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02 Autostop


di iside59
09.06.2023    |    6.437    |    6 9.9
"In me ci fu un attimo di smarrimento seguente alla sorpresa, ma lei mi guardò sorridendo, con una mano se lo stava già segando e con l’altra accompagna la..."
L’avevano sempre detto i miei genitori di non accettare passaggi dagli sconosciuti, ma io non ho mai voluto ascoltarli.
Quale figlio ascolterebbe mai i consigli dei genitori? La trasgressione è la cosa più eccitante che si può provare a livello emotivo, specie se questa ha a che fare col sesso.
Erano gli ultimi anni di liceo e l’età della patente non era ancora arrivata per cui qualsiasi modo di spostarsi senza spendere una lira era il benvenuto, anche perché la paghetta era quello che era.
Una mattina, in ritardo per prendere l’autobus per andare a scuola, feci una corsa terribile per riuscirci, ma giunto alla fermata questo era già ripartito e quindi, dopo aver pensato a come ovviare all’accaduto decisi che l’unica possibilità era quella di tirare fuori il ditino e affidarsi all’autostop, avventura purtroppo non nuova per me.
Dopo mezz’ora circa di autostop non si era ancora fermato nessuno, tutti sembravano aver una premura del diavolo ed ero quasi tentato di ritornare a casa e sentirmi le mie da mia madre, che quando si sarebbe svegliata, si perché la “Troia” era rientrata a notte inoltrata con uno sconosciuto e dopo avergli succhiato il cazzo in cucina per venti minuti abbondanti si erano appartati in camera da letto per finire la festa.
Io l’avevo spiata mentre stava ai fornelli senza mutande con la scusa di fare il caffè, probabilmente vista l’ora tarda, aveva paura che lo sconosciuto gli si addormentasse con la verga nella passera sul più bello.
Io avevo troppo sonno e la mattina dovevo svegliarmi presto per andare a scuola, per cui quando si ritirarono in camera da letto, decisi di andare a dormire sperando che i due non facessero troppo rumore nelle loro esibizioni sessuali.
Ormai ero rassegnato quando un’auto rallentò di colpo e accostò, mi affacciai al finestrino e gli chiesi se era diretto verso Milano, ma rimasi paralizzato dalla visione, una biondona stratosferica con la pelle olivastra, forse, anzi lo era, una sudamericana, con un paio di occhiali da sole molto grandi e scuri.
Ero quasi a disagio, non avevo mai avuto occasione di parlare con un tale pezzo di fica; guidava disinvolta e ogni tanto mi lanciava una sbirciata corredata da un sorrisino malizioso.
Avevo il sangue che mi stava salendo alla testa, ero agitatissimo, fino a che lei ruppe il ghiaccio dicendomi che ormai sarei entrato comunque a scuola in ritardo e con una giornata di sole così, andare a scuola sarebbe stato come commettere un reato.
Annuii con la testa, ero d’accordo, e come non si poteva esserlo se a dirlo era un cotanto pezzo di gnocca.
Ci presentammo, disse di chiamarsi Manuela, aveva un giubbino di Jeans sotto il quale una magliettina gialla aderentissima metteva in evidenza due tette non enormi ma molto sode, con due capezzoli turgidi che sembravamo in rilievo.
L’unica cosa che stonava erano le mani un po’ grandi, ma forse erano le lunghe unghie smaltate con vari colori che le facevano sembrare più grandi di quelle che effettivamente erano.
Mi disse che lei aveva visto la bella giornata ed era uscita senza un obbiettivo preciso, se non quello di godersi il sole che scaldava quella bella giornata autunnale e mi propose di passare con lei qualche ora a zonzo con l’auto in giro per Milano.
Beh, avevo fatto bigiate per motivi molto più futili e per una fica così non potevo certo rifiutare.
Aveva acceso la radio e canticchiava le canzoni che venivano trasmesse invitandomi a cantarle con lei.
Mi rilassai vedendola così felice e spensierata e cominciai a cantare anche io, lasciandomi trascinare in un clima di serenità e di spensieratezza.
Ad un certo punto mise la freccia a destra e svoltò in una via dicendo che aveva voglia di un buon caffè e una sua carissima amica sarebbe stata contenta di offrircelo.
Fermò l’auto nel cortile di un piccolo locale dove oltre al bar sembrava esserci anche la possibilità di passare la notte, un piccolo Motel a conduzione familiare.
Scendemmo dall’auto e li approfittai per spiargli il culo, era tosto, abbastanza grosso ma ben fatto, la seguii all’interno del locale che al momento pareva deserto.
Quando la barista ci vide, un’altra mulatta alta e magra probabilmente anche lei sudamericana, con un viso un po’ equino ed una voce piuttosto roca, risultato probabilmente di un grande uso della sigaretta, che tra l’altro aveva appena acceso e se l’era portata alla bocca facendo delle tirate vigorose da incenerire mezza sigaretta con un solo tiro, eravamo ancora nel periodo in cui si poteva liberamente fumare nei locali pubblici.
