Racconti Erotici > tradimenti > In palestra con uno sconosciuto (parte 2)
tradimenti

In palestra con uno sconosciuto (parte 2)


di Milla90
13.05.2014    |    49.867    |    8 9.4
"Sento i suoi fiotti copiosi sulla mia lingua e sul palato..."
Quella notte non dormii molto. Ogni volta che prendevo sonno, rivivevo ciò che era accaduto negli spogliatoi della palestra. Avevo sentito Luca subito dopo, ma non ero riuscita a raccontargli la verità, gli avevo semplicemente detto che tutto andava bene e che ero molto stanca. E stanca lo ero davvero. Non ero mai stata usata come un oggetto, trattata come una cosa; ma ciò che quell’uomo indiano aveva fatto era stato esattamente quello. Non ero stata altro che un involucro.
Eppure… Eppure ero venuta. Ero venuta in maniera spropositata. Ero stata violentata e avevo goduto. Goduto come non mai in vita mia. Nemmeno Luca, con il quale ho sempre avuto un ottimo rapporto sessuale, era mai riuscito a farmi tremare come aveva fatto quello sconosciuto indiano. Non avevo mai avuto gli spasmi, ne avevo mai avuto difficoltà a camminare dopo aver fatto sesso. Invece quell’uomo era riuscito a provocarmi piacere per ben due volte in un lasso di tempo brevissimo. “Sono una puttana” mi dissi, avrei dovuto concentrarmi sulla denuncia e invece ancora ripensavo alle dimensioni del piacere spropositato che quell’uomo mi aveva regalato. Il giorno dopo però, sarei andata in palestra a chiedere i suoi dati per poterlo denunciare e convincermi (perché ormai di questo si trattava) di aver subito una violenza.

Mattina presto, lo staff apre ed io subito mi presento al bancone. Un po’ imbarazzata chiedo quale sia il nome dell’uomo indiano che spesso viene la sera.
- Non saprei proprio di chi tu stia parlando – mi risponde la ragazza alla cassa.
Glielo descrivo.
- Ah! – esclama, - L’uomo con il pancione. Quello che puzza un po’… Mi spiace, non posso darti i dati di nessuno nella palestra. Perché ne hai bisogno? Per cosa? -.
Io sgrano gli occhi, probabilmente divento paonazza e mi invento una scusa qualsiasi: - temo mi abbia rubato delle cose –.
- Quali cose? –
- … niente, risolverò da sola, grazie! – e fuggo. Vado negli spogliatoi per cambiarmi. Ci sono le donne delle pulizie, e noto che hanno già pulito le chiazze di umori e di sperma lasciate la sera prima. “Chissà sé se ne sono accorte” mi chiedo mentre comincio a svestirmi.
La mattinata passa lenta e non c’è un secondo che io non smetta di pensare a quell’uomo e a come fare per avere i suoi dati. Quando torno al mio armadietto, trovo un bigliettino infilato nella fessura sui bordi. Apro il lucchetto e poi l’anta. Il bigliettino scivola fuori.
“So che cerchi il modo per contattarmi, mi troverai in Via *** alle 17 di oggi pomeriggio. Citofona il numero 69”.
Il bastardo deve essere arrivato in palestra e probabilmente la ragazza all’entrata gli avrà fatto intendere che qualcuno ha chiesto di lui. Vengo assalita dal dubbio se sia una trappola o meno, ma credo che lui sia convinto che io non voglia denunciarlo, semplicemente che voglia lui. “Ingenuo figlio di puttana! Stavolta troverò ciò che cerco e dopo di ché, saprò esattamente dove indirizzare la polizia!”. Annullo un appuntamento con Luca, dicendo che devo studiare e mi trovo indietro con il programma. Mi faccio la doccia, e salgo in macchina dirigendomi all’indirizzo dello sconosciuto.
