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Gay & Bisex

Cappuccetto Grosso


di adad
20.07.2022    |    11.592    |    11 9.4
"Aveva diciassette anni, Alvin, bellino di volto, ma gracile e mingherlino di aspetto, che uno gliene avrebbe dati al massimo quattordici..."
[Questo racconto è una cavolata, ma mi sono divertito a scriverlo, così ve lo propongo lo stesso]

Ad Alvin piaceva passeggiare nel bosco. Appena aveva un momento libero dallo studio o dalle altre attività, prendeva il suo zainetto. con un panino e una lattina di coca, e se ne andava scorrazzando per quei boschi, che conosceva ormai a menadito… quasi tutti, per lo meno, perché c’erano alcuni angoli, in cui la prudenza gli consigliava di non inoltrarsi.
No, no, non immaginate adesso anfratti tenebrosi, infestati da orchi o da streghe maligne: queste sono baggianate, favole per bambini: la Baba Jaga con la sua capanna di marzapane aveva smesso da un pezzo di attirare ingenui bambocci per mangiarseli in brodo.
Semplicemente, si trattava di zone di bosco talmente intricate da rami morti, che più nessuno raccoglieva, e cespugli di rovi, che Alvin era abbastanza saggio da evitare, se non altro per non rovinarsi la sua magnifica felpa con cappuccio di un rosso fiammante, che la nonna gli aveva regalato per l’ultimo Natale.
Aveva diciassette anni, Alvin, bellino di volto, ma gracile e mingherlino di aspetto, che uno gliene avrebbe dati al massimo quattordici. Ciò nonostante, era dotato di una fervida intelligenza e di una spigliatezza, che lo rendeva all’occorrenza sfrontato e spudorato. Aveva anche altre doti, più grandi della sua età, ma è tutta un’altra storia
Pure quel giorno Alvin era uscito a gironzolare nel bosco, con l’immancabile felpa rossa, da cui non si separava mai; arrivato, però, ai margini della zona proibita, chissà quale diavoletto gli suggerì l’idea di andare a vedere cosa c’era dall’altra della folta siepe che gli sbarrava la strada.
La prudenza gli consigliò ancora una volta di non farlo: non conosceva quella parte del bosco, rischiava di perdersi e finire chissà dove, per non parlare degli strappi che rischiava di procurare alla bella felpa rossa della nonna; ma il diavoletto sapeva il fatto suo, così non ci mise molto a convincere quel ragazzino avventuroso; il quale, dopo aver ben esaminato la siepe con occhio esperto, riuscì a individuare un passaggio, per quanto stretto e difficoltoso, che gli avrebbe permesso di superare l’ostacolo..
Raccolto, allora, un ramo spezzato, lo ripulì alla meglio e ci si fece un bastone, con cui si aiutò ad aprirsi la strada nello spinoso passaggio. E così, dopo una strenua lotta con i rami spinosi e non pochi graffi sulle braccia e sulle gambe (la siepe, infatti, si era difesa accanitamente, trapassando come il burro il tessuto dei pantaloni) Alvin si ritrovò dall’altra parte. Si rimise la felpa, che aveva avuto l’accortezza di togliersi e portare affagottata, sotto un braccio, e si inoltrò per quel terreno vergine, che nessun piede umano aveva presumibilmente mai calpestato.
In realtà, non c’era niente di particolare in questi nuovi territori, che li rendesse in qualche modo diversi dagli altri: stessi alberi annosi, stessi rami spezzati dai fulmini, stessi cespugli spinosi… ma Alvin vi si inoltrò con gli occhi colmi di meraviglia, per il semplice fatto di essere il primo a vederli.
A colpirlo in modo particolare fu il silenzio, un silenzio spettrale, appena smorzato ogni tanto da un refolo di vento che agitava le foglioline e i rametti più teneri sugli alberi. Camminava da un po’ perso nei suoi pensieri, quando fu attirato da un tonfo in lontananza, un tonfo regolare, un colpo secco, come un martello su una superficie dura.
Sul momento sentì accapponarglisi la pelle, per via delle tante storie che una
nonna amorosa gli aveva raccontato; ma presto questi pensieri furono spazzati via dal suo scettico positivismo giovanile.
