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Lui & Lei

Meglio la vita nei campi


di geniodirazza
24.04.2024    |    3.634    |    2 9.3
"Quando, a sera, Lucia si trovò a letto con me, mi provocò abilmente finché decisi di possederla; mentre la montavo con gusto in vagina, mi suggerì ancora..."
Arrivato all’età di 28 anni, non ritenevo affatto di potermi dire soddisfatto; l’intera fanciullezza, l’adolescenza e la prima maturità trascorse nel paesino sperduto nel cuore dell’Appennino avevano progressivamente ridotto non solo le illusioni e le speranze, ma anche le ipotesi di trovare una giusta dimensione nel mondo; eppure ce l’avevo messa tutta studiando con grandi sacrifici fino al conseguimento del diploma di ragioniere; ma non avevo trovato sbocchi.
Un barlume di luce nuova si era aperto quando, ormai ventiduenne, ero stato convocato in città, avevo superato un provino ed ero stato assunto come impiegato amministrativo in una grande fabbrica; per buona sorte, anche la ragazza alla quale ero da sempre promesso sposo, ad appena diciannove anni, fu assunta come operaia nello stesso stabilimento e questo consentì che ci trasferissimo in città, in un appartamentino che avevo preso in affitto; ormai assestati, ci sposammo.
Cinque anni di matrimonio erano scivolati via blandamente; io continuavo a coltivare il sogno segreto di un lavoro autonomo che mi consentisse di guadagnare e vivere meglio; per questo, consumavo tutto il tempo libero a procacciarmi ed a seguire pratiche fiscali di piccoli negozi, impiegati e liberi professionisti per i quali tenevo i calcoli di reddito e le dichiarazioni fiscali di fine anno; con un lavoro massacrante, riuscivo a incassare, in nero, abbastanza da essere sereno.
Ma il mio obiettivo, non dichiarato se non a me stesso, era di arrivare a mettere su un’agenzia di consulenza del lavoro e fiscale che mi consentisse di licenziarmi dal lavoro subordinato e dare vita ad un’iniziativa privata che soddisfacesse finalmente i sogni che da sempre avevo accarezzato, quando frequentavo l’istituto per ragionieri che aveva sede in un comune lontano e mi costringeva a levatacce antelucane e rientri dopo il tramonto per via dei collegamenti.
Sul piano dei rapporti privati, niente sembrava turbare il nostro equilibrio, soprattutto quando ci ritrovavamo a sera, nel nostro letto, e davamo vita a copule soddisfacenti; mancando i mezzi economici, non era facile frequentare ambienti di divertimento come avveniva a molti dei colleghi di lavoro, non gravati dall’onere di una famiglia da mantenere; benché la mia prestanza fisica mi attirasse l’interesse di molte donne anche interessanti, rimanevo fedele alla monogamia matrimoniale.
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Lucia, ormai 25 anni, aveva trascorso passivamente la giovinezza nel paesino, legata alla vita contadina senza aspirazioni; a 19 anni aveva ceduto alle mie pressioni di eterno fidanzato ed aveva fatto domanda da operaia nella fabbrica dove ero stato assunto; per buona sorte, fu accettata e ci trasferimmo in città; subito dopo, decidemmo di sposarci e lei si sentiva soddisfatta della vita piccolo borghese che vivevamo nell’appartamentino in città senza molte pretese.
In realtà, una curiosità era viva in lei; da sempre aveva avuto rapporto solo col mio sesso, che l’aveva sverginata a diciassette anni e con cui aveva appreso tutto quello che si poteva sapere sul sesso; a me aveva praticato la prima masturbazione, la prima fellazione ed aveva concesso la verginità anale; praticavamo sesso intensamente e frequentemente; ci concedevamo diverse e frequenti variazioni.
Per trasgredire, qualche volta lei proponeva di immaginare un altro fallo che lei manovrasse al posto o in contemporanea con il mio oppure che stessi a guardarla mentre si faceva penetrare dappertutto da un altro uomo; rispondevo solo a grugniti, per manifestare il dissenso; ma lei notava che le sue elucubrazioni mi eccitavano e mi portavano ad orgasmi sempre più saporosi, rapidi ed intensi; si era convinta che forse l’idea non mi dispiacesse.
