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La giovane vita di un omosessuale


di dolcementemotivo
05.10.2023    |    5.152    |    28 8.8
"Mi accovacciavo cercando disperatamente di non piangere… poi cacciai un urlo… e sfogai parte della mia angoscia..."
Questa è una storia che racconta una parte di vita veramente vissuta, scritta con eleganza erotica, senza pornografia esplicita o termini volgari
Se pensate sia il solito racconto per cui vorreste eccitarvi e per/o masturbarvi,

NON LEGGETELO: NON FA PER VOI!

-Assolutamente non è il tipico racconto a carattere pornografico-
Soffrirete, piangerete, griderete, esulterete con me...
Non sono propensa a scrivere un racconto di vita vera inserendovi forzatamente storie di solo sesso in maniera esplicita e volgare, quindi se cercate racconti di questo tipo, vi prego di andare oltre.
Chi invece vorrà “vedere” uno scorcio della mia vita, accomodatevi e buona lettura.
Grazie

Per motivi di privacy i nomi sono di fantasia e sono diversi dalla realtà

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La giovane vita di un omosessuale

Sono nata di sesso maschile, ma sulla mia identità sessuale ebbi subito dei dubbi che cercai di elaborare appena raggiunsi l’adolescenza, evitando, al contempo, che questi mi rappresentassero un problema.
La mia diversità l’avevo intuita presto già a 10 anni, ma la compresi meglio a 12 anni, quando iniziai con le prime voglie di palparmi intimamente in maniera non convenzionale per un ragazzino. Queste voglie le consumavo chiusa in bagno, completamente nuda e con gemiti molto sommessi per evitare che mi sentissero i miei familiari. Queste voglie mi tormentavano continuamente e quando frequentai le scuole medie, ebbi un’occasione di provare con un ragazzo l’ebbrezza del piacere, ma non mi piaceva la parola gay, anzi me ne fregavo delle etichette facili e mi amavo tanto da sentirmi unica.
Dalle scuole medie, il passo a quelle superiori fu breve. Sono sempre stata un tipo dall’indole tranquilla, mite, di anima timida, ansiosa, estremamente introversa e molto insicura.
Fisicamente ero di corporatura molto magra, alta un metro e ottanta centimetri, ma decisamente di aspetto poco mascolino per colpa dei miei fianchi larghi, un bacino sviluppato, gambe magre, lunghe e snelle, un piccolo petto con gonfi capezzoli. Inoltre mi ero fatta crescere i capelli che ormai mi arrivavano quasi sulle spalle.
Non mangiavo molta carne, preferendo quella di pollo, gradivo il pesce, solitamente mangiavo poco, ma un po’ di tutto. Se gli uomini sono da considerarsi come dei rapaci, sicuramente io sono un tenero uccellino e mi bastava veramente poco per vivere felice.
Avevo la mia amata bicicletta per spostarmi, mentre i miei coetanei pretendevano le motociclette.
Mi soffermavo spesso nelle mie passeggiate ad ammirare il tramonto ed emozionarmi nell’ammirare dietro le colline lo scomparire dell’ultimo orlo del disco solare come un dio morente.
Ero abituata a trovare il bello nelle cose e quando cominciai a frequentare i miei nuovi compagni di scuola mi sentii fortemente a disagio nel notare che erano profondamente diversi da me.
Il mio fisico non rappresentava per me alcun problema, dato che mi piacevo così come ero, perfettamente innamorata di me stessa, ma quando mi accorsi che i miei coetanei denigravano pesantemente coloro che apparivano gentili, o peggio, come me molto effeminati, cercai di evitare spiacevoli equivoci, indossando maglioni o tute di misura molto grandi rispetto alla mia taglia, camuffando così la mia affusolata fisicità.
Era l’unica escamotage di passare inosservata da quei pazzi omofobici, capaci di combinarmi chissà quali terribili scherzi o guai, inoltre dovevo comportarmi con atteggiamenti moderati senza la mia tipica grazia e dolcezza.
