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LA VILLA (Estratto da un mio racconto erotico)


di Zagor_black
04.06.2023    |    3.460    |    2 7.5
"La stanza annessa alla camera padronale, era utilizzata come cabina armadio e lavanderia ma poteva essere facilmente trasformata in una ulteriore camera da..."
LA VILLA

Prologo

Finalmente dopo parecchi anni di sacrifici e di duro lavoro potevo comprare la villa che mia moglie desiderava.
La ditta di costruzioni dei cui ero titolare, complice un finanziamento da parte della banca dove lavorava mio cugino per la costruzione di un complesso residenziale in zona Castelli Romani, stava finalmente rendendo molti soldi.
La villa era sita nel comune di Grottaferrata, sui pendii del Monte Tuscolo, noto anche come “il balcone dei Castelli Romani”, in un’area ricchissima di storia archeologica, essa era in stile neo classico ottocentesco. La proprietà era immersa nel verde di un parco di 10.000 metri quadrati con un affaccio panoramico mozzafiato che permetteva di godere di tramonti memorabili sulla città di Roma e sul litorale laziale. La casa si sviluppava su 500 metri quadrati suddivisi principalmente su due livelli oltre ad un livello semi-interrato, con garage, sala hobby e bagno, ed incredibilmente impreziosito dalla porzione di un’autentica strada romana. Dal piazzale carrabile si accedeva al piano terra dove a fare da padrona era l'ampia zona salotto; spazio aperto con cucina ad isola all'americana. Dallo stesso ambiente si accedeva direttamente al terrazzo dominate una vasta distesa verde con prato all'inglese. Sempre al piano terra c’era una camera da letto matrimoniale con bagno e più, uno studio, due bagni di cortesia per gli ospiti oltre a vari spazi guardaroba. Il primo piano si raggiungeva attraverso una splendida scala in marmo, oppure tramite un moderno ascensore che collegava i tre livelli, dove c’erano 4 camere da letto e 4 bagni. La stanza annessa alla camera padronale, era utilizzata come cabina armadio e lavanderia ma poteva essere facilmente trasformata in una ulteriore camera da letto. Completavano il primo piano tre luminosissimi terrazzi affacciati sul parco e sul meraviglioso panorama. La straordinarietà di questo immobile era rappresentata dall'elevatissimo standard qualitativo della ristrutturazione assimilabile alle ville extra lusso americane. La scelta dei materiali in tutti gli ambienti, gli impianti di climatizzazione completi di riscaldamento a pavimento, l'impianto all'avanguardia per la depurazione dell'acqua così come i sistemi di allarme e di video sorveglianza, rendevano questa villa un vero e proprio capolavoro di edilizia classica hi-tech.
Ce ne eravamo subito innamorati, io un po' più freddino, pensavo a quanto mi sarebbe costata, mia moglie entusiasta come una bambina si aggirava tra le camere con gli occhi luccicanti, pensando alle varie feste che poteva organizzare durante i fine settimana con i nostri amici scambisti.
“Davvero possiamo comprarla?” mi sussurrava in un soffio nell’orecchio abbracciandomi mentre strusciava il basso ventre con il mio provocandomi una forte erezione.
Sentivo il suo profumo, il suo calore che si insinuava nella mia mente, nel mio corpo, nella anima portandomi in uno stato di confusione animalesca in cui la mia volontà veniva annullata.
Ben consapevole del suo potere, sapeva benissimo come prendermi per convincermi.

Sofisticata, elegante, raffinatissima, mia moglie Alessandra quando sfoggia la sua versione romantica lascia quasi che il trucco la accarezzi.
La protagonista è la bocca, avvolta di un brillante rosso.
“Labbra come zucchero” ama definirle.
In effetti quando è in questa modalità la sua bocca appare glassata e dolcissima.
E’ capace di sedurti con un sorriso: non è ammiccante, ma delicato e dolce. Il trucco, poi, viene completato con una sottilissima riga di eyeliner: appena percettibile, per aprire lo sguardo mettendolo in risalto.
