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Gay & Bisex

Nei panni di mia madre - 2


di LuogoCaldo
03.01.2022    |    11.920    |    7 9.6
"“Se tu avessi un po' di sale in zucca la smetteresti di scoparti il marito di chi ti affitta casa”..."
I colpi risuonarono contro la lamiera come rintocchi di campana.
La mamma si svegliò di soprassalto, mi guardò e, con indolenza, smontò dal letto.
Era nuda, aveva i capelli in disordine e il seme di Timoteo le scivolava lungo le gambe.
“Apri troia o sfondo la porta”. Disse la voce.
“È Fabrizio!” Sussurrò lei. “Non paghiamo l’affitto da mesi”.
“So che ci sei Manila”.
“Arrivo, un attimo … arrivo”. Rispose esasperata e, indossata la vestaglia, si avvicinò all’ingresso rivolgendo gli occhi al soffitto.
“Non ti preoccupare tesoro, sistemo tutto io”.

Mentre mi rivestivo li sentii parlare.
“Mi devi quattro mesi”. Disse lui. “Io non sono mio padre, non sono disposto a farmi prendere per i fondelli da una puttana”.
“Lo so, lo so. Ma ho avuto delle spese extra”. Si giustificò la mamma. “Dammi solo qualche altra settimana”
“Ti sei comprata una macchina, cazzo!” Le fece notare.
“Ascolta, dì a Gerardo che il mese prossimo vi saldo tutto”. Propose lei. “Dai, non fare il burbero. Io e tuo padre siamo amici, lo sai … Se vuoi un modo per venirci incontro lo possiamo trovare anche noi due …”.
“Smettila, io non sono malato come lui … non vale così tanto la tua passera … o paghi o sei fuori!”.
“Senti ragazzino …” Obiettò mia madre.

Mi affacciai sulle scale del camper. “Che succede?” Domandai.
Fabrizio doveva essere il figlio di Gerardo, il gestore del drive–in.
Assomigliava moltissimo a suo padre.
Era alto e robusto, con le spalle larghe e le cosce straordinariamente muscolose.
La sua pelle era chiara come il latte e il freddo l’aveva arrossata intorno al naso e agli angoli della bocca.
Sembrava sorpreso di vedermi.
Puntò lo sguardo sulle calze a rete, risalì fino alla minigonna e indugiò sulla camicetta che vi avevo abbinato. Pensai che i suoi occhi stessero cercando il mio seno.
Mi studiò per qualche secondo e, arricciate le labbra in una smorfia di disapprovazione, si rivolse a Manila: “Lavorate in due là dentro e tu continui ad accampare scuse?”
“Ma che …?” Sbottai piccato prima che lei potesse rispondere qualcosa. “È mia madre!”
“Ascolta bimbo” Lo rimbrottò la mamma. “Adesso basta! Stai al posto tuo e smettila di giocare a fare l’uomo di casa. Ne parlo direttamente con tuo padre”.
E, dopo avergli mostrato il pugno chiuso ed esserselo avvicinato alla bocca in un gesto eloquente, si incamminò verso il motel, mentre il ragazzo le urlava dietro: “Vacci pure troia. Mi ci ha mandato lui qua”.

“Scusa”. Disse Fabrizio. “Non volevo … è solo che tua madre …”
Sembrava piuttosto imbarazzato.
Feci spallucce.
“La aspetti fuori?” Gli chiesi. L’aria intorno era molto fredda.
“Posso?”
Lo invitai ad entrare con un cenno della testa.
Lui si sistemò sulla branda e la rete cigolò rumorosamente.
“Dormi qua?”. Mi chiese.
Mi limitai ad annuire.
“Come ti chiami?”
“Lea”.
Restò in silenzio per qualche secondo e poi mi domandò: “E questa vita ti piace, Lea? Quello che fate tu e tua madre dico, ti piace?”.
“Io non lavoro”. Risposi. “E comunque non sono fatti tuoi”.
Non sembrava offeso.
“A scuola ci vai?” Incalzò mentre si toglieva il giubbotto.
“A volte” Ammisi. “Quest’anno però finisco”.
“E ci vai vestita così … ?” Mi chiese squadrandomi dall’alto in basso.
Non risposi.
“Avrà capito che sono un ragazzo?” Mi domandai.
“Ascolta …”. Proseguì lui. “Io non ho nulla contro tua madre … ma … è una cosa che riguarda la mia famiglia”.
“Deciderà Gerardo infatti”. Risposi seccamente. “Perché vuoi intrometterti?”
“Mio padre non ragiona quando si tratta di Manila”. Sbottò. “Perciò sono venuto io”.
Era esasperato.
“Senti”. Concluse. “Ormai la decisione è presa: o pagate o andate via”.
Mi sedetti accanto a lui.
“Ti cambia così tanto un mese?”. Gli chiesi calma.
“Non sono io”. Ammise arrossendo. “Il fatto è che mia madre … insomma è una questione di principio”.

