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Ritorno al noccioleto - Parte 7


di LuogoCaldo
08.12.2021    |    8.420    |    8 9.4
"Dovevo parlargli quella mattina stessa..."
L’indomani mattina al noccioleto lo zio era solo.
Alfonso non era ancora arrivato.
Per tutta la notte avevo pensato a lui e all’impazienza del suo cazzo violento dentro al mio culo.
“Ti amo Paolo”. Mi aveva sussurrato. Ed io, invece, non ero stato sincero.
Avrei dovuto raccontargli la verità. Avrei dovuto dirgli che eravamo cugini e che, nonostante tutto, avremmo potuto trovare un modo per stare insieme.
Dovevo parlargli quella mattina stessa.
“Ciao.” Disse lo zio. Era a petto nudo e caricava i sacchi di nocciole sul camion. Non potei fare a meno di notare l’ampiezza delle spalle e la tonicità del suo corpo nonostante i cinquant’anni.
Gli risposi mentre mi scrollavo di dosso lo zaino e lo buttavo in terra. “Ciao.”
Il silenzio si tagliava a fette. Dallo sguardo cupo capii che dovevo essere io il primo a dire qualcosa.
“Senti, riguardo a ieri sera … Mi dispiace, non so cosa mi sia preso. Non avrei dovuto.”
Mi fissò torvo.
“Ti stavi facendo inculare da mio figlio nel giardino di casa mia, Paolo. Secondo te è normale?” Sbottò. “No che non avresti dovuto. Ma che direbbero i tuoi …? Tuo padre morirebbe.” Mi incalzò lui.
“Non sapevo che Alfonso fosse tuo figlio”. Provai a giustificarmi.
“E lui non deve saperlo.” Il suo tono ora suonava minaccioso. “Mai e poi mai, per nessuna ragione”. Disse con un filo di voce. “Se si sapesse in giro la zia … Non voglio neppure immaginare cosa potrebbe fare. Promettimi che non gli dirai nulla … Promettilo!”
Annuii, sapendo che non avrei potuto mantenere quella promessa.
“A proposito Marzia s’è fatta sentire a casa vostra?” Notai che era sinceramente preoccupato.
“Non credo … Cioè, non lo so. Ieri notte sono rientrato tardi e non ho parlato con nessuno”. Mi mantenni vago.
“Questa storia mi sta facendo perdere la ragione.” Disse lui passandosi la mano sul volto.

“Buongiorno don Gaetano.” Alfonso varcò il cancello del noccioleto.
Era molto bello quella mattina.
Indossava dei calzoni corti di lino e il pacco sembrava esplodere dentro il tessuto leggero.
Camminava con le gambe leggermente allargate e i muscoli delle cosce s’ingrossavano ad ogni passo.
Pensai che avrei potuto passare il resto della vita in mezzo a quelle cosce.
Il suo imbarazzo era evidente. Guardava in terra ed evitava di incrociare lo sguardo di zio Gaetano.
“Ciao Alfonso.” Gli rispose lui calmo. Notai che stava per aggiungere qualcosa ma poi si frenò. “Oggi tu e Paolo andrete in città. Servono nuovi sacchi e il materiale per caricare le nocciole sul trattore. Ne ho già venduta una buona quantità e devo consegnarle nel pomeriggio”.
Rispondemmo che l’avremmo fatto e montammo in auto.

Credevo che una gita di lavoro sarebbe stata l’occasione buona per discutere del nostro rapporto e dei sentimenti che avevamo incominciato a provare l’uno per l’altro e invece, quando fummo soli, Alfonso mi anticipò. “Senti Paolo.” Esordì. “Dovremmo parlare di quello che è successo ieri”.
“Lo penso anche io”. Risposi entusiasta appoggiandogli una mano sulla coscia.
Lui la scostò delicatamente e proseguì. “Ascolta, non so che mi è preso. Ero completamente sconvolto dopo che tuo zio ci aveva visti … E poi il sesso che è stato … WOW … Insomma, non so come dirtelo Paolo. Ho sbagliato. Ho sbagliato a dirti quello che ti ho detto.”
La delusione era tanta. Avrei voluto gridare che ormai avevamo superato un confine, che non potevamo tornare indietro così, che il modo in cui i nostri corpi si erano uniti la notte precedente è un evento raro, che va rispettato e non ignorato. Che non capita con tutti. E invece: “Va bene, non ti preoccupare”. Mi limitai a rispondere amareggiato.
“Posso chiederti una cosa?” Proseguii dopo qualche secondo di silenzio.
“Dimmi”.
“Ma tu perché vuoi rimanere qua? Perché non te ne vai da questo posto di merda? Perché non ti fai una vita diversa … una vita che ti piace?”
Lui fissava il vuoto oltre il finestrino. “Ci ho provato. Mi volevo arruolare in marina, ma non mi hanno preso”.
“Beh puoi ancora farlo un tentativo, hai vent’anni …” Lo spronai. “Si, magari l’anno prossimo” rispose scarsamente convinto.
Mi stavo innervosendo.
Non riuscivo a trovare la chiave per arrivare a quel ragazzo.
“Porca puttana, ho lasciato lo zaino in campagna!” Sbottai innervosito quando eravamo quasi giunti a destinazione. “Adesso come li pago i sacchi? Ma che cazzo...”
“E mo’? Dobbiamo tornare indietro?” Chiese lui infastidito.
“E che altro posso fare?” Mi lamentai mentre invertivo il senso di marcia.