Sulla punta della palpebra, fa capolino un tocco di rosa pesca. È la stessa sfumatura del fard che colora gli zigomi con delicatezza. Per lei il trucco non deve stravolgere l’immagine e le forme. Al contrario, deve sottolineare i lineamenti in modo quasi impercettibile. Unico eccesso concesso è il rossetto: deve brillare. Per quanto riguarda l’acconciatura, invece, quando è in questo stato sceglie la libertà dei capelli sciolti e ordinati.

Quel giorno era così, doveva conquistare tutto e tutti compreso me che ero suo marito; il sogno di vivere in una villa dagli aspetti hollywoodiani non le doveva essere infranto, ad ogni costo.
Dal terrazzo, mentre la sua vista spaziava sul giardino e sul fantastico panorama di Roma, con gli occhi lucidi, proferì queste parole: “Dovremmo poi assumere un tutto fare che faccia la manutenzione della casa ed il giardino. Non credi amore mio? I tuoi operai devono pensare ai lavori che gli darai da fare per le ristrutturazioni in modo da fare soldi e non alla nostra villa.”
Come darle torto? Ero ancora immerso nella selvaggia eccitazione che poco prima mi aveva scatenato.
“Certo tesoro” risposi con la gola secca e rasposa.
La domestica già ce l’avevamo, bastava solo assumere un operaio in più. Pensai.
Quando ero con lei tutto era semplice, mi sentivo il padrone del mondo.
“La prendiamo” mi rivolsi risoluto all’agente immobiliare che ci stava accompagnando nella visita della tenuta.
“Domattina alle nove vengo in ufficio a formulare la proposta di acquisto e a versare l’assegno di caparra” aggiunsi.
Così fu. Proposta di acquisto più bassa della richiesta del proprietario, trattativa, punto di unione sul prezzo di acquisto, appuntamento dal notaio per la stipula del rogito e la villa faraonica era nostra: mia e di Alessandra.

Io Dario, 45 anni ben portati, una vita di lavori edili all’aperto che mi avevano temprato ad un aspetto giovanile, vigoroso e resistente, una voce calda e bassa abituata ad essere obbedito dagli operai alle mie dipendenze, viso sempre abbronzato; lei Alessandra 35 anni bella, sinuosa, alta, sofisticata, elegante, regale, dalla pelle bianca e liscia come il latte, dizione perfetta, laureata; una voce squillante e decisa, quando rideva sembrava la cascata di un ruscello, ci eravamo conosciuti da ragazzi: io avevo 29 anni lei 19.
Ci presentò mio cugino (quello che avrebbe poi ottenuto il lavoro in banca grazie a mio padre) durante una serata di festa a casa sua; fu subito colpo di fulmine.
Figlia di un famoso notaio di Albano, la corteggiai per un mese, prima di averla mia.
Mio padre mi aveva ceduto la piccola azienda di ristrutturazioni che operava nei dintorni dei Castelli Romani, i soldi per essere indipendente non mi mancavano, sempre ben vestito quando non lavoravo, la bella macchina, le cene fuori, le serate nei vari locali più alla moda di Roma, le vacanze nei posti esotici, furono da incentivo e da completamento al fascino che da ragazzo emanavo.
Le donne non mi mancavano, tra gli amici della comitiva ero chiamato “il castigatore” per via delle innumerevoli avventure che avevo avuto.
Con lei era diverso; pura, sensuale, raffinata ed inarrivabile per gli altri, la volevo non solo per una notte di sesso.
Mi ci innamorai subito; poco dopo il fidanzamento, si instaurò una sorta di velata sudditanza che mi faceva soddisfare tutti i suoi capricci, fantasie e voglie; io che a stento avevo preso il diploma di geometra con la minima votazione prevista, lei che frequentava l’università di legge a Roma; la sentivo superiore. Ovviamente, giocando sul suo innato fascino e sulla sua evidente superiorità culturale, se ne approfittava a piene mani. Eccitato ma blandamente infastidito quando la vedevo flirtrare per gioco con altri ragazzi della comitiva, già mi teneva in pugno. Nonostante la sua giovane età sapeva giocare sapientemente nel modo più letale e crudele per ridurmi lentamente e inesorabilmente a suo zerbino.
