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Come ogni notte-(for the right audience)


di ArchieCooper
22.02.2024    |    1.884    |    1 9.4
"A lui feci la mia prima e unica pompa..."

2014
Clara varca la soglia e mi sorride, mentre io vorrei solo sparire. Sua sorella è con lei, la aiuta a portare dentro i bagagli. Ridono, lei si avvicina al divano e mi da un bacio. Spengo la TV e la abbraccio con delicatezza, ho sempre paura di poter far male al bambino. Guardo il suo pancione rotondo e ripenso alla sera prima. Ho tradito due persone, lei e mio figlio, che ancora non conosco.
Non pensavo di essere così. Una cosa del genere era successa solo una volta in secondo superiore. Uno dei pomeriggi a casa di Marchino, il mio compagno di banco, mentre guardavamo su internet foto di donne nude lui mi aveva chiesto di confrontare i nostri arnesi. E senza ricordarmi come di lì a poco era finito a succhiarmi l’uccello. Era una cosa che desideravamo entrambi. Non si è mai ripetuta e il giorno dopo a scuola io e Marchino cambiammo posto.
Con Clara ci siamo conosciuti il primo anno e per me ultimo di Università. Studiare non faceva per me, lei è riuscita invece a completare gli studi e ha trovato subito lavoro presso uno studio di commercialisti. Quest’anno compiamo il dodicesimo anniversario di fidanzamento, il primo di matrimonio e fra poco diventeremo genitori. Ho avuto anche un altro paio di ragazze prima di lei e se ogni tanto ripensavo al pomeriggio con Marchino vedevo la cosa solo come un episodio adolescenziale che magari è capitato anche ad altri ragazzi.
Da quattro mesi Stefano è stato assunto al supermercato dove lavoro. All’inizio ero un po’ diffidente verso il suo essere così estroverso, ma vedendo che teneva la mani al loro posto siamo pian piano diventati amici. Mi faceva ridere. Secco come un chiodo, con l’andatura sculettante, i capelli ricci raccolti in una coda. Ha la particolarità che quando ti parla gradualmente si avvicina con la testa verso di te, quasi a cavarti un occhio con il suo nasone. Negli ultimi due mesi era venuto pure a cena a casa nostra ogni settimana. Teneva su la conversazione, sorrideva sempre e parlava tantissimo con Clara. E soprattutto era un ottimo espediente. Da quando Clara mi aveva detto di essere incinta mi ero messo paura. Non so cosa mi stesse succedendo, ma mi veniva difficile parlare con lei, mi sentivo a disagio. Quel fine settimana Clara era andata con sua sorella a trovare i genitori al paese, io invece avevo il turno di sabato.
E successe l’inriparabile. Finito il turno io e Stefano siamo andati a farci una birra al pub sotto casa. Mi venne spontaneo invitarlo a farmi compagnia per cena. Non avevo doppi fini e non pensavo che lui ne avesse. Non mi aveva mai provocato, era in buoni rapporti con Clara. Non lo ritenevo una minaccia. Va a finire che ci facciamo un paio di pizze surgelate e beviamo altra birra e quando finisce apriamo una bottiglia di vino. E quando non abbiamo più niente da raccontarci si finisce a parlare della gravidanza.
“Certo Gianlù che te ce vedo proprio a fà il padre, anche se pari più pischello de me che me so’ diplomato l’anno scorso.”
Gli sorrido debolmente, l’alcool mi sta annichilendo un po’.
Sento che Stefano è un buon amico, che posso aprirmi completamente con lui. E poi quelli come lui ti convincono a raccontarti le cose. Si vede che ascoltano e sono interessati. E così diedi parole alle mie paure: che forse eravamo ancora troppo giovani, che c’erano ancora cose che avremmo voluto fare e posti che avremmo voluto vedere prima di dedicarci a un figlio. Gli raccontati che avevo paura di non dormire la notte per i pianti del bambino e poi di non farcela a lavoro. Ma soprattutto avevo paura di non essere all’altezza del ruolo, di non saper fare il padre.
