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Gay & Bisex

Nei panni di mia madre - 7. Finale.


di LuogoCaldo
22.01.2022    |    8.756    |    9 8.9
"Mugolò Fabrizio e il suo cazzo s’intostò repentinamente..."
La roulotte era vuota.
Manila doveva essere con qualche cliente.
Entrai nell’abitacolo che per tanti anni era stata la mia casa e trasecolai. Non c’era più nessuna traccia di me!
La branda, i libri, i vestiti: mia madre aveva rimosso tutto.
Mi sedetti sul letto e cominciai a piangere.
Non so per quanto tempo rimasi lì nella penombra, con gli occhi fissi sul rosario fluorescente arrotolato intorno all’abat-jour.
Lo presi, scorsi i grani tra le dita e per ogni grano contai quello che avevo perso.
Fabrizio, Timoteo, Manila, i suoi abiti, i complimenti delle lucciole, le ore accanto al fuoco, fuori dal camper.
Rividi il bambino che prillava come una trottola intorno al tavolo e faceva svolazzare le vesti della mamma.
“Quel ragazzino è stato stuprato dentro ad un bagno a causa mia”. Pensai.
Mi passai le unghie sulle braccia e provai a grattare Lea via dalla mia pelle.
Accarezzai il suo corpo smunto, le ossa sporgenti, il bacino scavato ed infine raggiunsi il pene.
Era piccolo e rattrappito, aggrappato a due grossi coglioni ingombranti.
Lo tirai fuori dal perizoma e lo guardai con disprezzo, spingendo le dita tra le cosce, alla ricerca di una fessura che non c’era.
Quell’escrescenza appena sviluppata era stata la mia maledizione.
Era colpa sua se non avrei potuto avere Fabrizio. Era colpa sua se Timoteo m’aveva considerato così speciale. E soprattutto era colpa sua se Manila aveva smesso di riconoscermi.
Lo strinsi con forza e avvertii l’impulso di strapparmelo di dosso e gettarlo lontano.

“È un uomo, cristo! Come cazzo hai fatto a non capirlo?”
I colpi risuonarono sordi contro la porta.
“Giuro non me n’ero accorto … sennò ti pare che c’andavo …? M’ha fregato …”
Gerardo e Fabrizio erano fuori dalla roulotte.
“Apri Manila, apri immediatamente”.
“Te l’ho avevo detto che non c’era”. Disse Fabrizio. “La luce è spenta. Torniamo domani dai …, calmati intanto… Ti prego …”.
“Calmati un cazzo!” Rincarò Gerardo continuando a sbattere il pugno contro la lamiera. “Che domani e domani! Questo stasera lo voglio morto.”
“Ehi … Piano che mi sfondi la porta …!” Urlò Manila. “Ma che diavolo volete?”
Il rumore dei tacchi sull’asfalto si fece sempre più vicino.
“Eccola la troia …” Disse Gerardo. “Puttana del cazzo …!” Gridò. “Tu lo sapevi, eh? Sapevi che tuo figlio stava prendendo Fabrizio per i fondelli?”.
“Io non ho più figli”. Rispose mia madre infastidita. “Che vuoi?”
“Dare il ben servito a quel verme …” Disse l’uomo. “Gli ha succhiato l’uccello fingendosi una ragazza … questo è stupro a casa mia … dove sta che lo ammazzo? …Rispondi!”.
“E che ne so!”. Ribadì lei. “Te l’ho detto … per me è già morto”.
Quelle parole così dure mi fecero salire le lacrime agli occhi.
Il rombo di una moto si spense proprio accanto alla roulotte.
Sul parcheggio calò una strana quiete.
“Che bel convegno notturno!” La voce di Timoteo risuonò ovattata dentro al casco. “Che sta succedendo? C’è qualche problema?” Domandò il protettore della mamma con voce minacciosa.
“Ma, no niente … Tranquillo” Intervenne lei.
“Cazzate!” Proseguì. “Sono qui per Leo …! Pensa: avrebbe addirittura stuprato il figlio di Gerardo …”.
La sua voce suonò beffarda. “Poverino … Romeo non si era accorto che Giulietta aveva il pisello … ti sembra verosimile?”
“Ehi”. La interruppe Fabrizio in tono alterato. “Che vorresti dire troia?”
“Che questa storia puoi darla a bere a tuo padre, bimbo, non certo a me!” Sbottò lei.
“Ma perché non lo sentivi l’uccello quando gli stavi vicino … ?” Chiese Timoteo.
“Appunto!”. Incalzò la mamma. “Secondo te è possibile …? Tira fuori i coglioni e racconta la verità, frocetto! Tu sapevi benissimo quello che stava accadendo e hai fatto finta di niente … ti piaceva!”
La chiave girò nella toppa della porta.
Il rosario mi cadde dalle mani e il cuore iniziò a battere forte dentro al petto.
Mi gettai in terra e strisciai sotto al letto, attento a fare il minor rumore possibile.
Rimasi immobile in posizione fetale e, trattenendo il respiro, con lo sguardo fisso sui grani fluorescenti, pregai iddio di non essere trovato.