Dopo tre anni di fidanzamento ci sposammo: avevo 32 anni lei 22, andammo a vivere nella mia casa di proprietà a Marino. Eravamo felici, il lavoro continuava a crescere, avevo assunto tre operai che mi davano un ottimo aiuto nel disbrigo delle incombenze dei vari cantieri, lei si stava laureando e studiava a casa. Assunsi subito una domestica per sollevarla dalle faccende in modo che esse non inficiassero sulle sue attività didattiche. Quando aveva lezione l’accompagnavo all’Ateneo non curandomi di arrivare tardi a lavoro. C’erano i miei operai che, ben catechizzati, sapevano già quali lavori svolgere in mia assenza.
Mi aveva detto che per il momento, finchè non si fosse laureata, non avrebbe voluto avere figli. Di buon grado accettavo il suo desiderio.
Gli anni erano passati ormai, aveva conseguito la corona d’alloro a pieni voti da diverso tempo, ma di figli non ne voleva.
“Amore ormai ci siamo abituati ad essere solo noi due, un figlio o una figlia scombinerebbe tutta la nostra vita. In fondo hai due nipoti bellissimi ai quali poter lasciare la tua impresa edile quando ti ritirerai, a cosa ci serve un figlio? Mi vuoi con i seni calati, il culo grosso, massaia frustrata dietro ad una nidiata di bambini?”
Me lo diceva mentre sensuale mi accarezzava il petto ed il pene leccandomi l’orecchio quando eravamo semisdraiati sul divano, sapeva quanto quelle sue coccole mi facevano impazzire.
“Infatti tesoro, ho già i figli di mio fratello a cui lasciare l’impresa quando sarà il momento; se non ne vuoi non fa niente. Ci bastiamo noi” sussurravo io in preda ad una eccitazione selvaggia. Finivamo poi per fare all’amore in maniera animalesca.

L’idea degli scambi di coppie venne a tutti e due una sera, mentre guardavamo un servizio su tali abitudini in una famosa trasmissione in televisione.
Come ho già accennato, da giovani, a lei piaceva giocare filando con altri ragazzi per farmi ingelosire. Le mie reazioni non erano mai spropositate ma comunque erano tendenti a farle capire che doveva essere solo mia.
Ricordo una volta quando eravamo ancora fidanzati, avevamo appuntamento ad Albano a Piazza Mazzini; sarei dovuto passare a prenderla alle venti per poi portarla a cena fuori, la trovai in compagnia di un ragazzo che non conoscevo, mentre era intenta a prendere con lui un aperitivo presso il bar della piazza. Rideva alle battute di lui con la sua tipica risata a cascata che regalava solo a chi la sapesse davvero divertire; si toccavano mano nella mano giocando con le dita. Rimasi un po' in disparte nella macchina a guardarli, una sottile eccitazione scuoteva il basso ventre, delle scosse arrivavano al cervello, non ero né offeso né inquietato da un suo possibile tradimento ma solo curiosamente eccitato, volevo capire fino a che punto sarebbero arrivati. Mi forzai ad uscire dalla macchina ed andarle incontro.
Appena mi vide lasciò la mano dell’amico, scattò in piedi e mi abbracciò presentandomi come il suo fidanzato.
Quando fummo in macchina si affrettò a discolparsi dicendo che era un suo vecchio compagno di scuola. Il mio ruolo di fidanzato geloso mi impose di inquietarmi blandamente, iniziò a massaggiarmi dietro la nuca facendomi completare l’erezione che si era accennata vedendoli assieme. Non dissi nulla. Assaporavo il momento iniziando a fantasticare di lei a letto con l’amico; ma continuavo a non dire nulla facendo la parte dell’offeso.
Aveva notato l’erezione che avevo, l’attribuì al massaggio dietro la nuca, almeno così mi fece credere, lo sfilò dai pantaloni mentre guidavo e se lo prese in bocca regalandomi una dolcissima fellatio in cui non potei fare a meno di venire. Bevve tutto lo sperma prodotto, lo ingoiò e mi diede un caldissimo bacio molto appassionato. Nel frattempo eravamo arrivati al ristorante. Ci ricomponemmo ed andammo a mangiare.
