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Il tormento di un padre (Incesto) - 6


di LuogoCaldo
25.07.2022    |    20.476    |    10 9.3
"“Ricordati che il mio marchio è quello rosa”..."
È da quando ero un ragazzo che ho questo feticismo per i luoghi in cui si trova la persona che amo.
Ricordo ancora gli anni dell’università, quando correvo come un disperato alle cinque del mattino e allungavo il percorso solo per passare sotto al palazzo della ex di turno.
Alzavo lo sguardo come un animale ferito e fissavo in adorazione mista a disperazione il balcone oltre il quale l’oggetto del mio desiderio ancora giaceva tra le braccia di Morfeo.
Quella prova d’amore non ricambiata mi mortificava come uomo, ma stimolava la bestia e il suo bisogno di punire e sottomettere chi non l’amava abbastanza.

Mi sentivo proprio in quel modo mentre mi avvicinavo al locale nel quale mio figlio, Annibale, aveva cominciato il suo gioco erotico, sprezzante dell’amore che provavo per lui e dimentico della mia stessa persona.
Pensavo agli avventori che in quel momento si davano il cambio per affondare i loro cazzi pesantissimi in fondo alle viscere del mio bambino e percepivo come ansia la smania d’essere al posto di uno qualsiasi di quei porci.
Sudavo freddo, nonostante il vento, e sentivo il membro ingrossarsi sotto al tessuto dei calzoni, mentre Iryl, il piccolo prostituto ucraino che avevo scelto come accompagnatore per la serata, mi abbracciava e si lasciava condurre alla volta del club.
“Ascolta”. Lo avvisai. “Questa notte andrà diversamente da come sei stato abituato”.
Gli occhi enormi del ragazzo brillavano nella luce fatua dei lampioni.
“Finora siamo stati solo io e te … Ed è stato bellissimo … Oggi, però, ho bisogno che tu assecondi una mia fantasia …”
Guardavo dritto dinanzi a me, seguendo il riverbero dell’illuminazione sopra l’asfalto lucido come un lago di pece.
“In che senso?” Mi chiese lui allarmato.
“Nel senso che voglio che tu faccia una cosa per me”. Risposi asciutto. “Una prova di devozione assoluta.” Specificai.
Il giovane mi guardò con trepidazione.
“Andremo in un posto stanotte”. Proseguii. “È un luogo molto particolare”. Aggiunsi. “Un luogo dove tu dovrai lasciare che altri uomini … uomini di cui non conoscerai mai l’identità … si godano la tua fica … proprio come faccio io”.
E mentre parlavo feci scivolare la mano da sopra alla spalla lungo la sua schiena, fin dentro all’elastico della tuta, e raggiunsi col dito medio il centro bagnato delle sue natiche.
“E tu? Tu cosa farai?” Incalzò lui sorpreso.
“Oh … Io veglierò sopra di te e semplicemente resterò a guardare”. Promisi, mentre mi facevo strada dentro la sua rosetta.
“E … non ti farà … niente?” Domandò lui.
In fondo alle pupille riuscivo a scorgere una punta di delusione.
“Lo sai che sarò geloso marcio”. Lo blandii accarezzando le pareti delle sue viscere. “Ma è un gioco… Avrò il cazzo duro come un palo della luce e alla fine ti monterò pieno di rabbia per quello che hai fatto … Dai … accontentami”.
E per convincerlo premetti con forza il polpastrello contro la sua prostata, lo trassi verso di me con quell’uncino saldamente conficcato nel sedere e, facendolo vibrare di piacere, gli infilai rapidamente la lingua in gola.