Quello che non aveva mai preso in considerazione era che il mio sesso non fosse il massimo della vita; niente da lamentarsi, per carità; una mazza che in erezione raggiungeva facilmente i diciotto centimetri ed in situazioni speciali poteva diventare addirittura un manganello di venti centimetri le consentiva di provare emozioni grandissime quando lo prendeva in mano e lo manipolava a lungo in una masturbazione ricca ed intensa o quando la penetravo golosamente in vagina o nel retto.
Inoltre, avevo una grande abilità nei preliminari, ero un ottimo linguista e praticavo un cunnilinguo di grande efficacia; quando ci ponevamo a sessantanove e ci succhiavamo reciprocamente il sesso, lei sapeva che avrebbe raggiunto vette di piacere addirittura immense e doveva spesso obbligarsi a sostare per alternarsi a succhiare, leccare, mordicchiare, vivere intensamente il sesso per arrivare spesso all’eiaculazione reciproca e contemporanea in bocca.
Ma era incuriosita, specialmente negli ultimi mesi, da un collega che millantava una mazza di oltre ventidue centimetri, che lasciava volentieri intravedere da sotto pantalone e slip; la consistenza del pacco era davvero notevole e Lucia era proprio curiosa e desiderosa di sperimentare in concreto quella mazza di carne; nel caso, desiderava anche sentirla dentro di se, dappertutto, per provare nuove sensazioni ed emozioni.
La prima volta capitò nei bagni delle donne, dove Nicola si insinuò mentre lei stava per uscire dopo avere orinato; con la mazza fuori dal pantalone, le si pose davanti e lei istintivamente allungò una mano verso quel ben di dio che la sorprese non poco; lui la spinse di nuovo nella cabina del bagno, chiuse la porta e la lasciò sbizzarrire a suo piacimento, Lucia diventò immediatamente fragile e cedevole, afferrò la mazza e cominciò a masturbarla.
Sentirla indurirsi e raggiungere una dimensione ed un volume nemmeno immaginato, le fece colare dalla vagina fiotti di umori di orgasmo e desiderò immediatamente averla tutta per se; quasi fossero alla scelta definitiva tra la vita e a morte, nel giro di mezz’ora consumarono una copula straordinaria; lei smanettò a lungo, mentre lui le infilava in vagina due dita lunghe e affusolate, spostando semplicemente il piccolo telo del microscopico perizoma che indossava.
Dopo che lei segnalò con un gemito soffocato il primo orgasmo, lui le premette sulle spalle e la fece accosciare finché la bestia fu davanti alla bocca; non esitò un attimo, Lucia, e la mazza le penetrò fino all’ugola, guidata dalla lingua che l’avvolgeva, la carezzava, la guidava, la spingeva; fu la più bella fellazione che lei avesse mai praticato e l’arnese che si gonfiava in bocca, le titillava il palato, le carezzava l’ugola, la fece sbrodolare a lungo.
Il tempo era tiranno e non potevano rischiare che qualcuno entrasse e li scoprisse; lui la fece sollevare, la girò, la spinse con le mani verso la parete, tirò indietro le anche, spostò il perizoma e il mostro penetrò violentemente in vagina; Lucia si sentì squartare tale fu la violenza; trattenne a stendo un urlo che non fu di dolore, perché intanto il piacere aveva preso il sopravvento e si era sentita scoppiare il ventre; lui bofonchiò.
“Sei protetta?”
“Si, prendo la pillola.”
Copulò per un tempo non lungo; Lucia ebbe tempo per raggiungere un orgasmo mai provato in precedenza; quando lui eiaculò nell’utero, un secondo orgasmo la sconvolse; quando uscì, le rimase dentro la voglia di continuare; ma erano perfettamente coscienti che dovevano immediatamente sgombrare e non dare adito a sospetto, oltretutto perché erano sul posto di lavoro e rischiavano il licenziamento.
Quando, a sera, Lucia si trovò a letto con me, mi provocò abilmente finché decisi di possederla; mentre la montavo con gusto in vagina, mi suggerì ancora l’ipotesi di stare a guardare mentre si faceva possedere da un altro; risposi con un grugnito di rifiuto; insistette ancora e mi propose tutta una serie di situazioni; alla fine mi chiese cosa pensassi della possibilità di dare corpo quelle idee e di vivere un momento di trasgressione.