“Senti stronza”. Disse Gerardo mentre saliva sul camper.
La luce illuminò l’abitacolo. Riuscivo a seguire i loro movimenti dentro allo specchio appoggiato contro la parete in fondo alla stanza.
“Non capisco dove vuoi arrivare …” Proseguì. “Mio figlio non è un frocio, hai capito?”
Poi si rivolse direttamente a Fabrizio: “Avanti, dillo a questa puttana quello che è successo”.
Il ragazzo rimase in silenzio.
Aveva le gote rosse e le labbra contratte in un ghigno isterico.
“L’aveva capito davvero …” Pensai. “Ma allora … perché?”.
“Ma non lo vedi che non sa neppure cosa risponderti?” Incalzò Manila.
“Oh”. Urlò Gerardo avvicinandosi al figlio. Serrava le mani sulle sue spalle e lo strattonava con forza. “Parla, avanti!”
“Te l’ho detto pà … non l’avevo capito …” Rispose lui con un filo di voce.
Manila scoppiò in una risata sardonica.
“Ma che cazzo ti ridi … ?” Sbottò l’uomo. “Adesso te lo fa vedere che non è frocio cagna …”. E fece per avvicinarsi a lei.
“Ehi …”. Intervenne Timoteo scuro in volto.
Si piantò dinanzi a lui con le braccia conserte e sentenziò con tono minaccioso: “La roba mia non si tocca così”.
Gerardo fece per dire qualcosa ma poi, sospirando, cedette.
“Va bene … va bene”. Rispose mentre si frugava nelle tasche dei calzoni e, tiratone fuori un grosso mazzo di banconote, glie lo porse.
“Così che ne pensi? Si può?”
“Si” Convenne lui sorridendo. “Così si può”.
E, voltandosi verso la mamma, le indicò il letto con un cenno della testa.
“Lavora!”. Le disse e si accomodò su una sedia per godersi lo spettacolo.

