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Ritorno al noccioleto - Parte 9


di LuogoCaldo
12.12.2021    |    8.327    |    8 9.4
"“Buon sangue non mente, Paolè..."
Mentre scaricavo le nocciole dal camion non facevo che pensare ad Alfonso.
Quel ragazzo mi aveva scopato come mai nessuno aveva fatto prima di allora.
Avevo avuto decine di uomini nell’ultimo anno, avevo raccolto tra le gambe il loro desiderio, la loro solitudine e la loro disperazione, eppure nessuno mi aveva fatto sentire come mi faceva sentire mio cugino.
Avevo bisogno di lui.
Dovevo assicurarmi che saremmo stati insieme per sempre, che il nostro amore non sarebbe rimasto incompiuto.
Saremmo andati via da quel paese.
Lui si sarebbe arruolato in marina e le nostre vite sarebbero state felici. Ne ero certo.
Pensai alla brusca interruzione di qualche ora prima.
Ero sicuro che, una volta rientrato al noccioleto, il cazzo del mio amante sarebbe stato ancora più duro e ancora più smanioso di penetrarmi.
Appena possibile lui mi avrebbe trascinato dietro un albero e avrebbe continuato a pompare il suo uccello dentro alle mie natiche fino all’orgasmo.
Il desiderio di quel maschio nei miei confronti era diventato il termometro della mia soddisfazione.
Le palle mi facevano male per l’eccitazione e il buco del culo bruciava di voglia.
Lo sentivo umido come una passera in calore.

“Dov’è Alfonso?”. Chiese lo zio dopo aver parcheggiato il trattore?
“Non lo so, sarà da qualche parte”. Risposi facendo spallucce mentre lo cercavo con lo sguardo.
“Che diamine! Lo pago per lavorare non certo per andarsene in giro”. Borbottò zio Gaetano.
“Siediti lì”. Una voce femminile si udì all’interno del capanno.
“È Marzia!” Disse zio Gaetano avviandosi verso il fabbricato.
Quando fu giunto all’ingresso della struttura, però, lo vidi esitare.
“Che succede?” Domandai.
Lui sorrise e, con la testa, mi fece il cenno di sbirciare all’interno.
“Guarda quel porco del tuo fidanzato che sta combinando.” Disse, invitandomi a farmi più accosto.
Mi avvicinai e, quando fui accanto a lui, il mondo mi crollò addosso.
Alfonso, completamente nudo, era riverso sui sacchi di nocciole.
Lo sguardo stravolto puntava nella direzione del soffitto e le labbra, appena socchiuse, emettevano flebili lamenti di piacere.
Le braccia giacevano larghe tra i dossi di iuta e le grosse cosce restavano completamente spalancate, a forma di croce.
In ginocchio sulle nocciole, con le mani appoggiate sui quadricipiti gonfi, Anna, la sua futura moglie, era piegata su sé stessa e gli aspirava l’uccello come un’idrovora.
La lingua di quella ragazza doveva essere fatta di velluto.
“Vai puttana … si dai… continua così”. Diceva lui. “Sei bravissima cazzo”.
E, ansimando rumorosamente, fletteva la gamba, posava il tallone sulla testa di lei e la spingeva verso il bacino.
Mi sentii come se mi avessero trafitto il cuore.
Io avevo bisogno del SUO amore e LUI non era neppure riuscito ad aspettami.
L’aveva chiamata subito, appena me ne ero andato.
L’unica cosa che gli interessava era svuotarsi le palle.
Mi veniva da piangere e, allo stesso tempo, dentro di me, ammiravo la prestanza di quel corpo nudo e la lascivia impressa sul viso di quello stallone.