“Ma no Gianlù, stai calmo, vedrai che andrà tutto bene” e poggiò la sua mano sulla mia accarezzandomela col pollice. Lo lasciai fare, mi diede la sensazione di un atto fraterno, consolatorio. Mi sembrava un gesto affettuoso.
Ci spostammo sul divano a vedere un film. Lui era molto concentrato sul dramma scadente di Netflix, io però percepivo una strana tensione. Non che mi sentissi a disagio, ero però elettrizzato, il respiro mi si stava facendo più caldo. Chiusi gli occhi e cercai di mettermi a sonnecchiare. Lentamente, per gradi scivolari verso Stefano e poggiai la testa sulla sua spalla, la mia gamba a contatto con la sua. A un certo punto sentii il suo braccio che mi circondava le spalle, ma non avevo il coraggio di aprire gli occhi, soprattutto perchè non solo mi era diventato duro, ma sentivo anche una leggera eiaculazione contro le mutande.
Si mise ad accarezzarmi i capelli.
“Cha fai?” chiesi con voce sonnecchiante.
“Niente” mi rispose ridendo.
Aprii gli occhi. Mi guardava.
“Quanto sei bello, Gianlù.” E mi baciò. Ricambiai. Entrambi abbiamo delle labbra carnose e il vigore delle nostre lingue era in sintonia come non lo era stata con nessuna delle ragazze che avevo avuto e neanche con Clara. Non pensavo più a lei in quel momento, ero molto eccitato, rassicurato dalle mie paure, le mie ansie erano svanite.
“Te posso fà na pompa Gianlù?” mi chiese staccandosi dalla mia bocca. I suoi occhietti neri imploravano, non risposi.
Intanto mi accarezzava sui jeans dove pulsava la mia erezione.
“Te prego succhiamelo Ste” sibilai con un filo di voce eccitata.
Mi tirò giù la zip, mi sbottonò e prese a menarmi il cazzo.
“Fai piano sennò me fai venì” sibilai.
E dopo esserci baciati ancora cominciò a succhiarmelo. Clara non era tipa da fare queste cose. Glielo dovevo sempre chiedere e smetteva dopo poco perchè le faceva male la bocca.
Stefano invece arrivava fino alla base e risucchiava con un forte rumore. Non solo mi stava facendo un pompino, ma non credo che proverò mai un pompino migliore in vita mia. Era come se mi stesse risucchiando per intero, sentivo di stare per venire da un momento all’altro.
Quando ne fui sicuro gli chiesi di togliersi, ma lui continuava, non si voleva staccare. Lo tirai via per i capelli mentre il mio cazzo schizava a litri. Gli finì ovunque: sulla faccia, sulla maglietta e sui capelli.
“Porcozzio Stè”. Ansimavo, ero sudatissimo.
“Lo volevo ingoià tutto Gianlù, perchè mi hai tirato via?” chiese ansiamando più di me. Stava riprendendo il respiro, non si era letteralmente staccato un attimo dal mio uccello.
“Vatte a lavà” gli dico.
Mentre si fa la doccia guardo la TV e non penso a Clara. Ho bevuto troppo, non mi sento in colpa. Quello che è appena successo mi lascia indifferente. Non ci sono, le mie preoccupazioni non esistono più, finalmente io non esisto più.
Stefano intanto è gia da mezz’ora sotto la doccia e io devo pisciare. Entro in bagno.
“Ma che devi finì l’acqua al palazzo?” gli chiedo.
Lo vedo nudo per la prima volta. Quel corpo secco è bellissimo. Non è uno scheletro, nonostante sia magrissimo tutti i suoi muscoli sono ben definiti. Il suo culetto è piccolo e sodo, sembra fragilissimo. Quando si gira la cosa che mi lascia più impressionato è la proboscide che ha fra le gambe. Non è in erezione, ma da moscio gli arriva quasi fino al ginocchio.
Nota che ho strabuzzato gli occhi e mi chiede se voglio assaggiarlo. Gli dico di no, di sbrigarsi che devo pisciare, mi stavo innervosendo.
Si siede per terra nel vano doccia.
“E allora pisciame addosso” dice guardandomi fisso negli occhi.