Manila alzò gli occhi al cielo e si scrollò di dosso il giubbotto di piume.
Si dispose sul bordo del letto e aprì le gambe, mostrando a Fabrizio il triangolo del perizoma sotto alla minigonna.
“Allora maschione”. Disse in tono di sfida. “Fa vedere a tuo padre quello di cui sei capace”.
“Pà …” Provò ad obiettare lui.
“Forza …!” Lo incitò Gerardo.
Il ragazzo sembrò esitare ma poi si arrese al comando e si tolse lentamente i vestiti.
Attraverso lo specchio riuscivo a vedere le sue spalle larghe, il dorso muscoloso e le natiche che più volte avevo spinto verso di me.
Fabrizio si inginocchiò tra le gambe della mamma e, in quella posizione, iniziò a leccare la fica, mentre il suo cazzo penzolava molle sotto la traversa del letto, proprio dinanzi al mio viso.
Cercava di eccitarsi tormentandolo con le dita ma non ci riusciva.
Gerardo montò sopra al materasso, spinse il busto di Manila all’indietro e, mentre le accarezzava i seni, si aprì la patta e le piantò l’uccello in bocca.
“MMMMH … guarda che topa che ha … e che poppe dure! Aaaaah ….” Disse. “Lavagliela tutta, bravo …”. Poi si tolse i calzoni, montò sul viso di lei e prese a fotterle la gola, ragliando come un maiale.
Il ragazzo continuava a succhiare con foga apparente ma il suo membro non reagiva.
Fu allora che Timoteo decise di intervenire.
Gli si avvicinò, si accovacciò accanto a lui e leccò a sua volta la conchiglia della mamma: le loro lingue si sfioravano appena sopra al clitoride gonfio.
“Ma cosa … ?” Pensai sorpreso.
“Mi sa che ti serve aiuto”. Sussurrò con un filo di voce.
Il ragazzo lo guardò spaventato.
Lui gli prese la mano, se la portò dentro ai pantaloni della tuta, all’altezza delle natiche, e, mentre accoglieva le dita nello sfintere, chiuse il palmo sulla nerchia del giovane.
“Ah …”. Mugolò Fabrizio e il suo cazzo s’intostò repentinamente.
Il maiale affondò la faccia nella fessura di mia madre e il pollice nel retto del suo nuovo amico e si godette la sega.
Pensai che sarebbe venuto da un momento all’altro quando, all’improvviso, vidi che i due si staccavano goffamente.
Guardai dentro allo specchio per capire cosa stesse accadendo.
Gerardo aveva girato Manila su un lato e glie lo stava piantando nel sedere.
Le sue mani ruvide spremevano i seni con forza.
“Avanti montala, ti ho lasciato libera la fica”. Disse rivolgendosi al figlio con la voce affaticata.
Il ragazzo puntò gli occhi impauriti dentro a quelli di Timoteo e poi, col cazzo ancora duro, raggiunse la coppia e si sdraiò sul fianco, proprio davanti alla troia.
La mamma era schiacciata tra i due montoni.
Gerardo le sollevava una coscia per penetrarla meglio e offriva al figlio un’agile via di accesso.
Fabrizio, però, non riusciva a infilarlo e stava chiaramente perdendo l’erezione.
“Che stronzo”. Pensai. “Se solo me l’avesse detto …”
Riuscii a leggere un’espressione di terrore sul suo volto.
Vidi che stava per biascicare qualcosa quando Timoteo si avvicinò al letto ed intervenne nuovamente a salvarlo.
Si tolse i vestiti, si accomodò dietro di lui e, con la mazza appoggiata tra le sue natiche, gli afferrò l’uccello nel palmo della mano e lo guidò dentro alla fessura di Manila.
“Bravo …” Disse Gerardo con gli occhi fuori dalle orbite. “Hai visto puttana …?”. Incalzò. “Adesso ti riempiamo di sborra, altro che frocio …mmmh …”
“AAAAAH …”. Fece eco Fabrizio mentre Timoteo gli spingeva il cazzo contro lo sfintere.

Appoggiai la fronte sul pavimento e rimasi immobile, reggendo sulle spalle tutto il peso dei loro orgasmi.
Mi stupii della dinamica inattesa con cui quella nemesi si stava compiendo.
Manila era riuscita a riportare dentro di sé tutto ciò che avevo provato a prenderle.
Aveva riaffermato il suo potere su Timoteo, che, in me, aveva intravisto solo una prospettiva di guadagno, e, nello stesso tempo, era riuscita a restituirmi il favore per averle rubato l’uomo, sottraendomi, a sua volta, Fabrizio.
“Scacco matto!” Pensai. Avevo perso.
Ero rimasto solo, escluso dall’orgia nella quale tutti coloro da cui avrei voluto essere amato si stavano unendo.
“È colpa mia”. Pensai. “Sono io che non sono abbastanza …”.
Perché Fabrizio avrebbe dovuto aprirsi con uno come me?
E perché la mamma avrebbe dovuto compiacersi della venerazione con cui, per tutta la vita, avevo provato a farle eco?
Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Strisciai silenziosamente sul pavimento, oltre la traversa, e, facendo leva sugli avambracci, raggiunsi l’uscita.
Chiusi delicatamente la porta, feci scattare il lucchetto e mi precipitai in auto, dove mi abbandonai ad un lungo pianto isterico.