Armato di questa corazza, Alvin si volse a quella direzione, sentendo ad ogni passo diventare più forte il rumore, fino a trovarsi di fronte un boscaiolo che, maneggiando con forza un’enorme scure, era a buon punto di abbattere un albero. Il boscaiolo gli dava le spalle e non si era accorto del suo arrivo, per cui Alvin rimase un momento ad ammirare quell’omone robusto a torso nudo, i muscoli della schiena che guizzavano lucidi di sudore ad ogni colpo… i fianchi stretti e le cosce che si indovinavano poderose sotto i calzonacci sdruciti che indossava. Rimase ad ammirare l’arco luccicante dell’ascia compiuto dall’ascia, prima di abbattersi sul tronco già mezzo smozzicato.
Alla fine, tossicchiò un paio di volte, per annunciare la sua presenza. L’altro fece un sobbalzo e si voltò di scatto, sulla difensiva, impugnando saldamente la scure con entrambe le mani. Forse aveva temuto che si trattasse di un orso, ma quando vide che era un ragazzino, sorrise sornione e appoggiò la testa dell’ascia a terra, appoggiandosi al manico e facendo così guizzare i forti pettorali pelosi.
“Ehilà, - fece – e tu chi sei?”
“Mi chiamo Alvin.”, rispose lui e, da ragazzo educato qual era, si fece avanti, porgendogli la mano.
“Molto piacere, Alvin, io mi chiamo Lupo.”
“Come il lupo cattivo delle favole?”, scherzò il ragazzo.
“Eh, già! – fece Lupo, digrignando i denti in un sorriso, che voleva essere amichevole – e tu dovresti avere paura di andare nei boschi con quella felpa rossa: hai mai sentito parlare di Cappuccetto Rosso?”
“E tu hai mai sentito parlare di Cappuccetto Grosso?”
“E chi sarebbe?”
“Ce l’hai davanti, fregnone!”
L’uomo non se la prese a quell’insulto, anzi ne sembrò strabiliato. Il fatto è che questo boscaiolo era un pericoloso pedofilo, fuggito tempo prima dal carcere di Crasnilowa, dove stava scontando l’ergastolo per avere stuprato più di mille ragazzini. Si può capire, allora, quanto si sentisse affascinato da questo con quell’aria così angelica e sfrontata.
“Quanti anni hai?”, gli chiese, facendo il piacione.
“Diciassette, perché”
“Oh, tanto per fare conversazione…”
Certo era un po’ troppo grande per i suoi gusti, ma con la fame che aveva, Lupo non poteva andare tanto per il sottile. E poi con quell’aspetto mingherlino, al massimo gliene avrebbe dati tredici, quattordici.
“Così, ti chiamano Cappuccetto Grosso.”, era un’affermazione, più che una domanda.
“Eggià.”
“E perché ti chiamano Cappuccetto Grosso?”
“Eheheheheheh…”
Lupo avvampò a quella inequivocabile risatina.
“Vorresti dire che...”
“Tu cosa pensi?”
“Penso che sei un ragazzino sfacciato e racconti un sacco di balle.”, rispose il boscaiolo, fingendo di riprendere l’ascia e tornare al lavoro.
Ora, se c’è una cosa, che Alvin non sopportava, era di non essere preso sul serio. Per cui, gli si avvicinò a muso duro, si sbottonò i pantaloni e gli scodellò davanti un cefalotto molle, da far invidia a molti di noi.
Abituato ai mignolini dei ragazzini che aveva stuprato, Lupo sgranò gli occhi.
“Accidenti, che sberla! – esclamò – ma è tutta roba tua?”
“Certo che è roba mia, fregnone! Toccalo, fammelo intostare e sentirai che roba.”
Lupo non se lo fece dire due volte: allungò la mano e prese quell’anguillotto molliccio, che in un lampo divenne un capitone lungo e duro, che quasi ci sfigurava in un ragazzino col fisico di un adolescente.
“Anvedi che roba…”, esclamò il boscaiolo, che era stato carcerato pure a Roma, a Regina Coeli.
“Scommetto che è più grosso del tuo.”, affermò imperterrito il ragazzino.
“Beh, questo è tutto da vedere…”, sbottò Lupo, lasciando andare quella prelibatezza, che a lui tutto sommato non interessava.
“Tiralo fuori, allora, vediamo!”, si inalberò Alvin.
Reputando utile averlo già fuori e pronto all’uso, per quando avrebbe allungato le mani e rimesso a posto quel ragazzino impudente, il boscaiolo si sbottonò i pantaloni, che gli scivolarono flosci alle caviglie ed estrasse dai mutandoni lerci un biscione carnoso di oltre quindici centimetri.
“Tutto lì? – fece Alvin – Il mio è quasi una volta e mezza.”
