarla a fare altrettanto, “bruciamo questi vestiti…” scherzò, alzandole la minigonna, svelando il sesso nudo di Serena, senza che questo le provocasse alcun imbarazzo.
“E poi…” la sua dea allungò l’altra mano sul monte di Venere scoperto, carezzandolo dolcemente, scendendo con il dito medio fino alle labbra umide, fissandola negli occhi. Per un attimo, sembrò quasi nutrirsi del gemito che Serena si stava impegnando a trattenere.
“E poi?” Chiese lei, piena di anticipazione, sperando che quelle attenzioni si spingessero oltre.
Marie allontanò improvvisamente la mano, guardandola con un’espressione da predatrice, come a dire: so che puoi essere mia quando voglio.
“Ti prepareremo per il tuo uomo. Si è fatto in quattro per organizzarti questa sorpresa, ti merita al tuo meglio e, fidati, non è questo!”
Quindi, la afferrò per un polso e la trascinò dentro la villa.

Continua...
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