Notai che la mia vicinanza gli stava facendo uno strano effetto.
Alla sua età non doveva essersi trovato così spesso nella camera da letto di una prostituta.
Mi guardava le gambe e, tra le cosce, il tessuto dei calzoni era evidentemente teso.
Era convinto che fossi davvero una ragazza e sicuramente gli sarebbe piaciuto dare qualche colpo di lingua alla mia conchiglia bagnata.
“Sei carina”. Mi disse.
Mentre parlava mi accarezzava il ginocchio.
Pensai che avrei potuto esercitare su di lui lo stesso potere che Manila esercitava su suo padre.
“Anche tu”. Risposi.
Non mi sembrava a suo agio ma comunque fu lui a fare la prima mossa.
“Senti”. Esordì impacciato. “Forse posso chiudere un occhio per questo mese … ma solo per questo mese”. Precisò. “Però tu … dovresti essere un po' gentile”.
Appoggiò la mano sulla coscia e provò a salire.
“Ehi …”. Lo fermai.
Lui sorrise nervosamente e oppose una blanda resistenza. “Dai …”. Insistette.
Gli trattenni la mano. “Non è che non voglio …”. Dissi mentre gli spostavo il braccio.
“È solo … è solo che in questi giorni ho le mie cose”. Mentii.
Mi guardò deluso “Ah …”.
“Però ci sono tanti giochi che possiamo fare”.
E, per rassicurarlo, gli misi la mano sul pacco e incominciai a baciarlo dolcemente.
"Sei proprio una porcellina". Disse lui.
Gli morsi le labbra, lo spinsi supino sul letto e gli abbassai i pantaloni.
Posai la bocca sul pomo d’Adamo, scesi sui pettorali e, sollevatagli la felpa, indugiai sull’ombelico, tormentandoglielo con i denti.
Quando arrivai al pube il suo uccello era duro come il marmo.
“Che cazzone”. Pensai.
Era largo ed emanava un forte odore di maschio.
Mi sentivo il buco del culo bagnato: l’idea che Lea avesse eccitato così tanto quello stallone mi stava facendo impazzire.
"Ti piace?". Mi chiese.
Annuii. Serrai le labbra intorno al glande e feci roteare la lingua, soffermandomi sul frenulo.
“Cazzo”. Gemette mentre reclinava la testa per godersi la succhiata.
Gli aspirai la nerchia lentamente ma con molto vigore e feci scomparire l’asta in fondo alla gola.
“Che toro”. Pensai. “Mi farei proprio montare”.
“Mmmmh … sei veramente brava”. Mi incitò, mentre, gemendo, mi spingeva il bacino contro la bocca. “Una pompinara nata …”.
Gli succhiai il pesce come un’idrovora e ci misi così tanto trasporto che fui sul punto di essere scoperto: il porco mi aveva infilato la mano tra cosce e stava per toccarmi il pisello.
Lo spostai senza staccarmi.
“Fammi sentire la fica ti prego”. Mi implorò con voce affannata.
“Non posso ora, te l’ho detto”. E mentre gli insalivavo le palle gli strinsi il pugno sul glande e lo masturbai velocemente.
“MMMMMH … sei una troia … non ti fai pagare ma sei più cagna di tua madre …”.
Aveva perso il controllo. Serrava le lenzuola tra le dita e ansimava rumorosamente.
“Aaaaah … aaaah”.
Sentii la voce di Manila che si avvicinava. “Anche tu hai un figlio …” Diceva. “Non puoi buttarmi fuori da un momento all’altro … non è mica un pacco? Lo sai …”.
“Non è colpa mia”. Rispose Gerardo. “Mia moglie è impazzita … dice che non sopporta più di averti intorno … e quello stronzo di mio figlio sta dalla sua parte”.
“Se continui esplodo”. Mi avvisò Fabrizio.
