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Gay & Bisex

Il conto di K alla fine tornò


di Holling
05.07.2017    |    7.462    |    3 9.3
"Con una breve sorpresa, mi resi conto di non sentire dolore..."
«Non dobbiamo contare, dobbiamo fare una volta ciascuno» dissi a Nick. Tema, come sempre, il sesso e la sua sorprendente, continua, travolgente scoperta. Che praticavamo ogni volta che potevamo farlo senza pericolo di essere scoperti. Sembrava che non ci fosse altro al mondo.
Era la fine dell’estate dei quasi 12 anni, a Stoud, nel Gloucestershire, lontano dal mare e lontano dalla campagna. Una noia. Unico svago era il cinema, qualche volta, quando davano un film. Però c’era il sesso, di cui parlare e da praticare con Nick, figlio di mia zia, mio cugino e coetaneo. Perché Nick era venuto a passare quindici giorni da noi. Le estati erano lunghe, in quegli anni subito dopo la guerra, e soldi per andare in vacanza non ce n’erano nell’Inghilterra che usciva stremata dal conflitto: bisognava far passare i tre mesi senza scuola in qualche modo, e le nostre famiglie si scambiavano noi ragazzi.
Io avevo passato l’inverno a sperimentare con il mio più intimo amico, Erwin. Erwin in sassone significa Amico. Ma qualcosa si era allentato, da quando lui aveva proposto di usare la bocca, e io avevo rifiutato. Ripensandoci, nei giorni successivi, non mi sapevo spiegare del tutto le mie reazioni. Delle volte mi pentivo del mio no, e avrei voluto che Erwin me ne parlasse di nuovo. Altre volte pensavo di aver fatto bene. Comunque, di fondo e parte i ripensamenti, l’idea non mi piaceva molto.
Con Nick tutto era successo velocemente, come in un copione conosciuto. La tappe erano state le stesse che avevo già passato con Erwin: la lotta come pretesto per sfregamenti, piccoli orgasmi veloci, poi toccamenti più espliciti, con la mano che dopo essere passata sopra, la volta dopo vi indugiava, e quella ancora successiva tirava giù la chiusura lampo e si infilava e nel buio dei calzoni corti scavallava l’elastico degli slip per afferrare, tirare, manipolare, saggiare, prendere e dare piacere.
Nelle lunghe serate settembrine, che ogni giorno anticipavano un po’ e con questo scorrere rapido sembravano accrescere le nostre urgenti inquietudini, avevo raccontato le mie esperienze a Nick e lui mi aveva raccontato le sue. Che erano recentissime: due mesi prima, con un suo compagno di scuola di un paio d’anni più grande, a St. Ives, sul mare della Cornovaglia.
Questo suo compagno si chiamava Jasper, e glielo voleva sempre infilare di dietro. A me, quando Nick cominciava a raccontare, mi diventava sempre duro: a quell’età basta un attimo, un pensiero, per farlo imbizzarrire. Ma quello in verità era più che un pensiero, era un’immagine che si materializzava.
Nick raccontava che, più piccolo e meno smaliziato di Jasper, stava sempre sotto, nonostante qualche sua timida richiesta di reciprocità, subito respinta con superiore sdegno. Ma a lui piaceva anche così. Anzi, mi ha detto, gli piaceva molto.
Siccome Jasper era più grande, ce l’aveva anche più grosso, e Nick mi confessò che gli faceva un po’ male. Poco, però: e gli piaceva anche quel po’ di male. Piacere acuito da un po’ di dolore: un’altra stupefacente scoperta.
Jasper sapeva un sacco di cose, e le faceva con lui. Nick me le raccontava con cura, le riviveva deliziandosene, e io le vivevo attraverso di lui. La prima volta stavano al mare, da soli. I genitori dell’uno e dell’altro erano al lavoro, tutti e quattro, di mattina non c’era il rischio di vederseli arrivare. Erano seduti su un asciugamano steso sulla sabbia a giocare a carte. Jasper aveva fatto qualche movimento con la mano, finchè la punta del pisello non gli era comparsa dall’elastico del costume. Per un momento era restato fermo, guardando di sottecchi come Nick reagiva.
«Io – confessò Nick con me – rimasi a bocca aperta, gli occhi puntati lì. Allora Jasper si è rimesso a posto, si è tirato in piedi, ha raccolto le nostre cose e mi ha detto: Vieni».
