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Il servizio fotografico


di Honeymark
24.01.2018    |    24.294    |    3 9.6
"Aspetta, vado lì, poi scatta qualche fotografia..."
FOTO

Questo racconto è la storia romanzata di fatti realmente accaduti.
Otto capitoli - ne pubblichiamo uno al giorno - possono sembrare un po’ tanti, ma la vicenda andava articolata perché divenisse credibile.
È probabile che le donne della storia, cui ho dato un altro nome, si riconoscano. Beh, è stata un’avventura fantastica! Chapeau!
______________

IL SERVIZIO FOTOGRAFICO

1.


Grazie alla mia attività di fotografo, specializzato nell’abbigliamento femminile, ho avuto alcune avventure eccezionali con alcune mie modelle. Non sono un molestatore, sia ben chiaro, ma alla fine del servizio si forma sempre un feeling particolare tra fotografo e modella. D’altronde, se devi far emergere il lato sensuale della donna, in un certo senso le fai la corte, anche se poi tutto finisce lì. Tengo però a precisare che non ne ho mai toccata una neppure per sistemare il vestito che indossava. Ad aiutarmi in queste cose ho sempre avuto l’assistenza della figlia di una cliente che ha un grande atelier. L’aiutante è una bella ragazza minorenne, che la mamma mi affianca per farla crescere nel mondo della fotografia nella moda. E infatti dalle foto che le faccio scattare, direi che può diventare un’ottima fotografa.
Qualche volta, alla fine del servizio, se avverto che la strada è percorribile, chiedo alla modella se vuole posare nuda. Qualcuna dice si, qualcuna dice no a meno che non ci sia un buon contratto di lavoro di nudo.
Intendiamoci, le vedo sempre nude quando posano per me, perché si cambiano senza tanti pudori. Il punto non è questo. È che, se posano nude, cambia il clima tra fotografo e modella. Anche questo non vuol dire nulla, ma a volte capita di concludere. E quelle rare volte si è trattato sempre di avventure incredibili, difficili da credere per un esterno.
La storia che voglio raccontare oggi riguarda due donne del genere, che poi sono diventate tre.