“Lucia, se per necessità tue hai bisogno di eccitarti con le fantasie, fai pure; ma se si deve fare l’amore, io lo faccio solo con te!”
“Ma sarebbe solo un gioco di trasgressione tra di noi …. “
“Se vuoi fare la troia esci da questa casa e vai a battere!”
Niente da fare; non ci sentivo da quell’orecchio; ma ormai lei aveva già saltato il fosso; e non aveva nessuna intenzione di fermarsi; il problema unico era trovare un posto dove farlo con più agio e sicurezza; ma pagare un motel sarebbe costato molto, così pure un qualche posto ad ore; Nicola individuò un vecchio deposito non frequentato e per due volte riuscirono ad imboscarsi in quello; ma la scomodità del posto e la possibilità di essere comunque sorpresi li obbligò a rapide sveltine.
Lucia si trovò a riflettere che una buona possibilità era portarsi l’amante a casa, una mattina in cui avevano ambedue il turno pomeridiano; io ero impegnato quotidianamente dalle otto alle due; lei e Nicola alternavano settimane di pomeriggio ad altre di mattina e ad altre di notte; un giorno in cui fossi stato al lavoro e loro avevano la mattinata libera perché lavoravano di pomeriggio poteva portarselo a casa e copulare in tutta serenità almeno fino ad ora di pranzo.
Detto fatto, si accordarono che un mercoledì mattina, dopo le nove, lui sarebbe andato a casa nostra ed avrebbero fatto sesso come desideravano ambedue; Lucia lo aspettò in vestaglia, senza intimo, per non perdere tempo; quando gli aprì la porta era già tutto un godere e colare dalla vagina, si baciarono con un’intensità mai vista; lui le percorse con la lingua tutta la bocca e la indusse a succhiarla come fosse un piccolo fallo, prese la sua e la attirò nella sua bocca dove le riservò lo stesso trattamento.
Lucia aveva grande esperienza nei giochi di lingua e si scatenò in quello preferito di portarsi al limite del godimento estremo solo succhiandosi e leccandosi le bocche; spinse la testa di lui verso i seni e si fece succhiare, leccare, mordere, manipolare assai a lungo insistendo sui capezzoli che aveva particolarmente sensibili; godette almeno due volte, prima di andare oltre.
Lo trascinò verso la camera tenendogli in mano il sesso da sopra i pantaloni, lasciò cadere per strada la vestaglia, lo spogliò rapidamente e lo rovesciò sul letto; il suo obiettivo, e il suo sogno, era la mazza enorme che si rizzava possente dall’inguine; la manipolò, la leccò, la mordicchiò, la succhiò a lungo; dai testicoli alla cappella la percorse più volte con voglia, con lussuria, con un godimento continuo; quando si sentì sul punto di esplodere, lui la rovesciò sul letto.
Fu il suo turno di pascersi ampiamente delle tumide grandi labbra che leccò, succhiò, carezzò, manipolò; poi passò alle piccole e la fece vibrare a lungo prima di afferrare in bocca il clitoride; lei urlò che la sentirono dalla piazza; era molto abile, Nicola, e la fece godere dalla vulva moltissimo; quando aggredì la vagina, Lucia si sentì portare in paradiso; ormai non desiderava che sentirsi posseduta sul serio; la mazza che violava il canale vaginale le apparve infinita e le provocò numerosi orgasmi.
Furono tre ore di sesso violento, purissimo, infinito, incessante; sentì il manganello che le sfondava l’intestino spinto quanto era possibile sempre più in fondo, sollecitato da lei che incitava a darne sempre di più; soffrì per i colpi contro la cervice dell’utero, quando la mazza colpiva sempre più a fondo; manipolò con le mani, con il seno, con la bocca quell’arnese meraviglioso che le diede orgasmi indimenticabili.