Il cuore mi batteva fortissimo nel petto quando, distolto lo sguardo dalla scena che mi provocava così tanto dolore, notai che, di fianco a me, zio Gaetano si stava accarezzando.
Il vecchio maiale guardava con desiderio il corpo di Anna, i seni duri della ventenne, la fica ben disegnata tra le gambe.
“Che troia che si è trovato! È tutto suo padre”. Disse con un fil di voce. “Guarda come glie lo sta risucchiando la puttana”.
Lo sentii mandare giù la saliva e notai il pomo d’Adamo ingrossarsi per lo sforzo della deglutizione.
Le orbite degli occhi erano completamente spalancate e puntavano nella direzione della passera della sua futura cognata.
Lo zio abbassò la zip dei calzoni e tirò fuori un uccello durissimo.
Le labbra socchiuse erano umide di saliva.
Il porco stava sbavando così tanto che pensai che si sarebbe avvicinato alla ragazza e le avrebbe piantato il bastone tra le cosce.
Ed invece si limitò a sputare nel palmo della mano, ad afferrare la sua enorme erezione e ad avviare una lenta e voluttuosa masturbazione.
“Ah … Vai, così, svuotaglielo in gola. Daglielo che le piace.” Diceva, come se io non fossi lì, accanto a lui, flettendo le ginocchia e piegando il bacino in avanti.
Tra le dita il prepuzio abbondante scorreva sopra al glande umido di liquido seminale.
La cappella svettava orgogliosa e i coglioni sbattevano liberi e pesanti in mezzo alle cosce dure.
Lo zio emanava un forte odore di maschio.
Sentivo il lezzo delle sue ascelle e il profumo violento dei suoi umori intimi.
Non sapevo cosa fare.
Mi sentivo il cazzo durissimo dentro i pantaloni.
Il membro che per così tanto tempo era stato oggetto del mio desiderio era lì, a pochi centimetri dalle mie mani.
Lottai contro l’impulso di inginocchiarmi, spalancare la bocca e risucchiare quella verga di ferro in fondo alla gola.
Fui costretto a mordermi le labbra per l’eccitazione.
Lo zio mi avrebbe respinto, mi avrebbe definitivamente visto come un depravato.
Eppure io lo volevo.
Desideravo leccargli la cappella ed asciugare tutto il secreto del suo glande.
“Ora o mai più”. Pensai.
Fui sul punto di piegarmi quando, con uno scatto, Alfonso mise la troia a pecora e cominciò a chiavarsela da dietro.
Zio Gaetano non ci vide più dal desiderio.
“Cagna, ti metto incinta oggi, cagna”. Urlava Alfonso.
Lo zio aumentò il ritmo della sega, offrendomi lo spettacolo della sua asta straordinariamente tesa.
Guardavo il ragazzo che amavo scopare la sua futura moglie nella stessa posizione in cui, qualche ora prima, aveva sbattuto il suo uccello dentro di me.
Mi sentivo tradito, ma, allo stesso tempo, avevo il buco del culo completamente bagnato.
Ammiravo la sua mascolinità, la sua tracotanza, l’attitudine di passare dal buco alla passera, l’urgenza delle palle che volevano essere svuotate.
“Bravo spaccala. Spaccala tutta.” Sussurrò zio Gaetano. “Fagliela bruciare a quella troia. Mmmmh, mmmmh, MMMMMH”.
Non riuscivo più a trattenermi. Decisi che dovevo prendere l’uccello dello zio.
Lui però mi precedette.
Quell’animale mi afferrò il braccio, piegò le ginocchia e cominciò a far scorrere il palmo lungo il cazzo di marmo.
La sua morsa si fece sempre più stretta, fino a che l’altra mano non si chiuse intorno ai coglioni pieni, strattonandoli verso il basso e lasciando la grossa cappella libera di eruttare.
Uno schizzo potente colpì la porta del capanno, mentre quel maschio, stravolto dal piacere, si appoggiava a me, leccandosi le labbra.
“Aaaah, siii … siii … che sborrata…aaah…”. Mugulò, mentre allentava la presa. “Cazzo che goduta. Aaaah”.
“Buon sangue non mente, Paolè.” Rise mentre si riaccomodava il cazzo dentro ai calzoni.
Quando si fu rivestito mi fissò con uno sguardo serio. “Lascialo stare, non lo vedi che ha già troppi problemi quel ragazzo?” Disse. E si allontanò.

Mi sentivo impotente.
Volevo solo che quello spettacolo terminasse.
Non riuscivo più a condividere l’amore della mia vita con quella donna.
Mi appoggiai alla porta del capanno e, inavvertitamente, la spalancai.
Anna lanciò un urlo acuto, si scrollò di dosso il toro che la stava possedendo e cercò di coprirsi più velocemente possibile.
Alfonso avanzò contrariato nella mia direzione. L’uccello era ancora orgogliosamente eretto.
“Ma che cazzo ti guardi?”. Mi urlò contro.
Non sapevo cosa dire.
“Ehi…”. Sussurrai.
“Sparisci, coglione, che cazzo ti guardi?” Sbottò. “Vattene ti ho detto.”
“Vieni via con me, per favore”. Gli dissi con un filo di voce. “Restiamo insieme.”
“Vattene Paolo, non è il momento”. Mi rispose allarmato.
“Ti pre-go”. Lo supplicai piangendo. “Io ti amo”. Dissi, muovendo appena le labbra.
Lui si sentì preso in trappola.
La sua rabbia esplose.
“Te ne devi andare hai capito?” Cominciò ad urlare.
Poi si scagliò contro di me e mi sferrò il pugno dritto in un occhio.
L’orizzonte si fece improvvisamente bianco e mi ritrovai in terra, fuori dal capanno.
Alfonso si piegò, abbassò il viso vicino al mio orecchio e, pieno di rabbia, digrignando i denti, sussurrò: “Non ti devi mai più permettere, frocio. Hai capito?”.
Dopo di che si rialzò e chiuse la porta del capanno dietro di sé.
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