E mentre lo faccio continua a guardarmi negli occhi. Tiene la bocca aperta per accogliere la mia urina, gli arriva sui capelli, nel naso. Gli sciovola su quei begli addominali e a me torna duro.
Entro dentro la doccia.
“Che vuoi fa?” mi chiede mentre lo tiro su e lo giro di spalle.
“C’è che te voglio nculà a sangue, te voglio” e accompagno il mio cazzo dentro il suo culo. Non trovo difficoltà e comincio a farmelo come un animale, si sta benissimo dentro di lui. Con una mano gli blocco il polso dietro la schiena e con l’altra gli afferro i capelli. Ho i vestiti fradici e attaccati adosso. Lui si mena quel suo uccello osceno e ansima di piacere. Quando vengo gli sbatto la testa contro il muro e viene pure lui.
Tutto questo è successo poco più di ventiquattro ore fa. Mi sono sentito sporco per tutto il giorno, non mi sono staccato dal divano e della TV. Clara è già andata a dormire. Quando andrò anche io mi sorriderà, mi darà un bacio e si volterà dall’altra parte così che io possa abbracciarla. Come ogni notte.

2016
Ieri nostro fliglio ha compiuto due anni.
Dopo quella sera non si è più replicato nulla con Stefano, almeno fino a due giorni fa. Chiaramente da quella volta le cose non sono mai tornate come prima. Lui non è più tornato a cena da noi, a lavoro c’era un po’ di imbarazzo, fino a non parlarsi più. E poi è sparito. Si è licenziato da un giorno all’altro, senza salutare. Ho provato a chiamarlo, gli ho scritto tanto per sapere che fine avesse fatto, ma non mi ha mai risposto.
Poi sono diventato padre e da quel giorno Stefano sparì per sempre dalla mia testa. Le mie ansie sulla paternità si rivelarono tutte infondate. Fui felice dal primo momento che lo vidi. Clara conto ogni aspettativa era diventata praticamente intrattabile. Non so se fosse una depressione post-parto, ma era diventata aggressiva, cinica, sempre scocciata. Un paio di volte, quando andava con la sorella dai loro genitori ero andato in un cruising. La prima volta mi ero scopato due uomini grandi il doppio di me in una notte. La seconda volta feci l’amore per tutta la notte con un francesino. A lui feci la mia prima e unica pompa. Mi è piaciuto il sapore dello sperma. Mi è piaciuto trovarmi con la sborra che mi colava dall’angolo della bocca. Il senso di colpa però mi devastava e soprattutto non avevo più provato quel senso di protezione fraterna che mi aveva dato Stefano, nè avevo più sentito un’animalità così forte come quella volta che lui mi aveva fatto perdere la testa.
Mi si presentò davanti il giorno dello scarico merci. Fu come se apparisse un fantasma. Rimasi a bocca aperta nel vederlo. Il suo abbigliamento era più maturo, indossava una bella giacca sportiva blu e dei jeans. Si era tagliato un po’ i capelli. Tanta la sorpresa, non mi feci subito domande sul suo occhio pesto.
“Bella Gianlù, come stai?”
Lo andai ad abbracciare. Ero così felice di rivedere il mio vecchio amico.
A pausa pranzammo insieme. Gli feci vedere le foto del pupo, chiacchierammo del più e del meno. Lui mi raccontò che lavorava in macelleria dallo zio adesso. Il cugino si era trasferito in Svizzera con la moglie e si era liberato un posto. Ero veramente contento.
“E all’occhio? Che ti sei fatto?”
Fece un sorriso furbetto, cercando di nasconderselo con una mano.
“Eh, sò disavventure Gianlù!”
“Ma ti hanno menato?”
“No, no. È stata una cosa a letto.”
“Ah.”
Qui mi ammutolii. Non sapevo come continuare. Fino a quel momento era stato un pranzo con Stefano, il vecchio collega e amico, la parte in cui avevo avuto modo di conoscerlo sessualmente era in qualche modo stata omessa dal contesto.
Si accorse del mio imbarazzo, quindi prese a parlare a bassa voce.
“Gianlù, me dispiace se se semo allontanati e non t’ho mai risposto. Però stavi a diventà padre, quella sera non c’abbiamo capito niente di quello che è successo. Non te volevo creà disagi.”