Un settimanale mi aveva chiesto di fare un servizio fotografico da dedicare al Natale. Una o due modelle, mi era stato detto, che potevano posare anche in maniera «disinvolta», purché il tema fosse legato al Natale.
E io avevo avuto un’idea simpatica. Chiesi a due giornaliste, di due giornali diversi, se volevano posare per me per fare un servizio natalizio molto particolare.
Entrambe dimostrarono interesse, ma anche il timore che un servizio hosé potesse influire negativamente sulle loro carriere. Poi, quando spiegai cosa volevo fare, accettarono la sfida. Si trattava di una giornalista di 30 anni bella, alta, bionda, e di una giornalista di 35 anni, bella, alta e… di colore. Una nera.
La bionda si chiamava Sonia, la nera Margie.
- Insieme, – spiegai – sarete l’allegoria della tolleranza, della convivenza tra razze diverse. Voglio che i lettori vi desiderino entrambe, indipendentemente dal colore della pelle.
La notizia si sparse e sorsero subito sostenitori e detrattori, da una parte spinti dalla voglia di vederle in posa e dall’altra da gelosia e invidia. Insomma, poteva essere un successo o un disastro. Restammo d’accordo che avremmo approvato il servizio insieme; alla peggio non lo avremmo pubblicato e basta.
Devo dire che le due donne piacevano molto anche a me e l’idea di poterle fotografare mi intrigava molto. Certamente sarei stato invidiato anch’io.
Decidemmo di fare il servizio nell’atelier della mia amica, in modo che mi mettesse a disposizione i vestiti, compresi i mantelli finali di Babbo Natale. E la mia amica mi fece affiancare dalla figlia, ad assistermi come sempre.
Mettendo insieme le loro disponibilità di tempo, iniziammo il servizio alle 17 di un venerdì di metà novembre. Quando arrivarono ci abbracciammo, augurandoci di riuscire a fare qualcosa di buono. Non avevano mai posato.
La bionda si era fatta una messa in piega sontuosa da far perdere la testa, la nera si era tagliata i capelli corti come se volesse sfidare la macchina fotografica.
Chiesi loro di salire sul piccolo palcoscenico che avevamo a disposizione. Accesi le luci e chiesi loro di girarsi e mettersi i mostra. Obbedirono senza problemi e questo mi rese fiducioso.
Visto che erano venute entrambe in blue jeans, decisi di cominciare così. Le feci sedere in terra e appoggiarsi di schiena l’un l’altra. Come il marchio le «Robe di Kappa».
Si sistemarono, poi chiesi loro di togliersi le scarpe e mandai Jasmine, la mia giovane assistente, a prenderle.
- Portano i collant, – Mi fece notare sottovoce Jasmine.
Guardai e in effetti si vedeva che i piedi avevano le calze. Non andava bene.
- Ragazze – dissi allora, – devo chiedervi di togliervi i collant.
Si alzarono e invece che andare dietro il separé, fecero tutto sul set. Sonia, la bionda, si sedette in terra, si sfilò prima i blue jeans e poi i collant, quindi rimise i jeans. Margie mi girò la schiena e fece la stessa cosa stando in piedi. Poi si sistemarono, mi sorrisero e tornarono nella posizione di prima.
Gradii molto la disinvoltura con cui si erano cambiate davanti a me, perché significava che avremmo fatto un bel lavoro e che loro due si erano affiatate subito. Sonia aveva uno stacco di cosce formidabile e Margie un culo faraonico. Sarei stato invidiato da tutti i colleghi, miei e loro…
E mi avevano fatto venire la prima idea. Prima le fotografai alla “Robe di Kappa”, le sistemai con le gambe un po’ verso di me, le feci sorridere e cominciai a scattare foto. Loro, senza attendere disposizioni da me, si muovevano da sole ogni volta che sentivano uno scatto. Si appoggiarono le teste e ammiccarono simpaticamente insieme con l’obiettivo. Si stavano affiatando.
Fotografava anhe Jasmine, perlopiù foto di scena come le avevo chiesto, perché in realtà le due ragazze guardavano sempre me. Ma volevo che imparasse a far foto. Aveva talento e volevo che imparasse a cogliere l’attimo. Le avevo passato una Nikon D 300 S, riservando a me la D 800. Due ottime macchine, anche se i nuovi fotografi vogliono solo Canon. De gustibus…
- Ragazze – dissi dopo qualche decina di foto, mettendo a frutto l’idea che mi era venuta. – Vi sfilate i jeans?
Senza nulla obiettare, si sostennero tenendosi appoggiate di schiena, si slacciarono i jeans e se li sfilarono. Jasmine andò a prenderli per toglierli dalla scena.
Poi iniziammo entrambi a fare foto così. Avevano cosce lunghe e natiche tondeggianti per cui le foto, pur essendo più che castigate, erano di un erotismo semplice e meraviglioso. Era quello che volevo.
Loro stavano al gioco, prendendo sempre il rumore dello scatto come segnale per cambiare posizione. Raccolsero una gamba, poi l’altra,si girarono un po’ verso di me, allargarono le gambe in varie posizioni.
Ovviamente poi avrei scartato le foto dove si vedeva la biancheria. Il pubblico doveva solo pensare di vederle nude. O in biancheria, voglio dire. Ma se non vedevano le mutandine potevano pensare che non le portassero affatto.
Poi le feci alzare e le feci indossare due dei vestiti che la mamma di Jasmine ci aveva preparato.
Dopo vari scatti da davanti e da dietro alle due giornaliste che socializzavano sempre di più fino ad abbracciarsi spesso, dissi a Jasmine di portare due poltroncine sulla scena. Feci girare lo schienale dalla mia parte, poi chiesi alle due di sollevare il vestito e di sedersi a gambe aperte, con lo schienale che copriva le loro intimità. Allora mi venne l’idea di fare la stessa cosa con la sola maglietta. Feci sfilare le gonne e, in mutandine, si sedettero come prima.