Non so dire quanto tempo passai con la fronte appoggiata sul volante.
Un minuto o forse un’ora.
Infine, però, riuscii a trovare la forza per ricompormi.
Piantai gli occhi nello specchietto retrovisore e vidi, in fondo alle pupille, dentro al cerchio nero degli ombretti di Lea, un bambino innocente che danzava con indosso gli abiti di sua madre.
Provai un moto di grande tenerezza nei suoi confronti e capii che avevo il preciso dovere di proteggerlo.
Guardai nella direzione della roulotte.
Le ruote oscillavano sull’asfalto sotto i colpi di reni che quegli uomini stavano riservando a mia madre.
“Lascia fare a me”. Disse la mia amica. “Hai visto cosa ti hanno fatto …? Se lo meritano …”.
Deglutii rumorosamente e, senza proferire parola, mi limitai ad annuire, cedendole il controllo di ogni parte del mio corpo.
Mi tolsi il giubbotto e smontai dall’auto.
L’aria era gelida ma il mio sangue scorreva così caldo che non percepivo il freddo.
Aprii il portabagagli e rovistai tra le cose che Timoteo vi aveva ammassato: buttai fuori zaini, attrezzi per le riparazioni, vestiti e bottiglie vuote.
“Eppure l’ho vista …”. Mi dissi sospirando. “Dov’è finita?”
Stavo per desistere dal mio intento quando, finalmente, proprio in fondo al vano, incassata tra la moquette e lo schienale del sedile, trovai quello che stavo cercando.
Serrai le dita sulla latta di benzina, me la piantai tra le gambe e, facendo leva sulle ginocchia, staccai il tappo.
Un odore pungente mi colpì le narici.
Sollevai il contenitore con entrambe le mani e, con una forza che non pensavo di avere, ne sparsi il contenuto sulle pareti del camper.
Quel lavoro mi fece sudare.
Mi guardai attorno e, ansimando, cercai qualcosa con cui appiccare il rogo.
Il parcheggio era deserto e non c’era traccia di materiale ignifero.
Ancora una volta pensai che non sarei riuscito ad arrivare in fondo al mio piano.
Poi però, con una lucidità che mi soprese, ebbi un’illuminazione.
Mi avvicinai all’auto e sporsi il busto all’interno dell’abitacolo, attraverso il finestrino.
“Prendilo”. Mi ordinò Lea. “Ancora qualche minuto e sarai libero!”
Spinsi il tasto dentro la custodia e, quando udii il rumore del rinculo, sfilai l’accendisigari dal suo luogo di ricovero.
Fissai per un secondo il cerchio di fuoco che brillava all’estremità dell’aggeggio e provai una sensazione di calore sulla pelle del viso.
“Devi farlo”. Incalzò la voce. “Se non lo fai continueranno a darti il tormento per sempre. Non sarai mai libero di essere quello che sei!”
La piastra cambiò colore e mutò da un rosso brillante ad una tonalità più cupa.
“Ha ragione”. Mi dissi. “Non ho altra scelta …”
Tornai all’esterno e, mentre il vento mi frustava le guance, mi piegai in terra, appoggiai il cilindro sull’asfalto e lo colpii con la punta del dito, facendolo rotolare nella direzione della roulotte.