“Certo... E allora perchè sei voluto passà? Solo pe’ farme un saluto?”
“Sì, te volevo salutà, mica sto a fa niente di male.”
Rimanemmo di nuovo in silenzio, non sapevamo come continuare. Adesso era in imbarazzo pure lui.
Trovò lui il coraggio di riaprire bocca per primo. “Me sei mancato tanto Gianlù.”
Ci guardammo negli occhi per un altro po’ in silenzio.
“Anche te” sussurrai. Avevo pensato di dirlo a voce bassa, ma i suoni mi si erano quasi bloccati in gola. Mi fece male alla gola dirlo.
“Ah, sì?” e sorridendo, ma con gli occhi spaventati prese ad arricciarsi i capelli con le dita. “Te va de vede’ casa mia dopo il lavoro?”
Mi accorsi che avevo preso a giochicchiare in maniera nervosa con uno stuzzicadenti. Da quanto tempo?
“Mi spiace Ste. Clara mi aspetta per cena.”
“Ok... E domani?”
“Famme organizzà. Ti chiamo io.”
E arrivò il venerdì sera della partenza di Clara per il paese dei suoi. Io li avrei raggiunti domenica per il compleanno di nostro figlio.
Chiamai Stefano e mi feci dare il suo indirizzo. Dopo il lavoro presi l’autobus per raggiungere casa sua. Era già buio.
Mi aprì la porta in pantaloncini e canotta. La luce dentro l’appartamento era soffusa.
Entrato in casa rimanemmo uno in piedi davanti all’altro. Lui mi fissava, io mi guardavo le scarpe con le mani ficcate nelle tasche dei jeans. Mi batteva fortissimo il cuore.
Si allungò verso di me e mi sfilò il giubbotto di pelle. Lo guardai negli occhi. Con i suoi fissi nei miei mi allungò una mano sul pacco e prese a massaggiarmelo. Mi attrasse verso di sè e ci scambiammo un bacio sulla bocca. Lento. Nello stesso momento le nostre lingue entrarono ognuna nella bocca dell’altro e fu allora che con delicatezza lo presi per i fianchi e lo strinsi a me. Passò qualche minuto ed eravamo ancora lì con le nostre lingue in bocca. La punta del cazzo che già mi si era bagnata per l’eccitazione. Io intanto avevo infilato una mano nei suoi pantaloncini e a menargli piano quell’uccello enorme.
Quando ci staccammo mi sorrise.
“Andiamo sul letto?” mi chiese.
Mentre lo seguivo verso la camera da letto gli ravanavo il culo.
Si sdraiò sul letto e si tolse la canotta. Io mi tolsi il maglione e mi sbottonai la camicia. Mentre mi slacciavo la cintura mi mise un piede sul pacco rigonfio.
“Gianlù sai come me sò fatto st’occhio nero?”
“Eh.”
“Uno mentre gliò stavo a succhià m’ha datto un cazzotto.”
“Ma che stai a dì?” chiesi preoccupato.
Fece segno di no con la testa. “No, non stai a capì Gianlù.”
Avevo ancora la cintura in mano. La guardò.
“Gianlù... pijà quella cintura e mename, ti prego.”
“Ma che cazzo stai a dì Ste, non lo posso fare.”
“Gianlù, c’ho na voglia. Ti prego picchiame, famme male.” La sua voce era aspirata, piena di desiderio. E mentre parlava si contorceva sul letto facendo pressione col piede sul mio cazzo.
Il suo corpo si piegava sinuoso, i suoi addominali, i suoi pettorali, i suoi bicipiti mentre metteva le mani dietro la testa.
Diedi un primo colpo molto fiacco su un capezzolo.
“No, dai. Famme male” e col piede spingeva sul mio cazzo.
Provai a dare un secondo colpo sempre leggero. Ridacchiavo.
“Gianlù sul serio. Famme male.”
Esitai un attimo. Mi presi coraggio. Mirai su quei pettorali definiti e mollai un colpo deciso.