Dopo qualche scatto, mi fecero una proposta.
- Che ne dici se ci infiliamo le autoreggenti?
- Avete portato le autoreggenti? – Domandai, piacevolmente sorpreso.
- Sì, ci eravamo sentite ed entrambe pensavamo che ce le avresti chieste.
- No, proprio non pensavo… – Risposi. – Avevo paura che sarebbero troppo provocanti…
- Alla peggio le scartiamo. – Disse Margie, la nera.
- Porti le autoreggenti anche tu? – Le chiesi.
- Certo! E vedrai che effetto!
- Saranno quasi sul bianco, – azzardò Jasmine. – Fanno risaltare il nero come se fosse al negativo.
Si alzarono e andarono in mutandine a prendere le autoreggenti, poi tornarono a sedersi per infilarle. Era stato uno spettacolo vederle camminare e fu uno spettacolo vederle con le calze. Si rimisero in posa come le volevo io, poi si girarono di fianco appoggiandosi l’un l’altra di schiena, coprendo il bacino con lo schienale della poltroncina ma mostrando le gambe con le calze. Sembravano la coppia speculare e negativa dell’«Angelo Azzurro» di Josef von Sternberg.
A quel punto, già che erano in calze e mutandine, decisi di fotografare i loro culi. Mandai Jasmine a togliere le poltroncine, le feci stare in piedi di schiena, poi chiesi alla mia assistente di sistemare le magliette in modo che mostrassero il culo senza che si vedesse la biancheria. Per fortuna avevano il tanga per cui si poteva scoprire il culo facendolo sembrare ignudo.
Quando Jasmine tornò da me, ordinai alle ragazze di guardarsi maliziosamente in viso e di portare ognuna la mano al sedere dell’altra per sollevare la maglietta e scoprire il culo. Ovviamente anche qui erano molti i particolari che dovevano andare perfettamente al loro posto per offrire immagini belle, guardabili e maliziosamente pudiche. Per esempio la mano, oltre a scoprire il culo sollevando la maglietta, doveva anche coprirlo quanto bastava.
Erano tutte scene che lo avrebbero fatto rizzare a un morto…
- Ragazze – dissi alla fine, – la mamma di Jasmine vi ha preparato due mantelli da Babbo Natale.
Jasmine li portò a loro e le aiutò a togliersi la maglietta e indossare i mantelli, che erano rossi con tanto di cappuccio.
Tornammo a far foto e a quel punto c’era poco da suggerire loro.
- Forse è meglio se per questa scena si sfilano le autoreggenti… – Azzordò la mia giovane assistente.
- Ragazze, vi togliete le calze per favore? – Dissi avvicinandomi a loro per farmele dare.
- Tornai a posto e scattammo le ultime foto,
Quando decisi di chiudere, il mio contatore segnava qualcosa come 950 scatti. Di solito non arrivavo a 500.
- Ragazze – dissi, – avrei finito.
Jasmine mi diede un colpetto.
- Le foto ricordo… – suggerì.
- Ah sì, grazie. Aspetta, vado lì, poi scatta qualche fotografia.
Le due ragazze mi attesero e mi fecero accomodare in mezzo a loro. Jasmine cominciò a scattare e mi trovai anch’io a cambiare posizione ad ogni click.
- Aspetta. – Disse Margie. – Ti abbracciamo.
Mi strinsero tra loro. Io chiusi gli occhi e lasciai che Jasmine facesse il suo lavoro.
- Ragazze – disse poi Jasmine, – vi girate di schiena e voltate lo sguardo a me?
Io restai in mezzo, mentre le due porsero il culo a Jasmine, che scattò come un folle.
- Marco, siediti ai loro piedi.
Obbedii.
- Infila le mani sotto il mantello. Scoprigli il sedere e poi coprilo con la mano.
Obbedii nuovamente e con molto piacere. Sentivo la fessura delle loro natiche nel palmo della mano. Ci muovemmo ancora per la fotocamera di Jasmine e io infilai la testa sotto i mantelli mentre loro si portarono a stringermi la faccia tra i loro inguini. Mi sembrava di essere il campione sportivo arrivato primo e baciato dalle miss… Ma non era così. Sentii che l’uccello faceva quello che voleva lui e decisi di alzarmi.
- Ragazze – dissi, appena raggiunta Jasmine, – ho finito.
- Peccato! – Disse Sonia. – Cominciavo a divertirmi…!
- Anch’io, – convenne Margie, girandosi verso di me. – Ma si potrebbe fare qualche altro servizio più avanti, no?
- Anche più malizioso… – Aggiunse Sonia guardando l’amica.
Le due si abbracciarono. Prima si conoscevano appena, ma in quelle due ore si erano affiatate moltissimo.
- Sì, – azzardò Sonia rivolta a me. – Possiamo posare anche… nude se vuoi, perché no? Immagino che non ti dispiaccia…
- Esatto, – aggiunse Margie. – Basta che le foto rimangano fra noi.
- Sapete meglio di me che le mie foto non escono mai dal mio computer… Ricordai.
- Sì sì, è per questo che abbiamo accettato la sfida di posare per te.
- Che ne dite se andiamo a cena? – Chiesi a loro a quel punto. – Le foto guarderemo con calma.
- No, – rispose Margie. – Purtroppo, da stupida mi sono presa un altro impegno…
- Io devo tornare al giornale, sono di turno per chiuderlo. – Spiegò Sonia. – Ma facciamo così. Fai una prima scelta delle foto e una delle prossime sere veniamo a vederle. Poi magari andiamo a cena. Che ne dici Margie?
- Io posso venerdì sera. – Rispose l’altra.
Sonia guardò il cellulare e poi rispose.
- Ci sono anch’io. – Disse. – Sono di servizio al mattino.
Si rivestirono e le abbracciai.
- È stato stupendo. – Dissi. – Grazie.
- E questo non è niente. – Disse Sonia strizzando l’occhiolino.
- Ti faremo impazzire. – Concluse Margie.
Uscirono.
- Che ne dici se andiamo a fare un pizza e poi torniamo qui a fare un primo screening? – Chiesi a Jasmine.
- Per me sta bene, – rispose.
- Telefona a tua madre e diglielo, – Aggiunsi. – Così non starà in pensiero.

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