Risalii la strada statale guidando ininterrottamente per tutta la notte.
Ogni volta che guardavo nello specchietto retrovisore rivedevo le fiamme che ingoiavano il veicolo.
Mi fermai in un’area di sosta prima della frontiera. Fuori stava albeggiando.
Nel bar, insieme a me, c’erano pochi altri avventori.
“Un caffè e una brioche”. Chiesi alla cameriera quando si avvicinò al tavolo.
Dal televisore attaccato alla parete la voce del cronista si diffuse nell’ambiente: “Strage sulla strada statale. Bruciati vivi in un camper una prostituta e tre uomini. Dubbi sulle responsabilità. Il principale indiziato, al momento, è il figlio di lei, scampato al rogo e misteriosamente scomparso …”.
“Che mondo!” Esclamò l’uomo seduto al tavolo accanto al mio.
Era un signore anziano, sfogliava un libro voluminoso e sorseggiava un cappuccino.
“Le ragazze come te devono stare attente ai tipi che girano di questi tempi”.
Mi limitai ad annuire.
Lui mi fissò le gambe e si toccò ostentatamente all’altezza del pacco.
“Sei sola?” Mi chiese.
“Si sono in viaggio”. Risposi educatamente mentre la cameriera mi serviva la colazione.
“Dove vai? Vuoi un passaggio?” Incalzò lui. “Ho una roulotte, proprio qua fuori …”
“No, grazie … ho la mia auto”.
“Fai bene”. Approvò lui. “Non dare mai confidenza a nessuno … Brava!” Concluse.
“Se anche la protagonista di questo romanzo facesse come te …”. Borbottò.
“Perché? Che romanzo è?” Domandai incuriosito.
“È la storia di una ragazza di nome Justine … una ragazza seria, proprio come te, talmente pura che finisce nelle mani di uno stuolo di porci depravati … Si ritrova anche in situazioni paradossali e grottesche, sai? Le fanno di tutto poverina … Perfino quelli che le sono più vicini!” Aggiunse scandalizzato.
“Oh”. Risposi. “E … come finisce?”
“Finisce male”. Sentenziò il vecchio. “Muore carbonizzata, colpita da un fulmine … Invece sua sorella, Juliette, riesce ad avere una vita migliore … Lei è una che si sporca le mani, asseconda i depravati e non ne diventa vittima …”
“Che storia!” Commentai.
“Una ragazza dovrebbe riuscire a trovare un compromesso”. Suggerì il vecchio. “Ma non sempre le giovani di oggi vivono in ambienti sani che riescono ad educarle in questo senso …” Aggiunse sospirando.
“Il risultato è che il mondo è pieno di Justine costrette a trasformarsi in Juliette …”
“E già!”. Ribattei imbarazzato. “Lo so … cioè … immagino!”.
“Senti …” Proseguì lui. “Tu mi sembri una ragazzina a modo … una in pieno stile Justine, per intenderci”. Specificò.
I suoi occhi si fecero piccoli come fessure. “Ti va se proseguiamo questo discorso nella roulotte? Ho molti libri, sai, e mi piacerebbe farteli sfogliare visto che sei così interessata”.
Percepii lo sguardo viscido che si posava sul mio collo e fui colpito dal fatto che, con la lingua, quell’uomo si stava asciugava la saliva che penzolava dalle labbra.
“Pensaci”. Insistette. “Intanto io vado a pagare la colazione … anche la tua ovviamente”.
Esitai per qualche istante, fissando il liquido nero in fondo alla tazza.

“Devi andare”. Mi ordinò Lea. “È l’ennesimo porco … Oggi, magari, gli andrà male, perché si sta comportando così con te. Ma domani … ? Domani, probabilmente, troverà qualcuno che non è in grado di difendersi … Troverà un altro Leonardo”. Aggiunse. “Solo tu puoi fermarlo!”
Quelle parole mi fecero riflettere.
La mia amica aveva ragione.
Improvvisamente capii che tutto quello che avevo passato non era accaduto per caso, ma che, in realtà, la vita aveva voluto indicarmi un preciso percorso di responsabilità.
Mi sentii lucido come mai ero stato in precedenza e pienamente connesso con la mia metà.
“Se farò quello che mi ha suggerito”. Mi dissi. “Consentirò ad un altro bambino di restare puro, senza che questo verme possa approfittarsene”.
Mi decisi.
Scartai la busta delle postate e ne estrassi il coltello. Lo nascosi dentro alla manica del giubbotto e continuai a sorseggiare il caffè.
Il vecchio fece ritorno al tavolo dopo pochi minuti.
Zoppicava e aveva il cazzo ancora visibilmente teso dentro ai calzoni.
“Allora signorina!” Esordì splendido.
I suoi occhi erano grigi come l’asfalto del parcheggio.
“Che cosa hai deciso di fare?”
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