Di situazioni simili ce ne furono diverse sia da fidanzati che da sposati, finivano sempre allo stesso modo: con lei che mi calmava facendomi pompini e poi baciandomi con ardore e passione; potevo sentire il sapore del mio sperma nella sua bocca.
Le avevo sempre interpretate come sue piccole perversioni; invece lei era già andata oltre avendo compreso da tempo le mie più intime fantasie che non avevo ancora il coraggio di manifestare.

La festa

Fu da quella sera sul divano a guardare il servizio sui club privè che iniziò così il nostro percorso con gli scambisti: saltuariamente frequentavamo locali a Roma, ma prediligevamo feste private della cerchia di amici che ci eravamo fatti con il tempo tramite annunci sui siti specializzati o conoscendoli nei club o parlandone con persone fidate.
Devo dire che durante le nostre orge io prediligevo vederla con altri uomini piuttosto che andare con altre donne. Vederla così spregiudicata che cavalcava e spompinava membri di altri uomini mentre si faceva anche deflorare l’ano mi dava una fitta di gelosia che si produceva in una masochistica erezione. Spesso mi masturbavo guardandola provando più piacere con questa pratica rispetto che soddisfarmi con un atto sessuale vero e proprio con altre donne.

Venne la sera dell’inaugurazione della casa dopo circa due settimane dall’acquisto; organizzammo una festa con tutti i nostri amici perversi.
Alessandra era stupenda, truccata magistralmente; l’aria sensualmente romantica che amava interpretare nella versione di tutti i giorni era completamente sparita per far posto ad una idea di donna aggressiva e volitiva in versione super sexy. Il trucco era completamente diverso. Il focus, questa volta, era tutto sul make up occhi che diventavano seducenti grazie al mix tra matita, eyliner e mascara. L’occhio era da gatta completamente circondato di nero, sfumato scuro per eccellenza. Alla matita interna ed esterna si accompagnava una linea più intensa e vistosa di eyeliner sulla palpebra superiore completata da un doppio tocco di rimmel. L’obiettivo? Sedurre al primo sguardo.
Per contro, le labbra avevano un rossetto dal colore neutro e matte: niente brillantezza, sinonimo di romanticismo. Anche le labbra dovevano esprimere decisione e fermezza. Infine i capelli: raccolti per mettere in evidenza il viso e lo sguardo. Tutto, dunque, doveva essere perfettamente in linea con l’immagine finale che voleva sfoggiare: una donna volitiva, sensuale e decisa.
Indossava un abito sexy in ecopelle leggermente elasticizzato a tubino nero. Con lunghezza fin sotto il ginocchio. Aderente e sensuale, completavano il profilo un paio di autoreggenti 15 den nere lucide ed un paio di sandali in pelle neri. Portava con sé anche un frustino che le dava un’immagine di autorevolezza ed aggressività.
Mentre scendeva dalle scale in marmo fu accolta da attestati di giubilo da parte dei maschi e da gridolini entusiasti da parte delle donne. In fondo era la padrona di casa e doveva in qualche modo essere al centro dell’attenzione.
Si accostò con passo sensuale e lento a me che seduto sul divano la guardavo adorante pieno d’amore e di desiderio, mi prese per i capelli e mi costrinse ad alzare la testa e guardarla negli occhi; era la prima volta che mi si avvicinava in maniera così aggressiva, leggevo tutta la Sua eccitazione.
“Stasera sarai il mio schiavo, sarai un marito schiavo” proclamò a voce alta per farsi sentire da tutti.
Altro giubilo da parte di tutti.
Fui colto alla sprovvista, non mi aspettavo una cosa del genere. Mi fece comunque piacere, la mia istantanea erezione premuta nei boxer attillati ne era la prova. Tirandomi per i capelli mi costrinse ad alzarmi dal divano e mettermi a quattro zampe.