Quando si resero conto che era l’ora di smettere per prepararsi ad andare al lavoro pomeridiano, si lasciarono baciandosi continuamente e proponendosi di ripetere l’esperienza l’indomani, avendo lo stesso turno; Lucia che non aveva più parlato delle sue voglie di trasgressione, a maggior ragione ritenne di dover evitare ad ogni costo di lasciare segni di quanto era avvenuto; cercò di aerare la stanza e di cancellare le tracce della copula selvaggia; ma si rese conto che era assai difficile.
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Quando rientrai dal lavoro, ebbi un vago sentore di qualcosa che non quadrava nella condizione della casa; ma non volli dare corpo ad ombre che avvertivo e mi dedicai immediatamente al secondo lavoro, che ormai mi impegnava più di quello primario; quando però, a sera, Lucia fece troppe domande su come avevo trovato la casa, cominciai a sospettare; quella sera non mi chiese prestazioni amorose.
La mattina seguente, arrivato allo stabilimento, trovai i cancelli chiusi; un cartello avvertiva che un controllo a sorpresa della Finanza per presunte irregolarità aveva impedito il lavoro negli uffici; non mi restò che tornare a casa dove forse non avrei trovato nessuno, perché Lucia aveva detto che andava a fare spese al centro commerciale; aprii serenamente la porta e fui colpito da rumori provenienti dall’interno.
“Lucia? Sei tu?”
“Oh, dio, Enzo che ci fai qui?”
Mi fermai fulminato sulla soglia della camera; steso di traverso sul letto, nudo, con una mazza spropositata levata verso il cielo, c’era Nicola, un operaio di cui avevo sentito decantare la potenza sessuale; inginocchiata accanto a lui, Lucia era reduce da una fellazione; mia moglie tremava, aveva visto cosa potesse produrre la rabbia di suo marito, che aveva anche nozioni non banali di karate; aveva spaccato un tavolo di legno massiccio, con un pugno.
Tenevo i pungi stretti, i denti digrignati ed ero pallido come un cencio; guardavo inebetito i due sul letto e sembravo dovere esplodere da un momento all’altro; Lucia cercava inutilmente di coprirsi e balbettava qualcosa ma non riusciva ad emettere suono; Nicola tremava come una foglia e cercava di coprirsi anche lui; gli occhi segnalavano un terrore genuino; sapeva della forza dell’uomo che aveva umiliato.
“Vestiti e sparisci, prima che ti faccia a pezzi!”
L’altro si precipitò sui vestiti, li raccolse un poco alla rinfusa, si infilò slip, pantaloni, camicia e scarpe e sgattaiolò come un verme verso l’uscita.
“Enzo, amore, io credevo che ti avrebbe fatto piacere … te ne avevo parlato … “
“VAT TE NE. Entro un mese devi scomparire da questa casa; non sei più mia moglie; hai solo un mese per trovarti un alloggio e scomparire per sempre dalla mia vita; non voglio più vedere la tua ombra sulla mia strada.”
Uscii dalla stanza e la lasciai nuda a meditare su quello che aveva fatto; andai alla mensa della fabbrica e trovai seduta ad un tavolo Daria, la compagna di lavoro di Lucia che sapevo essere sua amica.
“Sai qualcosa di Nicola e Lucia?”
“Sapere no; si sospettava, si vociferava; tu che sai?”
“Li ho trovati nel mio letto, nudi naturalmente!”
“Che pensi di fare?”
“Conosci Cacace l’avvocato dell’azienda? Si intende di divorzi?”
“Si, ci vediamo talvolta al bar; è un esperto di diritto coniugale; vuoi parlarci?”
“Si; mi ci accompagni?”
“Io ti accompagno anche all’inferno, se mi dai anche la metà dell’amore che davi a quella troia!”
“Te la sentiresti di prendere il suo posto?”
“Prima o dopo che parli con l’avvocato?”
“Dopo; avremo tempo; sappi però che già mi sento solo; non sono capace di vivere senza una persona a fianco di cui mi fido … anche se poi mi tradisce!”
“Io sono da sempre innamorata di te; non ho mai detto niente perché la tua fedeltà è il carattere che ammiro di più e non volevo sperimentarla perché sarebbe stato inutile se avessi constatato che era vera o sarei rimasta delusa e ti avrei odiato se fosse risultata falsa. Sapresti essermi fedele come con Lucia, anche se lei tornasse in ginocchio a piangere per farsi riprendere?”
