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Ritorno al noccioleto - Parte 8


di LuogoCaldo
10.12.2021    |    7.239    |    6 9.9
"Guardai le cosce enormi di mio cugino stringersi intorno al mio sedere e i piedi nudi guadagnare terreno ad ogni colpo del bacino..."
Quella mattina Alfonso non proferì parola.
Mi occupai da solo delle commissioni che lo zio ci aveva incaricati di sbrigare mentre lui rimase in macchina a fissare il vuoto.
Mi rendevo conto che la scena alla quale avevamo assistito doveva averlo profondamente turbato e tuttavia non riuscivo a controllare l’eccitazione.
Mio cugino mi aveva scopato la gola mentre guardava suo padre sbattere l’uccello tra le labbra di sua madre.
Il nettare di quel maiale doveva avere lo stesso sapore della sborra di zio Gaetano.
Avrei voluto assaggiare entrambi i loro succhi, poterli confrontare.
Volevo solo accostare la macchina da qualche parte e chiedere ad Alfonso di scoparmi là dentro, di trivellarmi il culo col suo cazzo violento.
Lui, invece, aveva il buio negli occhi.

“Devo assolutamente dirgli la verità” pensai “non posso continuare a mantenere questo segreto”.
“Come stai?” Gli chiesi mentre guidavo sulla strada del ritorno. Gli occhi puntati sulle grosse cosce aperte.
“Non te lo so dire adesso”.
Era così difficile scalfire la corazza dietro la quale quel ragazzo si era trincerato.
“Senti”. Esordii. “Posso chiederti una cosa?”
“Se non puoi farne a meno”. Cantilenò lui.
“Sai, pensavo che in fondo non mi hai raccontato molto di te.” Alzò gli occhi al cielo.
“So che vivi con tua madre, che per un po' siete stati lontani dal paese … che siete tornati proprio quando noi ci siamo conosciuti, all’inizio del liceo. Ma prima…? Dove siete stati?”
Lui sbuffò, staccò la mia mano dal volante e se la posò sull’uccello.
“Non è meglio questo?” Disse guidando la mia mano su e giù contro il suo pacco.
“Dai, sono serio”. Insistetti sfilandomi. “Perché tu e tua madre vivete da soli? Dove si trova adesso tuo padre?” Sapevo di essere indiscreto ma lo facevo per lui.
“Siamo stati in Svizzera”. Si limitò a dire in modo petulante. Non sembrava avere intenzione di proseguire quella conversazione.
“E perché siete tornati al paese?”. Lo incalzai.
Pensai che mi avrebbe chiesto di farmi i cavoli miei, di restare al mio posto e che mi avrebbe detto che l’unica cosa per la quale gli servivo era svuotarsi i coglioni.
Poi sospirò. “Papà si è ammalato e ha deciso che voleva morire qui. È durato molto più del previsto comunque. È morto a febbraio di quest’anno”. Disse.
Il modo asciutto con cui mi diede quell’informazione mi gelò.
“Mi dispiace” fu l’unica cosa che riuscii a rispondere.
“Dopo il liceo sono rimasto in paese per non lasciare mia madre da sola.” Continuò lui. “È chiaro che mi preoccupavo per niente”. Aggiunse.
“Mi sono trovato una ragazza … Anna, quella che hai conosciuto l’altro giorno.
Dobbiamo sposarci ad ottobre … Dovevamo. Non lo so più nemmeno io”.

