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Gay & Bisex

Il prof di disegno


di crigio
06.01.2016    |    15.614    |    9 9.5
"Intanto, il fuoco che si stava formando nella pancia comincia a salire verso il petto..."
Come ogni anno, per le feste natalizie torno nella mia terra. Mio nipote mi aspetta sempre a braccia aperte e anch’io sono molto contento di rivederlo (soprattutto dopo aver saputo che condividiamo una certa tendenza…).
Mia sorella mi prepara una camera a casa sua e, non appena arrivato, lascio la valigia ed esco subito. Mi dice, infatti, che Gabriele ha iniziato a frequentare un corso di pittura e, se voglio, posso andare a prenderlo a scuola. Mi incammino a piedi – la scuola non è molto distante da casa. Una volta arrivato, chiedo al bidello dove si trova l’aula di disegno e proseguo per il corridoio. La prima porta, basculante, è senza finestre, a differenza della seconda. Attraverso il vetro guardo dentro: diverse file di cavalletti sormontati da tele stanno in piedi come soldati. Formano due gruppi, uno a destra e uno a sinistra, ciascuno composto di due per fila. Davanti ad ogni cavalletto, uno studente è intento a dipingere quella che mi sembra una figura umana. Tutti disegnano lo stesso soggetto, il che mi fa pensare che il modello sia lì presente, oltre la barriera delle tele.
Ed infatti, scrutando più lontano, oltre il corridoio che separa le due file, su una panca c’è disteso un ragazzo, più o meno della mia età, a torso nudo con un lenzuolo che gli copre le pudenda. Rimango in ammirazione per la sua bellezza: è completamente glabro ed ha una muscolatura perfettamente definita. I riccioli bruni in testa lo fanno somigliare al David di Michelangelo e gli occhi sono blu come il mare, tanto che ti ci puoi perdere dentro.
Un trillo improvviso mi scuote e mi spaventa. Suona la campanella che segnala la fine della lezione. Il modello si alza in piedi tenendo il lenzuolo e dice qualcosa agli studenti; poi, si allontana e sparisce dietro un paravento, mentre i ragazzi raccolgono il loro materiale da disegno e cominciano ad uscire dall’aula. Mi scosto per lasciarli passare e poi entro. Mi avvicino a mio nipote, gli do una pacca sulla spalla e lui si volta. Ha una leggera peluria sul volto, segno che un accenno di barba finalmente sta comparendo (suo costante cruccio!). Mi salta al collo e mi dà un bacio con un sonoro schiocco.
“Ciao, zio! Ma quando sei arrivato?”, esclama.
“Pochi minuti fa”, rispondo, liberandomi dalla sua morsa. “Ho lasciato la valigia a casa e tua madre mi ha detto che eri qui. Così sono venuto a prenderti per farti una sorpresa!”.
“Hai fatto benissimo!”, prosegue Gabriele, usando un tono di voce che mi sembra più alto del necessario ed una cadenza leggermente effeminata. L’acuto emesso da mio nipote ha incuriosito il modello, il quale viene fuori dal paravento, tutto rivestito, e si avvicina a noi.
“Buongiorno!”, mi saluta porgendomi la mano. Gliela stringo.
“Lui è il mio prof!”, me lo presenta Gabriele. “Questo è mio zio Giò… ehm… Giorgio!”.
“Come il prof?”, chiedo imbarazzato. “Ma… io… veramente…, credevo che…”.
“A volte si presta a farci da modello. La scuola non può permettersi di pagarne uno e così ci pensa lui”, si affretta a precisare Gabriele.
“Piacere, Guido!”, fa il prof.
“Piacere mio, Giorgio… ehm… Giò!”, ricambio.
“Giò, eh? Mi piace, Giò!”, dice il bel David, ed io cerco di capire se si riferisce a me dandomi del lei oppure se parla solo del mio nome. Un sorriso a mezza bocca, che rivela dei denti bianchissimi e perfetti, mi scioglie e smetto di arrovellarmi il cervello abbandonandomi al suo fascino disarmante.
Mi scuoto: Gabriele mi sta fissando complice. Ha capito che il prof non mi è indifferente. “Andiamo zio, va!”, mi fa, sfottendomi un po’. “Ciao, prof! A domani!”.