Si era avviato verso la cabina e Nick lo aveva seguito. Entrati, lui aveva chiuso a chiave. Si era sfilato il costume, lo aveva sfilato anche a Nick senza dire una parola. Lo aveva fatto appoggiare alla parete con la schiena, gli era andato vicino, gli si era attaccato, e glielo aveva strofinato sulla pancia. Poi aveva steso l’asciugamano sul pavimento, lo aveva fatto mettere supino e gli aveva fatto tirare sul petto le ginocchia con le mani sotto le cosce. Gli aveva spalmato sul buco un po’ di crema doposole che stava su una mensola. Allora si era steso sopra di lui, in mezzo alle sue gambe aperte e tirate su. Guidandosi il pisello con la mano, glielo aveva puntato. E aveva cominciato a spingere.
«Lo sentivo entrare piano – mi raccontò Nick – una piccola spinta alla volta, mentre io mi allargavo. Poi lo tirava fuori quasi tutto, e lo rimetteva dentro, sempre un po’ di più, con una spinta. Alla fine era tutto dentro».
«Ma ti faceva male?» chiesi io con voce malferma.
«La prima volta sì, molto. Mi venne quasi da piangere, volevo che il dolore finisse, che smettesse. Ma volevo anche continuare. Poi, la volta dopo, sentii meno dolore. Poi meno ancora, e il dolore si confondeva col piacere». Restò un momento in silenzio, e poi: «Bisogna metterci una crema, così fa male poco, e solo all’inizio. Ma quando godeva dentro di me, era bellissimo. Te l’ho detto, mi piace essere preso».
«Aspetta» sussurrai. Nella mia voce c’era un’improvvisa urgenza.
«Ma stai venendo? – chiese Nick – Stai venendo per quello che ti sto raccontando?».
«Sì. Sto venendo».
Eravamo ancora seduti, uno accanto all’altro, in silenzio. Nick guardava me che ero trasportato in un altro mondo, e avevo un breve respiro, lievemente affannoso. Poi, lentamente, tornai normale. Passò un minuto. I miei occhi non erano più socchiusi, il mio mento non era più teso verso l’ alto.
«Prima – disse Nick – quando mi raccontavi di quello che facevi quest’inverno col tuo compagno, ho goduto anch’io. Solo che non me ne sono fatto accorgere».
Gli chiesi: «Ma hai mai goduto stando sopra? Quel ragazzo ti ha mai fatto stare sopra?».
«No. Però una volta voglio farlo».
«Ma prima mi hai detto che godevi lo stesso, anche stando sotto».
«Sì. Lui me lo infilava, ma alla fine venivo anche io».
«E come facevi, ti toccavi mentre lui te lo metteva? Oppure ti toccava lui?».
«Ma no. Io stavo sotto, a pancia in su, con le ginocchia tirate sul petto. E lui sopra di me. Era steso su di me, capisci? Col suo cazzo dentro, ma steso su di me, pancia contro pancia. Così il mio pisello era stretto fra me e lui, e quando si muoveva per pompare mi faceva anche godere. Anzi, io penso che lui lo avesse capito, e faceva in modo da farmi godere assieme a lui. Era bellissimo venire col suo pisello dentro».
Restò un momento soprappensiero. «Sai, in quella posizione con le ginocchia tirate sul petto, il mio pisello non diventava molto duro. Godevo a pieno, ma era strano. Era come se al suo godimento forte, dentro di me, io rispondessi con una cosa più lenta, più dolce. Però l’intensità era meravigliosa».
Io mi rammaricai: «Non ho mai provato una cosa così».
«Sì – disse Nick – devi assolutamente provare a godere quando hai un cazzo dentro. È come godere due volte. Però anch’io voglio provare a metterlo. Voglio sapere com’è».
«Racconta che altro facevate».
«Qualche volta mi faceva stare in piedi, come la prima volta, appoggiato con la schiena alla parete della cabina, e lui stava appoggiato contro di me in modo che i piselli si strusciassero tra loro. Mi teneva la braccia stese in alto, afferrandomi i polsi con le mani, e si strofinava. Sentivo il suo fiato in un orecchio. Venivamo così. Quando venivo prima io, lui se ne accorgeva e godeva subito. Anche se stavamo in piedi, era come se io stessi sempre sotto, perché lui mi spingeva contro la cabina, e mi teneva ferme le braccia in alto, e si faceva come voleva lui».
«Ma quante volte lo avete fatto?».
«Ogni volta che potevamo. Succedeva anche in modi diversi. Per esempio, mi faceva venire quando tornavamo a casa in bicicletta».
«Come, in bicicletta?».