“Lecca le scarpe cane” fu il suo ordine
Leccai le sue fantastiche scarpe ed i suoi divini piedi inguainati nelle bellissime calze.
L’odore caratteristico del cuoio e del sudore che traspirava dalle calze si mischiava sapientemente facendomi da potente afrodisiaco.
Quando fu soddisfatta del trattamento mi ordinò di spogliarmi. Ormai non potevo più nascondere la mia erezione.
“Lo schiavo si è eccitato a leccare le scarpe” fu il suo proclama ridendo in maniera fragorosa
Seguirono risate di scherno da parte di tutti che mi umiliarono, la mia erezione si rafforzò facendo secernere liquido seminale dalla ghiandola di cowper.
Erano tutti amici ma si erano ben calati nel gioco.
Rivolgendosi poi a Samantha, una venticiquenne molto bella, che era la sua amica preferita di gioco con cui aveva avuto diversi rapporti saffici, disse:” Ancella vammi a prendere le corde nello studio.”
La ragazza si avviò docilmente ad eseguire l’ordine. Da lì capii che era stato tutto preparato a mia insaputa, tanto che il fidanzato di Samantha, senza alcun ordine andò a prendere una sedia dalla cucina ad isola e la pose al centro del salone.
Samantha uscì dallo studio che reggeva in mano le corde di canapa, Alessandra mi prese nuovamente per i capelli e mi costrinse di nuovo a mettermi a quattro zampe. Senza lasciare la presa dei capelli mi diresse verso il centro della sala dov’era la sedia.
“Siediti schiavo” disse indicando con lo sguardo la sedia.
Docile e pazzo di desiderio per lei, eseguii l’ordine.
Mi eccitava da morire essere trattato così, con autorità, con spregiudicatezza, con sfacciataggine per essere umiliato davanti a tutti.
Samantha mi legò le gambe alla sedia mentre Alessandra prendeva le mie mani e le portava dietro alla spalliera legandole.
Alessandra si tolse gli slip me li fece odorare poi me li infilò in bocca. Il suo sublime odore delle parti intime non fece altro che accrescere sempre di più la voglia di lei. Intanto il pene per via della granitica erezione iniziava a farmi male.
“Questo schiavo è un guardone segaiolo. Gli abbiamo legato le mani affinchè non possa toccarsi, gli lasciamo liberi gli occhi per farlo guardare. Forse così imparerà a non segarsi più” proclamò Alessandra.
Scroscianti risate ed applausi da parte di tutti.
La mia umiliazione nei confronti dei nostri amici era ormai completa, stavo cadendo in una dimensione liquida ed informe in cui il corpo e la mente vagavano eccitati.
Alessandra si avvicinò a me, mi guardava con dolcezza mista a sadismo; io avevo ormai lo sguardo dello stato in cui ero caduto. Mi prese la testa la schiacciò verso i suoi prominenti seni. Il suo afrodisiaco profumo mi faceva sempre più male al pene ormai graniticamente eretto; mi scappò un gemito.
“Schiavo non gradisci?” era una domanda retorica; alzò il piede destro e schiacciò il mio pene sulla sedia interessando anche i testicoli. La cosa mi provocò una fitta di dolore lancinante al basso ventre che non si rivelò subito ma dopo qualche secondo. Inarcai la schiena in segno di dolore ma mi sforzai di non gemere.
Altro giubilo da parte di tutti.
Ero alla mercè di Alessandra, al pubblico ludibrio, non potevo fare nulla se non abbandonarmi a questa nuova sensazione che mi stava trasportando in una dimensione sconosciuta ma piacevolissima.
“Che si diano inizio ai giochi” proclamò lei.
A quel punto mi accorsi che tutti sapevano tranne me. Ero io l’ospite ed il protagonista ignaro della festa.
Non era la prima volta che si organizzavano cose del genere con i nostri amici in cui un malcapitato ignaro era messo al centro delle nostre attenzioni, ma mai lo ero stato io ed in questo modo così umiliante. La cosa a mio malgrado mi piaceva e sembrava che Alessandra lo sapesse.