“Aspetta, Gabri! Dimentichi un pennello!”, lo richiama Guido. Mi volto e tendo il braccio per raccoglierlo. Rimaniamo uno di fronte all’altro, per un momento che sembra un’eternità, a tenere ciascuno un capo del pennello, guardandoci negli occhi. “Le piace… ehm… TI piace l’arte?”, mi chiede.
“Che… che cosa?”, domando impietrito.
“Sì che gli piace! È un esperto di arte!”, interviene mio nipote.
“Sì… sì, mi piace. Sono stato a qualche mostra, su a Milano, e alcuni artisti mi hanno davvero rapito”, rispondo infine io.
“Sai: il prof è anche pittore!”, si inserisce ancora Gabriele e fa di nuovo quel suo sorrisetto impertinente. Sbaglio o ci sta facendo da Pigmalione? “Ho un’idea! Perché non gli fa vedere le sue opere, prof?”, esclama allora il ragazzino.
Mi giro verso di lui e sgrano gli occhi per frenare quella sua esuberanza. Lui però è un fiume in piena. “Sono quadri davvero belli, sai zio? Devi assolutamente vederli!”, continua, e riemerge quel tono effeminato di poco fa.
“Se le fa… ehm… se TI fa piacere, vengo a vederli volentieri”, chioso, rivolgendomi al prof.
“Stasera può andar bene?”, mi chiede lui.
“Stasera…? Ma veramente… sono appena arrivato… Mia sorella…”, farfuglio.
“Oh, zio! Ci penso io alla mamma, tranquillo!”, squittisce Gabriele.
“O… ok allora. A stasera!”.
“Gabriele conosce il mio indirizzo. Ti aspetto. Vieni quando vuoi!”, mi conferma Guido. Quindi si volta e torna alla cattedra a raccogliere la sua roba, mentre noi usciamo dall’aula.
“E’ un gran figo, non è vero?”, mi chiede mio nipote una volta fuori.
“Sì, lo è”, rispondo. “Ma tu da quando sei diventato così… così… diciamo appariscente?”.
“In che senso?”.
Mi pento di avergli fatto quella notazione e mi rimangio tutto. “Niente niente! Lascia stare!”.
Per tutto il giorno mi sento in confusione: provo a distrarmi con mia sorella e Gabriele, ma continuo a pensare a quegli occhi blu che mi sono entrati nell’anima. Nel tardo pomeriggio mi decido finalmente ad uscire di casa. Prendo in prestito l’auto di mio cognato e mi dirigo verso casa di Guido. È una villetta poco fuori città, con un prato all’inglese: molto carina, ma niente di pretenzioso. Suono il campanello e dopo pochi secondi apre la porta.
“Ti aspettavo: entra!”, mi fa senza tanti convenevoli. Indossa una maglietta molto scollata, che lascia intravedere il petto glabro e tonico. Un fianco è macchiato di rosso. Si accorge che guardo proprio lì e aggiunge: “Stavo dipingendo…”, si scusa. Con le mani gli faccio capire che non c’è problema. “Vieni a vedere come sta venendo”.
Entro nel suo studio e osservo la tela. In realtà il quadro mi interessa poco: i suoi prorompenti pettorali mi distraggono non poco e credo di arrossire. Tra l’altro, lui mi si accosta indicandomi dei dettagli col pennello, e la sua pelle a contatto con la mia mi fa venire un brivido.
“Hai freddo?”, mi chiede, allora.
“N… no…”, rispondo visibilmente imbarazzato. Lui posa tavolozza e pennello su un banchetto e poi si volta di nuovo verso di me. Si avvicina in modo inequivocabile. Ci respiriamo sui volti: una sua mano mi afferra la nuca e la sua testa si inclina di lato. Mi bacia: ha le labbra morbide. Poi, la sua lingua si apre un varco tra le mie: la lascio passare e la succhio piano. Limoniamo per un po’ e lentamente lui mi spinge indietro. I miei polpacci si scontrano con un divano, le ginocchia si piegano e cado seduto. Guido monta su di me a cavalcioni e inizia a strusciarsi contro il mio corpo. Qualcosa nel suo bassoventre si gonfia e preme contro il mio.
“Dimmi che anche per te è stata attrazione fatale!”, dice mentre ansima.