“Aspetta che te lo ficco nel culetto, ragazzino impiccioso, e allora vedremo…”, grugnì Lupo, facendo un passo avanti e allungando un braccio per ghermirlo.
Ma era impicciato dai pantaloni alle caviglie, per cui il ragazzo riuscì a sfuggirgli facilmente.
“Cosa vorresti fare? – prese a sfotterlo – Vorresti stuprarmi?”
“Voglio darti una lezione, stronzetto!”, ringhiò il boscaiolo, scalciando via i pantaloni e andandogli contro minaccioso.
“Va bene, va bene, mi arrendo.”, disse Alvin, alzando le mani, come aveva visto fare nei film.
Ancora una volta, il boscaiolo fu spiazzato: si era aspettato una fuga tra gli alberi, urla, strepiti, pianti e magari anche qualche sberlone per farlo tacere, tutte cose che costituiscono la soddisfazione maggiore per uno stupratore; e invece questo gli andava incontro con le mani alzate, come una vittima volontaria.
Il cazzo, che gli si era drizzato, pregustando il piacere della caccia e della conquista, gli si ammosciò di colpo, penzolandogli inerte fuori dall’apertura delle mutande.
“Se proprio ci tieni a violentarmi, - disse Alvin, andandogli vicino – non posso fare niente per impedirtelo, sono solo un ragazzino e tu sei più grande e molto più forte di me. E poi, se facessi resistenza, rischierei che mi ammazzi, giusto? O mi ammazzi lo stesso?”, chiese preoccupato.
“Se non fai resistenza, ti lascio andare…”, mugugnò il boscaiolo, il cui uccello cominciava a ringalluzzirsi alla prospettiva di perforare il culetto appetitoso del ragazzino.
“Non farò resistenza, te lo prometto. Urlerò solo un poco, perché penso che mi farai male con quel cazzone… Sono ancora vergine, sai… Però, vorrei chiederti una cosa, prima…”
“Spara.”
“Ecco… - continuò Alvin, avvicinandoglisi – io non ho mai fatto sesso, finora… e… visto che forse mi uccidi, mi piacerebbe… perdere almeno la verginità col tuo culone peloso…”, e fece per lisciargli la chiappa.
“Cosa? – avvampò Lupo, scostandosi di botto – Ma sei impazzito? Sono io che devo stuprare te, ragazzino, e non tu a me!”
“E su, dai… Che ti costa? - riprese a pregarlo Alvin - Scommetto che neanche te ne accorgi… Mi piacerebbe tanto… Come, stuprare io a te? – si interruppe meravigliato – Vorresti dirmi che sei vergine?”
“Certo, che sono vergine! – si inalberò il boscaiolo – Secondo te, sono un tipo che si fa inculare, io?”
“Certo che no! – concordò prontamente Alvin - Nemmeno io mi faccio inculare, se è per questo… Certo, adesso la situazione è diversa… tu mi prenderai con la forza… e forse mi uccidi… e non avrò più modo…”
“Senti, - fece alla fine Lupo spazientito – se dopo me lo faccio mettere, la finisci di fare tutte ste storie?”
“Come, dopo… E no: tu sei più forte di me, e con quel bestione lì chissà come mi riduci. Secondo te, sarei ancora in condizione di mettertelo? No, no, o comincio io o non se ne fa niente e dovrai violentarmi con la forza, ammesso che riesci a prendermi.”
“E se di dessi un’asciata in testa?”, disse trucemente il boscaiolo, afferrando la scure.
“Naaa… non sei il tipo. Certo, puoi farmi fuori, ma poi non mi violenti. Ho letto che a voi stupratori piace sentire la vittima che piange, che urla, che prega: un ragazzino morto… non ti verrebbe neanche duro.”
Aveva ragione: il suo divertimento maggiore era proprio costringere la vittima allo stupro, sopraffarla… cosa che avrebbe dovuto fare anche con questo qui, altro che storie!
“Sai che ti dico, allora? – obiettò – mi sa che non posso accettare in ogni caso la tua proposta, perché se ti sottometti volontariamente, non mi diverto: devo farti male per sentirmi appagato, lo sai.”
“Si mette proprio male per me, vero?”
“Mi sa di sì… vieni, ragazzino, vieni dal tuo fratellone, che adesso ti scasserò il culetto…”, e fece due passi avanti, allungando le mani per ghermirlo.
Alvin fece due passi indietro.
“Dai, non fare così… mi metti paura.”
“Ma tu devi aver paura. Voglio violentarti, ricordi?”