Indosso una canotta grigia, leggera, un po’ scollata, e dei leggins molto aderenti, neri, con motivi floreali rossi e arancioni. Sotto, un tanga nero di pizzo e un reggiseno nero anch’esso. Effettivamente, non sono forse vestita in modo sobrio e casto, ma non pensavo di doverlo rincontrare questa mattina stessa.
Arrivo al posto indicatomi dal navigatore. Una parte di città mai vista, in periferia. Poco frequentata, pare, e anche parecchio malfamata. Sono circondata da palazzoni, probabilmente case popolari. Parcheggio e scendo. Prendo la borsa, per paura che mi rompano i finestrini e indosso degli occhiali da sole. Fa caldo, così prima di recarmi al citofono mi lego i capelli mossi in una coda.
Suono. Attendo per qualche secondo, poi il cancello viene aperto e una voce metallica mi dice di salire al sesto piano.
Prendo l’ascensore. L’androne del palazzo non gode di pulizia decente e nemmeno l’ascensore ha troppa fortuna. Comincio a sentirmi tesa come una corda di violino, “come lo convincerò a dirmi il suo nome per denunciarlo?”. Se lo metterò alle strette, forse cederà e si renderà conto di ciò che ha fatto. Magari si è già pentito e vuole semplicemente chiedermi scusa. “Di certo questo non lo salverà, povero illuso!”.
Le ante dell’ascensore si aprono e alla mia destra trovo un appartamento che dev’essere il suo, in quanto ha la porta aperta. Mi avvicino circospetta, poi apro e chiedo: - è permesso? -. Silenzio. Riformulo la domanda: - è permesso? -.
- Vieni pure di qua in cucina – mi risponde. E’ lui. Lo riconosco dalla voce. E subito il cuore comincia a battere più veloce.
La casa è poco arredata. Spoglia, fredda. I muri bianchi con delle macchie qua e là. “Questo tipo non vive di certo nel lusso”.
Entro in cucina, fotocopia dell’entrata ad eccezion fatta per dei fornelli, un frigo, un balconcino che da su un cortile interno ed un tavolino con due sedie.
Lui è in mutande, anche queste bianche. Magari le stesse della sera prima, visto la pulizia del posto. Ha delle gambe di una circonferenza mostruosa, e il suo pancione prende aria librandosi nell’aria. Nella mia fantasia ho sempre pensato che i ciccioni fossero poco dotati, invece le dimensioni del suo pacco mi smentiscono ancora una volta. Lo fisso, poi guardo altrove facendo finta di nulla, posizionandomi gli occhiali sulla testa.
- Scusami, oggi fa troppo caldo per poter indossare qualcosa. Quando hai suonato mi sono infilato le mutande, altrimenti temo ti avrei accolta mentre ero nudo -, si guarda attorno come per cercare altro da dire e aggiunge – Come ben puoi vedere, non sono abituato ad avere ospiti! – mi indica una sedia invitandomi a sedere, - vuoi dell’acqua? -.
E’ stranamente calmo e io decido di assalirlo subito: - Basta con questa farsa! – sbatto le mani sul tavolo, - voglio che ora tu mi dica il tuo nome o che ti costituisci alla polizia! Quello che mi hai fatto ieri sera è stato mostruoso, non pensare di potertela cavare così! -.
- E cosa avrei fatto? –
- … non giocare con me, sai a cosa mi riferisco! – stavolta glielo grido in faccia.
- Se ti riferisci a quando ti sei messa a tremare non è certo colpa mia. Io stavo solo cercando di usarti per raggiungere il mio piacere personale -.
Io rimango inebetita da così tanta freddezza e sincerità. Il bastardo pare non rendersi conto della gravità della cosa e continua dicendo: - E se ti riferisci a quando hai cominciato a gemere sulla panca, o a quando hai lasciato che ti asciugassi, bhè nemmeno quello è colpa mia. Sei tu che me lo hai lasciato fare. Non ho notato troppa resistenza da parte tua -.
Io rimango sconvolta da come subito stia cercando di girare la frittata, ma in realtà rimango zitta perché so che è vero.