“E tu falli stare zitti … digli che è solo per un mese … ti prego, se fai così mi rovini”.
“Dove vuoi venire?” Gli domandai guardandolo con occhi languidi.
“Nella passera …” Rispose esasperato. “Ho bisogno di scopare”.
“Solo desideri realizzabili” Lo provocai mentre gli passavo la lingua sull’asta.
“Stronza”. Sospirò. “Apri la bocca”.
Obbedii mentre lui mi raccoglieva i capelli dietro la nuca, li serrava nel pugno della mano e, tenendomi ferma la testa, cominciava a fottermi come un dannato.
Il suo bacino si muoveva freneticamente e i coglioni pelosi tamburellavano contro le labbra.
Avevo tutto il cazzo in gola.
“Sei una puttana”. Ripetè con un filo di voce.
Mi sentivo soffocare.
Stringevo le dita sui quadricipiti tesi e gli conficcavo le unghie nella carne.
Una grande quantità di saliva mi usciva dai lati della bocca.
“Io ti aiuto ma tra un mese se non pagate ti fai scopare”. Disse continuando a sbattermelo dentro. “Giura”.
Annuii.
“MMMMH … Ti allargo la fica … me lo vieni a chiedere tutti i giorni dopo che te l’ho dato”.
Non c’era più traccia del ragazzo imbarazzato di poco prima.
“Sei un bastardo”. Disse la mamma e colpì con forza la porta della roulotte.
“Cazzo …”. Disse Fabrizio senza rallentare.
Ero agitatissimo.
Provai a liberarmi.
“Aspetta ci sono quasi”. Sussurrò lui.
“Apri”. Urlò la mamma. “Adesso devi dirmi dove me ne devo andare”. Continuava a lamentarsi con Gerardo.
“Ecco … ecco”. Il porco si piantò la mia testa tra le cosce e, in preda all’eccitazione, mi buttò tutta la banana in gola.
“Sborro troia … sborro”. Gemette, mentre, tenendomi per i capelli, mi riempiva la bocca del suo seme.
Restò dentro di me fino a che non ebbe completamente scaricato, dopo di che si sollevò i calzoni.
“Butta giù”. Ordinò.
Non sapevo cosa fare non avevo mai bevuto prima.
“Vuoi aprire?”. Urlò la mamma.
Lui scattò in piedi, mi premette il viso contro il pacco e, serrandomi la mano sopra alla bocca, mi tirò la testa all’indietro. “Butta giù ho detto”.
E dopo che ebbi ingoiato avvicinò le sue labbra alle mie e mi baciò con dolcezza.
“Brava”. Sussurrò. “Sei proprio brava. Tra un mese però mi dai la fica”.

“È quella troia di tua madre che vuole che ce ne andiamo?” Sbottò Manila non appena ebbi aperto la porta.
“Cristo”. Rispose Fabrizio. “Se tu avessi un po' di sale in zucca la smetteresti di scoparti il marito di chi ti affitta casa”.
“Senti bello …” Esordì mia madre.
Ma lui la interruppe.
“Ascolta” Disse. “Non ti scaldare. Mi rendo conto che, forse, sono stato precipitoso”.
La mamma lo guardò stupita.
“Ti concedo ancora mese. Uno solo. Se non paghi comincia pure a fare le valigie”.
Gerardo sembrò sul punto di protestare. “Ma …?”
“Parlo io con la mamma”. Lo anticipò il ragazzo. “Ma smettila per cortesia … sei indecente”
“Ehi”. Un uomo brizzolato si avvicinò al camper con passo affrettato.
“Chiedo scusa, siete voi i gestori del motel?”
Fabrizio annuì.
“Sono il professor Marinelli”. Si presentò l’avventore. “Accompagno una scolaresca in gita scolastica ma il nostro autobus è in panne. Avete abbastanza stanze per ospitarci stanotte?”.
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