«Sì. Si passava lungo un prato, con grandi cespugli di more, che facevano una spalliera lungo la strada. Era una strada secondaria, nemmeno asfaltata. Fermavamo le bici, andavamo dietro i cespugli, lui mi sbottonava e mi faceva venire con la mano. Poi si faceva fare la stessa cosa da me. Mi piaceva di più venire mentre mi prendeva, ma dietro i cespugli non l’abbiamo fatto mai. Avevamo paura che qualcuno ci potesse vedere».
«Ma quando lo facevate nella cabina, tu stavi sempre sotto. Qualche volta non vorresti stare sopra e riuscire a metterlo dentro? Una volta non vorresti metterlo dentro di me, anche?».
«Tu me lo faresti fare?».
Esitai un attimo. «Sì – risposi – te lo farei fare».
«E io ho voglia di mettertelo» disse Nick.
Restai in silenzio.
«Mi è tornato duro», annunciò.

* * *

Seduti uno accanto all’altro al tavolo per i compiti delle vacanze, con le mani che già avevano cercato e trovato senza mai osare di entrare nella patta (mia madre era in casa, non si poteva), io a bassa voce feci la mia proposta: facciamo una volta ciascuno.
Dapprima Nick non capì: «A farci godere? Già lo stiamo facendo». Lo facevamo con le mani, con la finta lotta, con gli strofinamenti. Ma dopo quelle confidenze dovevamo fare un altro passo avanti. Un passo oltre.
«No, – spiegai – proviamo a mettercelo dentro, di dietro. Facciamo che chi sta sopra comanda, e ci sta quanto gli pare. E fa quello che vuole. E chi sta sotto accetta e fa quello che gli viene detto. E non protesta per il tempo. Poi la volta dopo chi era stato sopra si mette sotto».
Nick rifletté pochi secondi: «Va bene, comincio io a stare sopra». Mi venne in mente Erwin, che invece tendeva a stare sotto, gli piaceva di più. Per questo con lui tutto era filato via liscio, perché a me piaceva stare sopra. Mi piaceva condurre il gioco, decidere, e penetrare quando col mio ancora piccolo arnese riuscivo a farlo.
Ci riuscivo sempre più spesso, a mano a mano che, negli ultimi mesi, il mio pisello aveva acquistato in lunghezza e larghezza.
Eppure, ogni volta che con Erwin avevo finito, a me restava come una vaga insoddisfazione: che cosa si prova, a stare sotto? A farsi possedere?
Perciò risposi: «Va bene, comincia tu».
Il giorno dopo eravamo sicuri che saremmo restati soli in casa per tutto il pomeriggio.
Nick stava in piedi, accanto al divano, e io davanti a lui lo guardavo. Poi allungai le mani e gli slacciai la cintura. I pantaloni corti scesero alle caviglie, gli slip seguirono. Il pisello di Nick era inerte. Lo guardai, ancora una volta meravigliato di come quella magica appendice di carne potesse essere tanto diversa tra le persone. Ricordai il primo che avevo visto in vita mia, in pieno disarmo, di un adulto sconosciuto che stava usando un bagno pubblico e che per un attimo mi apparve, mentre cominciava a rimetterselo nei pantaloni: era rugoso e leggermente curvo. E quello chiaro e lattescente di Erwin, perfettamente dritto davanti a sé. Mentre il mio puntava in alto. Questo di Nick mi sembrò di una certa consistenza, anche in posizione di riposo.
Allungai la mano e glielo presi. Cominciai, e Nick reagì subito. Chiuse gli occhi, muovendo il bacino avanti e indietro.
Io tirai fuori il mio. Nick si avvicinò, si prese un capezzolo con una mano e lo offrì: «Succhialo!». E io succhiai.
«Mordilo» invitò Nick. Io morsi, poi succhiai, poi morsi di nuovo. Un po’ più forte. Nick ebbe un sussulto, ma non si tirò indietro. «Mi fa male, mi fa male» ripeteva. E mentre lo ripeteva, afferrò con una mano la mia nuca e si premette la mia testa, e la mia bocca, e i miei denti, sul capezzolo.
Senza cambiare posizione, mi afferrò il pisello e prese a muoverlo su e giù. Io risposi affondando la testa nel suo petto morbido per il velo di grasso sottocutaneo infantile non ancora del tutto riassorbito.
Morsi, e Nick mandò un gemito. Feci per staccarmi, ma lui mi tirò a sé. Allora morsi più forte. I suoi gemiti aumentarono, ma continuava a premermi la testa.