“Stammi a sentire; io ho un appartamento in centro; tu un mini in periferia; ho dato alla troia un mese per trovarsi un alloggio; se te la senti di sposarmi, senza prete e senza sindaco, solo venendo a vivere con me, oggi stesso tu cedi l’affitto alla troia e vieni a vivere al suo posto, diventi la mia compagna e, appena possibile, mia moglie. Sei innamorata fino a questo punto?”
“Andiamo dall’avvocato, prepara la domanda di separazione e parliamo con Lucia; lei se ne va a stare da me ed io divento non solo la tua compagna, ma anche la tua amica, la tua complice, la tua ombra, la tua vita; e sappi che sono molto esigente.”
“Anche tu pretendi un sesso più grosso, più forte, più violento, più selvaggio del mio?”
“Per questo l’ha fatto???? Dio mio, è rincoglionita!”
L’avvocato impiegò poco a preparare la domanda; lasciò lo spazio per la firma di Lucia, perché speravo che accettasse la consensualità, per evitare il tribunale e troppe vergogne pubbliche; gli spiegai che suo padre non era tenero e che se fosse scoppiato uno scandalo lei era a rischio anche fisico; andammo a casa, io e Daria, e spiegammo la cosa a Lucia; era rassegnata e accettò tutto; riempì una valigia con le sue cose ed uscì dalla mia vita; accompagnai lei e Daria che andava a prendere le sue.
Il pomeriggio fu tutto per noi, visto che non si lavorava; mentre Daria sistemava le sue cose occupando gli spazi lasciati da Lucia, io mi dedicavo alle pratiche fiscali; ad un tratto, la mia nuova compagna mi risolse un calcolo che mi sfuggiva, forse per la tensione, e le chiesi se se ne intendesse; mi disse che aveva il diploma di ragioniera e che aveva dovuto fare l’operaia perché non c’erano prospettive; le chiesi se, oltre quello che aveva detto, se la sentisse di essermi socia nel sogno di un’Agenzia mia; mi baciò, per la prima volta.
Di colpo, mi trovai a fianco la compagna che avrei sempre desiderato; Daria era validissimo aiuto a cercare nuovi clienti, ad organizzare il lavoro e a dividerlo tra consulenze fiscali e lavorative, tra affari scoperti e affari ‘coperti’, non meravigliandosi ipocritamente quando si tratta di muoversi al limite della legge; nel giro di pochi mesi, il sogno dell’Agenzia diventò una realtà concreta, al punto che decisi di licenziarmi dalla fabbrica per dedicarmi all’attività privata.
Daria mantenne il posto che occupava in fabbrica, a stretto contatto di gomito con Lucia, con la quale inevitabilmente si scambiavano informazioni e commenti sulla vita personale e spesso privata; così seppi che la mia ex moglie aveva cominciato un’autentica caccia al fallo grosso e violento, che aveva lasciato cadere le redini e non si preoccupava che del suo piacere personale; inutile dire che le sue frecciatine erano infinite e quasi sempre stupide, frutto di invidia, forse di rimpianto più che di rancore.
Non le faceva piacere sapere che eravamo perfettamente affiatati, che Daria viveva con gioia la quotidianità con me, che mi era socia e complice nel lavoro, che ci arricchiva più di quanto speravamo, perché ci si consentiva di andarcene in giro alcuni week end a visitare bei posti nei dintorni o città d’arte non molto lontane, che andavamo talora in discoteca e spesso in bar e pub frequentati da amici e da clienti; si meravigliò che anche in vacanza ci procurassimo lavoro nuovo.
Per uno strano caso, ci incontrammo una sera in una discoteca dove lei si esibiva in tutto il suo splendore alla ricerca della ‘presa’ per la serata e la mia compagna si stringeva a me esprimendo e manifestando a tutti l’amore intenso che ci univa; non ero bravo a ballare, e si vedeva; ma Daria voleva solo essere abbracciata in pubblico ed approfittava di ogni momento per scambiarci baci affettuosi, spesso al limite della decenza.
“Si vede bene che non sei affatto capace di ballare!”
Commentò ironicamente la mia ex; stranamente, le ribatté la mia compagna.