Alvin scoppiò a piangere.
“E poi mi ucciderai e morirò senza avere mai scopato…”
“Oh, che palle! E va bene, dai, basta che la finisci! Non ho mai faticato così tanto a stuprare un ragazzino.”
Così dicendo, Lupo si sfilò le mutande, si mise a quattro zampe, perché altrimenti Alvin non ci arrivava, e si allargò le chiappe, mettendo in mostra il buco del culo.
“Wow! – fece il ragazzo – è il primo buco che vedo… che strano… - e lo sfiorò con un dito – Puzza, però.”, disse dopo esserselo annusato.
“Beh, scusa tanto, ragazzino, ma nei boschi non esistono le docce. Ficcalo dentro e falla finita.”
“Un momento… ho bisogno di lubrificante…”
Gli andò davanti e gli avvicinò l’uccello alla bocca:
“Sputaci sopra, per favore, altrimenti rischio di farti male.”, gli chiese.
Quella delicatezza sorprese il boscaiolo, lui che se ne era sempre fottuto di queste accortezze e li aveva sempre sfondati senza alcun riguardo. Raccolse in bocca un grumo di saliva e glielo sputò sul glande sguainato. Alvin la sparse bene con un dito, poi gli si posizionò dietro, glielo poggiò dritto sull’orifizio e spinse dentro.
“Wow! Fantastico! – gridò esultante, mentre scivolava nel condotto, che si apriva a fatica – Cazzo, che bello! Sei caldissimo….”, e nella foga della prima volta, cominciò a fotterlo, prima ancora di essere arrivato in fondo.
Lupo, dal canto suo, sul momento grugnì, sentendo l’impaccio del pistone che lo perforava, presto però lo sfintere si abituò all’intrusore e cominciò a percepire quella certa piacevolezza, che il massaggio gli produceva sulla prostata col suo andirivieni. Ma soprattutto fu l’entusiasmo di Alvin a toccarlo… a intenerirlo: lui che aveva conosciuto solo la violenza, che aveva inflitto alle sue vittime sofferenza e morte, adesso si ritrovava ad essere uno strumento di piacere… Qualcuno stava godendo tramite lui, tramite il suo corpo… Anche lui però stava godendo: non poteva nascondersi il piacere che il cazzo del ragazzino gli stava procurando;
allora allungò dietro le mani e afferrò le chiappette vellutate del suo stupratore e cominciò a pastrugnarle, in preda ad un vero furore erotico. E più lui gli smanacciava il culo, più Alvin si infervorava a fotterlo, tanto che alla fine sembravano gli ingranaggi di un’unica, ansimante, macchina del piacere.
Quello che Alvin godeva sprofondando nelle carni ormai rotte di Lupo, lo godeva anche Lupo sentendosi vibrare nella carne viva l’uccello guizzante di Alvin.
Ma tutto ha una fine:
“Ah!... – gridò Alvin all’improvviso – mi sa che ci… sooo…no!”
E prima ancora che finisse di dirlo, già gli stava entusiasticamente sborrando nelle budella un notevole carico della sua sborra giovanile. L’orgasmo fu lungo, talmente lungo, che anche il boscaiolo stava per sborrare sotto le pulsazioni che gli sollecitavano la prostata; ma si trattenne, considerando il compito che lo aspettava.
Alvin gli scivolò fuori dal culo e si sedette a terra con l’uccello stremato.
Lupo gli si sedette accanto: la sborra, che colava fuori dal suo buco sfranto, gli dava una strana sensazione.
“Ti è piaciuto?”, gli chiese.
“E’ bellissimo…”, rispose il ragazzo e gli occhi gli brillavano di un’eccitazione impossibile da contenere.
Il boscaiolo ebbe un tuffo al cuore: come faccio a stuprarlo, adesso?, si chiese.
“Bene, tocca a te…”, disse Alvin, con una punta di tremarella.
Lupo lo guardò.
“Non adesso… - sorrise – non mi sembri abbastanza spaventato… Se mi prometti che tornerai, prima ti violento e… e poi ti lascio fare tutto quello che vuoi. Prometti che tornerai?”
“Accidenti, certo che prometto! Un’altra scopata nel tuo culo non voglio proprio perdermela!”
“Allora, fammi una sega, dai… per oggi, ti violento solo la mano…”, e gli passò un braccio sopra la spalla, stringendolo a sé, mentre Alvin gli impugnava il cazzo già tutto bavoso e iniziava lentamente a fare su e giù…




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