Riprendemmo la marcia eccitati come maiali e quando fummo dinanzi al portoncino del locale sentii che il cuore cominciava a galoppare in modo scomposto per l’emozione di trovarsi così vicino al frutto dei miei lombi.
L’ospite allampanato che m’ aveva invitato poco prima mi guardò sorpreso.
“Hai fatto presto eh, stallone!?!” Mi canzonò.
Iryl sembrava contrariato.
“Dì la verità, sei tornato per me?” Sibilò.
Fece il cenno di accomodarci e, richiudendo l’uscio dietro di sé, sfiòrò con il dorso della mano la patta dei miei calzoni.
Quell’approccio spudorato mi lusingò.
Il cazzo mi si intostò improvvisamente e i coglioni già carichi si gonfiarono di seme.
“Allora”. Proseguì puntando gli occhi dentro a quelli spaventati del mio accompagnatore. “Adesso comincia il gioco. Ti divertirai da matti!” Disse. “E prenderai più cazzi di quanti tu non ne abbia presi in tutta la tua vita. Ma sai quale sarà la cosa più bella?” Chiese riducendo gli occhi a due fessure. “Sapere che il tuo maschione starà lì a guardare. Con un uccello pesantissimo pronto a sfondarti quando gli altri avranno finito”.
Poi, abbassando il tono della voce, proseguì con l’attitudine del fratello maggiore: “Quelli così non te li tieni se non sei un po' puttana, tesoro … E tu lo sei, no?”.
Il ragazzino annuì visibilmente a disagio.
“Bene! … Pesca l’adesivo!” Mi ordinò porgendomi il sacchetto di tela che avevo già ispezionato durante la visita precedente.
Feci come mi aveva chiesto ed estrassi dal mucchio una piccola farfalla di colore rosso.
“Abbassa gli slip bimbo”. Disse l’ospite euforico avvicinandosi ad Iryl. E, senza attendere un suo cenno, gli sollevò l’elastico della tuta, gli attaccò il segno sulla natica destra e pigiò con forza il palmo della mano contro il sedere pallido.
“Ecco, ora sei marchiato!” Concluse soddisfatto. “E il tuo padrone potrà riconoscerti”.
Poi si rivolse a me, mi porse la chiave di un armadietto e mi invitò ad imboccare la strada per gli spogliatoi.
“Da qui procedi da solo, stallone”. Mi disse. “Io accompagno lui nella stanza delle ghigliottine”.
Mentre mi indicava la direzione che avrei dovuto prendere si fece così vicino che riuscii a percepire il calore del suo fiato sul volto.
La sua mano scivolò dentro all’apertura del loden e si chiuse con forza sopra al pacco gonfio. “Ricordati che il mio marchio è quello rosa”. Sussurrò con un filo di voce.
“Ghigliottine …?” Chiese Iryl che, evidentemente, non si era accorto di quel movimento carbonaro.
“Non preoccuparti, la tua testolina è al sicuro … Quel culetto duro che hai, invece, non lo so!” Rispose l’ospite e, tirandolo per un braccio, lo trascinò lontano dalla mia vista.

La stanza delle ghigliottine assomigliava ad una caverna circolare.
Le luci erano soffuse e le sagome dei giocatori immerse nella penombra.
Sulla parete di fondo, dai fori praticati nel cemento, spuntavano le natiche spalancate delle vacche, lucide degli umori dei tori e marchiate con adesivi di colori diversi.
Riconobbi quello rosso di Iryl e, proprio accanto, il segno rosa del ragazzo che mi aveva accolto all’ingresso.
I loro gemiti giungevano ovattati dal vano retrostante e tradivano l’enorme soddisfazione provocata dal giro dei maschi, i quali si scambiavano i rispettivi antri di piacere e cingevano le grosse cosce tornite attorno ai piccoli culi bianchi, spiando, con la coda dell’occhio, il trattamento che lo stallone di turno stava riservando al proprio partner.

Nudo, riscaldato solo dal fiato corto dei maiali intorno a me, il cazzo mi si intostò all’istante all’idea che una di quelle piccole fiche aperte appartenesse a mio figlio.
Avrei potuto tentare la roulette russa e sprofondare la minchia in ciascuno di quei canali.
Alla fine di quella notte di perdizione avrei avuto la certezza che la passera di Annibale era stata mia.
Il peccato perfetto.
Invisibile.
Sconosciuto.
Appena sussurrato alla coscienza.
E invece riuscii a sedare quella febbre d’incesto e mi attaccai ai glutei pallidi dell’ospite.
Le pieghe della pelle si avvitavano purpuree attorno alla rosetta e, tra le mie mani, le natiche sode si schiudevano simmetriche, come due coste separate dal mare.
Appoggiai il glande sul centro bagnato di quel sedere ossuto e spinsi con forza, senza delicatezza.
“Aaaah …”. Sentii mugolare dall’altra parte della parete.
Immaginai il volto della puttana scomposto dal piacere e cominciai a martellare come un ossesso.

