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Prime Esperienze

Jerom e la sua disabilità


di pomponio
28.02.2021    |    10.107    |    6 9.7
"Non era un bel ragazzo, una persona normale, un po’ più alto di me, magro, con un bel pelo ma poco pisello e dalla venuta rapida..."
Era trascorso ormai più di un anno da quando mi ero trasferito a Treviso, sia per dei corsi sia per dei lavori e avrei dovuto ancora passarci diversi mesi. Treviso è una città particolare, mi piace, con quella voglia di assomigliare un po’ a Venezia ma l’impossibilità di riuscirci, con quell’odore particolare di alghe di acqua dolce che nulla ha a che fare con l’odore del mare…ma ci si abitua.
Eravamo 5 persone, tre esterni e due ragazzi di Treviso. Io, un ragazzo milanese, simpaticissimo ma che non ispirava sesso neanche in mutande, un ragazzo calabrese con troppo poco cervello per provarci ed un napoletano pieno di vita e sempre pronto a scherzare e giocare. Dividevo la camera con quest’ultimo il quale mi scopava praticamente tutte le sere. Non era un bel ragazzo, una persona normale, un po’ più alto di me, magro, con un bel pelo ma poco pisello e dalla venuta rapida. Serviva in ogni caso tanto per fare qualcosa visto che il tempo libero per qualche giretto era sempre poco visto che eravamo quasi sempre insieme e poi, a letto, era molto dolce e delicato.
Con noi, due ragazzi trevisani, niente di che, non mi piaceva molto il loro accento ma penso che uno sarebbe stato ben felice di ciucciare un uccello…ma non ho mai voluto approfondire, l’altro…intrombabile!
Ci eravamo dati tutti appuntamento a piazza Vittoria, doveva arrivare Jerom dall’Olanda e dovevamo andare tutti a mangiare una pizza in compagnia. Era un caro amico dei due trevisani, ne parlavano sempre molto bene, forse anche per il fatto che qualche anno prima aveva avuto un incidente in moto che gli aveva provocato l’amputazione della gamba sinistra poco sopra al ginocchio, questo li univa molto non solo per il fatto che si conoscessero fin da piccoli ma anche per stupida pietà, cosa di cui chi ha un problema fisico, non ha proprio bisogno. In ogni caso gli amici si erano caldamente raccomandati di non fargli domande, ancora non aveva digerito l’incidente e non gli faceva piacere parlarne.
Jerom, quasi trentenne, viveva in Olanda con la madre dopo che i suoi genitori si erano separati, lei era olandese e il padre, di origini giamaicane, viveva a Treviso. Jerom veniva comunque un paio di volte l’anno e stava con il padre tutto il tempo che il lavoro potesse concedergli. Lavorava nell’azienda di sua madre, da quanto ho capito, una donna con le palle.
Tutti riuniti in una serata di fine maggio con una temperatura quasi estiva in attesa che arrivasse lui.
Spunta una macchina con targa olandese e intuisco che si tratta di Jerom. Parcheggia e scende un pezzo di fico della madonna. Alto almeno un palmo più di me, canotta nera con sopra una camicia bianca a maniche corte, aperta, che metteva in evidenza un corpo ben forgiato da palestra ma non esageratamente, un paio di pantaloni bianchi, larghi che cercavano di nascondere la protesi alla gamba ma che non nascondevano quella strana “claudicanza” di chi porta una protesi, capelli neri raccolti in mille treccine che arrivavano sulle spalle, un bel naso di una certa importanza forse ereditato dal padre e due occhi celesti da sembrare due acquamarina…e che dire di quella bocca, labbra che urlavano baciami, baciami…
I suoi amici ce lo presentano e io stavo ancora a bocca aperta quando gli ho stretto la mano, una stretta forte e sicura che mi ha messo ancor di più in imbarazzo, cosa che credo lui abbia notato dato la strizzatina d’occhio e il sorriso che mi ha fatto.
Dopo i convenevoli andiamo tutti in una pizzeria poco lontana, raccomandata dai trevisani.
Me lo sono guardato tutta la sera, incrociando spesso i suoi occhi e scambiandoci qualche bel sorriso profondo e interrogativo.