“Cazzo sì!”, rispondo, e finalmente mi decido anch’io ad usare le mani. Una la infilo dentro la sua maglietta, dietro, e gli massaggio la schiena. Con l’altra, invece, lo perquisisco davanti, raggiungendo velocemente quello a cui aspiravo: i pettorali. I suoi sospiri, allora, si accentuano. La sua bocca si sposta verso il mio orecchio: mi lecca e mi mastica il lobo. Poi scende lungo il mio collo. Mi si accappona la pelle e vibro. Colgo un suo sorriso di soddisfazione. Mi tira su la maglia e si tuffa sul mio capezzolo sinistro.
Così facendo, mi strappa un lamento di piacere. Dà dei vigorosi colpetti di lingua e succhia e mordicchia la mia areola. Mi scappa da ridere.
“Che c’è?”, mi chiede stranito.
“Mi fai il solletico!”, e ride pure lui, tornando subito a dedicarsi al mio seno. Tra le sue gambe, quel qualcosa continua a gonfiarsi. “Alzati, dai!”, gli sussurro, immaginando che cominci a fargli male. Si mette in piedi e gli slaccio e calzoni. Gli slip sono tesi e anche l’elastico sembra quasi cedere. Libero l’arnese e quello schizza su già bello duro.
È grosso, anche se non molto lungo, ma uniforme dalla base alla cappella. Leggermente curvo all’insù e col frenulo tirato al massimo. E’ davvero eccitato!
Abbasso i pantaloni e scopro le sue gambe, anche quelle muscolose. Lui si toglie la t-shirt e finalmente lo vedo in tutto il suo splendore. Mentre allungo le mani sul suo torace, spalanco la bocca per accogliere la sua asta. Me la lascio scorrere piano fino in gola e lo sento vibrare e gemere. Le gambe sembrano cedergli, nonostante la loro potenza.
“Oh, porc…!”, sbotta mentre rimango col suo cazzo ben piantato nelle mie fauci. Incavo le guance e comincio anche a succhiare. “Merda!”, esclama ancora, e si piega in avanti appoggiando entrambe le mani sulla mia testa per costringermi a rimanere fermo. Poi, di colpo mi lascia libero ed io torno indietro abbandonando la sua verga con un suono che sa di tappo di spumante che salta.
“Wow! Che bocca!”, sospira ridacchiando. Io allungo la mano e gli stringo la minchia tirandola verso di me. Ingoio il glande e lo ciuccio come un lecca lecca. Di tanto in tanto do dei colpetti di lingua sul buchino che lo sormonta e al frenulo, costringendolo a rantolare. Quindi, tolgo la mano e scendo più a fondo, iniziando un pompino dei miei migliori.
Guido si dimena ma non si sposta. Si lascia lavorare il cazzo scuotendosi per il piacere, ma rimane fermo davanti a me senza alcun reale cedimento. D’un tratto, mi fa: “Adesso ti ricambio il favore!”, e si fa indietro. Si inginocchia e mi leva i jeans e gli slip. Mi solleva le gambe e si tuffa tra le mie chiappe. Sento subito la sua lingua perquisirmi la rosellina e il solco.
Dopo un po’, però, rialza il capo e mi fissa tra le chiappe. “Porca vacca, che bel buco che hai! Non ne ho mai visto uno così morbido e, direi, ospitale. La mia lingua lo attraversa con facilità!”, commenta e poi immerge di nuovo la faccia tra le mie natiche. Mi titilla la parte superiore dell’anellino ed entra dentro quel tanto che basta per strapparmi un urletto. Ha trovato una delle mie zone erogene e ci insiste su senza demordere. Stavolta sono io a dimenarmi: stringo la seduta con le mani e gemo di godimento. A volte prolunga la lappata fino allo scroto e lungo le cosce, costringendomi a serrarle. Quando il brivido che mi provoca cessa, le riapro e lo accolgo nuovamente, ma, non appena lo rifà, devo chiuderle ancora.
Facciamo questo gioco per un paio di minuti; poi, Guido tira su la testa e, sollevandosi, si stende sul mio corpo. Fissa il mio petto e si getta a capofitto sui miei capezzoli, con la bocca e con le mani. Mi impasta il petto con i palmi e mastica le mie areole come fossero chewing-gum, mentre sento il suo glande inserirsi nel mio solco.