“Ah, sì! Ah” e si contorceva. Il piede spingeva e la mia erezione sembrava triplicarsi. Ne mollai un secondo sotto l’ascella. Stefano tremò. La sua bocca vibrò senza emettere suono.
Un terzo sugli addominali.
“Sì, sì!”
Un quarto e un quinto a casaccio. Notai che i suoi pantaloncini al centro erano fradici.
“Sì, ti prego. Mename Gianlù, mename!”
E presi ad andare giù pesante, riempiendogli tutto il corpo di cinghiate. Si contorceva e spingeva col piede sul mio cazzo. Dopo poco fui costretto a cedere tanto ero eccitato. Non ci capivo più niente. Era peggio della scorsa volta. Non avevo più il controllo su me stesso. Il braccio andava e cintura colpiva. Non avevo più sangue nel corpo, ma lava. Mi fermai solo quando per sbaglio mirai male e invece di colpirlo sul collo lo beccai sulla bocca.
“Cazzo!” urlò portandosi le mani al volto.
Mi piegai su di lui. “Oh, che cazzo. Mi spiace, ti ha fatto male?”
Si scostò le mani. Un rivolo di sangue gli colava dalla bocca. Le sue labbra erano rosse. Leccò il rivolo guardandomi voglioso. Gli ficcai la lingua in bocca. Ognuno con le mani avvinghiate ai capelli dell’altro.
Poi gli tirai giù i pantaloncini, sputai sul mio cazzo e lo afferrai per le cosce di quel corpo martoriato e livido. Glielo ficcai dentro e presi a scoparmelo velocemente. Uscivo per intero col cazzo e glielo ributtavo dentro come se stessi correndo in una maratona. Lui si masturbava. Era veramente impressionante quanto era grosso il suo. Non scherzo quando dico che dovevano essere più di trenta centimetri.
Il nostro respiro era sincronizzato. Quando stavo per venire lo tirai fuori e cercai di succhiarglielo mentre mi masturbavo. Inutile dire che a mala pena mi stava in bocca la cappella. Quando venne sborrai anche io. Non ingoiai, glielo risputai sul pene e me lo rimisi in bocca per un tempo infinito. Mi piaceva troppo il sapore dello sperma. E in uno spazio controllato come quello avevo tutto il tempo che volevo per gustarmelo.
Per cena riscaldò una vellutata di cavolfiore. Mi portò una ciotola piena e quasi stabordante. Ci addormentammo stanchi, nudi e abbracciati.
La mattina dopo mi portò il caffè al letto. Mi svegliò di buon ora. Giusto per avere un paio d’ore prima che andassi a lavoro.
Sorseggiai il caffè mentre lui mi faceva uno di quei suoi spettacolari bocchini brevettati. Quanto mi era mancata la sua bocca, lo scroscio della sua saliva e il non staccarsi mai dal mio cazzo. Stavolta gli venni in bocca e glielo lasciai ingoiare tutto. Quando si staccò non c’era neanche una goccia.
“E tu non vieni?” gli domandai.
Si sdraiò affianco a me.
“Te voglio troppo chiede na cosa Gianlù”
Il suo pene era in erezione. Lo guardai spaventato.
“No, non è quello che pensi.”
Non capivo. Mi sussurrò all’orecchio.
Mi misi a ridere.
“Ma che stai a scherzà?”
Lui mi guardava serio “Gianlù, oramai ho capito come sei. Ti prego sai anche tu che c’hai una connessione speciale con me. E ho capito che lo vorresi anche tu.”
Mi feci serio pure io. “E dove lo vorresti?”
“Sul punto che te piace de più.”
Guardai il suo corpo. Era tutto bello. Mi soffermai soprattutto sui suoi addominali. Erano belli, definiti, segnati dalle cinghiate della sera prima erano cosparsi di fantasie viola. Allora decido di accovacciarmi sulla sua pancia. Questa nuova esperienza mi porta a una strana condizione di paura. Sento solo il battito del mio cuore, mentre le gambe mi tremano un po’.
Il primo stronzo si fa strada a fatica. È grosso e lungo e quando casca sui suoi addominali lui prende a masturbarsi e ad ansimare. Con una scorreggia lancio altri due fiotti meno solidi, tant’è che si sporcano le lenzuola e qualcosa mi arriva pure su un piede.