Finita la serata, ci siamo scambiati il numero di telefono promettendoci di sentirci o vederci a breve, tanto a breve che l’ho sentito il giorno dopo. Mi ha chiamato chiedendomi di cenare insieme da qualche parte, naturalmente ho accettato accannando tutti gli altri ma senza dire che sarei uscito con lui.
Con quel suo accento particolare, Jerom mi ha parlato, stranamente, tutta la sera del suo incidente e del problema che cominciava ad accettare ma che gli creava disagi non tanto personali ma che leggeva negli occhi degli altri come pietà, cosa che non aveva visto nei miei oltre ai rapporti con le ragazze sia fisici che di approccio.
L’unica mia risposta è stata che con la sua bellezza, la simpatia e il suo sex appeal non doveva affatto preoccuparsi né per il lavoro né per i rapporti con le ragazze né del comportamento altrui, bastava essere sé stessi sempre e vivere la vita tranquillamente, aggiungendo:
“Sei talmente “fico” che me te farebbe pure io”
Ricorderò tutta la vita la sua fragorosa risata e l’abbraccio che mi ha dato con quelle manone impressionanti sussurrandomi che per certe cose non era portato…cancellando ogni mia speranza.
Accompagnandomi a casa mi ha invitato ad andare con lui a prendere un po' di sole in un certo posto che aveva scoperto lungo il Sile poco fuori città, il giorno dopo sarebbe stata domenica e sarei stato libero tutto il giorno.
Pranzo al sacco portato da Jerom e partenza quasi di buon’ora verso la giornata al fiume. Un posto molto isolato, non amava essere visto da altri per il suo problema. Ci stendiamo al sole in uno spiazzo dietro un boschetto di salici e lui si toglie solo la canotta rimanendo con i pantaloni lunghi. Gli prendo le mani e gli dico:
“Senti, amico mio, mettiamo subito le cose in chiaro, siamo venuti a prendere il sole e non mi piace che tu tenga, con i pantaloni anche la vergogna e il disagio, con me non hai nulla da vergognarti, sai il lavoro che faccio e come la penso, non c’è nessun problema, anzi, il problema lo crei a me considerandomi uno che giudica, che non è in grado di capire, se sono con te, mi vai bene per come sei.”
I suoi occhi si sono illuminati e mi ha dato un bacio in fronte prima di togliersi i pantaloni e chiedendomi cosa dovesse fare con la protesi e, prontamente, gli ho risposto di comportarsi con la stessa disinvoltura che ha quando è solo e lui l’ha tolta.
Ho finalmente visto le sue reali condizioni che non mi impressionavano affatto, anzi, mi impressionava quel pacco che non si poteva non notare una volta in mutande. Un corpo perfetto pur con una gamba a metà, senza peli ma non rasati, glabro naturale, con tutta la muscolatura in evidenza ma non esagerata.
Mentre si toglieva i pantaloni mi guardava forse per capire cosa notassi prima di tutto in lui, se avessi guardato la gamba l’avrei messo in imbarazzo, ma il mio sguardo si era soffermato su quel gran pacco che i suoi slip neri trattenevano appena. Sorridiamo insieme e mi chiede se mi crea problemi nel togliersi tutto, amava prendere il sole nudo. Rassicurandolo gli rispondo che anche io mi metto nudo quando sono in posti isolati, ma senza riuscire a nascondere il mio improvviso rossore che scaturiva dal poter scoprire cosa ci fosse stato in mezzo alle sue gambe. Un triangolo di pelo corto e curato sovrastava un cazzo di notevolissime dimensioni appoggiato su due palle che facevano invidia a un toro, la testa di un elefantino tatuata tra l’ombelico e il triangolo di pelo nero che sembrava volesse paragonare la proboscide al suo uccello.
Sorride dopo aver notato il mio sguardo e mi dice che anche io, che nel frattempo mi ero tolto tutto, non ero messo niente male a uccello.