Poi si staccò lui. Il suo capezzolo era arrossato. Intorno alla corona scura c’era il segno dei miei denti. Mi prese una mano: «Massaggia qui, fammi passare il segno che mi hai lasciato». Quando cominciai, a mano a mano che il male si attenuava, il capezzolo sporgeva con maggiore evidenza nella sua erezione.
«Adesso ti vengo sopra» disse Nick con voce strozzata.
Avevo paura ma avevo voglia, volevo tirarmi indietro ma ancora più fortemente ero attratto.
«Spogliati» disse. Mi tolsi la camicia, mi sfilai i sandali, mi tirai giù pantaloni e con un breve gesto del piede li allontanai sul pavimento. «Anche quelli» aggiunse Nick accennando agli slip.
Gli slip scesero, ma prima feci un gesto, come a mostrare che lì dentro c’era un’erezione. Sfilando gli slip, prima il mio pisello venne tirato in basso, poi quando l’elastico scendendo lo scavalcò, scattò verso l’alto. Mi si tirai su, orgoglioso. Ero nudo, ed armato.
Nick guardava, e per un attimo si bagnò le labbra con la lingua. «Adesso spogliami» disse.
Io cominciai. Scoprii la sua peluria tenera, bionda, da cui si ergeva il cazzo. Pensai: non so se è più grosso del mio, però è più lungo. Sentii una vampa nella testa quando capii che, allora, mi poteva entrare dentro meglio. Meglio, più a fondo. Più di quando lo mettevo dentro Erwin.
Nick si avvicinò. Fece scendere la mano lungo la mia schiena, e mi afferrò le chiappe. «Lo sai che cosa ti farò?» sussurrò. Mi aprì le chiappe, e mi cercò il buco con un dito. Mi irrigidii: ci siamo, pensai. Desideravo e temevo.
Ma Nick si staccò si chinò per raccogliere i suoi pantaloni: «Guarda». Da una tasca tirò fuori una confezione di crema per il corpo, un emolliente grasso, che stava sempre in bagno.
«Girati e chinati giù» ordinò. Mi misi di schiena, in piedi, e mi chinai appoggiando le mani sulle ginocchia. Nick aprì il tappo della confezione, fece uscire un po’ di crema sul dito, e me lo passò sul buco. «Aspetta, te ne metto ancora». E io sentii di nuovo quel fresco, e quel dito che mi cercava, mi esplorava. «Adesso te ne metto un po’ dentro», e il dito entrò. Il mio buco non oppose nessuna resistenza, si lasciò scivolare dentro il dito che lo preparava. Sentii che a poco a poco mi dilatavo. Ecco, pensai, sta per accadere, quell’incompletezza che ho sempre avuto dopo aver goduto dentro Erwin sta per colmarsi. Sto per essere posseduto. Mi stanno per penetrare. E io lo voglio.
«Mettiti sul divano a pancia sotto » disse Nick.
Mi distesi. Nick mi montò su. Capii, da un armeggiare dietro di me, che si stava mettendo la crema sul pisello. Ed ecco che Nick si distese sulla mia schiena, con una mano si mise alla meglio il pisello in mezzo alle chiappe, e prese ad agitarsi.
Sentivo tutto il peso di quel corpo steso su di me, e mi piaceva. Ma non ero contento, quella sensazione l’avevo provata tante volte con Erwin, che poi non era riuscito ad andare avanti perché ce l’aveva troppo corto. Invece volevo sentirmi qualcosa dentro.
«Aspetta» dissi. E portai una mano dietro di me, tra la mia schiena e la pancia di Nick, fino ad afferrargli il cazzo. Lo misi dritto, puntandomelo.
«È qui. Lo senti?»
«Sento quanta voglia hai. Quanto la mia»
«Che cosa provi?».
«Sento che lì in mezzo sei bollente» disse Nick.
Inarcai leggermente il bacino all’indietro, poi tolsi la
mano. Mi trascinai un cuscino del divano sotto la pancia, per offrirmi meglio. «Allora spingi, – mormorai – spingi forte. Adesso!».
Nick affondò. Sentii nettamente che grazie alla crema la punta del cazzo mi apriva senza fatica, senza resistenza. Con decisione si faceva strada, riempiendomi. Sta entrando!, pensai. La testa mi si confondeva e mi sembrava di andare a fuoco. Allora è così, allora è questo che si prova. Con una breve sorpresa, mi resi conto di non sentire dolore. Forse per la crema. Forse per il desiderio che mi stava dilatando. Pensai al suo capezzolo, che mi aveva fatto succhiare e mordere, e al piacere che aveva ricavato. Forse anche il buco è così, sente piacere.