- Se io mi fossi opposta, tu mi avresti picchiata! –
- Non picchierei mai una donna, e quando tu mi hai schiaffeggiato io non ho mosso un dito! – la sua bocca si contorce in una smorfia di godimento.
“Ha ragione” penso, “io non mi sono, praticamente, mai opposta”, a quel pensiero mi sembra di essere colpita come da uno schiaffo morale. “Davvero gliel’ho lasciato fare?”
Lui non perde tempo e rincara la dose: - Dentro di te hai il mio sperma, probabilmente sulle tue unghie hai della mia pelle. Davvero hai bisogno del mio nome per andare alla polizia? Perché non sei andato da loro e hai preferito venire da me? -.
- Io… Io non ci avevo pensato – dico insicura e ormai sconfitta nell’anima e nell’orgoglio. Comincio a maledirmi di nuovo per essere stata così stupida, ma i miei pensieri vengono resi ancora più confusi dall’uomo che comincia a toccarsi il pacco che ormai è in evidente crescita.
Comincio a sentirmi a disagio e comincio a preoccuparmi di nuovo. Perché non ero voluta andare alla polizia? Davvero inconsciamente ho deciso di non denunciarlo?
Mi alzo dicendo - non è stata una buona idea venire qui. Ora me ne vado! –
- No, aspetta! – mi dice alzandosi anche lui. L’uccello non gli sta più nelle mutande e infatti lui prontamente le abbassa e rimane completamente nudo davanti a me – Ti è mancato? -.
Sento il cuore accelerare spaventosamente i battiti, mentre rivedo l’oggetto del mio piacere. Il cazzo è quasi in completa erezione e rivederlo mi fa venire un leggero giramento di testa. Attribuisco alle sue dimensioni il godimento della sera prima. “Non posso farmi fregare di nuovo da questo schifo di uomo!”.
- Falla finita! – gli rispondo girandomi e prendendo la strada per l’uscita.
- La porta si apre solo con le chiavi -.
“Mi ha appena fregata… se è vero sono bloccata qui dentro.”
- Dove sono le chiavi? Dammele che me ne devo andare! – alzo la voce.
- … senti, facciamo così! Ora, come hai ben visto, mi hai fatto venire voglia. E’ l’effetto che mi fai, lo sai. Tutto questo è colpa tua. Resta qui qualche secondo, aiutami a finire e io ti darò le chiavi. Altrimenti non uscirai, te lo garantisco -.
Io ci penso qualche minuto, ma non posso di sicuro prendergliele con la forza le chiavi, senza contare che non so dove le abbia messe.
- Aiutarti in che senso? –
- Tu non dovrai fare nulla, tranne che starmi davanti, mentre io faccio quel che devo fare… -
- Sicuro? Giuro che proverò ad ucciderti con le mie mani se solo tenti di toccarmi -.
Lui mi rassicura e mi conduce in salotto. Un salotto piccolissimo con un divano e una poltrona entrambe di pelle nera, una televisione e pochi altri mobili. Il tutto condito da un poster gigante di una donna nuda. Questo schifo di posto comincia a darmi sui nervi, e pensare di aver goduto così con uno schifo come lui mi fa morire dalla vergogna. Lui si siede sulla poltrona a gambe divaricate e comincia a masturbarsi guardandomi. Io schifata mi siedo sul divano, poggiando la borsa per terra. “Chissa quali schifezze ci fa su questo divano” penso, mentre di sfuggita studio la sua enorme asta.
Lui continua a menarselo lentamente e poi dice: - Quante volte hai goduto ieri notte? -.
Io divento rossissima, sento caldissimo, ma non rispondo alla domanda, mentre con lo sguardo perlustro la stanza.
- Due volte, vero? – mi chiede lui ridendo divertito.
Io non riesco più nemmeno a guardargli l’uccello per l’imbarazzo, figurarsi guardarlo negli occhi. “Lo sa, se n’è accorto… Sono stata così rumorosa?” penso.