Mi metto a pancia sotto por nascondere un’erezione improvvisa che non aveva visto e parliamo, parliamo, parliamo…mi racconta un sacco di cose sue ma lo spettacolo di quel corpo mi distraeva molto e non ricordo bene tutto quello che mi ha detto, solo che a un certo punto mi chiede di dargli una mano, non aveva portato con sé la stampella per camminare senza protesi e voleva arrivare all’acqua per sciacquarsi le mani. Ci alziamo e mi cinge la spalla col suo braccio cosi che potessi fargli da stampella zompettando lentamente verso il fiume. Mettendogli la mano dietro la schiena sentivo tutto il calore del suo corpo e l’inizio dei suoi glutei duri come il marmo mentre, a ogni saltello, il suo cazzo sbatacchiava tra una coscia e l’altra.
Si sorprende di fare con me cose che non avrebbe fatto con nessun altro, a nessuno avrebbe chiesto di aiutarlo mentre con me gli veniva naturale. Torniamo sull’asciugamano e non riesco a trattenere un abbraccio che ricambia con calore. Dopo aver mangiato un paio di tramezzini, mi racconta che una volta aveva provato con un uomo, si era fatto fare una sega ma non era rimasto entusiasta anche perché aveva dovuto continuare da solo per riuscire a venire. Gli rispondo che non era quello il modo giusto, le seghe si fanno da soli, è il pompino che fa capire molto di più. Facendo una delle sue solite risate, si gira verso di me e mi abbraccia infilandomi un chilo di lingua in bocca. Resto sorpreso e sconvolto, non ci avrei mai sperato. Oltre al bacio sento sul mio fianco una cosa dura e calda, era il suo cazzo divenuto duro in un nanosecondo. Mi piaceva troppo e senza dire una parola, do un bacio a un suo capezzolo e scendo avido sull’uccello con la mano.
Nessuna reazione negativa e intuisco, anche dal suo respiro che posso tranquillamente andare avanti. Gli apro le gambe e prendo in mano le sue palle che il sole aveva reso rilassate, lunghe, morbide, di un colore brunito, comincio a leccarle con delicatezza mentre mi teneva l’altra mano stringendola forte. Il suo cazzo era un’opera d’arte, duro ma con la pelle morbida e abbondante, largo tanto che non riuscivo a stringerlo tutto, colava di abbondante liquido trasparente che ho raccolto subito con la lingua per continuare a leccare le palle umettandole a profusione insieme al tronco dell’uccello. La sua mano appoggiata sul mio collo accompagnava i movimenti e mi guidava nei punti giusti. Mi ha preso per un braccio portandomi vicino al suo viso per farsi leccare il collo, cosa che lo ha mandato in estasi rendendo ancora più duro quel suo grosso uccello, sentivo l’odore della sua pelle, fresco e dolciastro, poi mi ha guidato verso la sua bocca infilandomi di nuovo il suo linguone fino alla gola, come se i baci fossero il suo forte. Mi sembrava un sogno e continuavo a ripetermi che non avrei mai voluto svegliarmi.
Non volevo perdermi neanche un centimetro del suo corpo e, dopo un bel po’ di baci, ripartendo dal collo, sono sceso piano piano di nuovo verso le palle passando per i capezzoli e l’ombelico, l’ho girato e, dalla sua nuca, sono sceso leccando tutta la sua schiena e infilando la lingua in mezzo a quelle due chiappe che sembravano una scultura, tanto erano perfette, incurvando la schiena per favorirmi, a volte stringendole come per trattenermi, ansimava e godeva vistosamente. Avevo il cuore che batteva a mille come se volesse uscire dal mio petto e il mio cazzo stava per esplodere ma cercavo di trattenermi, volevo aspettare lui. E’ stato in quel momento che si è girato portando la mia bocca al suo uccello che prontamente ho provveduto a far sparire in gola sorprendendomi di riuscire a prenderlo quasi tutto, ero veramente fuori di brocca.
Lo facevo entrare e uscire piano piano, girando la lingua intorno al glande che, sempre con la lingua, avevo liberato dalla pelle che lo ricopriva alla ricerca del punto più sensibile che ho trovato sulla parte superiore del tronco, appena ci passavo la lingua lo sentivo irrigidirsi con la pelle d’oca, gli occhi socchiusi e le narici dilatate.