Quando arrivammo al noccioleto lo zio non c’era.
Doveva essere uscito col trattore perché neppure quello era al suo posto.
Scaricammo il materiale, cercammo l’ombra di un albero per ripararci dal sole e ci sedemmo a consumare la colazione.
Era il momento perfetto. Dovevo dirgli la verità.
Tirai un lungo sospiro e mi accinsi a parlare.
“Paolo, devo dirti una cosa”. Mi precedette lui.
“Ah, anche io …”. Risposi.
“Aspetta”. Mi disse lui prendendomi la mano. “Per favore fai parlare prima me sennò non trovo più il coraggio.”
Annuii. Avevo il cuore in gola.
“Paolo.” mi disse lui serio. “Ecco … non so neppure da dove cominciare …. Scusa, Non sono abituato”. Rise nervoso.
“Ok …”. Proseguì. “Paolo, io ho bisogno che tu sappia che sei l’unica persona con cui sto veramente bene”.
Lo guardai inebetito.
“Per me quello che c’è tra di noi è importante e non voglio perderlo”. Disse.
“Lo so, ci sono delle cose che devo sistemare. Devo parlare con Anna … devo chiarire. Ma lo farò, te lo giuro. Io voglio te … Solo te, ne sono sicuro.”
Ero rimasto senza fiato.
Lui se ne accorse. “Ti amo”. Sussurrò mentre veniva sopra di me e cominciava a baciarmi.
Ero completamente soggiogato.
Quel ragazzo era mio cugino, ma io me ne ero innamorato.
Non riuscii a fermarlo.
Il suo corpo mi pesava addosso e le sue dita si insinuavano sotto la maglietta per stringersi intorno ai capezzoli.
Potevo sentire la sua erezione premere poderosa contro la mia.
Alfonso mi scoprì il petto e cominciò a baciarmi il collo e poi tutto il busto fino all’ombelico.
Mi sbottonò i calzoni, li abbassò e mi fece aprire le cosce.
Capii che era la prima volta che il suo viso si trovava così vicino al buco del culo e vidi il desiderio scintillare dentro i suoi occhi.
La sua lunga lingua si fiondò tra le mie natiche e leccò il solco con voluttà.
La bocca si diresse verso lo sfintere, penetrandolo sempre più a fondo mentre io serravo le caviglie intorno alla sua nuca e, con la pressione dei talloni, la spingevo verso la mia mia fessura.
Stravolto dall’eccitazione Alfonso si liberò dalla morsa delle mie gambe.
“Girati” mi ordinò impaziente, mentre si sbottonava i calzoni.
Non me lo feci ripetere due volte e mi misi a pecora dietro l’albero, offrendogli i glutei spalancati.
Lui tirò fuori il cazzo teso, si sputò nella mano e passò il palmo insalivato sopra al buco del culo, infilandoci dentro prima una, poi due e infine tre dita, ripetutamente e senza alcuna delicatezza.
Quando non riuscì più a resistere piegò le ginocchia, appoggiò il glande tra le natiche e spinse con forza, fino a che tutta l’asta non sprofondò nelle viscere.
Mi montò nella posizione in cui si montano le cagne, con una potenza tale che mi vidi costretto a tenermi al tronco dell’albero, per evitare che il vigore dei colpi mi facesse cadere.
Cercavo di contenermi ma il modo innaturale in cui la mia schiena si era inarcata rivelava tutta la voglia che avevo di essere spaccato.
Strinsi forte il culo e cominciai ad assecondare il movimento, scivolando su e giù lungo quell’uccello d’acciaio.
Il maiale non riusciva più a frenarsi. “Il tuo culo è meglio di qualsiasi fica”. Mi diceva pompando selvaggiamente. “Voglio scaricarmi qua dentro tutti i giorni. Ci faccio entrare pure i coglioni. Sei la mia troia. Sei solo mia, hai capito? Fai godere qualcun altro e ti ammazzo.” E intanto mi afferrava i capelli e mi tirava verso di sé come se stesse domando una puledra.
Mentre mi riversava addosso quel fiume di improperi la mia eccitazione saliva.
Guardai le cosce enormi di mio cugino stringersi intorno al mio sedere e i piedi nudi guadagnare terreno ad ogni colpo del bacino.
Poi, con uno scatto, il porco afferrò le chiappe tra le mani e le allargò, posò un ginocchio in terra e, mantenendo flessa l’altra gamba, cominciò a spingere come un dannato.
“Aaaah siii siiii.” Non potei più trattenermi. Riuscivo a sentire la verga anche dentro la pancia.
“Mi stai riempendo. Mi stai facendo veramente sentire una troiaaaa”. Mugolai sfinito.
Lui ci aveva preso gusto a martellarmi la fica.
“Te la rompo, troia. Lo senti come te lo sto dando? Lo senti?” Continuava a urlare.
Il mio sfintere gonfio e infiammato si lasciava violare dagli affondi selvaggi del cazzo di Alfonso e, contraendosi intorno all’asta, la risucchiava in profondità.
Avrei voluto che quel momento non finisse mai.
Il mio grande scopo nella vita era lasciare che l’impeto di quel maschio infoiato si abbattesse dentro le mie viscere.
Quando mi resi conto che la minchia di quel bestione era diventata ancora più rigida e gonfia capii che, ancora una volta, mio cugino avrebbe goduto dentro al mio culo.
Sentii che stavo compiendo la mia missione.
“Rompimi”. Lo incitai, in preda ad una eccitazione che non avevo mai provato prima di allora. “Rompimi, toro, siiii… Rompimi…”.

Il suono del clacson interruppe l’orgasmo.
“Dove diavolo siete?” Urlò zio Gaetano.
“Vedo la macchina. Allora?” Disse a voce ancora più alta, suonando nervosamente.
“Uno di voi deve venire con me a consegnare i sacchi alla fabbrica. Forza!”.
Mi rivestii come un fulmine. Alfonso aveva ancora lo sguardo stravolto dal piacere. Il cazzo di ferro piantato in mezzo alle cosce.
“Muoviti Paolo, avanti. Vieni tu”.
Lanciai uno sguardo deluso verso Alfonso. “No, dai… No …” Mi disse mentre continuava a toccarsi l’uccello facendomi pesare che non avesse ancora finito.
Mi inginocchiai ai suoi piedi e feci scorrere la lingua dalla base dei coglioni alla punta del glande. “Torno appena posso”. Sussurrai, serrando le labbra intorno alla cappella e regalandogli un risucchio così profondo che lo feci ansimare. “Mmm… MMM… Che troia …”.
Poi mi rialzai. “Arrivo, arrivo.” E corsi fuori dal noccioleto, dove lo zio mi aspettava sul trattore.
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