- Cosa te lo fa pensare? – decido di sfidarlo.
- Davvero non ti sei accorta che mentre ti tenevo in braccio stavi letteralmente colando sul pavimento? –
Io avvampo, e mentre guardo la sua mano su quell’asta lunga e spessa, sento dentro di me muoversi qualcosa. Il desiderio s’insinua nella mia mente e nel mio basso ventre. Lui pare accorgersene. “Sono una stupida”.
Ormai sono passati parecchi minuti e lui mi chiede se posso spogliarmi così può fare più in fretta. Decido di acconsentire, benché la cosa mi faccia parecchio schifo. Però ormai sono li, e prima finisce e meglio sarà per me. Mi spoglio davanti a lui, pensando di fare un piacere a me stessa, mentre in realtà non capisco che mi spoglio per lui e per la mazza da baseball di colore che tiene in mano. Non mi sono mai spogliata nemmeno per il mio ragazzo, devo essere completamente impazzita per farlo con uno sconosciuto. Sfilo la canotta grigia, e abbasso i leggins. Rimango in tanga e reggiseno. Entrambi neri di pizzo, come vi avevo detto.
Gli do le spalle perché mi vergogno a guardarlo, sento il rumore della sua masturbazione aumentare velocità. So che gli piace il mio culo, so che ha un debole per le mie gambe. Mi giro, fronteggiandolo ancora e mi risiedo. Lui studia le mie anche e il mio seno custodito dall’intimo nero. Il contrasto con la mia pelle marmorea lo fa impazzire, è evidente.
- Dimmi il tuo nome… - gli chiedo. Sento che ora che è eccitato potrebbe cedere e fare una cazzata, per cui lo spingo a dirmi come si chiami.
- Tu spogliati totalmente e te lo sussurrerò -.
- Niente da fare, mi spiace – sollevo gli occhi al cielo e sbuffo delusa.
Saranno ormai passati 40 minuti da quando ha cominciato a masturbarsi e non accenna a venire, così gli chiedo se ne abbia ancora per molto.
- Lo sai che ho molta resistenza. Se hai fretta, prestami una mano, una soltanto. Finirò di sicuro prima -.
Sapevo sarebbe andato a parare li, ma forse è l’occasione per averlo in pugno e probabilmente se lo aiuterò mi dirà il suo nome. Non potrà resistermi. E non riesco a nascondermi che sia curiosa di sapere che effetto fa avere un uccello di quelle dimensioni tra le mani.
Un po’ riluttante accetto. Mi avvicino e m’inginocchio tra le gambe. Sento il suo odore. Un odore pungente, nauseante. La sua folta peluria decora il lungo bastone che si erge dalle sue gambe.
Lui molla la presa dall’asta e dice: - avanti, prendilo! -.
L’asta rimane dritta immobile, come sostenuta da una forza propria. Quest’uomo non smette mai di stupirmi. Io lo fisso. Le vene pompano sangue dall’asta alla punta. Le sue palle sono grosse come il mio pugno e sono strette in attesa di esplodere. Ho visto quanto sperma può pompare e mi ricordo l’effetto che ha avuto dentro di me: puro piacere. La mia mano destra si avvicina, lo sfioro con le dita e lo afferro a metà della base. E’ bollente, ed è come me lo immaginavo. Ruvido marmo caldo. Lo sento pulsare, percepisco il suo battito cardiaco e sembra che l’uccello goda di vita propria. La sua asta è talmente spessa che non riesco a farci il giro attorno con le dita. Sono visibilmente sconvolta ed imbarazzata per la differenza tra il suo membro e quello del mio ragazzo.