Alla mia destra il culo di Iryl era rimasto esposto.
Tutti gli altri tori erano impegnati nelle loro monte.
Infilai le dita nel suo buco e cominciai a masturbarlo, senza allentare il ritmo della scopata.
Guardavo le terga delle altre cagne, alla ricerca di quelle che, nella mia immaginazione, potessero appartenere a mio figlio.
“Stai veramente impazzendo”. Una voce familiare interruppe il flusso dei miei pensieri.
Alessandro mi fissava alla mia sinistra.
La sua grossa trave entrava e usciva con violenza dal retto del ragazzino chino dinanzi a lui.
Le urla di piacere del piccolo erano le più stridule della stanza. Non doveva essere facile accogliere tutto l’ingombro di quell’ariete.
“Si, è vero …”. Risposi affannato. “Sono eccitatissimo …Tu, piuttosto, datti una regolata! Lo stai spaccando …”.
“È abituato”. Replicò. “Lo sto solo tenendo occupato”.
“Non è possibile”. Pensai indovinando quello che stava per accadere.
“In che senso?”. Domandai.
“È il mio passivo”. Disse. “Voglio scegliere io chi lo monterà stanotte. Ti stavo osservando sai … Credo che tu possa andare bene”.
Il cazzo mi si gonfiò all’inverosimile. “Aaaaah …. Ahhhh .. sei durissimo”. Mugolò l’ospite.
Spinsi tre dita contro la prostata di Iryl.
“Ne stai dominando due!”. Esclamò l’uomo ammirato.
“Senti come li stai facendo urlare … Cristo!”.
“Avanti … scambiamoci di posto … spostati”. Mi incitò estraendo il grosso uccello dalle viscere di mio figlio.
“Guarda che fica che ha … Tu fotti il mio e io fotto il tuo. È abituato ai cazzi pesanti …?”
Cominciai a sudare freddo. “Questo non è il mio”. Risposi con intenzione diabolica.
“Ah si? E quale è il tuo”.
“Quest’altro … questo che sto masturbando”.
“Che diamine sto facendo?” Domandai terrorizzato da me stesso. “Lo sto indirizzando verso il suo bambino!”.
“Allora, è allenato?” Chiese mentre si sputava nella mano e si lucidava la mazza.
“Si …” Sussurrai con un filo di voce.
“Vuoi che te lo spacchi?”
Annuii deglutendo.
“E allora guarda …”
“No … No … Aspetta”. Provai a obiettare.
“Zitto … guarda …”.
Il porco piegò le cosce attorno al bacino del piccolo, strinse la mia mano e se la portò sopra al bastone d’acciaio.
“Guidami”. Mi ordinò e lasciò che conducessi quella bestia spessa tra le natiche del suo ragazzo.
“Ahhh … Ahhh … AAAAAAAH” Urlò Iryl mentre il palo di suo padre si abbatteva violento dentro alle sue viscere. “Cristo, è gigantesco”.
I maiali nella stanza guardavano tutti nella nostra direzione, eccitati dalla furia poderosa di Alessandro.
Solo io sapevo che il rituale che si stava compiendo rappresentava il più osceno dei peccati.
Quel maschio stava montando il frutto stesso dei suoli lombi.
I suoi grossi coglioni pendenti sembravano volersi riprendere tutto il seme che anni prima avevano disperso.

L’amante di mio figlio mi guardava con gli occhi da pazzo.
Era bellissimo e sembrava il demonio fatto persona.
“Avanti tocca a te”. Mi disse con la voce rotta dal desiderio. “Fottitelo … dai … domani deve camminare piegato. Rompiglielo”.
Non sapevo cosa fare.
La figa di Annibale brillava sotto le luci stroboscobiche dell’ambiente.
Il toro l’aveva completamente spalancata e gli umori della troia colavano lucidi lungo le cosce glabre.
Mi sentii sul punto di esplodere e velocizzai la scopata nel sedere dell’ospite.
Il ragazzo cominciò a urlare senza ritegno e le sue grida di piacere si legarono a quelle che Iryl continuava a levare sotto ai colpi di reni di Alessandro.
Mi feci coraggio e allungai la mano verso il buco viola di mio figlio.
Quando, finalmente, trovai il coraggio di toccare le sue labbra fui percorso da una strana elettricità.
Quella pianta carnivora sembrava dotata di vita propria.
Pulsava come un cuore gonfio di sangue e risucchiava i polpastrelli delle dita, aspirando prima due, poi tre e infine ben quattro dita della mano sinistra, ad esclusione del pollice.

