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STORIA DI K - 5 E FINE


di Holling
20.02.2012    |    8.507    |    2 9.3
"Sente il freddo della crema spalmata col dito..."
La testa in fiamme, il petto ancora attraversato dal tremore, nei polpacci una smania e un’agitazione, K entra in casa e si butta sul divano alla ricerca di un po’ di calma. Sono le 7 di sera di un giorno di marzo, le giornate ormai si sono allungate, e lui è appena sceso dall’autobus che utilizza per tornare dal lavoro.
Oh, non è la prima volta che gli capita, attraente nei suoi 35 anni, di essere oggetto di attenzione nei bus affollati. Sempre da parte di uomini: un paio di volte si era sentito una mano addosso, sfacciata, sul davanti, altre volte aveva avvertito uno strusciamento sulla gamba o dietro, che tentata di passare inosservato. Altre ancora era stato sollecitato da glutei che gli si offrivano. Talvolta aveva provato fastidio. Ma in genere aveva finto di non accorgersi, e aveva lasciato fare con indifferenza. Gli era anche capitato, poi, di provare vero piacere.
Ma quel giorno era stato diverso. Molto diverso perchè era stato lui a prendere l’iniziativa. Non era mai successo prima.
D’altra parte, questa era la storia della sua vita da adulto. La sua rete sociale inattaccabile fatta di un lavoro rispettabile, di amicizie corrette, di rapporti sessuali ortodossi, aveva dominato i suoi anni dopo l’adolescenza. Ma di tanto in tanto, di colpo e con la forza di un’invincibile marea, quella rete era stata sfondata d’impeto: in queste occasioni, poche ma vivissime nel ricordo, una forza gli saliva inarrestabile nell’anima, e solo un istinto si gonfiava, mostruosamente dominante: il desiderio di sesso. Di sesso maschile. Durava un giorno, o magari solo il tempo di cogliere un’occasione, poi tutto tornava nella normalità di una vita di relazioni socialmente accettate. Grigia normalità. Noiosa ma tranquillizzante.
Quel giorno, nel bus zeppo di gente K si era trovato accanto ad un tipo alto, magro, giacca blu sui jeans e camicia celeste sbottonata al collo, faccia sportiva con un accenno di abbronzatura. Sul bus erano stipati come sardine: sempre così la sera, all’uscita dal lavoro. Si procedeva a passo d’uomo, nonostante la corsia preferenziale dei mezzi pubblici, e di tanto in tanto un sobbalzo ricordava le cattive condizioni dell’asfalto romano. K era appeso ad una maniglia con la mano sinistra, ma tutti stavano talmente stretti che se anche si fosse lasciato andare serebbe rimasto in equilibrio, perfettamente verticale nonostante gli scossoni.
K lancia un’occhiata veloce al tipo alto e, senza preavviso, lo assale quella frenesia. La conosce: è così violenta che gli fa perdere il senso delle cose, è lei che domina la sua mente e la sua volontà. L’uomo lì accanto c’entra ben poco. Gli si sta scatenando il desiderio straziante di sesso, di sesso puro, di sesso omosessuale. K si passa la lingua sulle labbra, e prende coscienza vivissima della sua mano destra, lungo il suo fianco, ma anche lungo il fianco dell’uomo lì accanto.
La muove impercettibilmente, tocca. Pensa a quello che sta rischiando, ma non si ferma. E’ più forte di lui, non riesce. Muove le dita, avverte la gamba dell’altro, ed ha un’erezione difficoltosa, dolorosa, con l’uccello stretto tra slip, pantaloni, e gente stipata. Chiude gli occhi, tenta un più marcato contatto con quella gamba. E fa scivolare la mano sul davanti della coscia.
L’uomo all’inizio non aveva avvertito quel tipo di contatto, che si perdeva tra i mille contatti anonimi delle persone accalcate. Ma quando la mano di K gli risale verso l’inguine, allora non può non capire: dubbioso e incredulo, dapprima, poi consapevole. A K sale il cuore in gola per quello che potrebbe succedere. Ma continua. L’uomo lancia un’occhiata verso di lui ed ha un mezzo sorriso divertito. K inghiotte a vuoto, e con gli occhi fissi fuori dal finestrino muove la mano in modo sempre più esplicito.