Si salutarono abbracciandosi e baciandosi, poi venni presentato alla barista che mi fissò lungamente e maliziosamente, come se fossi una fetta di torta alla panna da divorare.
Bevemmo il nostro caffè, non male per il posto dove eravamo, poi Manuela si alzò, prese delle chiavi appese dietro il bancone e mi fece cenno di seguirla nel retro, mi chiese: “Dai vieni con me, ti va?”
La domanda era ovviamente inutile, la seguii senza fiatare, entrammo in un corridoio con varie porte, ne apri una e mi disse di entrare; nel locale vi era un letto matrimoniale e mi disse di mettermi comodo ed aspettarla un attimo, che doveva andare al bagno.
Mi sdraiai su un fianco rivolto verso la porta dove si era infilata, in attesa del suo ritorno; dopo qualche minuto comparve in tutta la sua bellezza ed eleganza, indossava un body bianco con la schiena scoperta, si avvicinò al letto girando su se stessa, salì in ginocchio sul letto avvicinando il suo pube al mio volto, io annusai alla ricerca del tipico odore della passera, lei velocemente portò la mano sotto il cavallo alla ricerca del gancetto del body da slacciare, e in un attimo mi ritrovai srotolato davanti al volto un gran pezzo di nerchia, che era adeguatamente piegato verso il basso e girato sotto tra le gambe, imprigionato dallo stretto body che indossava.
In me ci fu un attimo di smarrimento seguente alla sorpresa, ma lei mi guardò sorridendo, con una mano se lo stava già segando e con l’altra accompagna la mia testa verso la sua cappella sicura che non mi sarei tirato indietro.
Chiusi gli occhi, sentivo l’inconfondibile odore del cazzo avvicinarsi alle mie narici, lo annusai, titillai la notevole cappella con la punta della lingua, aprii la bocca e lo ingoiai tutto facendomi venire addirittura i conati di vomito, cominciai a succhiarlo e a riempirlo di saliva mentre sembrava non finire mai di ingrossarsi.
Ero passato da un gran bel pezzo di fica ad un grande e grosso bel pezzo di cazzo, ma non ero deluso, mi sentivo comunque felice e molto “arrapato”, chi l’avrebbe mai detto che sotto le spoglie di quella bellissima ragazza ci fosse un tale mattarello.
La dolce e gentile biondina si trasformò presto in una autoritaria padrona: “Dai succhialo tutto! Dai prendilo tutto bastardo! Prendilo tutto in bocca! Dai porcone! Prendilo tutto in bocca! Dai porco! Ti piace eeh? Ti piace tutto eeh?
Mi slacciò i pantaloni, estrasse anche il mio di cazzo, che non poteva certo reggere il confronto col suo, mi salì sopra tipo sessantanove e cominciò a succhiarmi divinamente tanto che non ricordo di avere mai avuto un’erezione così, mentre con un dito mi penetrava il buchetto aumentando notevolmente la mia eccitazione.
Dopo avermi lavorato il buchetto, prima con uno, poi con due e alla fine con tre dita, roteando il polso come una trivella mi propose: “Adesso ti scopo eeh? Eeh? Ti scopo?
Gli risposi con un lascivo consenso:”Siiiiii!”
Mi mise a pecorina e mi si posizionò dietro affondando la sua verga nel mio culo, mi chiese: “Lo senti eh? Porcone!” “Dimmi, se lo vuoi tutto!”
E ancora: “Ti piace sentirlo tutto eh?” Cominciò a cavalcarmi sempre più velocemente apostrofandomi con insulti vari: “Te lo rompo tutto questo culetto! Frocetto!
Poi se ne uscii, mi rigirò, mi alzò le gambe in alto tenendole con le mani e mi penetrò dal davanti riprendendo la sua danza dentro e fuori dal culo.
Dieci minuti dopo, mentre mi stava ancora stantuffando ed insultando vigorosamente, si fermò e si ritrasse, si alzò in pedi e mi spinse giù in ginocchio con la faccia davanti al suo cazzo, cominciando a masturbarsi furiosamente.
Inginocchiato davanti al cazzo in religiosa adorazione, attendevo che il frutto del mio lavoro, fatto prima con la bocca e poi col culo, desse i suoi risultati.
Fissai la cappella turgida e rossa che puntava verso il mio volto, la succhiai ancora ed ancora, ricoprendola di saliva, rileccandola ed assaporando il gusto misto, un po’ acre e un po’ salato, della mia saliva mescolata a qualche goccia di umori di quel cazzo color caffelatte che cominciava a comparire dal buchino della cappella, la guardai farsi sempre più gonfia e paonazza, la testa della mazza era gonfia e pronta ad esplodere, sembrava volesse parlarmi prima di spruzzarmi addosso tutto il frutto del suo godimento, fissai ancora il buchino dal quale a breve sarebbe sgorgato tutto il nettare di cui ero in spasmodica attesa; chiusi gli occhi e dopo qualche secondo il mio volto venne inondato di sborra, aprii la bocca e cercai di inghiottirne il più possibile, ero in panico per non poterla deglutire tutta, spalancai al massimo la bocca per ingurgitarne il più possibile, ancora fiotti densi e biancastri mi invasero il viso, sgocciolando poi verso il basso dalle mie guance e dalle mie orecchie.