Si fece un capannello di quattro uomini intorno ad Alessandra, erano tutti i singoli invitati dalle varie coppie, conosciuti e fidati che avevano già partecipato ad altre feste.
Iniziarono a toccarla: otto mani che sembravano un esercito, scorrevano sul suo corpo, chi le stimolava il clitoride, chi le infilava nel vestito per accarezzarle i seni, chi le tirava su la gonna del vestito scoprendo le scultoree gambe, mentre lei inarcava il corpo ad un piacere coinvolgente ed infinito.
Io non potevo far altro che guardare mugolando di gelosia, di frustrazione per le corde che mi tenevano legato, di piacere per il suo piacere; la volevo, mi eccitava questo suo abbandonarsi ad altre mani, pregustavo ciò che sarebbe successo; la conoscevo così bene tanto che sapevo che il suo inarcarsi sarebbe stato il preludio ad un sesso sfrenato e soprattutto senza inibizioni.
Non l’avevo mai vista alle prese con quattro maschi eccitati fino al parossismo, ero curioso ed esaltato di vederla all’opera, sapevo che non lo aveva mai fatto; anche perché le prime esperienze le avevamo fatte sempre assieme; di questo ne ero certo.
In pochi istanti l’avevano spogliata: era nuda con solo le calze autoreggenti ed i sandali, il vestito mi volò addosso oscurandomi la vista.
“Scoprite il cornuto” fu la sua esclamazione
Il cornuto, era la prima volta che mi chiamava così. Mi fece sprofondare ancora di più nel mio stato liquido ed informe. Ormai ero quasi in trance. Qualcuno, non so chi, tolse il vestito che mi impediva la visuale.
I quattro stalloni, si trattava di veri e propri maschi, giovani e muscolosi molto ben dotati, facevano capannello intorno a lei.
Alessandra si inchinò in ginocchio e a turno prese in bocca i loro membri turgidi e vogliosi. Mi sentivo di morire di gelosia e di eccitazione, mai si era comportata in questo modo, laida e lasciva. Ogni tanto tra un membro ed un altro mi guardava con occhio complice e sadico. Aveva capito la mia ambivalenza tra la gelosia e l’eccitazione di saperla puttana senza inibizioni.
Il primo la penetrò alla pecorina senza profilattico, la tacita regola delle nostre orge era quella che se si penetrava una donna diversa dalla nostra compagna, si sarebbe sempre usato il preservativo; regola ancora più ferrea per i singoli. Alessandra stava contravvenendo a questa tacita abitudine. Piegata così a 90 gradi, ne prendeva ulteriormente uno in bocca mentre gli altri due con le mani li teneva tonici e pronti, masturbandoli.
Prendeva la pillola quindi sapevo che era relativamente al sicuro da gravidanze non volute, ma il fatto che lo volesse fare a “pelle” mi stava sconvolgendo, ma anche eccitando. La volevo; volevo reclamarla nuovamente mia, dopo quella violazione.
Non potevo fare nulla, ero legato ed avevo ancora in bocca le sue mutandine; la frustrazione si trasformò in ulteriore eccitazione.
Il suo dolce viso travisato dal piacere, dal godimento, urlava silenziosamente dato che in bocca aveva un altro membro di ragguardevoli dimensioni che le impediva ogni suono; intorno a noi si sviluppavano i sospiri dell’orgia dei miei amici: tutte con tutti e tutti con tutte come era solito quando l’ambiente era ormai caldo.
Il primo toro; così erano, dei tori da monta tutti e quattro; le venne in vagina urlando il suo piacere accompagnato dal godimento di Alessandra che mi guardava sadica e soddisfatta. Non so che espressione avevo atteggiato, forse di penosa sofferenza e di eccitazione contemporaneamente, di fatto lei si avvicinò a me, mi tolse dalla bocca le mutandine e mi impose di leccare la sua fica percolante di sperma. Volsi la testa in segno di diniego ma lei mi prese per i capelli e tirò finchè non iniziai a leccarle la vulva. Ebbi un conato di vomito ma il mio pene sempre più duro la reclamava. L’umiliazione era completa. Mi guardai intorno per capire se qualcuno dei nostri amici potesse vedere la scena, qualcuno si era fermato a guardare qualcun altro era concentrato nell’amplesso. La cosa mi rinfrancò un poco ma mi deluse anche; volevo che la mia umiliazione fosse totale e ben visibile con tutti quanti.