Allora il tipo si muove. Non se ne va, no, affatto. Si gira appena verso K, invece. Fa in modo che il suo arnese vada a contatto della mano che lo palpa. K sente che sotto la patta di quei pantaloni quel che cercava si muove. Cresce. Ora K ne avverte la lunghezza. Una vampata gli sale in viso, e la sua mano afferra, attraverso la stoffa, nella protezione della calca anonima.
Adesso l’uomo si muove. Con discrezione, quasi con riluttanza, si stacca dalla mano di K. Come per avviarsi verso l’uscita, si porta dietro a K e si ferma. Comincia a premere. K resta immobile. Sente l’erezione dell’altro, sente il movimento di ricerca. Anche K cerca, premendo all’indietro. Nessuno, lì attorno, si accorge di niente.
«Io scendo alla prossima» dice l’uomo nell’orecchio di K, come per chiedere permesso. Dopo un attimo aggiunge: «Anche lei?». K, senza guardarsi dietro, accenna di sì con la testa. Fa un passo verso l’uscita. Il bus si ferma, la gente comincia a scendere. Scende anche l’uomo. In quel momento K ne vede con chiarezza il viso. E si blocca. Il tizio, ormai sul marciapiede, si guarda indietro, vede K ancora sul bus, fermo, gli lancia un’occhiata interrogativa. Poi alza brevemente le spalle e se ne va.
K ora è sul divano di casa, più calmo. Come me lo spiego?, si chiede. Come mai prima non riuscivo neppure a controllare le mia pulsione, poi ho lasciato che mi si strofinasse addosso, poi ho deciso di seguirlo per concludere, ma alla fine mi sono bloccato? Si risponde senza difficoltà: è stato vederlo in faccia che mi ha fermato.
Perchè vederlo in faccia già di per sè introduce ad un rapporto personale, da cui K vuole invece fuggire. Altre volte è fuggito, molte altre volte. Maledette volte. E’ fuggito per paura? Forse sì, proprio per paura, ma intanto è così, e bisogna farci i conti. K non può fare a meno di ridere di sè stesso e delle sue eterne incertezze, e dell’assurdità della sua mente: io avrei voluto un rapporto sessuale puro e semplice, senza parole. Un rapporto con quel cazzo, e non con la persona che gli stava attaccata dietro! Un concetto bizzarro, no?
* * *
Ma anche un concetto perfetto, quando si realizza, un vero eden. I ricordi si affollano. Una sera che lo aveva preso la smania, salì in macchina e volò all’imbocco dell’autostrada tra Roma a Civitavecchia. Aveva sentito dire che passatoil casello, alla prima piazzola di sosta dopo il tramonto succedeva qualcosa. K arriva, entra nella piazzola, si trova tra almeno una decina di auto e un paio di camion parcheggiati, e si ferma in un angolo appartato, spegnendo fari.
Qualcuno si avvicina. K intravede appena la figura che cammina, non ne scorge il viso. Davanti al parabrezza, l’uomo si ferma. K si protende verso lo sportello del passeggero, e lo socchide. K gira il viso per sfuggire alla lucetta dell’abitacolo, l’uomo entra e chiude, e siede lì accanto. E’ di nuovo buio completo. Nessuno dei due parla, nessuno guarda l’altro. E’ quella la situazione ideale, l’anonimato impersonale e rassicurante.
Conta solo il sesso. Velocemente K slaccia la patta dei pantaloni dell’altro, e glielo tira fuori. Non ancora del tutto eretto, ma ci vuole poco. Si sente addosso le mani che lo frugano nei pantaloni. Passa la mano dietro la nuca dell’altro, e gli fa pressione per farglielo prendere in bocca. Ecco, lo ha preso.
K ha staccato le sue mani dal cazzo dello sconosciuto, per godersi la succhiata. Ma lo sconosciuto gliene afferra una e se la riporta sopra. K adesso lo sente duro, e lo prende il desiderio. Fa staccare l’uomo, e succhia a sua volta. Si rende conto subito che l’arnese è piccolo.
Piccolo? Per succhiarlo è meglio grosso, riempie meglio la bocca. Ma per prenderlo dietro è molto meglio piccolo, in modo da non sentire male. Lo voglio dentro, pensa K. Fa scattare la leva dello schienale che si mette orizzontale e forma un unico giaciglio col sedile posteriore, si cala e si sfila i pantaloni e gli slip, si gira bocconi, afferra dalla tasca laterale dello sportello il peservativo e il vasetto di crema che aveva messo lì uscendo di casa, li porge in silenzio allo sconosciuto, e gli si offre.