Tutti i miei compagni di scuola erano dei tipi poco raccomandabili, per loro sarei sicuramente passata per la classica femminuccia da ridicolizzare, maltrattare, schernire e sodomizzare con tutta la violenza possibile come già facevano con altre. Non potendo schierarmi apertamente in loro favore, per non fare la loro stessa fine, dovevo per forza passare inosservata e nascondermi.
Io ero come una povera pecora nascosta da una maschera posticcia in mezzo ad un branco di lupi famelici e pericolosi. Questi miei coetanei erano vistosamente degli energumeni, più alti di me, inoltre erano rozzi attaccabrighe, rudi e maleducati, arroganti e molto presuntuosi.
Al contrario, io ho una voce pacata e sottile, sono piena di gentilezza, molto educata e con modi di fare molto aggraziati, inoltre, portavo i miei capelli lisci abbastanza lunghi, ero praticamente il perfetto contrario di un rappresentante di sesso maschile.
Mi consideravo al femminile, la mia corporatura già dimostrava quanto fossi diversa da quelli che si definivano eterosessuali, cercai quindi di dissimulare soprattutto i miei atteggiamenti, il mio aspetto e la mia educazione, per evitare guai, ma non vi fu nulla da fare!
Dopo qualche mese di convivenza, i miei compagni di scuola compresero più di quanto io stessa cercassi di nascondere, confermando, come detto da loro, che fossi solamente un altro stupido essere vivente senza senso da poter sfottere allegramente: un FROCIO!
Praticamente ero spacciata.
Soffrivo di epistassi e il mio nasino era spesso sporco di sangue, colpa anche di una allergia che con continui starnuti mi procurava questo scomodo inconveniente, causandomi fastidiosi mal di testa.
Ovviamente, mi prendevano in giro, burlandomi di avere le “mestruazioni” al naso.
Eppure non facevo del male a nessuno e aiutavo volentieri gli altri nello svolgimento dei compiti in classe, essendo la classica secchiona sui libri, pensai che non avessi nulla da temere oltre a qualche scherzo di pessimo gusto, invece mi sbagliai.
Fui spesso presa di mira da bulli più alti, grandi, grossi e più forti di me, anche se nei miei confronti chiunque avrebbe potuto esserlo. Non dimenticherò quando durante la ricreazione, nascosero la mia borsa dei libri di scuola fuori dalla finestra, sul parapetto basso del muro esterno. Cercando di sporgermi dalla finestra per recuperarla e spingendomi sulle punte dei piedi, senza rendermi conto mi misi in una posizione così provocante che mi trovai col sedere in aria, praticamente piegata nella classica posa a pecorina, in perfetto angolo retto, che di colpo, sentii qualcuno appoggiarsi dietro le mie natiche, sfottendomi di quanto fossi puttana e premendo così forte fino a schiacciare il mio sesso sul muro del davanzale e al tempo stesso farmi sentire quanto era dura la sua erezione. In mezzo al mio culetto sentivo quanto eccitato fosse il depravato di turno, percependo le gran dimensioni del suo pene turgido e duro come una mazza.
Mi stava piacendo molto, ma così di fronte a tutti, mi vergognai da morire, arrossendo come un peperone e pregandolo inutilmente di smetterla.
Bloccata in una posizione scomoda, malgrado mi divincolassi energicamente, non solo non riuscii a liberarmi, ma mi prese entrambe le mani bloccandomele sulla schiena.
Tenendomi in quella posizione prona, mi sentii sbattere energicamente e ripetutamente sul mio culetto, come a mimare l’atto sessuale di essere scopata. Ad ogni colpo mi sentii battere il mio sesso sul muro e morire di dolore, non potendo fare altro, attesi con rassegnazione che semplicemente il mio aguzzino finisse il suo gioco.
Mi vergognai di essere umiliata così davanti a tutti, mi accovacciai a terra piangendo perché provavo un forte dolore all’addome, mentre tutti attorno in coro mi urlavano contro che fossi solo un FROCIO. Questa cosa mi devastava psicologicamente non riuscendo a smettere di piangere.