Comincio, però, a massaggiarglielo lentamente su e giù. Lo sento vibrare di piacere, ma noto che la mia mano non occupa nemmeno metà della sua asta e che questo non basta, così automaticamente lo afferro con tutte e due le mani, rimanendo in ginocchio tra le sue gambe larghe. Non mi era mai successo di impugnarne uno con entrambe le mani, con Luca e gli altri prima di lui è sempre bastata la destra. Invece con quest’uomo occupo la sua asta solo con entrambe le mani, mentre la punta continua a puntare minacciosa verso la mia faccia. Sento che sta godendo e lo massaggio bene, prima lui verrà, prima avrà fine questo supplizio. “Mi fa davvero così schifo o mi sta piacendo?” mi chiedo mentre vengo tradita da un rigagnolo che bagna le mie mutande. Il movimento delle mie mani va avanti inesorabile, provocandogli piacere. “Il bastardo è duro a morire”.
Lui mi afferra dalla coda con entrambe le mani e mi avvicina la testa al suo cazzo.
- no! – grido io allontanandomi, e stringendoglielo ancora di più tra le mani.
- solo un bacio.. – elemosina lui.
- dimmi come ti chiami! – lo masturbo con più forza. Lui non risponde, cosi gli ripeto la domanda – dimmi come ti chiami -.
- Baciami e te lo dirò, così la smetterei da spaccarmi le palle e ti dedicherai a me -.
Io lo guardo. Un solo bacio, uno veloce, poi potrò andarmene e denunciarlo.
Mi avvicino lentamente, spaventata e schifata, ma decido di farlo. Il suo odore pungente, di uomo e di sudore mi entra nelle narici. L’odore del sesso.
Appoggio le labbra sulla sua cappella, la sento scaldarmi le labbra e in quel momento con uno spintone con le mani e un rapido colpo di reni me lo infila in bocca.
Mi entra fino in gola e io tossisco, mi sale il vomito. Riesco a salvarmi, posizionando le mani sulle sue cosce e usandole come leve per tirarmi indietro. Lo faccio quasi uscire quando lui mi ributta di nuovo tutto in gola. Comincia a muovere il bacino come per scoparmi le labbra. Capisco di essere in trappola ormai, mi tiene la coda stretta fra le mani e dirige i movimenti della mia testa.
La mandibola comincia a farmi male, e sulla lingua sento il suo calore pervadere la mia bocca. E’ talmente grosso che mi si sta slogando la mandibola. Gli affondo le unghie nelle cosce, e questo non gli piace. Si alza tenendomi per i capelli, mentre io rimango in ginocchio. Comincia a scoparmi la gola. Mi tiene con la destra dalla coda di cavallo, con la sinistra sotto il mento e me lo infila fino a quando non ci sta più. Io mi sento soffocare, non ho mai avuto nulla di così grosso e lungo dentro la mia bocca. A confronto Luca sembra un bambino. Sono in intimo nella casa di uno stupratore a fargli un pompino. Mi sento sporca e decido che deve finire, ma non c’è modo di fermarlo. Fino a quando, proprio quando penso che la mandibola mi si stia staccando, si china leggermente e me lo spinge in fondo. Dritto in gola, cercando di farlo stare tutto in bocca, il che, viste le sue dimensioni, è praticamente impossibile. Sta così qualche minuto, io sento l’odore dei suoi peli pubici, mi sento nuovamente usata, ma sento gli umori colare copiosi tra le cosce. Mi maledico, tanto per cambiare.
Sto per morire soffocata, ma con una mano e poi con l’altra riesco a sfilarmi l’asta di bocca. Quando lo tolgo, sembra mi abbiano levato un tubo dalla gola, e mi rimane tra le mani. Duro, come se fosse ossidiana. La mia saliva cola dalla sua asta sul pavimento. E anche dal mio mento pende della saliva, che prontamente asciugo con una mano. Ora il suo uccello è lucido e ha acquisto, purtroppo, un aspetto ancora più erotico ed eccitante. Sento la mia vulva mordere le mutande, non ci voleva. Continuo a fissare quel lungo serpente nero che mi punta in faccia, lo guardo come se stesse per mordermi. E, in effetti, avrebbe potuto, un morso doloroso all’inizio, ma che mi avrebbe procurato un piacere come mai in vita mia. Il suo veleno copioso e dolce.