Sente il freddo della crema spalmata col dito. L’uomo la fa entrare un po’ anche dentro, massaggia bene sopra e intorno alla corona, e K comincia a godere. Poi il dito finisce il suo lavoro, K capisce che l’uomo si sta portando a cavalcioni sulle sue cosce. Ora gli si stende sulla schiena, K ne sente il peso, e quel senso di soggezione gli dà ancora un altro tipo di piacere. L’uomo si inarca leggermente, infila la mano tra i due corpi, si afferra l’arnese, lo punta sul buco. Una spinta, e K geme. Una pressione continua, e K si sente aprire a forza. Una volta che la punta si è fatta strada, comincia la penetrazione a stantuffo, metodica, inesorabile.
* * *
Ecco, pensa K disteso sul divano, quella è stata un’esperienza perfetta: neppure una parola, neppure uno sguardo, sesso puro. Cerca di ricordare: è sempre stato così? Deve concludere che sì, c’è sempre stata la fuga dal rapporto personale.
Ma da adolescente no, con Claudio c’era stato coinvolgimento, erano corse parole, pensieri, scambi.
K ripensa allora al suo compagno, alla loro turbinosa conoscenza sessuale, ai primi maneggiamenti, alle piccole penetrazioni con Claudio sempre soggetto, e alla fine al rifiuto di K di usare la bocca, come invece Claudio gli chiedeva e gli offriva.
Dopo quel rifiuto il clima si era raffreddato, non c’erano più stati contatti sessuali. Si vedevano, studiavano assieme, andavano a giocare a pallone nella stessa squadra, ma sesso no. K immaginava che il suo compagno avesse altre esperienze. Ne aveva intercettato gli sguardi con qualche ragazzo più grande, si era fatto molte domande. Aveva avuto anche molti rimpianti per quel suo no di usare la bocca, aveva coltivato fantasie notturne su quello che avrebbe potuto accadere e non era accaduto.
Quattro anni dopo, quando ne aveva 15, K stava per entrare sotto la doccia dopo due ore di tennis. Aveva giocato con Claudio, naturalmente, e alla fine il custode li aveva dovuti cacciare perchè insistevano nonostante si fosse fatta quasi notte, e tutti gli altri giocatori fossero già andati via da un pezzo.
Nello spogliatoio deserto fiocamente illuminato i due ragazzi si erano tolti la maglietta sudata, ed erano in calzoncini. Claudio stava seduto sulla panca, intento a sfilarsi prima le scarpe, poi i calzini. K conobbe allora uno dei suoi raptus. In fretta si alzò. Si fece scivolare gli slip fino ai peli del pube, che spuntarono fuori. Fingendo di cercare qualcosa nel sacco poggiato sulla mensola alta, fece un passo di lato e si portò giusto al fianco di Claudio seduto.
Indugiò, frugando sulla mensola, le braccia protese in alto. Aveva la consapevolezza quasi dolorosa del suo cazzo in progressiva erezione a due palmi dal viso dell’amico. Si fermò, lo sentiva crescere. Capì che anche Claudio si era fermato. K fece mezzo passo, ancora più vicino all’amico.
Allora se lo sentì sfiorare. E la magìa dell’adolescenza tornò.
«Che cosa vuoi?» chiese Claudio. Nel suo tono, una punta di malizia.
«E tu?»
Per tutta risposta Claudio accennò a sfilarsi i calzoncini. In passato era lui che si offriva, e stava continuando a farlo. Ma K lo fermò: «No»
No? Allora Claudio capì: «Ecco che cosa vuoi: me lo vuoi dare in bocca. Ci hai ripensato»
K rispose protendendo il suo inguine in un invito esplicito. Claudio gli sfilò gli slip, gettati subito da una parte, e il cazzo di K fece un balzo in fuori, liberato. K non guardava e apettava l’iniziativa di Claudio, che sapeva bene che cosa fare: in quegli anni senza sesso con K non erano stati senza sesso con altri. Aveva imparato molto.
Restando seduto allargò la gambe. Tirò verso di sè K, che era rimasto in piedi, e se lo sistemò tra le cosce. Così aveva l’arnese del suo amico giusto davanti al viso. E prese a carezzarlo lì.