“Oh, sì, sì. Dammene ancora” fa lui.
Con sforzo faccio uscire un alto piccolo paio di pallette e un finisco con una scarica abbondante e morbida.
Lo sento ansimare in estasi.
“Adesso sciaquame il culo, troia.” gli faccio e mi metto a sedere sulla sua bocca. Lui prende a brucarmi il culo e ci mette un attimo a tornarmi duro. Ghiotto lecca e morde continuando a masturbarsi. La sua lingua mi fa letteralmente impazzire, la nuova sensazione mi fa faire moine che avevo sentito fare solo alle ragazze. È la prima volta che qualcuno mi lecca il culo. Viene e il suo primo schizzo va così in alto da arrivarmi sulla labbra. Il suo seme si mischia con le mia merda, perdendosi in essa e rendendola luccicante.
Ma ciò che più mi sorprende è la mia di eiaculazione. Sborro a quintali. Non ho mai eiaculato così tanto in vita mia. Gli inondo il petto. Giuro di aver lanciato almeno sei fiotti abbondanti.
Mio figlio e Clara dormono. Io non mi sento in colpa. Non voglio smettere di vedere Stefano. Non voglio diventare un cattivo padre. Sono fiero di quello che sono. Questa lussuria segreta mi eccita. A differenza delle altre notti questa volta mi sento bene con me stesso.

2018
Citofono. Ho il cuore sotto le scarpe. Sono stati due anni magnifici, ma è giunto il momento. È l’ultima volta che ci vedremo.
Non è servito molto perchè Clara ci scoprisse. Ormai sono mesi che vanno avanti le grida, la terapia di coppia, io che esco di casa e vado da Stefano mentre lei mi lancia addosso oggetti e nostro figlio piange. Nessuno dei due ha avuto però il coraggio di andarsene. Questo vorrà dire qualcosa. Nostro figlio che piange e si fa la pipì addosso vorrà dire qualcosa.
Io e Clara negli ultimi giorni abbiamo preso a rifare l’amore. Non sesso, ma amore, con sentimento. Ma non c’è ancora nulla di risolto. Siamo appena al principio, stiamo appena cominciando a ritrovarci. E contemporaneamente ho visto Stefano e gli ho spiegato che presto l’ultima volta sarebbe arrivata.
Apre la porta. Ha già il volto distrutto dalle lacrime. È scalzo, indossa solo un paio di slip blu scuro con l’eslastico. Tiene le mani sotto il collo come a volersi proteggere. Lo guardo negli occhi, gli carezzo il volto. Sono io a baciarlo. Il suo bacio s’infrange contro le mie labbra. Si mette a piangere.
“Non voglio perderti.” mi dice.
Scende una lacrima anche a me, tiro su col naso.
“Me lo fai il caffè?”
Siamo seduti sul divano del suo salottino, uno di fianco all’altro. Beviamo il caffè e rimaniamo in silenzio. Nessuno dei due ha il coraggio di parlare. Nessuno dei due vuole credere a quello che sta succedendo.
Inizio io “Allora, come va a lavoro?”
Sbuffa. “Come va? Come vuoi che vada? So’ giorni che sto a piangere, manco una risposta al telefono.”
Lo fisso, ci mette tempo a ricambiare il mio sguardo. Gli sorrido.
“Bella faccia da cazzo che c’hai.” mi fa. Con uno scatto appoggia la sua fronte sulla mia “Ma perchè se stamo a lascià, mo’ spieghi?”
Mi alzo. Cosa gli devo dire? “Nun pensà che a me non fa male. Sò stati i due anni più belli della mia vita.”
E allora riprende a piangere più di prima e a urlare. “E allora perchè mi vuoi lasciare? Perchè non possiamo stare insieme?”
“Ma te te rendi conto che io c’ho un figlio? Te rendi conto che non posso mannà a puttane la mia famiglia?”
“Allora ami lei.”
“Certo che la amo. Stiamo insieme che eravamo pischelli.”
“Mi fai schifo.” scandisce senza guardarmi in faccia. “Io ero un divertimento.”