“Torno subito, aspettami in macchina”. Dissi sbattendo la portiera.
Quella giornata non sarebbe potuta andare peggio.
Lo zaino si trovava esattamente nel punto in cui lo avevo lasciato.
“Almeno una cosa va!” pensai.
Lo zio doveva essere nel capanno. Era meglio avvisarlo che avremmo tardato a causa di quel contrattempo.
Feci per avvicinarmi al fabbricato quando, proprio dietro l’angolo, accanto alla porta d’ingresso, scorsi due figure che parlavano in modo concitato. Mi appiattii contro il muro, sperando che non si fossero accorti della mia presenza.
Zio Gaetano era in compagnia di una donna.
“Ti ho messo io in questo guaio”. Diceva lei piangendo. “Perdonami, non immaginavo che alla fine sarebbe andata così”.
“Non dire sciocchezze, Gloria. Calmati. Sai che non potevo fare altrimenti. L’ho fatto per lui”.
“Lo so. Lo so bene”.
Lo zio la abbracciò e lei posò la nuca sul suo petto nudo, singhiozzando rumorosamente.
Poi, d’un tratto, vidi che lui le prendeva il volto tra le mani e la baciava sulle labbra, con dolcezza.
Mi sentivo confuso.
Lei si tranquillizzò e lo zio cominciò ad accarezzarla ovunque, senza staccarsi dalla sua bocca.
Le sue mani si stringevano intorno ai seni grandi e scendevano fino ai glutei, sollevavano la gonna e, da dietro, si insinuavano tra le cosce umide.
Gloria fece scivolare una mano sulla patta di zio Gaetano, abbassò la zip dei calzoni di velluto e tirò fuori il cazzo più grande che avessi mai visto.
Era lungo e largo e tra le sue dita s’era fatto durissimo.
Potevo vedere le vene gonfie che fasciavano il bastone.
Lo zio staccò le labbra e spinse la nuca della donna verso il basso, costringendo quella femmina vogliosa a far scivolare la lingua sul collo, sui capezzoli e sull’ombelico ed infine ad inginocchiarsi davanti alla verga imperiosa.
Non riuscivo più a vedere la troia. Il corpo mastodontico di quel maschio la sovrastava completamente, offrendomi solo lo spettacolo dei glutei che pompavano nervosamente dentro la gola. “Beata lei.” Pensai. “Che bestia …”.
“Che cazzo stai facendo?”. Disse Alfonso.
“Cagna”. Lo zio chiavava con forza la bocca della donna, spingendo la testa di lei contro il suo membro.
“Ma che diamine … guarda che maiale”. Sussurrò Alfonso.
“Ma … perché sei sceso?”
“E che te lo volevi godere da solo lo spettacolo puttanella?” Prese la mia mano e se la portò sul cazzo barzotto.
“Succhialo tutto vacca! Brava, anche i coglioni, succhia, SUCCHIA!” Ordinava lo zio.
L’uccello di Alfonso si indurì immediatamente tra le mie mani. Era completamente teso e scappellato.
“Fammelo anche tu”. Mi disse mentre mi faceva inginocchiare, mi afferrava la testa tra le mani e mi guidava la bocca su e giù lungo la sua erezione.
Provai ad opporre resistenza ma la pressione delle sue mani sulla mia nuca fu tale che potei solo assecondare il desiderio di quell’animale.
La donna prese ad emettere gemiti di soffocamento. Lo zio doveva aver cominciato a sbatterglielo dentro con forza.
Alfonso ci mise poco ad imitarlo.
Il suo glande saporoso spingeva violentemente in fondo alla mia gola e le palle enormi rimbalzavano ritmicamente contro la mia bocca.
Il mio palato era talmente sollecitato che fui sul punto di vomitare.
Stavo impazzendo, potevo avvertire l’eccitazione del padre e del figlio.
Quei due porci avevano la stessa foga nelle reni.
Mi aggrappai ai quadricipiti gonfi di Alfonso e feci scorrere le mani lungo le sue cosce possenti, afferrai i glutei d’acciaio e scivolai verso il basso, fino ai polpacci enormi.
“Vacca. Sto arrivando. Prendila tutta. Tuttaaaa.” Urlò lo zio godendo rumorosamente.
Nello stesso momento Alfonso mi spinse con forza la testa contro il bacino.
Serrai le dita intorno alle sue natiche contratte e, quando lo sentii tremare per lo sforzo del silenzio, capii che stava per rilasciare tutto il contenuto dei suoi coglioni in fondo alla mia gola.
Poi, all’improvviso, mentre il suo uccello infoiato emetteva scariche di desiderio, me lo estrasse di bocca.
“Cazzo, cazzo, caz - zo!” Disse mentre, ancora stravolto dal piacere, si tirava su i calzoni.
Lo guardai interrogativo.
Avevo la bocca piena del suo seme.
“Porca puttana, Paolo, quella è mia madre!”.
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