Prima con una mano e poi con l’altra. Avanti e indietro. Scoprendo il glande e poi ricoprendolo.
«Ma senti come ti sta diventando duro, – mormorò – come ti piace»
Certo che mi piace, pensò K, e così potrei anche venire. Ma questa è una cosa che conosco, l’ho fatta tante volte. Io voglio provare qualche cosa di nuovo. Io te lo voglio mettere in bocca.
Claudio sembrò leggergli nel pensiero. Poggiò tutte e due le mani sulle natiche di K, e tirò delicatamente a sé. K finalmente osò guardare in basso, e vide il suo pisello avvicinarsi alla bocca dell’amico. Ecco, stava accadendo. Tutto sembrava al rallentatore, le labbra di Claudio che si schiudevano e il suo arnese che si avvicinava. Chiuse gli occhi.
Si sentì passare la punta del cazzo con la punta della lingua. Claudio con una mano gli spinse la pelle indietro facendo sbocciare il glande. Poi con la lingua glielo bagnò con cura, indugiando sul solco tra la carne rosea della cupola e quella più scura del cazzo affondato tra i peli. Allora sporse in avanti le labbra, le poggiò a imbuto sulla punta e succhiò forte, d’improvviso, mentre veniva avanti con la testa. Il pisello gli scivolò in bocca. K mandò un grido soffocato di piacere. Claudio cominciò a lavorarlo, avanti e indietro. Faceva sentire a K il morbido della labbra, l’umido dell’abbraccio di lingua e gola.
Accelerò. K sentì che era arrivato il momento: «Attento – disse in fretta – sto per venire». Allora Claudio fece quello che K non si aspettava. Non si tirò indietro per non farsi venire in bocca, ma al contrario gli circondò il bacino con la braccia, se lo tirò addosso, e succhiò forte.
Fu una sensazione inaudita. K gli afferrò i capelli, gli spinse più dentro il cazzo duro cercandogli il fondo della gola, cominciò una interminabile eiaculazione a fiotti successivi, e gridò. Gridò forte, il buco del culo gli si contrasse, e rimase ad ansimare ad occhi chiusi mentre il pisello si spremeva ripetutamente nella bocca dell’altro. Le sue mani, fra i capelli di Claudio, avevano un leggero tremore. Come le sue cosce.
E finì: ecco, non c’era più niente da tirar fuori. Claudio si staccò ridacchiando: «Non mi dire. Mi hai fatto invidia per come te la sei goduta. Ma io lo sapevo che sei pieno di sesso»
K lo guardò stupefatto, il fiato ancora grosso: «Ma hai ingoiato?».
«Certo. Ho ancora un po’ del tuo sapore sulla lingua. Vuoi sentirlo?».
«Voglio sentire il tuo, di sapore. Me lo dai?»
«Finalmente!».
Claudio rimase seduto sulla panca dello spogliatoio, e K si inginocchiò in mezzo alle sue gambe allargate. Fu colpito dal volume che gli si presentava davanti agli occhi: non era così anni prima, quando tutto era cominciato. Si concesse un gesto voluttuoso: fece scivolare la mano dentro gli slip, e prese in mano il pisello di Claudio. Senza tirarlo fuori lo maneggiò, osservando il movimento sotto il leggerovelo della stoffa.
Finchè Claudio ruppe gli indugi. «Prendi», disse estraendolo.
E K prese. Fu Claudio a guidarlo, con le parole e coi gesti. Gli mise un dito in bocca, per bagnarlo, poi glielo passò ripetutamente sulle labbra. «Ti sto preparando». Gli introdusse di nuovo il dito in bocca. «Succhia». Gli prese delicatamente i capelli con l’altra mano, gli accostò il viso al suo pube. Allargò le gambe e guidò K sotto il sacchetto, tirando sù le gambe per offrire meglio quella parte di sè. «Lecca qui in mezzo».
K passò la lingua nel solco tra le cosce. Muovendo la testa sentì il peso del sacchetto e del cazzo duro di Claudio sugli occhi, sulla fronte, su una guancia. Leccò, e si stupì dei gemiti di piacere dell’amico. Si sentì invadere da un desiderio frenetico: adesso glielo prendo in bocca, pensò. E lo fece, trionfante.