Mi sembrava mi avessero riversato addosso litri e litri di sperma, ma era l’effetto di quei momenti di super eccitazione che mi avevano pervaso; mi abbandonai sul letto chiudendo gli occhi e lasciandomi trascinare in un dolce dormiveglia durante il quale rivedevo in continuazione quella cappella gonfia riversare su di me tutto il suo godimento.
Mi assopii e fu Agata, la barista a svegliarmi, mi disse che Manuela se ne era andata, non aveva volto svegliarmi per non disturbare il mio sonno, dormivo come un bambino ed era un peccato rovinare il mio candido riposo, cazzo! e ora avrei dovuto tornare a casa in autobus!
Agata disse di essere in pausa pranzo, aveva a disposizione un’oretta e voleva approfittarne per divertirsi un po’ anche lei, mi sollevò il bacino in posizione prona e mi mise un cuscino sotto, si posizionò dietro di me e con mio grande stupore fece uscire da sotto la sottana il notevole serpente che teneva nascosto tra le gambe, non grosso ma molto lungo e nero, me lo puntò allo sfintere tenendolo con due mani e spinse dentro entrando fino alle palle.
Non mi fece male perché avevo il culo già spanato e ancora umidiccio dalla precedente cavalcata, ma era lunghissimo ed era entrato in profondità, me lo sentivo arrivare quasi in gola; alzai gli occhi e vidi nello specchio davanti a me, io a novanta gradi, dietro avevo Agata con la sua faccia da cavallo e on solo, infoiata e con la capigliatura un po’ rasta disordinata, tenersi con due mani un cazzo equino, entrare ed uscire con veemenza e con un grande movimento del bacino, nel mio culo ormai disfatto.
Mi cavalcò furiosamente per quindici/venti minuti fino a che si svuotò le palle dentro di me, mi fece un clistere di sborra; mi si accasciò sulla schiena sbavandomi sul collo, poi si ritrasse e mi porse la sua verga appiccicosa e scivolosa davanti alla bocca, esortandomi a ripulirla velocemente in quanto doveva tornare a breve dietro al bancone.
Lo inghiottii, ma non riuscivo a metterlo tutto in bocca, aveva un puzzo non certo delicato, me ne feci una ragione e lo succhiai comunque, per obbedire e fare felice la mia nuova padrona superdotata.
Il mio lavoro di bocca sembrava dare nuova linfa all’anaconda di Agata, mentre gli succhiavo il cazzo, alzai gli occhi verso l’alto guardandola in faccia e vidi i suoi occhi tornare sbarrati ed allucinati, come prima della monta e questo mi stava preoccupando non poco.
Fu questione di attimi, Agata mi girò in posizione supina, mi alzò le gambe mettendosi i miei piedi sulle spalle e mi infilzò nuovamente, ma questa volta aveva tutto il peso del suo corpo che spingeva dentro di me e la sua nerchia sinuosa entrò dentro ancora più in profondità.
Furono ancora venti minuti di cavalcata furibonda, mi esplorava entrando sempre più in profondità nelle viscere come una sonda esplorativa, quando si ritraeva sentivo sfregare la sua nerchia sulle pareti della mia cavità anale procurandomi un piacere indescrivibile, dopo qualche piccolo dolorino iniziale venni travolto dalla libidine fino a sborrarmi sul ventre senza rendermene conto, un godimento pazzesco!
Venti/venticinque centimetri di cazzo che mi svangavano il culo, che mi entravano tutti dentro raggiungendo zone del mio intestino inesplorate, mi sentivo talmente pieno da avere la sensazione di poter raggiungere l’orgasmo solo di culo.
Agata aumentò progressivamente il ritmo della monta fino a che senti nel mio ventre il suo vigoroso spruzzo, ancora una montagna di liquido iniettato nel mio didietro, mi sentivo allagato, quando mi alzai la sborra mi colava dal buco del culo lungo le gambe, giù fino alle caviglie.
Agata si ricompose velocemente e corse al bancone del bar dal quale la reclamavano, si sistemò velocemente i capelli con le mani, si rimise la corta sottana dalla quale penzolava ancora il suo lungo scuro arnese e mi disse di prendermela pure con comodo, indicandomi dove era il bagno.
Mi riposai ancora un’oretta poi andai in bagno a lavarmi e a sistemarmi, dopo di che salutai Agata e mi avviai alla fermata dell’autobus ripromettendomi di fare più spesso l’autostop alla mattina, con la speranza di incontrare nuovamente Manuela di passaggio.
Agata mi disse di passare ancora quando ne avessi avuto voglia, possibilmente vicino all’orario della pausa pranzo, così avremmo potuto divertirci un pochino.
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