“E’ vero; lui lo fa per amore; non sa allargare le cosce e spingere i fianchi indietro!”
Lucia stette zitta, arrossì e andò via; noi continuammo la nostra mimica amorosa sotto forma di un ballo che non conoscevamo; quando ci accingevamo ad andare via, Lucia trovò la forza per accostarsi a Daria e, mentre la baciava sulle guance, le sussurrò.
“Scusami; non mi sono resa conto di parlare a vanvera … “
“Non c’è niente da scusarti; ma stai attenta, hai agito a vanvera troppe volte; io posso solo ringraziarti; ma tu potresti essere chiamata a rendere conto … “
Una seconda volta ci si incontrò tutti e tre, in un bar che era spesso frequentato da operai e impiegati della fabbrica; Lucia continuava a guardarci incredula della felicità che la sua avventatezza aveva costruito; Daria chiese una bottiglia di prosecco, ne offrì a tutti gli amici presenti, ed annunciò in maniera perfino entusiasta.
“Tra nove mesi nascerà nostro figlio; tra un anno, dopo il divorzio, io ed Enzo ci sposeremo; vorrei che partecipaste con noi alla gioia di questo momento.”
Lucia impallidì; dovette asciugarsi una lacrima; trovo la forza di correre dall’amica e di abbracciarla con affetto vero.
“Daria, lo sai che questo mi fa star male; eppure, ti prego di credermi se ti dico che sono veramente felice; la mia stupidità ha ucciso una gran parte di me, ma almeno è servita a costruire il tuo futuro; spero veramente che tu possa essere felice con l’uomo che ami, completamente, non con riserva come ho fatto io.”
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La scelta di licenziarmi dal lavoro in fabbrica e di concentrarmi sull’Agenzia, si rivelò molto opportuna, di lì a qualche mese, quando le condizioni generali imposero una regressione che colpì la produzione; dopo molte travagliate vicende tra sospensioni e cassa integrazione, il reparto di lavorazione di Lucia e di Daria chiuse definitivamente; le due si trovarono in pratica disoccupate; Daria risolse assumendo per sé il grosso dell’attività dell’Agenzia che per fortuna marciava alla grande.
La vera tragedia fu per Lucia, che attraversava un brutto periodo perché sofferente forse anche in conseguenza degli stravizi a cui si era abbandonata; con l’acqua alla gola, non trovava riferimenti utili se non quello che, in qualche modo, era rappresentato da Daria, alla quale si rivolse perché chiedesse al suo ex marito di aiutarla; di fatto, una mano avrebbe fatto comodo, anche in vista della maternità non semplice che suggeriva di rinunciare a lavorare.
L’intesa però era che l’assunzione fosse a tempo determinato, finché Daria non fosse tornata ad occupare il suo posto ed essere al mio fianco a gestire l’agenzia, che non era esente dalla crisi generale; secondo me, Lucia avrebbe dovuto pensare seriamente a rientrare al paesello ed adattarsi alla vita agricola, perché nei campi la crisi si avvertiva un po’ meno e lei poteva sperare di rifarsi una vita, se teneva conto della mentalità contadina.
Doveva ridurre le sue pretese di libertà nei limiti che il mondo contadino considera accettabili per una donna che ha da farsi perdonare un matrimonio fallito; l’unico aiuto che potevo dare, era consentire che la rottura fosse considerata frutto di generiche incompatibilità emerse nel tempo; Lucia non poté che accettare e cercare di ricucire almeno i rapporti coi genitori che si erano chiaramente deteriorati per gli scontri che si erano susseguiti.
Nacque il figlio, nei termini previsti e senza problemi per madre e nascituro; la felicità si sarebbe tagliata col coltello, naturalmente; ma le cose non erano cambiate e, quando Daria fu in grado di riprendere il suo ruolo in agenzia, fui costretto a licenziare Lucia, alla quale non restò che tornare al paesello; non tirava aria molto buona; i genitori avevano molte esitazioni ad accettare la figliuola prodiga che si è resa colpevole di errori molto gravi, per la loro educazione.