Ecco, tante volte di notte aveva pensato a come sarebbe stato. Adesso lo sapeva. Era un oggetto invadente, che lo colmava e gli si muoveva in bocca per vita propria. Con la lingua ne testò la consistenza: duro dentro, morbido fuori, nell’involucro di pelle. Lo gustò, cercando il glande. Lo percepì e allora lo avviluppò con la lingua. Ne saggiò il sapore, che trovò impercettibile, e però imparagonabile ad altri conosciuti.
Chiuse gli occhi e cercò di immaginare il movimento nella sua bocca. Lo tirò fuori per guardarlo e di nuovo lo mise dentro. Cercò di pomparlo senza muovere la testa, solo con la lingua, mandandola avanti e indietro. Provò quanto poteva infilarselo nella gola, e sorprendentemente arrivò alla radice, le labbra sui peli dell’inguine. Allora ne immaginò la punta: giù, nel profondo della gola, nel buio. Si tirò appena un po’ indietro per respirare liberamente, poi di nuovo affondò.
«Mi piace quello che mi stai facendo» disse Claudio. Ma sento piacere anch’io, pensò K. Tirò Claudio verso di sè, facendolo scivolare avanti sulla panca finchè il buco non gli arrivò sul bordo anteriore. Allora gli tirò le gambe in alto, facendogli poggiare i piedi sulle sue spalle.
Claudio le tenne così, aiutandosi con le mani dietro le ginocchia. Il suo culo si presentò indifeso. K si staccò dal cazzo dell’amico, e prese a leccargli il buco, prima la corona, poi forzandolo delicatamente con la lingua. Claudio gemette.
K allora sprofondò di nuovo il viso verso il suo inguine, spalancando la bocca per riprendere dentro il cazzo tutto intero come prima. Pompò, succhiando e rilasciando ritmicamente. Quando sentì che l’altro accelerava il respiro, e il cazzo cominciava a pulsargli in bocca, gli fece scivolare una mano sotto il culo e gli spinse un dito nel buco, che lo accolse dilatandosi. Allora gliene spinse anche un secondo, e cominciò a scoparlo così.
Claudio gorgogliò ansimando, e K avvertì due movimenti: uno dentro la sua bocca, per il cazzo che si contraeva e pulsava, e uno del culo dell’amico che gli stringeva a spasmi ripetuti le dita infilate dentro. Claudio gli afferrò i capelli e li tirò verso di sè con forza. K si sentì sprofondare il cazzo nella gola. Provò a respirare, e gli uscì un rantolo sordo, cavernoso, prolungato. In quel momento avvertì una goccia. Si tirò leggermente indietro, per afferrarne il sapore tra lingua e palato. Ma subito fu sopraffatto da uno schizzo abbondante, potente. Seguito da un altro ancora, una specie di inondazione. Sembrò a K che il cazzo di Claudio gli si liquefacesse in bocca. K si accorse che stava venendo, senza toccarsi. Ingoiò. Ecco, esultò, ho fatto anche questo.
Sentì che il cazzo di Claudio, spremuto, cominciava a diventare meno duro nella sua bocca. Continuò a tenerselo, e a leccarlo piano. Così, eretto a metà, gli sembrò più pesante, con una maggiore potenza latente. Quando si staccò, gli sembrò una privazione.
* * *
I ricordi svanirono nella testa di K, ancora stravaccato sul divano. Si rese conto di essersi inumidito nei calzoni. Se li sfilò pigramente e si ficcò sotto la doccia.
Altro che rifiuto del contatto con l’altro, pensò sotto lo scroscio dell’acqua bollente, altro che sesso impersonale. Ebbe un pensiero fulminante: ho voluto Claudio così tanto, pensò, che ho mangiato un pezzo di lui. Ho mandato giù una parte del suo corpo. Si toccò. Devo abbandonare le mie paure, decise.
Il giorno dopo era alla fermata dell’autobus, alla solita ora: quella del giorno prima quando aveva incontrato l’uomo alto con la faccia sportiva. Salì, cercò velocemente nella calca, e non vide. Scese alla prima fermata e aspettò il bus successivo. Salì, e stavolta lo vide. A sua volta fu visto. Chiese permesso, e cominciò ad avvicinarsi. L’uomo alto sorrideva senza guardarlo.

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