Non ce la facevo più e cosi mi sembrava fosse anche per lui, quattro affondate ben fatte ed ho sentito un fiume scatenarsi nella mia bocca. Mi ha letteralmente inondato con una quantità mai vista di sperma e anche io sono arrivato mugolando come una cagna in calore ma tenendo sempre il suo uccello in bocca mentre continuava a contorcersi dal piacere e lo sperma colava copiosamente dalla mia bocca sulle sue palle.
E meno male che per certe cose diceva di non essere portato, non riesco a immaginare cosa avrebbe fatto se fosse stato il contrario.
La cosa non è finita lì, appena mi sono pulito un po’ con l’asciugamano distendendomi accanto a lui, ha ricominciato a baciarmi come un matto, spalancando quella boccona e girando la sua lingua attorno alla mia e succhiando fino quasi a farmi male mentre le sue labbra carnose mi ricoprivano il mento. Naturalmente, appena ci siamo rilassati quel tanto che basta, ho affrontato il discorso, non mi sembrava inesperto e non mi piaceva essere preso in giro.
Alla mia domanda ha rifatto una di quelle risate che solo uno con la sua bocca poteva fare, mi ha ridato un bel bacio e poi mi ha detto che era tutto vero e che si sorprendeva di sé stesso ma non si pentiva affatto.
Da quando ha avuto l’incidente non era mai riuscito a rilassarsi abbastanza neanche per godersi una bella scopata, il suo timore era sempre stato quello che gli altri provassero pietà, di vergognarsi a mostrarsi nudo di fronte a chiunque, maschio o femmina che fosse. Pensava che le poche ragazze che gli si erano concesse lo avessero fatto solo per “fargli un favore” e che non si era mai tolto né i pantaloni né la protesi durante una scopata e di averla fatta sempre sotto tensione.
Con me era stato diverso tanto da non curarsi del sesso della persona con cui lo stava facendo ma solo pensando al piacere che ne poteva trarre, tutto il piacere dimenticando la sua condizione, lo avevo accettato per quello che era, con la massima naturalezza che era riuscito a leggerlo persino nei miei occhi.
Il suo forte erano proprio i baci perché con quelli non aveva la necessità di mostrarsi e quella distensione gli avrebbe permesso di baciare chiunque senza ritegno.
Gli ho risposto con il mio pensiero dicendogli che quello era il modo sbagliato di proporsi e che era lui a mettere in imbarazzo chiunque avesse deciso di rapportarcisi o di scoparci, avrebbe dovuto lasciare da parte qualsiasi vergogna e liberarsi di tutte le insicurezze.
“Chi ti è amico o scopa con te lo fa perché gli stai bene come sei e nascondendoti dietro un pantalone o al buio, nascondi solo le tue paure, mettendo a disagio chi è con te che, probabilmente, non ti ha invitato a spogliarti completamente proprio perché “sentiva” il tuo disagio ed è solo di quel disagio che provava pietà e non della tua condizione, abbandona le tue paure e sii te stesso come sei, chi ti sceglie ti vuole per quello che sei”
Mi ha fissato con i suoi occhioni azzurri lucidi e sornioni mentre una lacrima scivolava sulla guancia, senza dire una parola, si è avvicinato a me e mi ha risposto con un quarto d’ora di lingua in bocca.
La sera ci siamo ritrovati tutti di nuovo in pizzeria e lui è arrivato con la stampella e senza la protesi. Allo sguardo stupito dei suoi amici ha risposto che con quella poteva camminare più veloce mentre la protesi lo costringeva a un passo lento e lui si era rotto i coglioni di andare piano…guardandomi e strizzando l’occhio.
Avevamo entrambi due vistose borse sotto gli occhi, rimasuglio della giornata al fiume…sapendo bene quale fosse il motivo, se ne era accorto anche Franco, il napoletano trombamico compagno di stanza che continuava a guardarmi facendo ammiccamenti e sorrisini maliziosi, aveva capito tutto ma non me ne fregava niente.
Salutandoci a fine serata Jerom mi ha sussurrato in un orecchio:
“Domani liberati, torniamo al nostro posto e…voglio…”
“E sti cazzi”
Rispondo
” Sarà dura ma voglio continuare questo sogno e ci proverò”
“Ecco”
mi dice
“Questa sarebbe un’altra occasione per baciarti, ma c’è troppa gente” …

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