“Vedi che cosa mi hai fatto?”, sussurra, alludendo alla consistenza del suo cazzo. “Adesso sono costretto a placarlo”, aggiunge, e, con una leggera pressione, la cappella oltrepassa la barriera del mio buco. Rimane fermo così, solo con quella dentro di me. “Sei caldo…”, mi fa, ma non si muove. All’inizio sembra che io non abbia nessuna reazione, ma dopo un po’ la dilatazione della rosellina mi provoca un primo spasmo. “Evviva!”, sbotta lui, contento. Seguono altre contrazioni che hanno l’effetto di risucchiare il cazzo verso l’interno, fino ad inghiottirlo completamente. I suoi coglioni sbattono contro le mie chiappe e Guido sfiata di soddisfazione sul mio collo. Si solleva sulle mani e con le braccia imprigiona le mie gambe, tenendomele sollevate. Sono in sua completa balia, ma invece di approfittarne e di scoparmi forte, si limita a scorrere lentamente avanti e indietro con dolcezza.
Non ricordavo più quanto fosse piacevole farsi fottere anche così, senza troppa veemenza ma con estrema delicatezza. Riesco a sentire ogni centimetro della sua grossa nerchia che, peraltro, mi stimola tutti i nervi dello sfintere. I miei capezzoli si induriscono e si sollevano. Sono talmente rilassato che i miei muscoli interni spingono in fuori e agevolano la penetrazione. Quando torna indietro, Guido si ferma un po’ a solleticarmi la parte superiore dell’anellino con il glande: questo cosa mi fa impazzire e la mia rosellina lo ringrazia con delle contrazioni che lo massaggiano leggermente procurandogli un intenso piacere. Quindi, riaffonda in me piano, finché sento il suo pelo pubico solleticarmi le natiche: ondeggia col bacino e mi scava nelle viscere. Si ritrae ancora e ripete la pratica di prima.
Stavolta, però, il piacere è tale che espello un flusso di umori. “Che succede?”, mi fa.
“Tranquillo! Sto solo godendo!”, gli rispondo.
“E tu godi così?”.
“Anche di più…”. Lui si acciglia incuriosito e poi mi chiede ancora: “Dimmi che cosa devo fare per vedere questo di più”.
“Solo quello che stai facendo già. Tra non molto accadrà”. Nonostante sia poco convinto, riprende a muoversi come prima ed io, ad intervalli più o meno regolari, continuo a sgravarmi, finché il suo cazzo che entra ed esce dal mio budello provoca un rimestio sonoro di umori. La mia temperatura corporea aumenta progressivamente ed il calore si concentra, come al solito, nel ventre. “Continua così… Non manca molto… mmmmmmm!”, gemo. Intanto, il fuoco che si stava formando nella pancia comincia a salire verso il petto.
Sento la voce di Guido che mi chiama. “Giò… Giò…!”. Ha un tono preoccupato e la percepisco con un’eco in lontananza.
“Non fermarti… non fermarti…”, ansimo, e lui, benché stranito, continua a scoparmi. Quando il calore arriva alla gola, mi blocca il respiro e vado in apnea. Quando mi ridesto, il fuoco è già al cervello: mi aggrappo al collo di Guido e lo attiro al mio petto. Lui addenta il mio capezzolo sinistro e lo mordicchia. Seguendo le mie istruzioni, non si ferma e mi fotte con la stessa cadenza, senza sapere che tra qualche secondo non riuscirà più a muoversi.
Ed infatti, una convulsione ci coglie alla sprovvista: la mia schiena si contrae e così anche i muscoli del mio sfintere, che gli strozzano l’asta. Lui rantola e cerca di divincolarsi, inutilmente. “AAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHH!!!”, sbraita. “Che cazzo mi fai!”, mi strilla contro. Mentre torno a rilassarmi, i muscoli del culo iniziano a pompare, prima lentamente, poi sempre più velocemente. “Merda! Così vengo!”, urla Guido.
“Sì, vienimi dentro… ah!... tutto dentro…!”, lo esorto, ma non ce n’è bisogno: ormai non può più resistere.
Un primo fiotto caldo mi colpisce la prostata. Lo sento così distintamente che il mio orgasmo viene amplificato e il mio sfintere ricomincia a pompare di brutto. Guido spalanca la bocca contro la mia faccia, ma non esce alcun suono. Un altro fiotto nelle mie viscere e finalmente riesce a rantolare. Ansima profondamente e sembra che abbia scalato una montagna. Si accascia sul mio corpo e il suo peso placa lentamente le mie convulsioni.
Il suo cazzo si ritrae e scivola fuori da me. “Che cos’era questo?”, mi chiede col fiato corto.
“Te lo spiego dopo”, rispondo, ancora avvolto tra i fumi del piacere.
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