Perdo la pazienza. “Stè ma tu non sai quanto è doloroso per me. Sò mesi che stò a litigà, so mesi che c’ho mio figlio che sta a vedè i genitori che se scannano, ce manca poco che io e Clara se menamo. Devo scegliere, te o lei, te o lei. Non posso stare con entrambi.” E qui mi rendo conto che sto piangendo anch’io. “Tu... tu sei giovane. Hai tutto il tempo per riprenderti e innamorarti di nuovo. Ma io ho fatto delle scelte prima di stare con lei. Ho scelto di sposarla, ho scelto di avere un bambino con lei, de’ aprirme un cazzo de mutuo. De fà un lavoro de merda per costruirmi una famiglia, cristo iddio” e mollo un calcio al tavolino.
Adesso ha ripreso a guardami, i suoi occhi mi percorrono dall’alto in basso. Si rende conto delle condizioni in cui mi trovo.
“Ho sbagliato io, Gianlù?”
M’inginocchio davanati a lui, gli prendo il volto fra le mani. “Non ha sbagliato nessuno Stè. Se ‘amo sbagliato è un errore che abbiamo fatto in due. Quello che ti dico è che ce la farai a dimenticarmi. Tanto a parte scopare che ‘amo fatto sti due anni? Mai una cena insieme fuori, mai una vacanza. Te meriti una storia vera, no con mezzo frocio come me che manco sa che cazzo vuole.” E mi rendo conto che oltre a piangere sto urlando.
“E ‘ndo lo trovo un altro che me dà il cazzo come me lo dai te? Che me fa le cose che piacciono a me?”
Gli poggio una mano sul cuore. Parlo, ma la mia voce è roca per le lacrime “Qua sarò. Sarò sempre qua. E tu nel mio.”
Scattiamo uno verso l’altro e ci baciamo con passione. Le nostre lacrime si mischiano come le nostre lingue. Lo afferro per le cosce e lo tiro su. Lui si avvinghia con le gambe intorno al mio bacino e con le braccia dietro il mio collo.
Mentre andiamo verso la camera da letto le nostre bocche non si staccano. Nella stanza Alexa sta diffondendo a basso volume della musica rock. Mi sembra che il pezzo sia degli Who. Lo lancio sul letto e mi slaccio i pantaloni.
“Mettete a pecora, mettete. Stanotte te voglio fa’ strillà.”
Lui esegue e io gli tiro giù le mutande. Non mi tolgo i vestiti. Mi lubrifico il cazzo con la saliva e glielo metto dentro tutto in un colpo. Oramai conosco la strada ed essa è abituata ad accogliermi. Mentre lo trombo gode e mi guarda sospetto oltre la sua spalla. Non mi ha mai visto così. Sono preso da una strana furia. Affondo colpi ritmati col volto ancora coperto di lacrime, li dò tutti con forza ma piano, uno dopo l’altro. Affondo il mio cazzo con forza, esco e lo riaffondo.
“Nun me guardà” gli dico.
Volta finalmente la testa e prende a menarsi il suo mostruoso arnese. A un certo punto quando sento più calore mi attacco come un coniglio ai suoi fianchi. Lui tira su la schiena e volta quanto possibile la testa cercando la mia bocca che ricambia. Vengo. Le mie mani gli stanno stringendo i fianchi in maniera tale che probabilmente gli lasceranno dei lividi. Non voglio uscire.
“Gianlù, devo venire pure io” dice con un soffio di fiato.
Esco fuori di malavoglia e m’inginocchio. Mi tolgo la camicia e la canottiera e apro la bocca davanti al bestione. Sborra quasi con cattiveria inondandomi la faccia, finendomi negli occhi e fra i capelli. Tiro fuori la lingua per prenderne in bocca il più possibile. Mi lecco le labbra. Quanto è buono. Gli ripulisco la cappella finchè non ha smesso di eiaculare l’ultima goccia.
Ci facciamo la doccia insieme. Insaponandoci a vicenda con amore, senza dirci una parola.
Mi soffermo a insaponare quel cazzo gigantesco. Una volta mi disse di averlo misurato e che vantava quasi trentacinque centimentri.