Mentre stringevo il buco del culo di mio figlio e piantavo l’uccello dentro al retto dell’ospite sentii che i coglioni mi si gonfiavano di sborra.
Avviai una monta epilettica e cominciai a sudare.
“Sarà un attimo”. Pensai. “Oramai sono arrivato fino a questo punto. Lo tiro fuori, glie lo sbatto dietro e mi scarico le palle … Non lo saprà mai …”
“Il peccato perfetto”. Mi ripetei. “Il seme che si riprende il seme”.
Cominciai ad estrarre lentamente il bastone dal canale dell’ospite.
Centimetro dopo centimetro.
La cappella era già gonfia e bagnatissima.
“Sto per metterlo in culo a mio figlio, non riuscirò a fermarmi …”. Mi dissi rassegnato alla mia debolezza.
Ero ormai risoluto. Il cazzo tirava fortissimo. Ancora pochi istanti e finalmente si sarebbe sfamato.
Ma proprio mentre mi arrendevo agli appetiti della bestia, il mio ospite si accorse che stava per perdere la verga prima di averla soddisfatta.
La sua reazione fu istintiva e lo portò a riprendersi quello che era suo.
Con un colpo all’indietro ricacciò immediatamente la mazza dentro di sè, contrasse lo sfintere e iniziò a muoversi rapidamente su di essa, ragliando come un cinghiale, col chiaro intento di farla esplodere.
“Puttana …”. Sussurrai sopraffatto da un orgasmo improvviso. “Cazzo … fermo, cazzo … fermooo …”
Era però troppo tardi per opporre resistenza.
Non sarei più riuscito a saltare da un culo all’altro.
Mi arresi a quell’onda di piacere.
Affondai i denti sulla schiena della zoccola, serrai le cosce attorno alle sue e, mentre sborravo, feci sprofondare la mano nel sedere di mio figlio, gemendo come un animale ferito.
AAAAAAH ….. AHHHH … AAAAA”.

Mi sentii come liberato da un grosso peso sul petto.
Respiravo a fatica, stravolto dalla potenza di quell’orgasmo.
“Cazzo sei venuto”. La voce di Alessandro mi giunse lontana.
Senza staccare la fronte dalla curva di quella schiena feci ruotare il volto nella sua direzione.
Aveva la gamba sollevata sopra le terga di Iryl ed il piede nudo saldamente appoggiato contro la parete.
In quella posizione riusciva a conficcare tutta la minchia dentro al retto.
“Cristo hai visto cosa ha fatto per prendersela?”. Mi disse con voce folle. “Che puttana … Mmmmh … CHE PUTTANA!”
Poi, inconsapevole, si rivolse a suo figlio.
“Mi sa che quella più troia è la cagna che sta vicino a te …!” Gli urlò assestandogli uno schiaffo violento sulle natiche.
E serrandogli i fianchi esili prese a montarselo come una furia.
“Sto sborrando cristo … sto sborrando come un animale … zoccola … Ahhhh … Ahhh … Ahhhh.”.
“Nel culo di tuo figlio …”. Pensai percorso da una vertigine improvvisa.
“AAAAH …. AHHHHH”

Il cuore cominciò a battere all’impazzata.
Squarciato il velo dei ferormoni la realtà mi colpì violenta.
“Che cazzo ho fatto?”. Mi domandai allarmato. “Sono stato io … Cazzo! Ho fatto tutto io …! Ho spaccato due vite stanotte …”
L’immagine di quel padre con la mazza conficcata dentro al ventre del figlio mi graffiò le pupille.
Il volto del satiro era completamente stravolto e la fronte brillava imperlata di sudore.
Sorrideva, senza riuscire a serrare le labbra, respirando affannato con la lingua penzoloni.
Ero atterrito.
Mi staccai disgustato dal sedere del ragazzo e, senza distogliere lo sguardo da quella scena raccapricciante, arretrai come un animale ferito.
Mi rivestii di fretta nello spogliatoio, col timore che qualcuno potesse raggiungermi e riconoscermi e, confuso, mi catapultai fuori da quel luogo di peccato, cercando conforto nell’aria gelida della notte.
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