Nei giorni seguenti gli scherzi si susseguivano in uno strazio continuo e insopportabile.
Se cercavo di ribellarmi, mi sbattevano sui muri, mi prendevano a schiaffi, calci e pugni.
Spesso, tornavo a casa con i vestiti strappati, logori e sporchi del mio sangue.
Cercando di tenere la cosa nascosta ai miei genitori, inconsapevoli di avere un figlio omosessuale, appena giungevo a casa, cambiavo subito i miei abiti e mi davo una ripulita, usavo anche una crema cosmetica coprente per coprire gli ematomi sul viso. Gli strappi sui miei abiti li avrei cuciti nel pomeriggio di nascosto.
I miei due fratelli, furono gli unici ad accorgersi della cosa, preoccupandosi per me, ma non avrebbero potuto fare nulla contro un’intera orda di teppisti.
Ho due fratelli, uno gemello che amo più della mia stessa vita e uno più piccolino.
Se li avessi coinvolti per prendere le mie difese sarebbero stati inutilmente sbaragliati e sbeffeggiati.
Con mio fratello gemello siamo uguali come due gocce d’acqua, ma sul mio viso si nota subito la mia estrema dolcezza, la mia solarità, l’essere capace di sorridere ed emozionarsi anche per poco.
Mio fratello ha anche queste connotazioni, ma caratterialmente è decisamente un uomo: il perfetto contrario di me! Due fratelli identici nell’aspetto, quanto totalmente diversi nell’anima.
Cercai implorando i miei fratelli di non invischiarsi in uno strano gioco più pericoloso di quanto io stessa potessi immaginare. Fortunatamente vi riuscii, tenendoli lontani dal mio inferno.
Sul mio corpicino, che tanto amavo, notavo ematomi ovunque e a volte capitava anche un occhio nero.
Le ragazze mi degnavano di uno sguardo, solo per essere schernita anche da loro.
Durante la ricreazione di uno dei tanti giorni i scuola, mi fecero sparire il mio piccolo panino e un gruppo di ragazze della classe adiacente, notò la mia scenata ai soliti mascalzoni. Una di queste ragazze mi fece credere che stesse provando della compassione per me e che mi avrebbe voluto dare un bacio su una guancia, stupidamente la credetti. Mi abbracciò, ma sentii leccarmi l’orecchio e girandomi di scatto, con mio grande stupore, vidi il suo ragazzo intento ancora a leccarmi. Lascio all’immaginazione il siparietto di risate collettive.
Un’altra volta mi successe che trovandomi in aula durante una assenza del professore, mi trovai seduta accanto al muro. Non pensai che potessero arrivare a tanto: con una mossa veloce e inaspettata mi spinsero la testa per sbattervi su di esso. Caddi svenendo a terra priva di sensi, mi diedero tanti baci e colpi di lingua sulla bocca, appena mi ripresi si dedicarono agli sputi in faccia. Nonostante protestassi, mi risero contro con il solito siparietto di scherno.
Ormai ero presa quotidianamente in giro, ero il giullare di una corte di farabutti e maliziose perverse, per cui non vi era più motivo di nascondermi da loro per quel che ero veramente.
Decisi di uscirne a testa alta, incurante se tutti mi avrebbero considerata un diverso, un frocio o altro strano essere meta-sessuato, senza preoccuparmi più di tanto di ogni loro diceria.
Un giorno durante l’ora di ginnastica, dovevamo cambiarci e indossare la tuta sportiva negli spogliatoi. Sgattaiolando in quello femminile, completamente libero, dato che la mia classe era formata unicamente da individui maschi, per quell’occasione indossai una tuta talmente aderente ed estremamente attillata, affinché risaltassero meglio tutte le mie forme: gambe magre, lunghe e snelle, vita stretta, belle natiche grandi e sode, un petto con capezzoli gonfi da sembrare dei seni e i miei capelli lunghi e lisci.
Legai i miei capelli a coda di cavallo con un elastico. Mi presentai così ai miei compagni che mi osservarono con morbosa attenzione, tra il mormorio generale di quanto il mio corpo assomigliasse tale e quale a quello di una ragazza. Eravamo in palestra per eseguire il salto sull’asta e cercai di eccellere, spinta ad emergere in quella classe di depravati per dimostrare che anch’io potevo essere brava o addirittura far meglio di loro. A fine lezione, sudata ed in gruppo con gli altri, mi sentivo compiaciuta che non fosse successo ancora nulla, convincendomi che forse stavo finalmente guadagnandomi un po' di rispetto, quando nel momento che mi sciolsi i capelli per sistemarmeli meglio, mi sentii appoggiare sulle mie natiche uno stretto birillo di legno con una forza tale da avvertire quasi di essere stata penetrata nel buco del mio culetto. Giratomi di scatto, notai l’individuo che tutti definivano come il mio “fidanzato” Pierino. Nell’intento di dargli uno schiaffo, quello fermò la mia mano, mi trascinò sul pavimento, mi bloccò col suo corpo buttandosi sopra di me, riuscendo anche a bloccare e allontanare le mani dal mio corpo. Per quanto cercassi di usare tutta la mia forza, a dir la verità molto esigua, affinché mi liberassi, non solo non vi riuscii, ma ansimai con grande affanno per cercare disperatamente di liberarmi dalle sue grinfie. Riuscivo solamente ad alzare il mio petto ripetutamente verso di lui per ricadere sul pavimento. Lui avvicinò lentamente il suo volto al mio con un sorriso beffardo e mi diede un bacio appassionato. Ero sorpresa, ma compiaciuta di essere dominata in quel modo, lo contraccambiai appassionatamente, arrendendomi a quel gustoso bacio e incitandolo con i miei avvinghianti colpi di lingua a continuare. Lì intervenne il professore, che sebbene non si accorse cosa realmente stessimo facendo, per egli fu una semplice lite tra alunni.
Ci trovammo insieme dietro la porta del preside ad aspettarlo, quando Pierino mi chiese se mi fosse piaciuto quel bacio in palestra. Per non dargli troppa soddisfazione e voglia di montasi la testa lo guardai con espressione vaga, ma alla fine cedetti e gli confessai sorridendogli di si.
Io ero una stupida checca ingenuamente romantica e lui un porco depravato di cui ancora non avevo compreso la sua vera pericolosità.
In classe era facile che mi sculacciassero, che mi toccassero il fondo schiena, o che stropicciassero i miei piccoli seni, altri si permisero anche di infilarmi, sul mio tenero buchino, le loro dita per sollevarmi da terra. Sebbene più di una volta provai piacere, reagivo bruscamente e istintivamente rispondevo dando degli schiaffi che mi costavano molto cari.
Dovevo cercare una soluzione alla svelta per sopravvivere in quella giungla di belve, altrimenti mi avrebbero sbranata prima o poi, quindi mi studiai ogni possibile situazione per evitare ogni possibile contatto con loro, cercando di stare lontana dall’essere coinvolta in facili provocazioni che sarebbero sfociate in accese risse, o, comunque se fossi stata messa alle strette, avrei dovuto essere pronta a fughe rocambolesche tipiche da maratoneta. Alla fine dell’orario scolastico dovevo darmela a gambe se non volevo incappare in qualche loro trappola in cui sarei rimasta facile vittima.
Pensai che i miei problemi fossero presenti solamente alla fine dell’orario scolastico e non durante l’orario delle lezioni svolte all’interno della scuola dove credevo di poter stare relativamente tranquilla, ma mi sbagliai di grosso. Tra i tanti che mi maltrattavano, poiché a loro dire ero un omosessuale da perseguitare, vi era anche chi mi avrebbe voluto usare la forza per abusare sessualmente del mio corpo.
Ipotesi di un’esperienza che speravo non si realizzasse: entrando nello stanzone dei bagni, andavo sempre in quelli chiusi con la porta. Mi vergognavo di essere additata nei corridoi davanti a tutti come un frocio e non volevo farmi vedere o farmi sorprendere da qualcuno. Ero sempre guardinga, ma un giorno per una mia distrazione commisi una grave leggerezza. Mentre uscii dalla porta del bagno, senza vedere se la strada d’uscita fosse libera e sicura, mi ritrovai davanti il mio “fidanzato” Pierino che non faceva altro che desiderarmi. Questa volta invece di baciarmi, questo energumeno mi afferrò per i capelli e con mio grande dolore mi trascinò a terra.
Mi tenne la bocca tappata e mi sussurrò ad un orecchio di gridare, così non solo i miei compagni, ma tutta la scuola avrebbe saputo delle mie vergogne e qualsiasi cosa fosse accaduto, o meno, in quel momento, sarei comunque caduta in disgrazia, peggiorando tutta la mia situazione.
Disperata, cercai di dimenarmi inutilmente, quando sentii che si stava sbottonando la cerniera dei pantaloni, presi a singhiozzare e piangere… fui costretta ad aprire la bocca e con la mia lingua a leccargli il frenulo e tutta la cappella, per poi passarla lungo tutta la sua asta. Infine m’infilò il suo pene in bocca e cominciai a succhiarlo per praticargli un rapporto orale obbligandomi a guardarlo negli occhi fino al suo epilogo: ingoiare tutto il suo seme.
Quando finì, il mio stupratore mi disse: - Ciao mia bellissima puttana! Sei stata bravissima! Mi hai fatto godere come non avevo mai provato prima! Ci vediamo presto per la prossima volta! -
Ero riversa sul pavimento a piangere con un sapore acidulo in bocca.
Che effetto aveva sentirsi trattata in quel modo? Male! ci rimani malissimo! Ti senti umiliata e sporca.
Mi chiedevo perché non potevo avere una vita normale? Cosa sbagliavo? E se anche ero quel che dicevano tutti, perché non potevo vivere tranquillamente? In fondo cosa facevo di male?
Io volevo semplicemente amare ed essere amata, desideravo innamorarmi e fare l’amore, sognavo ad occhi aperti situazioni colorate di candido rosa ed invece tutto mi si prospettava come un incubo nero.
Desiderare di scomparire sembrava l’unica chance possibile, pensavo fosse questo il peggio.
Ma lo sapete che sono molto fortunata?!
Un giorno, fui particolarmente felice e serena, perché i miei aguzzini erano andati via anticipatamente a mezzo orario scolastico, con un permesso, per saltare una preventivata interrogazione da parte di un professore. Alla fine delle lezioni, giunse l’orario d’uscita dalla scuola e presi la solita scorciatoia solitaria con tutta la calma e la serenità che avevo sempre desiderato. Non dovevo fuggire da nessuno, poiché questa volta non vi era nessuno ad aspettarmi fuori dai cancelli per deridermi e picchiarmi.
Presi a passare dentro una area campagnola, quasi abbandonata, ad eccezione di un lontano spiazzo erboso usato di rado come campetto da calcio non ufficiale per le sue dimensioni irregolari.
Io passavo nella parte più boschiva, fatte di piccole grotte e fitta boscaglia, su un sentiero stretto fatto di ghiaia e terriccio che lo attraversava. Il passaggio era angusto tra erba molto alta e alberelli ben ramificati e pieni di fogliame. Questa scorciatoia mi evitava di fare un’altra strada più lunga, tuttavia comoda e su marciapiede, ma su cui incontravo spesso la combriccola dei miei torturatori, i quali mi aspettavano per fermarmi e maltrattarmi con violenza e dalle loro grinfie non avrei potuto sfuggirvi poiché erano motorizzati al contrario di me, che ero perfettamente appiedata dopo che mi smontarono la mia amata bicicletta, ammaccandola e rompendola in più parti.