La cosa mi spaventava, ma mi feci coraggio e glielo chiesi. “Ti andrebbe se...”
“Se?”
“Se stavolta entrassi tu dentro di me?”
“Gianlù ma voi finì all’ospedale?”
“Nun me ne vojo andà senza averlo provato.”
Si fece serio. “Allora è davvero l’ultima volta che ci vediamo.”
Sono sdraiato nudo a pancia sotto sul letto di Stefano. La prima leccata al buco del culo è sempre la più bella. È una cosa che mi fa impazzire e poi Stefano è bravissimo. Si vede proprio che gli piace. Con le mani allarga le mie chiappe pelose e affonda dentro la punta muovendola su e giù. Poi mette dentro un dito. È strano, mi da un po’ di fastidio, ma come arriva il secondo inzia a piacermi. Con delicatezza ci mette un quarto d’ora prima di far entrare anche anulare e mignolo e comincia a scuotere le dita dentro il mio culo sempre facendosi strada con la lingua. Gemo e spingo il mio ano contro la sua faccia.
Mi chiede se mi sento pronto. Rispondo di sì. Lubrifica il suo cazzo con abbondante gel e poi ne introduce molto di più nel mio culo. Mi mette un cuscino sotto la pancia e comincia. La cappella entra e fin lì tutto bene. Sta facendo molto piano. Ma come va più avanti sento una serie di coltelli salirmi su per la schiena e lo spingo via.
“Forse sarebbe meglio se ti sedessi su di me” mi propone. Si siede sul letto e mi accovaccio sopra di lui. Lubrifichiamo ancora. Va meglio. Riesco a far entrare quanto posso muovendomi su e giù. Sempre piano e in un bagno di sudore perchè il dolore è ancora tanto.
A un certo punto mi rendo conto di essere arrivato alla base.
Ho gli occhi chiusi. Sento la voce di Stefano dirmi che sono bravissimo e mi bacia sulla bocca. Adesso che è tutto dentro si sdraia ed è lui a dare il ritmo. Il dolore non c’è più e inzia a esserci il piacere. Ogni colpo di cazzo mi fa sentire bene lungo tutto il corpo, così decido di menarmelo. Dopo un po’ questa nuova sensazione mi ha conquistato, sono eccitatissimo, mi muovo sopra di lui ed emetto dei versi da donna che neanche Clara aveva mai fatto.
Intanto Alexa diffonde i Queen adesso. Riconosco il pezzo. È quello con David Bowie.
“Pressure pushin’ down on me,
Pressin down on you, no man ask for.”
Lo prego di darmelo più forte e lui aumenta l’intensità dei colpi. Sento che il cazzo sta esplodermi, ma non per la frizione che gli sta dando la mia mano. Sta per esplodere per qualcosa che viene da dentro.
“Caring about us,
so this is our last dance,
This is our last dance,
This is ouserlves.”
Le dita dei piedi si contraggono e inizio a tremare. Allo stesso tempo mi accorgo che ogni muscolo del mio corpo si distende. La mia mano ha smesso di muoversi, ma il mio cazzo sborra un fiotto, poi un secondo e infine un terzo sugli addominali definiti di Stefano. Allora lui tira fuori il cazzo e prende a menarselo.
“No ti prego, vienimi dentro” gli faccio.
“No.” mi risponde lui solenne e mi guarda fisso negli occhi. “Dovrai tornare e implorarmi.”
Sono due giorni che il buco del culo mi va a a fuoco. Mi ha fatto male stare sdraiato per tutta la notte quando l’ho preso. Clara si è insospettita e isterica ha fatto i bagagli. Ha preso nostro figlio e se n’è andata via in pigiama nella notte. L’ho convinta a tornare a casa. Stanotte rientrerà. Stefano non ha mai provato a chiamarmi ancora e probabilmente non lo farà.
Quando ero bambino facevo giochi da bambino.
Adesso che sono adulto non posso più giocare.
Clara tornerà a casa e invecchieremo insieme. Nostro figlio crescerà e piangerà ancora ancora ancora e ancora. Finchè la vita non darà almeno a lui quello che vuole.
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