Fu il turno del secondo, stessa scena solo che gli stalloni intorno a mia moglie erano diventati tre. Il primo si era accomodato sul mio divano a godersi la scena, ancora nudo ma con il viso soddisfatto. Lo odiavo perché si godeva il mio divano dopo essersi goduto anche mia moglie ma allo stesso tempo avevo un sentimento di reverenza per essersi scopato così bene Alessandra facendola godere.
Anche il secondo le venne dentro ma il terzo, quello che veniva spompinato, le venne in bocca contemporaneamente al secondo senza poterla possedere.
Ero senza fiato, non osavo pensare a cosa mi sarebbe successo.
Alessandra venne da me, avevo gli occhi atteggiati a muta supplica per quello a cui mi aveva destinato; inesorabile e sadica premette due dita sulle mie guance costringendomi ad aprire la bocca, un rivolo di sperma mi colò dalla sua bocca alla mia. Il suo respiro era affannosamente eccitato “Sei un guardone cornuto, l’ho saputo dal primo momento che ti ho conosciuto. Sto solo esaudendo i tuoi desideri” il suo alito sapeva di sperma.
Non aveva tutti i torti, quante volte mentre facevamo all’amore io e lei avevo fantasticato che potessi scoparla solo dopo una serie stalloni che l’avevano posseduta e che l’avevano riempita del loro seme. I nostri giochi con le altre coppie avevano soddisfatto solo in parte le mie voglie. Ora i miei desideri di cornuto segaiolo stavano per essere esauditi in tutta la loro completezza.
“Aspetta manca qualcosa” disse ansante di eccitazione. Mi porse di nuovo la vulva da pulire e leccare. Stavolta non opposi quasi resistenza nonostante pulirle il seme di un altro uomo era comunque disgustoso.
Fu il turno del quarto toro, ero ormai in uno stato catartico, tutto mi era indifferente se non il pulire nel migliore dei modi la vulva di mia moglie con la lingua.
Ero stato proiettato in una dimensione totalmente avulsa dalla realtà in cui esistevo solo io e Lei che mi cornificava.
Mi slegò dalle corde, mi salì sopra e si fece penetrare dal mio pene. La sentivo calda, bagnata, lubrificata ed aperta come non lo era mai stata. Per diversi secondi che per me furono eterni, mi portò in paradiso; non si muoveva, si godeva anche lei il momento. La reclamavo dopo tutta la sofferenza che mi aveva inflitto. Iniziò a muoversi lentamente mentre la mia asta toccava la sua cervice uterina. Mai emozioni furono più forti. L’amavo con tutte le mie forze al di là di tutto e tutti. Era la mia donna, mia moglie, la madre dei miei figli che non avrebbe mai voluto. La strinsi a me, tremavo avevo paura di perderla, persi il viso nei suoi prosperosi seni, una lacrima sgorgò dai miei occhi; erano emozioni fortissime, il cuore batteva all’impazzata. Sapeva di sperma di quattro uomini che l’avevano posseduta, ma ora era di nuovo mia. La strinsi ancora più forte; rimase senza fiato ma non disse nulla se non abbracciarmi ancora più energicamente. Eiaculai piangendo silenziosamente, affondai il viso nel suo seno per coprire la forte emozione che mi aveva regalato e che non volevo far vedere a nessuno se non a lei.
Il nostro rapporto stava virando verso una direzione che non avrei mai immaginato potesse prendere.
La mattina successiva, dopo un’abbondante colazione offerta ai nostri ospiti, dopo i saluti di rito rimanemmo soli, io e lei.
Passammo la giornata a letto ad amarci come non avevamo mai fatto, sapendo però che da quella sera nulla sarebbe stato come prima.
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© Zagor Black
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