Nick cominciò a muoversi, e io cercai di mettermi all’unisono per favorire la penetrazione. Non mi basta, ne voglio di più, pensavo.
«Aspetta» dissi, e cercai di liberarmi.
Ma Nick mi schiacciava, non voleva che mi muovessi: «Non ho finito, abbiamo detto che oggi stai sotto di me finché voglio».
«Voglio solo mettermi meglio, in modo che entri più dentro. Tu lo sai come si fa». E ripresi a muoversi per sottrarmi alla pressione.
Nick, intuendo quello che volevo fare, mi liberò in parte del suo peso, permettendomi di girarmi. Mi tenni il cuscino sotto il corpo, sotto le chiappe. Stavo sempre
sotto, Nick sempre sopra, ma ora eravamo pancia contro pancia. Aprii le gambe, sistemandomi Nick in mezzo. Il cuscino mi spingeva il pube in alto.
«Vedrai che così ti faccio entrare meglio» dissi. Spinsi le gambe in alto, misi le mani nell’incavo posteriore delle ginocchia, e mi tirai le cosce verso il petto. «Adesso tirati un po’ su – invitai – fammi mettere le gambe sulle tue spalle». Tutto come Erwin faceva sotto di me, e come Nick stesso mi aveva raccontato di aver fatto.
Nick sistemò le spalle in modo che spingessero l’incavo delle mie ginocchia. In quella posizione avvicinò il suo inguine per entrarmi dentro di nuovo. Le mie gambe vennero spinte verso il mio petto, il mio culo cercava il suo cazzo che lo puntava, rigido e predatore. Eppure, chi era il predatore?
«Mettilo dentro più che puoi» dissi. «E spingi forte, fammelo sentire».
Mi sentii afferrare le spalle. E il cazzo di Nick, là sotto, mi cercò alla cieca. Mi trovò subito, mi puntò. Con le mani cercai di allargarmi le chiappe.
E Nick spinse, forte, con una pressione prolungata del bacino. Sentii il cazzo farsi strada dentro di me con un movimento continuo, scivoloso per la crema. Poi ai colpi successivi me lo sentii entrare ogni volta di più, colmandomi. Ancora, ancora, pensavo. Ancora: e mi muovevo per assecondare il desiderio mio e quello suo.
Infilai una mano tra i nostri corpi, sfiorai il mio pisello, proseguii verso quello di Nick dietro di me. Ne toccai la radice, aderente al mio buco, e capii che era entrato tutto.
Ce l’ho dentro la pancia, pensai.
Senza fiato per l’emozione, afferrai le chiappe di Nick e lo tirai verso di me, poi lo rilasciai per tirarmelo ancora dentro. Nick prese ad andare avanti e indietro, e ogni volta dava colpi più forti, sbattendo sul mio culo. Mi sentivo squassare. Le mie ginocchia, spinte sempre più in alto, ormai erano ai lati della mia testa.
Poi capii che il movimento di Nick che mi dava maggior piacere era quando si sfilava appena, prima della nuova spinta in avanti. Mi toccai davanti. Non avevo più erezione, quella posizione di completa soggezione me la impediva. Eppure ebbi la netta, nettissima sensazione di essere sul punto di venire.
«Prova a sfilarmelo piano» dissi.
Nick si tirò indietro, pronto ad affondare di nuovo. «No – gli mormorai – devi sfilarlo piano, pianissimo. Poi rientri dentro e lo rifai».
«Ma così mi fai venire subito» disse Nick.
«Allora verremo insieme».
Nick spinse in avanti, premendo. Poi cominciò a sfilarsi. Io lo trattenevo perchè il movimento fosse il più lento possibile.
Nick serrò gli occhi, socchiuse la bocca e ansimò.
Mi sta venendo dentro, pensai con un senso di esaltazione. Adesso anch’io so che cosa vuol dire. Sono preso. Sentii il mio pisello sobbalzare. Nick uscì a metà pianissimo. Poi spinse bruscamente con un rantolo rauco. Si piantò nel mio profondo e fu attraversato da una serie di sussulti. Avvertii nettamente il fluido che mi invadeva. Il buco mi si strinse in una serie di spasmi, e in un turbine di piacere inenarrabile capii che anche dal mio pisello senza erezione stava uscendo qualcosa. Che qualcosa usciva e usciva, con brevi spruzzi che in nessun modo, mai nessuno avrebbe potuto trattenere. E ad ogni spruzzo sentivo quel piacere ultraterreno. Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
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