- Stavo per morire soffocata… - gli dico ancora in affanno.
- Questione di abitudine tesoro -.
- E’ troppo grosso, non c’entra l’abitudine – sono costretta ad ammettere, e senza che me lo ordini di nuovo, riprendo a masturbarlo con entrambe le mani. Ora, le dita, grazie alla saliva che lo ricopre totalmente, scivolano più facilmente sulla sua asta. Ogni volta che lo percorro su e giù, mi stupisco di quanto sia lungo e possente, e mentre passo il tempo a contemplarlo lo sentii ingrossarsi e allargarsi. Il bastardo comincia a gemere. “E’ sul punto di venire, non posso perdere quest’occasione”. Lo masturbo ancora per un paio di secondi, poi mi fermo tenendolo fra le mani.
- Continua! – lui si arrabbia, ma la sua faccia si piega in una smorfia di preghiera.
- No, dimmi il tuo nome! – stavolta sono io ad avere il potere. Sento il suo cazzo vibrare tra le mie mani. Ammetto che la voglia di finirlo è irrefrenabile, ma scaccio quel pensiero e attendo.
- Ra.. Rajid – confessa, - e ora continua! -.
- Rajid, e poi? – gli chiedo mentre gli porto indietro la pelle dell’asta e comincio con una mano a tastargli i testicoli. Sono enormi. E’ tutto proporzionato. Ci sto evidentemente prendendo gusto, ma ancora mi nascondo dietro al fatto che tutto sia necessario al mio scopo.
Lui confessa anche il suo cognome. Sono libera, sono riuscita ad ottenere ciò che volevo. Mi sento sollevata e senza pensarci, non so perché, obbedisco al suo desiderio e finisco di masturbarlo. Potrei lasciarlo li, ma le mie mani si muovono in automatico, sono presa dall’euforia del momento e tenerlo tra le mani mi fa sentire potente nei suoi confronti. Lui che mi aveva umiliata solo la sera prima. Quando sento che sta per cedere rallento e muovo le mani per tutta la lunghezza dell’asta. Lo voglio far morire. Lui comincia a tremare, le sue gambe sussultano e non ha più la forza di stare in piedi. Cadendo dietro di se, sulla poltrona, si attacca ai miei capelli, costringendomi a riprenderlo in bocca. Sento i suoi fiotti copiosi sulla mia lingua e sul palato. Con le mani gli afferro la base dell’uccello, ma non c’è modo di toglierlo, sono costretta ad ingoiare per non soffocare. Non ho mai visto venire un cavallo o un toro, ma credo che quest’uomo non abbia nulla da invidiare. Questo mi eccita e sono costretta a portare una mano alle mutande per paura di esplodere dal piacere anche io. Non mi era mai capitato di eccitarmi così durante un pompino.
Mi sembra di bere un bicchiere intero, prima che il suo desiderio si spenga tra gli spasmi.
Mi alzo, asciugandomi la bocca. Il suo sperma, fortunatamente, era completamente insapore. Forse persino piacevole, così non ho vomitato. “Non ho mai ingoiato nemmeno quando me l’ha chiesto Luca”, penso sconfitta, fissandogli l’asta che ancora si erge dura verso il soffitto.
- Sei un lurido bastardo! – esclamo, riferendomi al fatto di avermi quasi uccisa.
- A te potrà non piacerti, ma il tuo corpo è evidentemente compiaciuto. Pronta per il secondo round? – mi chiede ridendo e alzandosi dalla poltrona. Lo vedo venire verso di me, con il cazzo che sembra ancora più duro di prima. E’ incredibile, è appena venuto e gli è rimasto come di marmo. Quel pensiero mi fa eccitare ancora di più, ma indietreggio spaventata. Sento qualcosa colare lungo il mio interno coscia. Mi tocco. Sono i miei umori. Le mie mutande sono completamente fradice.

Continua…
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.4
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per In palestra con uno sconosciuto (parte 2):

Altri Racconti Erotici in tradimenti:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni