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SCHIAVA DEI MIEI ZII


di ragazzoserio71
02.04.2022    |    41.076    |    11 9.8
"Il tre di agosto, una settimana prima che partissero per le vacanze, i miei genitori dissero che dovevano parlarmi..."
Avevo appena compiuto 18 anni. Era già fine luglio, fortunatamente non avevo molto da studiare.
Aspettavo con ansia le ferie dei miei genitori, come al solito se ne andavano a passare le vacanze in Croazia. Ero sempre andata con loro, ma quest’anno visto che ero diventata maggiorenne, si erano convinti a lasciarmi qualche libertà in più.
Avrei avuto finalmente la casa libera, da godermi da sola, in piena autonomia.
Mi immaginavo già sul divano a leggere, senza nessuno che mi dicesse cosa dovevo fare.
Da mia madre che mi assillava per le faccende domestiche, oppure mio padre che mi costringeva ad uscire con lui, per lunghe passeggiate.
Di indole sono sempre stata timida, più remissiva che attiva. Fisicamente piccolina e magrolina, ma a dire degli altri, molto carina. Ma io non mi ero mai sentita così. Dopo aver messo gli occhiali da vista, la mia autostima si era abbassata ulteriormente.
Il tre di agosto, una settimana prima che partissero per le vacanze, i miei genitori dissero che dovevano parlarmi.
Dopo cena, ci sedemmo in terrazzo. Si guardavano l’un l’altro, per incitarsi ad iniziare il discorso. Quel loro modo di fare lo conoscevo bene, di solito era il preambolo di qualche brutta notizia.
Ma ero comunque serena perché tra pochi giorni, avrei avuto le mie prime e vere vacanze.
Pensai che probabilmente volevano farmi altre mille raccomandazioni, e che avevano delegato mia nonna, con cui non andavo molto d’accordo, a venire di tanto in tanto in casa.
Tutto questo non mi preoccupava, lo avevo già preventivato.
Quando mio padre iniziò a parlare, mi raggelai. Non avevano più intenzione di lasciarmi da sola in casa.
Se ne uscirono con la narrazione che nel nostro quartiere, ultimamente girava brutta gente.
In alternativa, se non volevo andare con loro, mi proposero di fare due settimane dai miei zii in Germania.
Sapendo del mio interesse per i paesi freddi, pensarono di farmi un piacere. I miei fatidici zii, di cui lui era un fratellastro di mia madre, non li conoscevo. Non li vedevo da quando avevo sei anni.
Mi alzai senza dire una parola e me ne andai in camera mia.
Mi rigirai sul letto per tutta la notte, non riuscivo a prendere sonno. Ero furibonda.
Alla mattina comunicai loro che sarei andata in Germania. Non ne ero convinta, ma avrei fatto qualsiasi cosa pur di non andare in Croazia.
Il giorno seguente presi il treno. Il viaggio fu lungo ed estenuante, ma avevo con me i miei compagni di viaggio, i miei adorati libri, che occupavano metà dello spazio in valigia.
I miei zii abitavano in un paesetto di campagna, a 40 chilometri da Berlino. Guardai su internet il luogo. Dedussi che avrei dedicato molto del mio tempo alla lettura, ma non mi dispiaceva affatto. Quando mancava un’oretta all’incirca all’arrivo, ci sentimmo per telefono. Fu strano parlare in quel modo con una persona che appena conoscevo.
Mia zia era euforica per il mio arrivo, disse che mi avrebbero portato anche a visitare Berlino se mi faceva piacere. Purtroppo non erano in ferie, ma lei aveva convinto i suoi datori di lavoro a concedergli di lavorare solo mezza giornata, almeno per queste due settimane. Non avevano figli, quindi avrei avuto la casa a disposizione tutte le mattine. Non era come essermene rimasta a casa mia, ma sembrava che le cose stessero girando per il verso giusto.
Quel piccolo paesetto, aveva anche la stazione ferroviaria. Vennero a prendermi in auto, ma si sarebbe potuto fare anche a piedi, visto che la loro casa distava un chilometro e mezzo dalla stazione.
Cercai di salutarli con calore, come parenti che non si vedono da molto tempo, ma in realtà se li avessi incontrati per strada, non li avrei riconosciuti. Mio zio, alto un metro e ottanta, di corporatura normale, brizzolato, con la barba e lo sguardo severo. Mia zia, altra un metro e settantacinque, di corporatura robusta ed un seno enorme. Pure lei con uno sguardo severo, ma quando sorrideva, si apriva il mondo.
Lei mi entrò in simpatia fin da subito, mentre lo zio non dava molta confidenza. Lui era comunque di origini italiane, mentre lei era di origini tedesche, ma parlava l’italiano perfettamente.
Con il mio metro e sessanta scarso, in mezzo a loro due sembravo un pulcino.
La loro casa era molto bella, un vecchio casolare completamente ristrutturato. Annesso, a pochi metri di distanza, c’era un’altra costruzione, che fungeva da garage.
Avevano anche un cane, un cucciolo di pastore tedesco di nome Flick. Accarezzarlo e giocarci, fu una gioia immensa. Avrei sempre voluto un cane, ma i miei non erano d’accordo.
Era ormai sera. Cenammo e parlammo quel minimo indispensabile per conoscerci meglio, poi visto che ero esausta dal viaggio, me ne andai a dormire. L’unico incarico che mi diedero, era di far uscire Flick dal garage, appena mi fossi svegliata.
Al mattino, svegliarmi nel silenzio di quella casa, fu surreale, ma anche piacevole.
Scesa al piano inferiore, trovai una colazione abbondante preparata sul tavolo della cucina e un biglietto di mia zia che mi ricordava di far uscire il cane. Un PS in fondo al foglietto, diceva che se ne avessi avuto il piacere, potevo prendere una delle biciclette nel garage per andare a farmi un giro in paese.
Dopo colazione presi il mazzo di chiavi sopra al tavolo e andai nel garage. Flick abbaiava e grattava sulla porta, appena aperta mi saltò addosso per giocare e farsi coccolare. Dopo cinque minuti se ne andò per i fatti suoi ad ispezionare il giardino. Il garage senza le due auto era vuoto. A parte due biciclette appoggiate al muro ed un bancone con qualche attrezzo sulla parete di fondo, non c’era niente.
Nell’angolo in fondo a destra, giaceva una grande coperta sul pavimento. Andai per raccoglierla, il mio intento era di piegarla ed appoggiarla sul bancone, almeno mi sarei dimostrata utile.
Appena la alzai, notai che sotto c’era una botola di legno, chiusa con un lucchetto. Probabilmente si accedeva ad una cantina sotterranea. La curiosità ebbe il sopravvento e provai le chiavi che avevo con me, ma nessuna di quel mazzo apriva la serratura. Lasciai la coperta al suo posto e me ne andai.
Al pomeriggio mia zia mi portò a fare shopping in un paese limitrofo, che distava circa una decina di chilometri. Fu un pomeriggio piacevole. Come ultima tappa mi portò in una biblioteca di notevoli dimensioni, ma purtroppo stavano per chiudere. Non ero mai stata in una biblioteca così bella, ne rimasi affascinata. Durante il ritorno a casa, mi disse che l’indomani non potevamo passarlo assieme, perché lei e lo zio avevano un impegno importante e dovevano assentarsi.
Dissi che avrei potuto approfittarne per ritornare alla biblioteca. La ferrovia collegava i due paesi e in 10 minuti ci sarei arrivata con il treno. Rimase un attimo in silenzio, forse per senso di responsabilità, ma poi acconsentì.
Alla sera acquistammo i biglietti via internet. Partenza alle 14.30 e il ritorno era fissato per le 19.15. Avevo mezzo pomeriggio da dedicare alla biblioteca, ero felicissima.
Il giorno dopo pranzai assieme a loro, ma alle 14.15 ero già alla stazione, in attesa dell’arrivo del treno. C’ero solo io ed una donna anziana, che mi guardava e sorrideva, sprizzava simpatia. Anche lei aspettava il treno, peccato non poterci fare due chiacchiere a causa della barriera linguistica, pensai. La salutai con un cenno del capo. Dopo pochi minuti, la vidi accasciarsi a terra, e corsi in suo soccorso. Non sapevo cosa fare, ma per fortuna un passante si fermò e mi aiutò. Chiamò un’ambulanza. Fortunatamente la donna si ravvivò, e la portarono via solamente per accertamenti. Durante quel trambusto, persi il treno. Erano già le 15.15.
Decisi di ritornare a casa, alla sera quando sarebbero ritornati i miei zii, avrei raccontato loro quell’avventura.
Arrivata nei pressi della casa, notai che le due auto, erano ancora parcheggiate in strada.
Le chiavi, come da accordi, erano sulla cassetta della posta. Le presi, ma suonai comunque il campanello, per una forma di rispetto. Non rispose nessuno. Pensai che per il loro appuntamento, qualcuno fosse venuto a prenderli.
Entrai dal cancelletto, Flick stava gironzolando per il giardino. Aperta la porta di casa, li chiamai a voce alta, ma non ebbi nessuna risposta. Ispezionai la casa ed era completamente vuota.
Uscita nuovamente in giardino, notai che Flick grattava sulla porta del Garage. Pensai che se lo avevano lasciato fuori, doveva esserci un motivo, ma forse aveva sete, e la ciotola era all’interno.
Decisi di prenderla, senza lasciarlo entrare nel garage. Una volta entrata, guardai se c’era un rubinetto per prendergli dell’acqua, altrimenti l’avrei riempita in casa, visto che comunque era asciutta.
Il rumore fastidioso delle sue zampe che grattavano la porta, non mi impedì di percepire un suono, un vocio, che arrivava da qualche direzione. Mi girai e vidi la botola sul pavimento in fondo alla stanza, aperta.
L’istinto dovrebbe essere stato quello di chiamare i miei zii a voce alta, ma non lo feci. Non so il perché.
Mi avvicinai alla botola e guardai dentro. C’erano tre rampe di scale che si inabissavano in profondità.
Iniziai a scendere, e man mano che proseguivo, udivo suoni strani, particolari. Arrivata in fondo, mi ritrovai davanti ad una porta di ferro, simile a quelle blindate. Ma era solo appoggiata, non era chiusa.
Spinsi leggermente, stringendo i denti, sperando di non provocare rumore. Quando riuscii finalmente a vedere dentro alla stanza, rimasi allibita.
C’era una ragazza nuda, in una gogna di legno, quelle che si usavano nel medioevo. Era imprigionata mani e testa, piegata a novanta gradi. Dalla parte della testa c’era mio zio, in piedi, a torso nudo e con pantaloni in pelle nera. Aveva il pene fuori, in erezione. Aveva un pene lungo, mi faceva impressione.
La ragazza lo leccava, tenendo tutta la lingua al di fuori della bocca. Dietro c’era mia zia, completamente nuda, in piedi pure lei. Le sue tette erano enormi. Aveva conficcato un grosso dildo di plastica, nell’ano della ragazza e le stava schiaffeggiando il sedere, le natiche erano arrossate. Tutti e tre, anche se in modo diverso, ansimavano.
Non so cosa mi prese. Mi abbassai pantaloni e mutandine ed iniziai a masturbarmi con violenza. Se avessi potuto, mi sarei messa una mano intera dentro alla vagina. Alla fine ci misi tre dita e due me li conficcai nell’ano, anche se non lo avevo mai fatto. Nel giro di trenta secondi o poco più, venni violentemente.
Dopo un paio di minuti mi ricomposi. Mio zio stava mettendo delle pinzette sui capezzoli della ragazza.
Chiusi la porta e ritornai in superficie. Mi sentivo ribollire il sangue, ero sconvolta.
Non solo per il fatto di vedere i miei zii in quella situazione, o per la situazione in se. Avevo visto molti video hard in internet, come tutti quelli della mia generazione. Ma c’era qualcosa di più. Era scattato qualcosa dentro alla mia mente. Decisi di girovagare per il paese e ritornare all’ora prestabilita.
Rientrai alle 19.30. Le auto erano parcheggiate in garage. Mia zia mi aspettava sorridente, sull’uscio di casa. Raccontai una mezza verità. Dissi della donna alla stazione, ma pure di aver preso il treno successivo, e di aver trascorso una bella giornata in biblioteca.
Mentre cenavamo, non riuscivo a togliermi dalla testa le immagini dei miei zii. Il pene dello zio in erezione, la zia nuda con le sue enormi tette, ma soprattutto la ragazza alla loro mercè. Mi immedesimavo su quella ragazza e mi sentivo bagnare all’interno delle cosce.
Finito di cenare andai subito in camera, adducendo una scusa riguardo alla mia stanchezza.
Appena entrata nella stanza, mi masturbai con violenza.
Dopo un’oretta circa mi calmai, complice anche una buona lettura. Bussarono alla porta, era la zia.
Era venuta ad augurarmi la buona notte, in vestaglia. Nonostante nel sotto, avesse reggiseno e pure una maglietta di flanella, le sue enormi tette dominavano la scena. Immaginai le sue grandi mani che mi schiaffeggiavano le natiche ed iniziai a bagnarmi.
Mi chiese se andava tutto bene e a quel punto cercai di ricompormi mentalmente, temendo si fosse accorta dei miei pensieri. Ma la sua domanda, adduceva ad altro.
Sospirò ed attese un minuto. Poi mi porse un tablet che teneva in mano, di cui non mi ero accorta, e premette play su un video già caricato. Appena scorsero le prime immagini, sprofondai in un abisso senza fine. Una telecamera mi aveva ripreso mentre sbirciavo dalla porta blindata del seminterrato.
Il mio viso era in fiamme, il mio cuore iniziò a battere velocemente. Mia zia mi fece una carezza affettuosa sulla testa, poi ci fissammo negli occhi.
Disse che non era arrabbiata per quello che era successo, lei non si vergognava di come viveva la sua sessualità, perché era una cosa intima tra lei e lo zio. Il fatto che io li avessi visti, le dispiaceva, ma non era un dramma, perché eravamo tutti adulti. Quello di cui si erano sorpresi, era stata la mia reazione.
Abbassai lo sguardo, ma lei mi alzò il mento e ci guardammo nuovamente negli occhi.
Mi chiese cosa mi era rimasto impresso di quello che avevo visto, anzi poi correggendosi, chiese di quale delle tre persone avrei preso il posto, potendo scegliere. Mi sarebbe piaciuto essere al posto dello zio, che traeva piacere da una persona costretta a procuraglielo, oppure al posto suo, che costringeva quella ragazza a procurarglielo. Oppure essere al posto di quella ragazza, costretta a subire.
Risposi immediatamente e senza pensarci, che avrei voluto essere la ragazza costretta a subire.
Notai un guizzo particolare sullo sguardo di mia zia, qualcosa che mi intimoriva ma che allo stesso tempo mi eccitava.
A quel punto prese qualcosa dalla tasca della vestaglia, un piccolo oggetto. Si trattava di un piccolo elefantino in vetro, di colore azzurro. Disse che se volevo approfondire quegli argomenti, sarebbe bastato mettere l’elefantino nel portaoggetti in cristallo, che si trovava sopra al mobile del corridoio, appena fuori dalla mia stanza.
Mi diede un bacio sulla fronte e appoggiò l’elefantino sul comodino, poi se ne andò.

Fine prima parte….continua..
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