Ma alla fine cedettero al richiamo del sangue e decisero che una figlia era comunque un pezzo della famiglia e andava perdonata, a condizione che tenesse un comportamento assolutamente irreprensibile, specialmente in un ambiente dove tutti i giovanotti ritenevano di doverci provare, con una come lei che veniva dalla città con una fama dubbia; suo padre fu categorico e le impose senza mezzi termini il divieto di vestiti alla moda, del trucco e di rapporti di ogni genere con qualsiasi maschio.
Non fu facile, per Lucia che proprio su queste sue trasgressive libertà aveva costruito la sua dannazione, chinare la testa e chiudersi in abiti offensivi di qualunque segno di femminilità, lasciarsi crescere da ogni parte una peluria animalesca, non potersi truccare né curare per piacere a se stessa, più che per attirare maschi; ma l’ipotesi di finire a battere su un marciapiede o di essere costretta a gettarsi dal ponte era assai più spaventosa; riuscì, bene o male, ad adattarsi.
Per una strana combinazione del caso, una vecchia amica di sua madre chiese se la ragazza sarebbe stata disposta ad accettare la corte di un suo figliolo, da tutti considerato un po’ stupido e succubo della volontà materna, grande grosso e incapace anche di stabilire che pantalone indossare; pareva che fosse perdutamente innamorato di Lucia; a trent’anni era ancora vergine e la vecchia, di salute instabile, avrebbe visto con gioia una donna di esperienza, al di là della fama di cui godeva, sostituirla nel ruolo di guida.
Lucia ebbe molte perplessità; non le andava affatto di accettare un ripiego del genere; ma l’idea di evadere dal controllo paterno la solleticava; frequentò quasi per cortesia il ragazzo e si accorse che, più che altro, era un buono, un debole, facilmente manovrabile; un sera che lo incantonò al buio per sentire come era messo a sesso, scoprì con enorme sorpresa che non solo era ben dotato, ma che non aveva mai usato la mazza ed aspettava solo indicazioni per fare quello che lei gli chiedeva; decise che ci poteva stare.
In pratica, diventò contadina a tutti gli effetti; si piazzò in casa della vecchia ‘suocera’ e in un amen diventò padrona e dominatrice assoluta; gestiva la cascina del marito come se da sempre avesse fatto solo quello e dirigeva i lavori dell’ampia distesa di campi di cui era diventata padrona; fece impazzire il ragazzo sin dai primi approcci, quando gli spiegò come si baciava, come si accarezzavano il viso, i seni, il ventre, la vulva; lo fece copulare e dovette sostenerlo quando svenne.
Riprese a vestire alla moda, a truccarsi e a splendere; aprì un banco in piazza e vendeva ortaggi a chilometro zero con splendidi risultati; forse aveva trovato la sua strada; non aveva neppure bisogno di andare a cercarsi mazze che la facessero godere perché l’uomo che sposò civilmente dopo pochi mesi aveva una dotazione che chiunque avrebbe invidiato ed era felice di sollazzarsi anche più volte al giorno; fare sesso con un amante maturo nel fisico ma infantile nei comportamenti e con gli ormoni sempre a palla costituì per lei una realtà rivoluzionaria.
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Anche io e Daria, dopo la sanzione del divorzio, ci sposammo, vivevamo felici nella nostra casa e decidemmo alla fine di andare a trovare i miei genitori al paesello, dove fummo accolti con grandi abbracci ed indicibili manifestazioni di affetto; trovai i vecchi amici che non davano più nessun peso al passato ed alla presenza contemporanea dei due ex fidanzatini modello nella stessa piazza con compagni profondamente diversi.
Daria decise di andare a fare spese per il pranzo in casa e necessariamente passò dal banco di Lucia; il contrasto era fin troppo evidente, tra la signora di città abituata ad una vita di società moderna e nuova e la vecchia campagnola, tornata alle origini e ad una bellezza indiscussa ma con la patina della contadina; di più, il bambino che Daria recava in braccio era, in quella civiltà, un grande segno di prestigio che sembrava condannare la povera Lucia a un ruolo subalterno.
Si abbracciarono come era giusto tra due vecchie amiche, per scambiarsi notizie, emozioni e pettegolezzi; Lucia chiese a sua sorella di sostituirla al banco e andò via con l’amica; sembrava davvero felice; ma gli occhi erano pieni di lacrime.
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