Mi sentivo talmente tranquilla nel mio boschetto da sentirlo come un rifugio sicuro, ed ero così spensierata, che se avessi avuto la possibilità di mangiare, anche un panino, in quella splendida oasi, mi sarei sdraiata sull’erba a guardare il cielo, ammirando le nuvole in movimento e farmi baciare la pelle dal sole. Ero intenta a camminare, quando sentendomi strattonare, caddi rovinosamente a terra. Pensai a qualche ramo o fascio d’erba che sicuramente urtò la mia spalla, invece mi ritrovai sopra di me dei tipi che nemmeno conoscevo! Erano in quattro, mi immobilizzarono a terra, cercai terrorizzata di liberarmi, la possibilità di fuggire via, di ottenere un aiuto, ma potei solo gridare come una matta, non avevo soldi con me e nessuno poteva aiutarmi o sentirmi. Credendo che mi volessero derubare o forse scambiata per altra persona, non compresi cosa volessero veramente da me.
In pochissimo tempo, mi presero tutti insieme e usando la forza, con rudi scossoni, mi denudarono completamente, ridicolizzandomi. Mi minacciarono con dei vistosi e sgargianti coltelli che mi avrebbero scuoiata viva se non avessi assecondato i loro voleri. Ero talmente terrorizzata che confermai loro che avrei fatto qualunque cosa avessero preteso, ma implorando anche che non mi avessero fatto alcun male. Offrendo la mia più totale “collaborazione e partecipazione” essi furono compiaciuti di ciò che stavano per ottenere. Mi obbligarono a stare in ginocchio, completamente nuda, con i miei lunghi capelli lisci e sciolti, ebbi le mani legate dietro la mia schiena con i lacci delle mie scarpe, con le loro mani mi chiusero le narici e per mancanza d’aria fui costretta ad aprire la bocca e ingoiare i loro grossi peni, eretti e turgidi.
Li dovetti succhiare con molta foga e dovetti spompinarli tutti e quattro, ripetutamente e più volte.
Mi insultarono dicendomi che il mio pene era piccolissimo e che il mio corpo era quello di una bella troia da montare. Inerme e rassegnata, feci tutto quel che desideravano di me per la paura di poter essere ammazzata, se non li avessi resi consapevoli di compiacere le loro perversioni come se lo stessi facendo anche per mio voluttuoso piacere, nonostante fossi forzata a farlo comunque.
Attorniata da peni duri, eretti, li masturbavo prima con la mia bocca, poi, anche con le mie mani appena me le liberarono. Compresi che sarebbero arrivati velocemente dove volevano, quando mi presero per i fianchi, facendomi sentire la paura di essere trattata rudemente come un giocattolo. Ero troppo spaventata e mortificata per quello che mi stava accadendo, li pregai di non farmi del male, ma questi senza alcun riguardo, mi misero a pancia in giù, mi divaricarono le cosce, sputarono sopra il mio piccolo buco del mio culetto e mi penetrarono selvaggiamente, causandomi atroci dolori nell’allargare di colpo e completamente il mio orifizio anale, stantuffandomi senza alcuna pietà, sbattendo così forte il mio povero culetto che mi facevano sussultare tutta quanta. Speravo solo che tutto finisse velocemente e che ne sarei uscita sana.
Mi stuprarono ferocemente anche con doppie penetrazioni, sentivo i loro peni nerboruti e carnosi infilarsi nelle mie carni e in più mi costrinsero a soddisfarli contemporaneamente sia con la mia bocca che con le mie mani. Il dolore fu insopportabile, interminabile e lancinante, che le mie smorfie, le mie grida acute e le mie lacrime, non bastavano più a sopportare questa tortura, la mia gogna, la mia condanna per essere stata una femminuccia, che a loro dire, adorava fare la preziosa e quindi meritevole di questa punizione.
Quando tutti finirono di abusarmi, venendomi, chi dentro i miei orifizi, chi nella mia bocca, o sulla mia pelle, pensai che fosse finita lì, invece mi urinarono abbondantemente addosso e mi lasciarono lì. Ormai sola, rannicchiata e riversa nel fango col corpo sporco di liquido seminale e urina, piangevo e mi lamentavo come una bestia ferita e agonizzante. Mi vergognavo di ciò che mi avevano fatto, non perché non avrei desiderato farlo, ma mai in questi termini, usando la più cruda, oscena ed efferata delle violenze, ed io non lo meritavo affatto.
Accanto al sentiero poco più avanti di me vi era una piccola grotticella con una pozza d’acqua fredda e stagnante, reduce della pioggia di un giorno fa. Cercai di lavarmi lì in qualche modo, strofinandomi addosso del fango pulito e sciacquandomi con quell’acqua. Presa di freddo mi distesi completamente nuda su un piccolo spiazzo dove il sole poteva asciugarmi… ansimavo, tremavo, piangendo poiché avvertivo ancora un forte dolore nel basso ventre. Mi accovacciavo cercando disperatamente di non piangere… poi cacciai un urlo… e sfogai parte della mia angoscia.
Dopo questa terribile esperienza ero il ritratto dell’infelicità e dentro casa mia, quando mi capitava di restare da sola, mi rannicchiavo in un angolo buio sul pavimento di casa per piagnucolare e maledirmi. Sentivo dentro di me che ero stato violata per colpa mia, come se fossi stato io a istigarli.
Mi sentivo colpevole di essere la femminuccia che io volevo essere veramente, ma che purtroppo non potevo vivere nel quotidiano per paura di rappresaglie e vari atti denigratori che mi umiliavano pesantemente. Ero veramente la troia che doveva sottostare ai voleri di chiunque mi avesse desiderata?
Ero già molto introversa e ciò mi aiutava a nascondere il mio malumore a casa, ma mi cuoceva dentro. Mi ero presa la fissazione di lavarmi frequentemente. Ero spesso sotto la doccia con la scusa di lavarmi i capelli o perché fossi sudata.
La verità era che cercavo di togliere quel sentore di lerciume che percepivo ancora sulla mia pelle e soprattutto dentro di me.
Sentivo la mia pelle come fosse sempre costantemente umida e ancora sporca di liquido seminale e alla minima sensazione di sudore era un fastidio che si ingigantiva, arrecandomi vergogna e grave disagio. Ad ogni doccia consumavo un intero sapone, rigorosamente non usavo bagnoschiuma perché mi ricordava di avere lo sperma anziché detergenti per l’igiene personale.
La notte avevo bruttissimi incubi e prima di addormentarmi mi assaliva il panico come se “loro” potessero essere lì con me per abusarmi ancora una volta.
Il mio fratello gemello aveva capito che qualcosa non andava, ma stoicamente gli dissi semplicemente che ero disperata per un amore non ricambiato. Schifato, mi diede della stupida, salvaguardandolo così.
Per qualche giorno evitai pure di andare a scuola, girovagando per la città e senza uscire di casa durante il pomeriggio perché la paura di essere facilmente braccata, mi assaliva facilmente.
Quando i miei genitori seppero delle mie assenze scolastiche, ricevetti solo schiaffi, insulti e forti rimproveri, inoltre, contro il mio volere, mi tagliarono i capelli così corti, che preso dalla disperazione, presi a sbattere la faccia sul muro della mia stanzetta, stavolta fino a farmi seriamente male, obbligandoli a portarmi in ospedale per un trauma al setto nasale.
Il mio fratello più piccolo, preso da compassione e pietà, mi diede il suo orsacchiotto.
Il mio gemello mi abbracciò e pianse insieme a me.
Tutti e tre ci stringevamo l’uno con l’altro, confortandomi e dandomi coraggio.
Sembra un quadro infelice della mia gioventù, chiunque sarebbe uscito pazzo o si sarebbe suicidato… io invece volevo vivere, forse per vigliaccheria o forse per semplice istinto di sopravvivenza. Del resto una tempesta non poteva durare in eterno. Passò un po' di tempo e mi calmai un po'. Gli scherzi che mi facevano non mi scomponevano neanche un po' e non vi feci più caso. Dopo quella triste violenza, qualsiasi stupido scherzo sarebbe passato in secondo piano.

… to be continued…………………………………………..
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